Angela Demattè (attrice - scrittrice - cantante)    Milano 9.9.2009

                 Intervista di Gianfranco Gramola

Un’artista trentina che ama le sue radici e che non vive di sogni, ma di concretezze.

 

Contatti angeladematt@yahoo.it   

Angela è nata a Trento il 23 aprile 1980, ma vive tra Vigolo Vattaro (Tn), Milano e Roma. Ha preso il Diploma scientifico nell’anno 1999, c/o liceo scientifico Galileo Galilei di Trento, una Laurea in lettere moderne, nell’indirizzo di Storia e critica delle arti nel maggio 2004, c/o Università Statale di Milano con una tesi di laurea sulla vita dell’attrice Lucilla Morlacchi e il Diploma all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel settembre 2005.

Teatro

(2000) “Fiabe da lupo” di Giampiero Pizzol, regia di Bano Ferrari, musiche di Carlo Pastori.  (2001) “La battaglia di Roncisvalle”, regia di Mimmo Cuticchio. (2002) “Sofia e il gigante”, spettacolo d’attore e d’animazione, regia di Andrea Carabelli. (2005) “Cuore di cane, il musical” regia di Bruno Fornasari, musiche di Roberto Negri, prodotto da “L’Artistica” - “Esperimento con pompa pneumatica” di Shelagh Stephenson, regia di Peter Clough  - “La cameriera brillante” di Carlo Goldoni, regia di Riccardo Pradella. (2006) “Gian burrasca, il musical” regia di Bruno Fornasari, musiche di Nino Rota - “Troiane” di Euripide, regia di Mario Gas con Lucilla Morlacchi, prodotto dall’INDA nel ruolo di Andromaca - “Fedra” di Racine, regia di Walter Pagliaro, con Micaela Esdra. (2007) “La Bottega dell’Orefice” di K.Wojtyla, regia di Andrea Chiodi - “La festa” di Spiro Scimone, regia di Bruno Fornasari, presentato all’ENSATT di Lione - “Mela” di Dacia Maraini, regia di Andrea Chiodi - “Fame”, regia di Bruno Fornasari. (2008) “Orestiade” di Pier Paolo Pasolini, regia di Pietro Carriglio, prodotto dall’INDA - “Sacra rappresentazione del venerdì santo”, regia di Carlo Mazzacurati - “Frecce dell’angelo dell’oblio” di J.S. Sinisterra, mise-en-espace diretta da Tiziana Bergamaschi. (2009) “ Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, regia di Andrea Chiodi - “Etty Hillesum, cercando un tetto a Dio” monologo, scritto da Marina Corradi, regia di Andrea Chiodi - “Dialoghi su Paolo VI”, regia di Antonio Zanoletti.

Televisione

Trasmissione “Tournée” su “Cuore di cane, il musical” (Leonardo Sky).

Cinema

2009 “L’ultimo giorno d’inverno”, regia di Sergio Fabio Ferrari, con Ivana Monti e “Et mondana ordinare”, regia di Daniela Persico, per QuartoFilm

Formazione artistica

Approfondisce il canto lirico con la soprano Alessandra Molinari; Workshop per attori e musicisti con Christian Burgess e Danny McGrath presso San Miniato; Corso di alta formazione sulla drammaturgia contemporanea spagnola e tedesca, diretto da Tiziana Bergamaschi; workshop “Il teatro del corpo” diretto da Marcello Magni (in Italia per “Fragments” di P. Brook);  Partecipa a OLIVE 2007, lavorando con attori di 13 scuole internazionali su “La locandiera” di Goldoni; studio su “La dodicesima notte” di William Shakespeare, diretto da Nicolaj Karpov; studio su “Le tre sorelle” e “La fidanzata” di Checov, diretto da Karina Arutyunyan; corso di doppiaggio presso da ADC GROUP di Milano tenuto da Bruno Slaviero e Laura Rizzoli; laboratorio di ricerca espressiva tenuto da Silvio Castiglioni presso il CRT di Milano; corso di danza contemporanea presso il C.I.M.D. di Milano tenuto da Franca Ferrari; seminari di clownerie  con Pierre Byland, Bano Ferrari e Carlo Rossi; approfondimento di tecniche di espressione sotto la guida di Lucilla Morlacchi.

