Andrea Tidona (attore e doppiatore) Viterbo
12.3.2025
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Di Strehler ho dei ricordi bellissimi. Lui
era un personaggio particolare, era una persona geniale, era uno che ti sapeva
affascinare, sedurre e ti saresti gettato nel fuoco per lui, perché ti faceva
sentire di un’importanza straordinaria”

Andrea Tidona è nato a Modica il 30 novembre
1951. Si diploma all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 1976 e debutta
con la Compagnia dei Filodrammatici in "Tre quarti di luna" di L.
Squarzina per la regia di E. D’Amato. E’ scritturato poi dal Piccolo Teatro
di Milano, dove con Strehler lavora come attore e come aiuto regista per quattro
stagioni. Le successive quattro stagioni sarà con Glauco Mauri. In seguito ha
lavorato con Cecchi, Freni, Manfrè, Zampieri, Zucchi, Puggelli , Sciaccaluga,
Pugliese e molti altri. In campo
televisivo ha partecipato a numerose fictions e serie di successo tra le quali:
"Il Maresciallo Rocca", "La Piovra", "Le ali della
vita", "Il commissario Montalbano", " Distretto di
polizia", "Il Capitano", "Alcide De Gasperi",
"Borsellino", "L’uomo sbagliato", "Butta la
luna", "Il Capo dei capi" etc.. Nel cinema ha recitato, tra gli
altri, in due grandi film: "La vita è bella" di R. Benigni e "I
cento passi" di M.T. Giordana. Sempre diretto da Giordana, è stato tra i
protagonisti de "La meglio gioventù" interpretazione che gli è valso
il "Nastro d’Argento" come miglior attore protagonista. Ha ricoperto
il ruolo di co-protagonista nell’opera prima di G.Martelli “In Ascolto” ed
è stato tra gli interpreti de “Il 7 e l’8” di Ficarra e Picone.
Ultimamente ha fatto parte del cast fisso di due serie di successo come
il giovane Montalbano di G.Tavarelli e “Braccialetti Rossi” di G.Campiotti.
Attualmente è tornato a dedicarsi al teatro in modo continuativo. (breve
biografia tratta dal sito ufficiale dell’attore)
Intervista
Andrea, a cosa stai lavorando ora?
In questo momento non sto lavorando, sono
appena tornato dal Camerun del nord dove sono andato per una vacanza umanitaria.
Era una cosa che volevo fare da tempo e ho rinunciato anche a due lavoretti a
febbraio. Sono andato con questo mio amico in Camerun, lui costruisce scuole o
meglio piccoli edifici, due o tre aule per bambini. Un azione meravigliosa e io
avevo tanta voglia di andare a vedere il suo operato ma soprattutto di vedere
l’Africa. Questa è stata la mia occupazione ultimamente e non ho neanche
visto le puntate di “Le onde del passato”, ma poi le ho viste in streaming.
Adesso sto progettando e facendo delle cose, tipo uno spettacolo che devo fare
questa estate. Sto lavorando al testo e poi ad un altro testo per il prossimo
inverno.
A proposito de “Le onde del passato”,
una serie che parla di violenze. Come hai vissuto questa esperienza e come ti
sei preparato ad interpretare il tuo personaggio Gaetano?
Per preparami ad interpretare Gaetano faccio
come ho sempre fatto, mi metto lì davanti alla carta scritta e cerco di
immaginarmi come si può muovere questo signore, facendo i conti con la sua vita
e lavorando di immaginazione. Poi io non sono padre ma posso immaginare la
delusione di un genitore, di un ex generale dell’esercito, di una persona
onesta. I militari poi hanno un po’ una esagerazione per la dirittura morale.
Il mio personaggio, Gaetano, si reca all’Isola d’Elba per recuperare la
lettera di suo figlio, che però gli rivelerà delle cose dolorosissime e così
si ritroverà invischiato in una storia di violenza con delle ragazze. Diciamo
che io ho lavorato su tutti questi elementi e immaginando come si può muovere,
come si può atteggiare il personaggio.
Mi racconti com’è nata la passione per
la recitazione? Avevi artisti in famiglia?
