Nadia Rinaldi (attrice)                 Roma 1.12.2023

                          Intervista di Gianfranco Gramola

“Prima la televisione era il raccoglimento della famiglia, c’era un solo televisore in salone e tutta la famiglia si riuniva la sera e si guardava insieme un programma.  Adesso anche la televisione è diventata dispersiva, perché ognuno ha la sua televisione in camera, poi c’è quella in salone e c’è quella in cucina, quindi non è più motivo di raccoglimento, mentre per tutta la mia adolescenza la televisione è stata quel supporto psicologico che teneva unita la famiglia ed era bellissima questa cosa”

Nadia Rinaldi è nata a Roma il 13 settembre del 1967. Ha frequentato il Laboratorio di esercitazioni sceniche di Gigi Proietti. Successivamente l'attrice, forte di un fisico alto e robusto, che la caratterizzò per ruoli comici, ottenne un discreto successo come protagonista del film Faccione (1991), esordio alla regia di Christian De Sica, cui seguirono caratterizzazioni in diverse commedie natalizie di Enrico Oldoini, ma anche ruoli da protagonista, come nell'ultimo episodio del film Miracolo italiano, sempre per la regia di Oldoini, nel film S.P.Q.R. - 2000 e ½ anni fa, di Carlo Vanzina, e nella commedia Una milanese a Roma, accanto a Nino Manfredi e Anna Longhi, per la regia di Diego Febbraro. Ha anche molte fiction al suo attivo: ha preso parte alla prima stagione de Un medico in famiglia di Tiziana Aristarco, dove, assieme ad Andrea Buscemi, ha interpretato il ruolo di vicina di casa insidiosa. Era anche nel cast del reality show La talpa, proposto dalla Rai nel 2004. La sua carriera cinematografica va sempre di pari passo con quella teatrale. Il suo esordio risale al 1988, nello spettacolo Liola, diretto da Gigi Proietti, per poi continuare con Il desiderio preso per la coda (1990), per la regia sempre di Proietti. Lavora durante tutto l'arco degli anni Novanta, sotto la direzione di Enrico Lamanna, Giorgio Strehler, Gianfelice Imparato e, per la terza volta, con Gigi Proietti, nel 1994, nella commedia Per amore e per delitto. Dal 12 giugno 2013 partecipa come concorrente al talent show Jump! Stasera mi tuffo, con la conduzione di Teo Mammucari. Nota tifosa romanista, vince nel 2015 il Premio «Sette Colli». Il 22 gennaio 2018 partecipa come concorrente a L'isola dei famosi, condotto da Alessia Marcuzzi su Canale 5, venendo definitivamente eliminata nell'ottava puntata. Attualmente è al teatro Garbatella dove racconta uno spettacolo autobiografico che ha per titolo "Senza santi in paradiso", diretto da Claudio Insegno ed è anche un personaggio secondario di Suburra Eterna, in onda su Netflix.

Ha detto:

- Quella dell’attrice è una vita fatta di momenti d’oro e pause durante le quali si riflette molto. Si vive spesso in attesa di una telefonata e serve un carattere forte per non lasciarsi opprimere dalla depressione che è sempre davanti alla soglia di casa di ogni attore.

- Il lavoro ti da dignità, perché un essere umano che ne è privo è peggio di una pietra dei Fori Imperiali. Anzi quelli alla fine valgono di più perché almeno ci ha camminato San Paolo.

- Gli uomini tradiscono, abbandonano sempre allo stesso modo. Hanno paura di affrontare le situazioni, preferiscono cambiare  ma non si rendono conto che alla fine le problematiche sono sempre le stesse. Gli anni passano e la probabilità di restare soli si fa alta.

- La sera prima di andare a dormire mi faccio sempre il segno della croce. Con i ragazzi un tempo ci facevamo il segno della croce prima di mangiare. Adesso sono cresciuti e non riesco più a farmi seguire in questo gesto bellissimo e profondamente cristiano.