Ha detto

- Spero di non scrivere mai una cosa che sentirò inutile.

- Non ho mai pensato di fare la drammaturga. Chissà! Forse è una strada da percorrere.

- Ho scelto di fare teatro, perché mi appassiona esplorare l’umano.

- Ho fondato una mia compagnia teatrale, la “Cantiere Centrale” e con i miei compagni possiamo scegliere i testi che ci piacciono.

Curiosità

- Spero di non scrivere mai una cosa che sentirò inutile.

- E’ la vincitrice del primo premio del concorso “Primi attori a Noriglio” nel novembre 1998 con la presentazione di due monologhi tratti da “Due chiacchiere al parco” di Ayckbourn. Finalista come miglior attrice al premio “Salvo Randone” nel giugno 2006 al Teatro Greco di Siracusa, per il ruolo di Andromaca e nel 2009 vince il 50esimo Premio Riccione con il suo primo testo “Avevo un bel pallone rosso”.

- Il 4 ottobre del 2009 al Teatro Olimpico ha ritirato il premio Golden Graal come miglior giovane attrice di teatro.

- Oltre al dialetto trentino e veneto, parla correttamente l’inglese e lo spagnolo.

Intervista

Che ricordi hai della tua infanzia in quel di Vigolo Vattaro?

Moltissimi. Come sempre quelli dell'infanzia sono i ricordi più belli e intensi. Potrei dilungarmi. Ma la sensazione che ricordo di più è quella di un luogo estremamente familiare. Avevo l'impressione di poter uscire di casa in pantofole. La casa della mia famiglia è sotto la piazza di Vigolo Vattaro, e la mattina d'estate io e mia sorella gemella andavamo a fare la spesa. Ancora prima di saper contare. La fiducia tra le persone era tanta che mia madre mi diceva di dare il portafoglio alla cassiera della Famiglia Cooperativa per prendere i soldi direttamente. Ci si conosceva tutti. Nel bene e nel male. E poi potevamo giocare nel piazzale delle scuole fino alle nove di sera. Milano mi piace molto ma ogni tanto penso che quando avrò dei figli non potrò restituire loro la libertà che avevo io da piccola... Eppure la città, ora, mi piace tanto.

Sei orgogliosa delle tue radici?

Moltissimo. I trentini sanno lavorare tanto e non sprecano le parole. E sempre di più mi accorgo che un atteggiamento diverso mi annoia. A volte il lavoro diventa il senso della vita e questo non mi piace. Succede a mio padre e spesso succede anche a me. Devo stare in guardia. C'è qualcosa di "luterano" in questo e il luteranesimo non mi piace. Ma anche questo mi piacerebbe capire da cosa deriva... I nostri nonni passavano le sere d'inverno a conversare e stare insieme tranquillamente... Quindi non si può dire che non avessero dei momenti di pausa... Sono domande che mi faccio e a cui pian piano rispondo.

A Vigolo Vattaro c’è la tua famiglia. Com’è composta? Che lavoro fanno?

Risposta lunga. I miei genitori si chiamano Agnese e Saverio. Mio padre fa il fabbro e in paese lo chiamano Saverio Colombo. Perciò io sono "la fiola del Colombo" insieme ai miei sei fratelli. Mia madre fa la casalinga. Ha un ottimo pollice verde e un talento nel trovare i funghi. Io sono l'ultima di sette fratelli. Insieme ad una sorella gemella che si chiama Rosanna, abita ad Innsbruck, sa un sacco di lingue e fa un sacco di lavori legati all'arte (dirige un museo, fa la guida, fa anche un po' di teatro...). Il mio fratello maggiore si chiama Gianluca, ha dodici anni più di me ed è ingegnere. La seconda, Laura, ne ha undici più di me, abita vicino a Novara e si è laureata in psicologia infantile. Entrambi ci hanno fatto da secondi genitori (secondo il buon vecchio uso paesano dove i fratelli più grandi si occupavano dei piccoli). Dopo di loro (nel 1970) nacquero due gemelli maschi, Marco e Paolo, con gran sorpresa di tutti perché, non essendoci le ecografie, nessuno se lo aspettava. Loro abitano vicino casa e lavorano con mio padre. Nel 1975 nacque Francesca, anche lei abita a Vigolo e lavora (con mia grande stima) all'Anffas. I nipoti sono arrivati a quota nove e ne ho costantemente nostalgia.

