Ivano Marescotti (attore) Villanova di Bagnacavallo (Ravenna) 24.4.2020
Intervista di Gianfranco Gramola
“Ho scoperto Checco Zalone
guardando alcune scene che aveva fatto a Zelig e l’ho trovato molto
divertente”
Ivano Marescotti è
nato a Villanova di Bagnacavallo, il 4 febbraio del 1946. Dopo il diploma conseguito al liceo artistico
Nervi-Severini di Ravenna lavora per dieci anni all'ufficio edilizia della
provincia di Ravenna. Progetta di iscriversi all'università, poi nel 1981
prende la decisione definitiva: si licenzia ed intraprende l'attività teatrale,
mentre l’esordio al cinema è datato 1989, con una piccola parte ne La
cintura. Nello stesso anno l'incontro con Silvio Soldini e la partecipazione al film L'aria
serena dell'ovest lo convince a dedicarsi prevalentemente al cinema.
Interpreta oltre cinquanta film, lavorando con registi quali Anthony Minghella,
Ridley Scott e Roberto Benigni, nonché
Marco Risi, Pupi Avati e tanti altri. La sua attività cinematografica gli
frutta 6 candidature al Nastro d'argento, che vince nel 2004 per
l'interpretazione nel cortometraggio Assicurazione
sulla vita di Tommaso Cariboni e Augusto Modigliani. Dal 1993 inizia un
approfondito lavoro di recupero del suo dialetto romagnolo, tornando in teatro
con i testi di Raffaello Baldini, per poi rileggere e riscrivere alla sua
maniera grandi come Dante (Dante, un
patàca ispirato alla Divina Commedia) e Ariosto (Bagnacaval, una contaminazione tra il basso dialetto romagnolo e l'Orlando Furioso). Nel 2004
costituisce la Patàka S.r.l. con la quale gestisce le proprie proposte
culturali. In King Arthur
(2004), con Clive Owen, Keira Knightley e Ioan Gruffudd, interpreta il ruolo del
vescovo Germano. Nel 2006 è nel cast della fiction Rai Raccontami,
nella quale interpreta un costruttore edile, Livio Sartori, che interpreterà
anche nel secondo capitolo. Nel 2008 partecipa alla fiction I
liceali per Mediaset nella parte del prof. Gualtiero Cavicchioli, e al
film AlbaKiara nel ruolo del
Commissario Guidotti. Nel 2009 partecipa al film Cado dalle nubi, nel quale ricopre il ruolo di un leghista padre
della ragazza che ha una relazione con Checco Zalone, il quale interpreta invece
un meridionale trasferitosi al nord. Col comico e cantante pugliese reciterà
ancora nel film Che bella giornata,
uscito nel 2011, interpretando la parte di un colonnello dei Carabinieri. Nel
2010 ha partecipato al corto che ha vinto il premio come miglior cortometraggio
italiano, regia di Michele Mortara e diretto da Luca Callori di Vignale. Nel
2011 incide, per le edizioni Zanichelli, i 100 canti della Divina
Commedia di Dante Alighieri.
Intervista
Dall’edilizia al teatro. Chi le ha
trasmesso la passione?
Nessuno, è stato per caso. Avevo un amico
attore e volevo cambiare mestiere dopo 15 anni di lavoro come urbanista. Per cui
alla fine mi ha chiesto di sostituirlo per uno spettacolo che lui non poteva più
fare. Ho provato, è andata bene e mi sono detto che poteva diventare un lavoro
anche questo. Avevo 35 anni ed è stato un rischio forte. Ho rischiato, o la va
o la spacca, come si suol dire. Mi sono fatto 5 anni di dura gavetta prima di
cominciare, che non auguro a nessuno, ma so che tanti attori la fanno questa
gavetta prima di cominciare veramente a lavorare. Ho visto attori amici miei che
hanno smesso dopo un anno, perché non ce la facevano più.