Nessun artista in famiglia, ma mia mamma, che
era una casalinga, da ragazzina con la parrocchia
aveva anche recitato, ma non era certo un elemento probante. I miei genitori
avevano un negozio di generi alimentari, un negozio classico anni ’70, dove si
vendeva dalla mortadella al detersivo, dai legumi alla carta igienica e c’era
qualcosa di mia madre che mi divertiva molto e che poi ho ereditato, cioè che
quando a tavola ci raccontava
quello che era accaduto quel giorno in negozio, aveva una facoltà, un facilità
di imitare le persone che ti faceva ammazzare dalle risate. Siccome io sono
stato anche un buon imitatore, penso sempre che evidentemente questa cosa l’ho
ereditata da lei. Poi com’è nata la passione per la recitazione non te lo so
dire, l’unico ricordo è che da piccolino stavo davanti ad uno specchio che
stava in un’anta dell’armadio dei miei genitori nella camera da letto e
giocavo. Giocavo a fare queste cose, mio
padre però per anni, ha osteggiato aspramente la mia scelta di fare l’attore,
in effetti inconsapevolmente era stato quello che mi aveva spillato una curiosità
se non altro, perché la televisione non ce l’avevamo, allora mi portava al
cinema e il cinema di allora non è come oggi, perché allora era consigliato
vedere il film accompagnato da un adulto, ora non ci sono più queste
attenzioni. Mio padre era un commerciante, una persona semplice e prediligeva i
film western, i film di guerra, quelli mitologici, quindi andavo con lui, poi
lui mi guardava e vedeva che ero impressionato nel vedere queste scene e mi
diceva: “Ma hai paura? Guarda che quello che vedi è tutto finto, stanno
recitando e il sangue è pomodoro”. E io ero talmente piccolo che non riuscivo
a seguire bene la trama, mi fissavo a capire questa finzione e pensavo: “Prima
o poi se è finto, si tradiranno e si capirà che era tutta finzione”. Per cui
mi è venuta questa voglia di mettermi lì anch’io di voler fare il cow boy o
il generale davanti allo specchio. Questo era il mio passatempo, a parte quando
mio papà mi portava al cinema e nel pomeriggio sostituivo mia madre nel negozio
di generi alimentati.

Con quali miti del cinema sei cresciuto?
Chi sono stati i tuoi idoli?
I miei idoli sono stati quelli chiamati i
quattro moschettieri italiani, cioè
Gassman, Tognazzi, Manfredi e Mastroianni. Anche se io ho sempre avuto una
grandissima ammirazione per i vari caratteristi, che poi erano dei grandi
attori. Al cinema venivano chiamati
così. Parlo di Peppino De Filippo, di Aldo Fabrizi, poi di quelli che facevano
le spalle come Leopoldo Trieste. Poi Totò e Alberto Sordi ma lì siamo nel
campo delle maschere in effetti più che degli attori e Gian Maria Volonté, ma
quello è un capitolo a parte. Però fra gli attori di quando ero ragazzino, fra
i modelli da imitare e quello che mi ha sempre stupito, è stato Ugo Tognazzi.
Per me lui era un attore favoloso, che spaziava su qualunque genere, dal comico
al drammatico. Poi ovviamente c’erano quelli di teatro come Alberto Lionello,
Enrico Maria Salerno, Tino Buazzelli e quelli del Piccolo Teatro con i quali ho
avuto la fortuna di lavorare all’inizio.
Che ricordi hai di Giorgio Strehler?
Di Strehler ho dei ricordi bellissimi. Lui
era un personaggio particolare, era una persona geniale, era uno che ti sapeva
affascinare, sedurre e ti saresti
gettato nel fuoco per lui, perché ti faceva sentire di un’importanza
straordinaria. Poi era anche bello tosto artisticamente. Era duro, ti aggrediva,
ma mai umanamente, ma perché la scena, l’interpretazione non veniva bene.