Ma i tuoi genitori che futuro sognavano per te?

Non lo so. Sono stata una bambina patologicamente timida e problematica. Non dicevo mai niente. Questo si notava ancora di più perché mia sorella gemella era estremamente socievole e buffa. Nelle foto ho sempre una faccia seria mentre lei ride costantemente. Dovevo essere piuttosto noiosa. Perciò mai si sarebbero aspettati il teatro. Anche se questa passione non l'ho mai nascosta. Nacque in un momento preciso, all'età di sette anni, e non andò più via.

Quali sono i valori che i tuoi genitori ti hanno trasmesso?

Domanda complessa. O forse no. Innanzitutto la tradizione cattolica. Mi hanno gettato questo seme che poi ho combattuto, contestato ma che poi, attraverso altri incontri, ha dato piante forti e rigogliose. Poi quello che ho detto prima: la capacità di lavorare, di fare dei sacrifici per ottenere qualcosa. E poi mi hanno lasciato la libertà di scegliere ciò che mi interessava. Ho frequentato il conservatorio per tre anni ma è stata una mia scelta libera. Trovo agghiacciante che i genitori spingano i figli a fare qualcosa. Soprattutto in campo "artistico". Perché la vita di chi fa "arte" è dura, spesso male retribuita e, perciò, deve nascere da una passione oggettiva, profonda. Qualcosa di cui non si può fare a meno. Perciò credo che bisogna essere liberi di trovare la propria strada, incontrare gli ostacoli. Attraverso gli ostacoli si mette alla prova la passione. La questione del talento è un'altra cosa. Credo che un tempo i figli (paradossalmente) fossero lasciati più liberi. Certamente non ero una "teppista" perciò non avevo bisogno di grandi rimproveri. Ma, forse perché eravamo tanti fratelli, non c'era un eccessivo controllo nella gestione delle mie giornate. C'erano degli adulti di riferimento che scandivano il mio tempo (la maestra, il maestro del coro, la catechista...) e poi c'era il tempo libero. L'educazione era comunitaria. C'era una continuità tra la famiglia e il resto.

Ora vivi tra Milano e Roma. Ti manca un pochino il tuo Trentino?

Mi manca la valle sotto casa dove vado a fare jogging. E le montagne innevate d'inverno. Quando sono lì ogni tanto, all'alba, mio fratello (che è cacciatore) mi invita con lui a vedere i caprioli o i cervi. Sono cose che apprezzo di più, ora. Come i paesaggi. Quando ci abitavo li davo per scontati. Ora mi commuovo. Poi mi mancano i miei nipoti e anche la mia famiglia, s'intende... Però, ripeto, la città mi piace infinitamente. Vedere tante umanità diverse mi piace molto di più che vedere un bel paesaggio... nonostante tutto. E poi non abito mica in America! Quando voglio faccio un salto a Vigolo!



Quando sei in regione, hai un angolo in cui ami rifugiarti?

I prati sopra casa mia.

Hai vinto il Premio Riccione per il testo teatrale “Avevo un bel pallone rosso”, che parla della fondatrice delle Br. Cosa ti affascina di questa donna trentina e perché un testo su di lei?