Io testardamente ho continuato mangiando panini e senza casa. E’ stata
dura nei primi anni ’80, poi pian piano la mia vita artistica è cambiata.
Ma i suoi genitori come hanno preso la sua
scelta artistica?
Mia mamma piangeva poverina, perché era
molto dispiaciuta. Un posto fisso in
comune, hai la pensione, un mese di ferie, ecc … Era incomprensibile la mia
scelta. Ma la cosa più brutta è stata dirle per che cosa mi ero licenziato,
cioè per fare l’attore. Era disperata. Papà mi ha lasciato libero di
scegliere la mia strada. Non mi ha mai ostacolato in nulla. E’ sempre stato
corretto mio padre e per me era un mito, un esempio.
Il mondo dello spettacolo era come te lo
immaginavi o ti ha deluso?
Devo dire che ci sono state delle cose belle
e interessanti, ho conosciuto persone che non potevo neanche immaginare di
conoscere, né di lavorare insieme con grandi artisti, sia in Italia che in
America. Ho lavorato con tutti gli attori italiani, ho fatto centinaia tra film
e fiction, per cui immagina con quanti attori e registi ho lavorato.
Naturalmente ci sono degli aspetti da cui rifuggo. Ad esempio da Roma me ne sono
andato via perché non sopportavo più né la città e neanche più il modo di
stare insieme, di seguire i contatti che sorgevano solamente in funzione di un
possibile lavoro, anche perché all’inizio bisogna fare così. Andare in giro
a cercare lavoro, perché nessuno ti viene a cercare. Per cui questo è un
aspetto avventuroso, visto col senno di poi diventa un periodo mitologico
(risata). Devo dire che bisogna passarci dentro.
Un suo ricordo di Giorgio Albertazzi?
Proprio Giorgio Albertazzi mi ha preso dalla
“merda” in cui nuotavo e mi ha installato in un contesto professionale, per
cui ho preso il via proprio da lì. Mi prese in un suo spettacolo in maniera
insperata e mi disse anche delle cose molto carine, molto gentili. Poi feci una
tournée con lui per mesi e mesi, ho potuto intanto assestarmi economicamente e
poi entrare in quel mondo che ancora non mi aveva escluso. Entrai dalla porta
principale, lavorando con Carlo Cecchi, Mario Martone, Giampiero Solari e Marco
Martinelli per il teatro, poi è arrivato il cinema, con Silvio Soldini.
Fra colleghi ha trovato più rivalità o
complicità?
La rivalità c’è, ma non è così
esplicita ed evidente, perché purtroppo o per fortuna, non so, quando si
facevano i provini naturalmente c’erano quelli che facevano lo stesso
personaggio, però uno vince e tutti gli altri perdono, ossia non prendono la
parte. All’inizio c’è forse questa specie di rabbia che ti viene perché
hanno preso un altro al posto tuo, però non succede più dopo un po’, perché
capisci che alla fine scelgono un attore più o meno bravo rispetto a te, solo
perché è alto e magro e quell’altro è basso e grasso o biondo e l’altro
è moro. Scelgono anche in base ad un rapporto che c’è fra i diversi
personaggi, per cui non c’è quel senso di rivalità. C’è naturalmente poca
solidarietà per il semplice fatto che non siamo una categoria molto unita. Gli
altri attori li vedi e poi li incontri dopo 5 anni per girare un altro film, ma
nel frattempo non li vedi più, non li frequenti più, anche perché sono andato
via da Roma e quindi non ci sono più rapporti. Per cui non c’è molta
solidarietà. Io ho avuto dei problemi seri con la Rai, ma solidarietà ne ho
vista poca. Non c’è quel concetto di classe sociale come quello che riguarda
la classe dei lavoratori, ma che riguarda gli attori. Anche perché ognuno ha il
suo mercato. Per fare lo stesso ruolo uno se lo assumono, vale 10, se invece
prendono un altro, che ha un altro nome, un altro mercato, vale 100. Come i
giocatori di calcio. Uno vale 100 milioni, quell’altro te lo prendono per
mezzo milione e poi magari diventa una star. Per esempio, quando si lavora al
cinema o in teatro, non è mai successo che qualcuno chieda a me o io chieda ad
un collega quanto guadagna, quanto prende, quanto si fa pagare. Non succede
proprio.