Intervista

Mi racconti com’è nata l’idea del tuo nuovo spettacolo teatrale “Senza santi in paradiso” in scena in questi giorni al teatro Garbatella di Roma?

E’ stato abbastanza semplice, con Claudio Insegno che conosco da un sacco di tempo, abbiamo messo insieme questo puzzle della mia vita, tra racconti, ricordi e diari personali. Ci è venuto in mente di fare questo spettacolo dove racconto il percorso che mi ha poi portato alla scelta di questo mestiere, quindi tutto risale all’infanzia, tutto risale all’adolescenza, agli aneddoti legati alla scuola e quindi è un percorso di vita parallelo a quello artistico e privato, dove mi racconto e racconto gli esordi con Gigi Proietti, gli esordi con Christian De Sica e c’è anche un omaggio alla canzone romana, c’è un omaggio a Gabriella Ferri e a Franco Califano. Lo spettacolo è un percorrere un mio trascorso anche se la vita privata è sempre andata parallela con la vita artistica. Quindi con Claudio Insegno abbiamo pensato di assemblarli assieme  e con molta serenità le ho condivise con loro. Credo che questo spettacolo sia anche un omaggio al pubblico perché mi è sempre stato accanto, mi ha sempre sostenuta anche nei momenti di difficoltà, nei momenti di fermo e anche se mi veniva in mente l’idea forse di cambiare mestiere, il pubblico mi ha sempre sostenuto e mi ha dato la forza di continuare a credere a non mollare. Quindi è un regalo che io faccio proprio al mio pubblico e a chi mi apprezza.

Dopo l’esibizione al teatro Garbatella, girerai l’Italia con questo spettacolo?

Si, abbiamo tutto il centro laziale poi tocchiamo le Marche, l’Abruzzo e poi  a maggio concludiamo qui a Roma, al teatro degli Audaci. Lo spettacolo inizia a Roma e termina sempre a Roma. Gli aneddoti sono romani e una gran fetta dell’utenza è molto romana perché è uno spettacolo dedicato a Roma, quindi è un omaggio a questa città in tutte le sue declinazioni, anche imperfezioni. Questa città si ama, la si discute, si fa un dibattito su alcune situazioni, però si perdona sempre. Come diceva Ennio Flaiano: “Roma non giudica e soprattutto non condanna mai. La si deve amare per forza, con tutti i suoi difetti che vengono messi in risalto con l’evidenziatore”. Però chi è nato a Roma capisce il senso di amare questa città, Roma è comunque un patrimonio culturale e artistico da non sottovalutare, anzi da far conoscere alle nuove generazioni, anche musicalmente parlando, devono conoscere le radici della loro cultura e credo che Roma sia  un punto da scoprire e non si finisce mai di scoprire perché c’è sempre qualcosa di nuovo. Noi pensiamo di averla scrutata a fondo, invece c’è sempre qualcosa che ci sorprende e ci regala emozioni.

Ho letto che eri molto legata a Gigi Proietti e ti ha anche accompagnata all’altare.

Avevo un legame molto forte con Gigi, iniziato nel 1988, quando decisi di frequentare la sua scuola teatrale. Quando Gigi è venuto a mancare il 2 novembre, non è stata solo la perdita di un grande maestro, di una grande celebrità, del grande insegnante, io per la seconda volta quel giorno ho perso un papà perché Gigi, dopo la perdita di mio papà nel ’94, in qualche modo aveva sostituito mio papà. Quindi quando è morto Gigi è venuta a mancare una parte famigliare, una parte che era per me il riparo, era l’esempio sul quale andare sempre a confrontarmi. Era sempre l’uomo del consiglio, era la persona a cui chiedere sempre l’ultimo parere. Io nel 2003 mi sono sposata e lui nel lontano 1994 mi aveva promesso che se un giorno mi fossi sposata, mi avrebbe accompagnata all’altare. E questa promessa lui l’ha mantenuta nell’ottobre 2003, quando mi sono sposata. Credo che sia stato un regalo immenso che lui mi ha fatto e che porterò sempre nel mio cuore. Poi il matrimonio  non è andato a buon fine, però io di quel matrimonio ricordo quell’evento ed è stato un evento straordinario perché lo conservo ancora nel cuore, nonostante fossero passati tantissimi anni. E’ stato un gesto di grande generosità.