Mi hanno affascinato molte cose: la sua forza, il suo coraggio, la sua scelta estrema... Ma, soprattutto, il testo parte da una domanda: come mai una donna, di forte tradizione cattolica, arriva a fondare le Brigate Rosse? Poi c'è il rapporto con il padre. Questo rapporto è ciò che dà la "carne" al testo. Ma non vorrei dire di più. Vorrei che ognuno "passasse" attraverso lo spettacolo per dirmi cosa volevo dire...

Il titolo è curioso. Come ti è venuto in mente?

Avevo un bel pallone rosso è l'inizio di una filastrocca che Margherita aveva trascritto su un foglio per regalarla a suo padre e che fa così: "Avevo un bel pallone rosso e blu che era la gioia e la delizia mia, si è rotto il filo ed è scappato via. In alto in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni: volan tutti lassù quei bei palloni". Questa filastrocca suggerisce come un'aspirazione di Margherita... il richiamo ad un "bene"... ad un altro mondo... come una parte del suo animo di bambina che già aspirava a qualcosa di assoluto, di "bello" per tutti...

Cosa ti ha colpito di più nella storia di Mara Cagol?

Difficile dirlo, perché la storia vera (di cui non ho falsificato nulla), per me, si mescola con quel rapporto padre-figlia che fa parte del lavoro teatrale e che, per forza, non può corrispondere alla realtà. Mara è per forza un'altra Mara, con un carattere e delle idee certamente aderenti alla vera Mara Cagol, ma non può corrispondere totalmente con quella vera. A maggior ragione il padre, che non ho scelto di chiamare Carlo Cagol, ma "Padre". Il mio "padre" ha origini più contadine del signor Cagol. Rappresenta quel che c'era prima del '68. Rappresenta, dal punto di vista ontologico, qualcosa di strutturalmente diverso. Ma se dovessi dire le cose che mi hanno colpito di più, senza pensarci troppo direi: il coraggio di Margherita, che ha liberato suo marito dal carcere; la convinzione "razionale" che il mondo potesse davvero cambiare; il fatto che suo padre sia morto un mese dopo di lei.

Una storia vera, aiuta nella stesura di un testo?

Moltissimo. Soprattutto una storia come questa. Mi riesce più facile "creare" se ho dei binari. La storia offre, per forza, questi binari. Poi il treno che ci scorre sopra può essere veloce o lento, grigio o colorato...

Nel tuo racconto, vuoi lanciare qualche messaggio?

Mi piacerebbe rispondere, ma mi sforzo a lasciare liberi gli spettatori. Se no avrei scritto un saggio e non un testo teatrale.

Ti piacerebbe dare un seguito a questo testo?

Non in maniera esplicita ma, senz'altro, gli stimoli che mi hanno spinto a scrivere questo testo non sono ancora esauriti.

Un motivo per cui uno dovrebbe leggere il tuo racconto?

Non è un racconto è un testo teatrale e, perciò, trova la sua collocazione in teatro. E' scritto per essere messo in atto, in azione. Non saprei scrivere diversamente. In ogni modo: credo che il motivo per vedere o leggere questa "opera" sia perché pone in dialogo due posizione umane, perché cerca di sviscerare il dramma di un periodo, da cui parte la nostra cultura, la nostra visione del mondo. Ci troviamo addosso una visione delle cose, del mondo e di noi stessi che deriva da un momento storico preciso. Conoscere quel periodo ci aiuta a capire meglio noi stessi, a non commettere certi errori... Insomma, questo è un aspetto che mi appassiona e ho cercato di condividere questa passione umana con tutti. Poi c'è un rapporto timido e commovente tra un padre ed una figlia.  E poi una frattura di questo rapporto. Intesa anche in termini più "universali" e culturali. Ecco. Questo è uno degli stimoli che non sono ancora esauriti.

Per uno che scrive, quando arriva l’ispirazione?

Credo sia una grazia divina... A parte gli scherzi... degli stimoli nel quotidiano che si mettono insieme e, ad un certo punto, hanno la necessità di essere detti... insomma, una grazia divina. Poi c'è il lavoro di "artigianato", l'uso della tecnica drammaturgica sul testo. Ma questo viene poi.