Lei ha lavorato con Checco Zalone. Come ha
vissuto questa esperienza?
E’ stato veramente divertente. C’era una
grande sintonia umoristica, comica e devo dire che si era creato anche un senso
di amicizia, perché abbiamo dovuto
per forza frequentarci. Ho fatto due film con lui: “Cado dalle nubi” e
“Che bella giornata” e hanno avuto grande successo ed è stato il caso più
eclatante dal punto di vista del cinema italiano degli ultimi decenni. E’
stato un periodo molto bello e io ho scoperto Checco Zalone
guardando alcune scene che aveva fatto a Zelig e l’ho trovato molto
divertente.
Ha lavorato anche con Roberto Benigni.
Con Benigni è stata un po’ la stessa cosa.
Anche con lui ho fatto due film, uno era “Johnny Stecchino” e l’altro “Il mostro”. Ho frequentato Benigni
in quel periodo. Ci sono state delle scene dove dovevamo fermarci per il troppo
ridere, soprattutto nel primo film che ho fatto con lui, che per me è il più
divertente.
Oltre a recitare, cura delle passioni
nella vita?
Non ho mai avuto degli hobby. Le mie passioni
sono quelle della lettura, da vedere come spettatore dei film, poi naturalmente
la passione fondamentale è quella dell’impegno politico. Io sono prima di
tutto una persona impegnata civicamente, che vuol dire impegno politico, che non
significa impegno partitico. E’ una passione che devono avere tutti, tutti
devono essere impegnati e sapere come si svolge l’attività politica per poi
partecipare in qualche modo. Se sei disinteressato e poi succede qualcosa, non
puoi dopo lamentarti.
Ha ricevuto parecchi premi e
riconoscimenti. Ce n’è uno a cui è particolarmente legato?
Devo dire che tutti i premi, anche quelli
piccoli, che sono circa una sessantina, forse di più, mi fanno piacere, perché
vuol dire che c’è un gruppo di persone che ha selezionato degli spettacoli o
dei film e che ha chiamato perché ti riconosce un valore, fa piacere sempre e
comunque. Ovviamente ci sono dei premi di valore nazionale che sono importanti.
Ho avuto due nastri d’argento, ho preso il premio Dante Alighieri, ecc … Non
so se sul web ci sono tutti i premi che ho ricevuto, ma sono tantissimi e
mettono solo quelli più importanti. Per sei volte ero nella cinquina dei nastri
d’argento, vincendone due. Poi tanti premi in vari festival in giro per
l’Italia, qualche premio sul piano teatrale. Non mi lamento, anzi mi fa sempre
piacere ricevere dei riconoscimenti, perché si vede che qualcuno nota le cose
che faccio. A volte fai una gran fatica a fare un film o uno spettacolo e ti fai
un mazzo così e non succede niente, neanche il successo del pubblico, mentre
invece altre volte come è successo
nel film “Il talento di Mr. Ripley”, dove io ho fatto una
scena unica di 4 minuti, sono
entrato nella cinquina dei nastri d’argento, tanto per dire. C’è
un’attrice americana che ha avuto il premio Oscar e nel film c’è per 7
minuti, come protagonista.
L’hanno mai
chiamata per un reality?
Si, ma a me tutti i
reality mi fanno un po’ cagare. Mi fanno schifo e non mi interessano per
nulla. Una volta mi hanno proposto di farne uno, ma ho rifiutato. Se dovessi
farne uno, vuol dire che sto morendo di fame e quando si muore di fame, si è
disperati e si prende qualsiasi cosa.
Teatro?