Mi racconti com’è nata la tua passione per la recitazione? Chi te l’ha trasmessa?

E’ nata da bambina inconsapevolmente, cioè io recitavo senza saperlo. Io andavo a scuola dalle suore e poi gran parte della giornata la passavo nel mio quartiere, un  quartiere popolare e mi resi conto che le persone della scuola cattolica non erano le stesse persone con la quali io condividevo gran parte della giornata. C’erano proprio due linguaggi diversi e io non facevo nessuna fatica a recitare due ruoli diversi, quello che si doveva adottare a scuola e quello che adottavo nel quartiere. E’ stato facile e mi sentivo una bambina diversa dalle altre. Questo lo racconto nello spettacolo e lascio la sorpresa per quelli che vengono a vedermi, lascio la sorpresa per far capire quale era la mia diversità che sentivo e di cui ho avuto poi la conferma. La passione per questo mestiere è nata quindi sui banchi di scuola e nonostante andassi a scuola dalle suore, che  tanti ritenevano delle persone molto bigotte, invece erano proprio loro a sostenermi in qualche modo, ad ampliarmi il cammino, nel senso che poi quando mi sono diplomata al liceo artistico dalle Orsoline, loro nel giudizio finale hanno messo questa riflessione: “Può sicuramente avere una brillante carriera se continuasse nella facoltà di architettura e stenografia, ma se riuscisse a trovare un’accademia teatrale sicuramente Nadia troverebbe i suoi riscontri e verrebbe a portare a termine quelli che sono i suoi obiettivi e il raggiungimento nel mondo teatrale”. Quindi credo che le suore siano state le prime a sostenermi e a darmi la spinta per continuare questo percorso artistico. Non sbagliandosi ebbero molto fiuto all’epoca e stiamo parlando degli inizi anni ’80.

I tuoi genitori come hanno preso la tua scelta professionale?

I miei genitori erano persone molto umili, molto semplici. Mio padre è cresciuto nel periodo del neorealismo e quindi tutte le sue amicizie alla fine si sono andate poi a intersecare in quello che è stato il cinema neorealista. Tutti i suoi amici poi avevano lavorato con Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Vittorio De Sica. Mio padre aveva avuto attinenza con tutte queste amicizie, però proprio per motivi caratteriali ha preferito non seguire la scia di tanti suoi amici di quartiere, di borgata. Ha sempre avuto una grande passione per quello che era il cinema e credo che questo me l’abbia trasmesso. L’unico patrimonio che mi ha trasmesso mio padre credo sia stato l’amore e la passione per il cinema. Io credo che da bambina ho visto tutto quello che di più bello che il cinema aveva prodotto. A volte anche tanti “mattoni” che io da piccola  li vedevo così, però oggi pagherei qualunque cosa pur di passare un’ora insieme a mio padre e vedere quel mattone che mi faceva vedere quando ero piccola. Mi ha fatto amare la televisione perché mi teneva ore e ore davanti alla Tv a guardare i programmi di Rai 1, a guardare le trasmissioni musicali. Tutto quello di cui poi mi sono innamorata e che si è trasformata con il tempo in un mestiere, lo devo a mio padre. Lui mi teneva incollata alla televisione a vedere Studio Uno, a vedere Canzonissima, a vedere Mina, Raffaella Carrà, Paolo Panelli e Bice Valori e tutte le trasmissioni di Antonello Falqui e di Pingitore.

Niente cartoni animati?