Per questo testo hai vinto il Riccione? A chi l’hai dedicato?

L'ho dedicato a mio padre e a mio suocero, che è morto qualche mese fa. Dalla sua umanità e da come ha affrontato la morte, affidandosi a Dio e lasciandosi accompagnare dagli amici, ho capito tante cose sulla paternità. E nel mio testo quello del padre è il personaggio che mi commuove di più. 

Com’è nata la passione per lo spettacolo? Ricordi il tuo debutto?

E' nata a sette anni. Il parroco del mio paese chiamava ogni anno dei gruppi professionisti di teatro ragazzi per delle rappresentazioni nel mio paese. Mi sono innamorata del teatro in un momento preciso. Quando un clown, con in mano un attaccapanni, scese tra il pubblico a farlo annusare. Ora non ricordo la gag. Ma ricordo benissimo quell'istante. Come una magia. Un colpo di fulmine. Da quel momento non volevo far altro che rivivere quella magia. La prima volta che sono salita sul palco avevo, credo, nove anni e facevo il banditore in Cenerentola. Sono entrata in scena e non mi ricordavo più niente. Mi sono voltata verso la mia amica in quinta per implorare aiuto ma lei stava scopando per terra. Credo facesse un esercizio stanislavskiano (era Cenerentola). Ora mi fa morir dal ridere la situazione ma allora ero terrorizzata. Non mi sono neanche arrabbiata con lei (che mi poteva pur aiutare!), mi sentivo solo terrorizzata. Poi mi è venuta in mente la battuta. Non doveva essere una raffinatezza cechoviana. Quella scenetta ce l'eravamo costruita noi. Avevamo chiesto il teatro e fatto scene e costumi. Da soli. Dopo quella volta mi misi a scrivere delle commediole. Anche queste credo non fossero delle raffinatezze cechoviane. In ogni modo cercavo sempre una situazione in cui rappresentarle. Poi alle medie ho frequentato il conservatorio nella classe di pianoforte della professoressa Mascagni. Ma la fissazione del teatro era costante. Mollai il pianoforte. Alle superiori facevo parte della filodrammatica di Vigolo Vattaro, avevo un gruppo di teatro-danza al Liceo Scientifico Galilei e poi mi scrivevo dei monologhi che ovviamente non rappresentavo. E poi sognavo di fare l'attrice. Ma lo dicevo raramente e me ne vergognavo. Come quando ti innamori ed hai paura che l'interessato ti dica di no.
Allora ti metti al lavoro per essere bella e brava per lui. Pian piano ti fai coraggio e glielo dici. Magari ti va bene. Ma deve essere il momento giusto e la persona giusta. Bisogna avere pazienza.

Quali sono stati i tuoi maestri?

Molti. Tra noi "teatrani" giovani si parla tanto di metodi. Ma alla fine, comincio a pensare che bisogna tornare ai maestri. Il dramma è che bisogna trovarli. I metodi si trovano sui libri. I maestri bisogna incontrarli o andarli a cercare. La prima che voglio citare è Lucilla Morlacchi. Ho scritto la mia tesi di laurea su di lei e da lì è nata una intensa frequentazione. Con lei ho preparato dei monologhi da portare ai provini, l'ho seguita durante le prove, ho avuto anche la fortuna di recitare con lei. Poi il nostro rapporto si è un po' interrotto. Purtroppo. Poi tutti i maestri dell' Accademia: Teresita Fabris, che mi ha tirato fuori la voce e mi ha insegnato a recitare il verso; Bruno Fornasari, che mi ha dato un solido metodo per affrontare il testo ed essere sempre "vera" in scena; Liliana Oliveri per il canto; Massimiliano Cividati per il movimento scenico; Karina Aryutyunian e Nicolaj Karpov per il solido metodo russo; Peter Clough, del quale adoro l'umanità e la capacità di dirigere gli attori. E poi gli attori e i registi con cui ho avuto la fortuna di lavorare: Alberto Mancioppi, Maurizio Donadoni, Galatea Ranzi, Micaela Esdra e Walter Pagliaro, Mimmo Cuticchio...