Quest’anno ho fatto
uno spettacolo, dopo anni che non facevo teatro scritturato,
ma solo serate. Ho fatto questo “Zio Vania” a gennaio, prima di
chiudere tutto per la quarantena. Avevo fatto una ventina di repliche al teatro
stabile di Torino, poi da Torino siamo andati a Budapest per fare lo spettacolo
al teatro della regista ungherese Kriszta Szekeley. Lo spettacolo ha avuto un
successo strabiliante e la critica è stata molto positiva. Una grande
soddisfazione quindi e il giorno dopo che abbiamo finito, è cominciato questa
storia del corona virus e tutto si è bloccato.
Prima di entrare in
scena ha dei riti scaramantici?
Non sono per niente
superstizioso. So che ci sono le superstizioni teatrali, tipo che non si può
fischiare in teatro, se ti cade il copione è un disastro, non si può dire
auguri perché porta male e si incazzano pure, non si può portare il colore
viola e tutte quelle boiate lì. Si tocca il culo e si dice “merda” per tre
volte prima di entrare in scena. Fa parte di una tradizione, un’usanza che
accomuna l’esperienza di tutti gli attori teatrali, dà forza, coraggio e
convinzione fare questi riti, ma non sempre si fa.
Teatro, cinema. In quali di questi ambienti pensa di dare il meglio?
Mi sento più a mio agio
nel cinema, per diverse ragioni. Se sbagli una scena la puoi ripetere, per cui
si fanno tentativi e il regista stesso la fa rifare, magari in un altro modo.
Poi anche perché non c’è la replica, come in teatro. Nel cinema tu puoi fare
5 o 10 ciak e poi quella scena non la rifai più. Mentre in teatro quello che mi
schiaccia sono le repliche. Dopo 25 repliche comincio a dare i numeri, perché
vorrei cambiare. Invece è successo che ho fatto una tournée con 150 repliche,
una cosa da spararsi. Dopo un po’ non ti può interessare più di tanto. Dopo
che hai sviscerato fino in fondo quel personaggio. Se poi in una tournée di 4
mesi, hai la sfiga di portare in giro uno spettacolo insoddisfacente, con una
compagnia che non ti piace, in un posto che non ti piace, è come stare in
galera.
Prima diceva che è
scappato da Roma. Quali motivazioni l’hanno convinto ad abbandonare la città
eterna?
Io dal 1992 fino
al 2001 ho vissuto a Roma, ho abitato in tre case diverse. Sono andato a vivere
a Roma quando ho cominciato a fare cinema con Silvio Soldini, quando ho
fatto il film con Benigni “Johnny Stecchino”, ecc ... perché il cinema
si fa a Roma. In quel periodo ho fatto circa 40 film, poi dopo sono andato via
da Roma e ho cominciato a fare più fiction che film. Me ne sono andato da Roma
perché era diventata invivibile e non riuscivo a viverci. Non sapevo come
andare in un posto, non c’era la metropolitana giusta, i taxi che si
infilavano nel traffico, non c’erano i collegamenti giusti. Tu vai a Parigi o
a Londra, con la metro vai dove ti pare e sai esattamente quanto ci metti. Nel
display c’è scritto 18 minuti e tu in 18 minuti sei arrivato. Prova ad andare
a Roma da un quartiere all’altro e vedi quanto ci metti. Una volta sono
partito alle 11 per andare in un ufficio e sono arrivato alle 13. Quando stavano
chiudendo, perché l’autobus non arrivava più e c’era tutto un casino.
La cucina l’ha apprezzata almeno?
Dipende, a volte prendi delle cantonate
terribili. Devi individuare il ristorante giusto.
Dice come prezzo o come bontà?
Come prezzo e come bontà. Però sai, la
cucina romana ha una sua identità. Io vengo dalla Romagna, quindi non ho niente
dai invidiare a nessuno. Ogni regione ha le sue specialità.
Lei si è trasferito a Bologna ora?
No, sto a Villanova di Bagnacavallo, dove sono nato.