Quando dicono di lui che urlava, io che ci sono stato lì quasi 4 anni, lui
urlava quasi con se stesso, perché magari le cose non venivano bene o non
riuscivano come voleva lui. Lui non se la prendeva con te, se la prendeva con la
situazione, bestemmiava e ne diceva di tutti i colori. Poi era uno spasso
vederlo dirigere, perché ti faceva ammazzare dalle risate, anche
inconsapevolmente. L’ultimo spettacolo al quale ho partecipato con la sua
regia, era “La tempesta” ho sempre pensato che se il pubblico avesse visto
le prove dello spettacolo, avrebbe avuto un ricordo sublime anche perché era
geniale. Io all’accademia avevo
come tanti giovani questo desiderio di fare l’attore e il regista, quando ho
visto Strehler come conduceva e cosa volesse dire fare il regista, ho pensato
che forse questa idea me la dovevo levare dalla testa. Vedevo delle cose da quel
genio che non avrei mai potuto concepire, perché lui era fantastico. Lui aveva
una qualità straordinaria, cioè che faceva recitare anche i sassi. Se tu
facevi la comparsa e reggevi un’alabarda, ti faceva credere che quel momento
dello spettacolo dipendeva da come tu tenevi l’alabarda. Pensa che genio era.
Esiste la meritocrazia nel tuo lavoro?
No, non esiste la meritocrazia nel mio
lavoro. Non è perché lavorano sempre quelli, perché è un mondo particolare,
contorto. Io volevo smettere di fare l’attore a 34 anni, ma non per scherzo,
volevo smettere seriamente, dopo aver lavorato con Strehler e con tutti gli
attori del Piccolo di Milano, dopo aver lavorato 4 anni con Glauco Mauri, dopo
aver lavorato con Anna Proclemer e con le compagnie primarie, che così allora
si chiamavano e avendo fatto ruoli importanti. Io volevo smettere perché dato
il mio carattere, pensavo che non avrei mai fatto strada perché fra i lecca
culo, fra i raccomandati, ecc… ho capito che avrei avuto vita grama in
quell’ambiente. Io sono uno che non riesce a mascherare, io sono stato a
Milano per molti anni, poi mi sono trasferito a Roma perché tutti mi dicevano:
“Tu hai la faccia per il cinema, devi andare a Roma, bla bla bla”. I primi
anni quando sono arrivato a Roma, erano i primi anni ’80, le cene, le feste
con i registi e i produttori e io dopo un po’ ho detto: “Non portatemi a
queste feste, perché faccio più danni che altro. Se
mi stai sulle scatole, mi si legge in faccia, quindi evitiamo queste
serate”. Volevo smettere per queste ragioni ed ero talmente scocciato che sono
andato a Londra proprio per non pensarci, non avevo neanche studiato inglese a
scuola. A Londra andavo spesso a
teatro fra le altre cose e vedevo questi attori meravigliosi in questi
spettacoli eccezionali e dicevo: “Io in fondo faccio questo lavoro, non sarò
bravo come loro, poco importa, perché devo mortificare la mia passione che è
ancora come quando la facevo da ragazzino all’oratorio e anche la
professionalità che ho acquisito negli anni?”. Quindi mi sono fatto un esame
di coscienza e ho pensato di darmi una calmata con il mio carattere e ho deciso
di accettare questa situazione. Così ho ricominciato da capo.

Quali sono le tue ambizioni?
Le mie ambizioni intanto sono quelle di stare
bene, in salute e stare bene con le persone. Avere rapporti onesti, sinceri e
non essere come quelli che la sera vanno raspando di qua e di là perché devono
conquistare un ruolo, una parte e devono apparire. A me questo fa ridere e da
fastidio perché sarei un ipocrita e un bugiardo. La mia ambizione è continuare
a lavorare in teatro specialmente con dei bei ruoli, con delle belle possibilità,
anche se il teatro è molto in crisi dal punto di vista produttivo, quindi è
complicato. Se tu non hai un nome eclatante, non ti prendono in considerazione
più di tanto. La mia ambizione è quella di poter conservare questa passione,
che poi a 34 anni mi ha costretto a continuare, dopo una breve crisi, e di poter
continuare fino all’ultimo giorno della mia vita questo gioco meraviglioso che
era un gioco da ragazzino e che poi è diventato il mio lavoro da grande.