La cultura è importante per arrivare ?

Sì. Non l'intellettualismo. La cultura.

Hai avuto momenti difficili nella carriera, in cui volevi mollare tutto?

Sì. Non molti. Ad un certo punto ho detto: o la va o la spacca. Ho fatto i provini all'Accademia e per fortuna mi hanno preso. Credo che le cose si snodano quando si dice: o la va o la spacca. Cioè quando si rischia. Nella vita e nel teatro. Poi ci si dice sempre che ormai il talento non conta, che lavorare sodo non conta, che servono le raccomandazioni... e questo non è che non sia vero. Soprattutto in Italia. Però ogni tanto, quando una cosa è veramente necessaria, "fuoriesce" da questo circuito malato. Il Premio Riccione, per me, è stata una dimostrazione di ciò.

Cosa hai sacrificato per arrivare al successo ?

Ma mica sono arrivata al successo! Bastasse questo! E poi cosa vuol dire successo? Notorietà? Quella non è mai stata la mia priorità. Poi se arriva non mi dispiace ma con il teatro è abbastanza difficile. Quello che si vuole è che gli altri "applaudano" ad una intuizione, ad un'espressione artistica che si sente in modo forte... Ma prima bisogna trovarla e comunicarla. E questo non è così facile. Mi sembra però di intuire una mia strada... so che cosa voglio dire attraverso il teatro. Non in termini specifici ma come posizione umana. E questo credo porterà dei frutti. Spero di non essermela "gufata".

Quali sono i tuoi hobby, i tuoi passatempi preferiti , quando non lavori?

Non ho mai capito cosa volesse dire hobby. Per me ogni cosa fa parte del mio lavoro. Sono trentina e un po' luterana...

Il complimento più bello che hai ricevuto ?

Come attrice: quando qualcuno mi dice che l'ho fatto ridere o commuovere. Come autrice: la stessa cosa.

Che rapporto hai con la Fede?

Appartengo alla Santa Chiesa Cattolica e ne sono fiera. Ultimamente comincio a capire la frase di sant'Agostino "ama e fa ciò che vuoi". Ciò mi aiuta ad andare al di là della famosa tendenza educativa trentina verso il luteranesimo...

E il tuo rapporto con il denaro?

Strampalato. Tendenzialmente non ci bado molto. Ovviamente quando ce n'è. Tendo a risparmiare per educazione ricevuta, ma ogni tanto cedo...

La più trasgressione delle tue trasgressioni ?

Sembrano le domande che ci sono in fondo a Io donna... I desideri di trasgressione sono tanti ma sono troppo infantili ed intimi per poterli comunicare... non li sa neanche mio marito.

Hai un sassolino nella scarpa che vorresti toglierti ?

Ritornare a parlare con una grande maestra e amica. Prima o poi ce la farò.

A chi volesse intraprendere la carriera d’attrice che consigli gli vorresti dare?

Deve essere veramente necessario per la propria vita. Una cosa di cui non si può fare a meno. Altrimenti non vale la pena. Per se stessi e per il mondo anche. C'è una grande responsabilità nel nostro mestiere. Il teatro è lo specchio della vita e ci restituisce qualcosa che dovrebbe farci pensare o scuoterci emozionalmente. Quando queste cose sono deluse è una cosa che grida vendetta a Dio (esagerata!) o ai soldi pubblici che spesso vengono usati per delle velleità di pochi. Perciò c'è una grande responsabilità. Ci vuole un lavoro di artigianato per arrivare a questo. Un desiderio di esibizionismo non basta. Se c'è questo penso sia meglio cercare di fare la tv. Anche se non è facile entrare in quell'ingranaggio e alla fine non so quanto soddisfi.

Qual è il tuo tallone d’Achille?

La timidezza e l'insicurezza.

Hai un sogno nel cassetto?

Fare un film.

A chi vorresti dire grazie?

A mio marito. Che mi ha fatto capire di poter puntare in alto.