Ho letto che sei attivo con
l’associazione “Aiutiamoli a crescere”. Com’è nata questa
collaborazione?
E’ nata perché il presidente di questa
associazione è un mio vecchio amico di Modica, il mio paese di origine, e molti
anni fa mi chiese di aiutarlo con degli spettacoli per raccogliere dei fondi. Mi
spiego, questa attività, questa iniziativa che portava avanti, tutto con soldi
privati, era quella di costruire scuole in Africa, in Camerun dove sono stato
adesso, per cui io gli dissi di si. Poi nel corso degli anni ci si perde di
vista, ma quando eravamo ragazzi io già avevo questo piacere del recitare e
facevo spettacolini, ecc… e lui come tutti i ragazzi degli anni ‘60/70 aveva
una sua band rock , quindi già allora avevamo partecipato a delle
manifestazioni, a delle feste assolutamente per gioco. Poi io ero andato a
Milano a fare ingegneria, lui a Bologna per fare geologia, poi non ci si vede più.
Ad un certo punto ci siano incontrati per caso e lui mi ha chiesto se gli davo
una mano con questa associazione e io ho fatto due spettacoli e abbiamo raccolto
dei fondi con cui lui ha iniziato in Camerun questa avventura. Prima già lui
aveva collaborato con alcune associazioni in Congo e in Uganda. Da lì
francamente ho dato sempre il mio appoggio quando ho potuto e quest’anno, dopo
anni che volevo andare, sono andato sul posto a vedere la realtà di quei posti.
Volevo andare in Camerun e incontrare queste persone che poi sul posto si
occupano di collaborare in questo mondo veramente incredibile. Io ho visto delle
cose di una tenerezza incredibile. Ho visto queste scuole, di cui una fra
l’altro porta il mio nome, perché l’hanno realizzata con i soldi raccolti
con i miei spettacoli. Ogni anno in febbraio, che è la stagione migliore dal
punto di vista di equilibrio, di caldo, umido ecc … lui va lì perché va ad
inaugurare le scuole che ha fatto costruire, incontra i capo villaggio e
nell’occasione porta dall’Italia quaderni, penne, matite, gomme e materiale
didattico elementare. Ti assicuro che è una cosa di una tenerezza unica vedere
questi bambini, in queste capanne di paglia, seduto su dei tronchi che seguono
le lezioni, vedere questi piccolini che allungano la mano per prendere una
matita come tu gli stessi dando chissà che roba preziosa, con questi occhietti
che brillano di gioia e lì capisci
che il mondo è una cosa inconcepibile. Siamo globalizzati, invece ci sono delle
differenze spaventose, inimmaginabili. Anche dal punto di vista
dell’apprendimento, perché se pensiamo che stiamo distruggendo la scuola,
l’istruzione sia in Italia che altrove, loro che vivono in queste capanne,
cercano di apprendere, di conoscere e lì sono i genitori che si impegnano a
pagare i maestri, perché lo stato in molto casi se ne frega.
Oltre al lavoro, curi delle passioni nella
vita?
Io sono molto legato alla natura, infatti
vivo in un paesino del viterbese di due mila abitanti, quindi per me andare in
giro per la campagna è una cosa bellissima. Poi sono anche marciatore, amo
molto la montagna, ho girato parecchio le Dolomiti,
arrampicandomi perché ho un amico storico di Trento, che conosco da
quando eravamo ragazzi e frequentavano l’università, al Politecnico di
Milano. Molti mi dicono che hanno 3 mila amici su facebook, io ne ho pochi ma
buoni nella realtà. Con lui da sempre siamo rimasti in contatto, un’amicizia
forte e a novembre scorso abbiamo fatto delle escursioni, delle lunghe
passeggiate in Trentino. Un’altra cosa che mi piace è la cucina e certe volte
penso che avrei potuto fare il cuoco, ma non perché io poi sia così bravo, ma
perché c’ho proprio la passione. Quando io devo cucinare, nessuno mi deve
disturbare perché so che è una piccola arte. I miei amici quando vengono da me
a mangiare, restano sempre soddisfatti, anzi qualcuno ne approfitta dicendo:
“Quando ci fai la parmigiana?”.