Quali sono i tuoi progetti?

Ora vorrei scrivere. A gennaio poi porterò nuovamente in scena il monologo su Etty Hillesum che Marina Corradi ha scritto per me. A febbraio saremo in scena a Milano con un testo di Dacia Maraini "Mela". Poi lavoreremo su Peguy. Un percorso sulla speranza, sempre scritto da Marina Corradi. Tutto ciò con la nostra Compagnia Cantiere Centrale, per la regia di Andrea Chiodi. Nel frattempo spero succeda qualcosa di nuovo e aspetto di interpretare Margherita Cagol al Tetro Stabile di Bolzano a novembre 2010.

Parliamo un po’ di Roma. Ti va?

Roma è una città meravigliosa (ovvio, che banalità) ma fatico un po' a viverci. Tante volte penso di trasferirmi definitivamente e, qualche anno fa, non avrei avuto troppi dubbi. Ora, però, la mia anima trentina e un po' astrungarica si fa sentire e preferisco la frenesia lavorativa di Milano. Se potessi mi sposterei ancora più a nord (Parigi, Londra, Berlino, perché no?). Qualcuno diceva che Roma è un po' "puttana". E' tanto bella ma c'è sempre quella sensazione che ti voglia un po' "fregare". Chissà. Certo che ogni cosa che ti capita davanti agli occhi è tanto meravigliosa! Mi immagino sempre lo stupore degli americani davanti a quel popo' di mattoni e storia e bellezza messi tutti insieme.

Quando sei nella capitale, in quale zona vivi?

Vivo in zona San Giovanni.

C’è un angolino romano che ami particolarmente ?

Villa Pamphili.... chiamalo angolino! O il Gianicolo. E vogliamo parlare del cortile di Villa Medici sopra piazza di Spagna?

Cosa provi nel tornare a Roma dopo una lunga assenza ?

Stupore. E poi mi sento un po' come Renzo a Milano....

Come trovi i romani (pregi e difetti)?

Oddìo. Difficile. Quanto tempo e quante righe ho per rispondere? Invidio nei romani la loro sicurezza e spavalderia. Forse perché sono cittadini della capitale? Le corazze della montagna sono difficili da togliere. Un po' le ho scalfite, ho cercato di imparare anche dai romani ma non ci sono riuscita... E poi invidio la loro capacità di conversare e di stare con la gente per il puro piacere di farlo. Quello che invece non sopporto è che spesse volte, nel lavoro, si parla molto e si conclude poco. Ci ho messo un po' ad abituarmi a questo "filtro ciarliero" sul lavoro. Veramente non mi sono ancora abituata. Però queste definizioni che ho fatto dei "romani" mi vengono già a noia. "La realtà è diversa da come ce la immaginiamo noi" (diceva Etty Hillesum).

Qual è il fascino di Roma secondo te ?

Questa bellezza incommensurabile intrecciata con la gente, cioè alla portata di tutti.

Cosa ti dà più fastidio di Roma o meglio esiste una Roma da buttare ?

Non so rispondere.

In quale Roma del passato ti sarebbe piaciuto vivere e nelle vesti di chi ?

Mi incarnerei in Michelangelo, a metà della creazione della Cappella Sistina.

Come vivi la Roma by Night ?

Teatro Teatro e ancora Teatro. Qualche volta Trastevere. O da qualche altra parte dove si mangia bene. Ma dove non si mangia bene a Roma?

Nei momenti liberi in quale zona di Roma ami rifugiarti?

Sono ossessionata dalla chiesa di San Luigi dei Francesi. Se non ci vado almeno una volta, quando sono a Roma, mi viene una strana nostalgia.

Per un’artista, Roma, cosa rappresenta?

Una città con grandi possibilità. Soprattutto per il cinema. Ma anche un luogo di facili distrazioni. La creatività va coltivata con pazienza. A Roma il rischio è di perdere molto tempo in relazioni e coltivare poco il lavoro vero. Ma dal punto di vista delle suggestioni... come ho già detto... è impagabile!