I cartoni animati li ho cominciati a vedere dopo che è nata mia sorella Antonella, che ha 7 anni meno di me, quando per far fare i compiti a lei ero costretta a vedere i cartoni animati insieme a lei. Ma io l’infanzia l’ho passata a vedere i film del lunedì sera, a Starsky & Hutch il giovedì sul secondo canale e soprattutto il sabato sera c’era il grande spettacolo, c’era Milleluci, c’era Canzonissima e io mi sono sempre immedesimata in quello che vedevo in quella scatola in bianco e nero. E devo dire che  quella scatola in bianco e nero, se oggi fosse fonte di far crescere le passioni e le emozioni nei nostri adolescenti, sarebbe veramente una vittoria meravigliosa. Prima la televisione era il raccoglimento della famiglia, c’era un solo televisore in salone e tutta la famiglia si riuniva la sera e si guardava insieme un programma, poi si discuteva, si parlava della giornata e dei problemi della quotidianità. Adesso anche la televisione è diventata dispersiva  perché ognuno ha la sua televisione in camera, poi c’è quella in salone e c’è quella in cucina, quindi non è più motivo di raccoglimento, mentre per tutta la mia adolescenza la televisione è stata quel supporto psicologico che teneva unita la famiglia ed era bellissima questa cosa.

Qual è la chiave del tuo successo? Il talento, la simpatia o la romanità?

La romanità, quando è richiesta è talmente spontanea che fa parte di me. Sono romana, romanista, sono cresciuta in un quartiere romano, da genitori romani. Mio padre era di via della Scala, campo de Fiori per intenderci, quindi più romano di lui non c’era nessuno. La romanità comunque mi contraddistingue, poi c’è sicuramente la simpatia, c’è la lealtà, la sincerità e soprattutto l’onestà di essere sempre me stessa. Io posso cambiare se devo interpretare un classico, se devo interpretare un Shakespeare, però poi in qualunque personaggio che abbia interpretato, un po’ di Nadia per renderlo sempre più vero e più vicino al pubblico che viene ad ascoltare, un pio di Nadia ce l’ho messa. Nadia è sempre stata leale, sincera, onesta con tutto il suo vissuto, con i suoi percorsi anche se con i suoi dolori e i suoi fallimenti, perché poi tutto quello che non ci ammazza, ci fortifica, come si dice a Roma. Quindi di  situazioni negative, una volta metabolizzate, una volta risolte, diventano fonte di materiale sul quale lavorare e farne tesoro per quello che è un bagaglio culturale, un bagaglio artistico. “Nun se butta niente” si dice a Roma.

Quali sono le tue ambizioni?

Le mie ambizioni sono quelle di continuare a fare questo mestiere fino a quando la salute mi mantiene in vita. Gigi Proietti diceva: “Finché c’è la salute, se po’ fa tutto!”. Di solito qua, a 60 anni ci mandano in pensione, però l’artista finché c’ha la salute ed è capace di intendere e di volere, può continuare a regalare emozioni. Il mio presupposto è di continuare a regalare sorrisi come ho fatto in questi anni e l’idea di aver regalato tante risate agli italiani per me è un altro obiettivo raggiunto. Con i tempi di oggi non è facile far sorridere le persone e il fatto che io venga ricordata per aver regalato tante risate, è una cosa che mi lusinga molto e spero di regalare ancora molte risate. Anche se ho perso ben 80 chili, non ho perso la comicità. Essendo rientrata nel peso forma, posso regalare diverse sfaccettature di emozioni, tant’è che mi vedo tra le new entry in Suburra Eterna per Netflix  in un ruolo completamente diverso  da quelli che ho interpretato finora, quindi mi vedranno sotto un’altra chiave, una chiave diversa. Ho avuto tante lodi perché non si aspettavano da me anche delle corde così drammatiche, così incisive e sono davvero molto contenta e ringrazio chi mi ha dato questa opportunità di farmi conoscere anche sotto un’altra veste. Però non nego che il mio obiettivo è di continuare a regalare tante risate agli italiani perché ne hanno bisogno. In Tv e sui giornali le notizie di cronaca sono drammatiche e ci distruggono. Io poi sono in quella fase dove ho un figlio di 23 anni e una di 16 quindi le angosce di stare accanto a questi figli che hanno un futuro non ancora identificato, quale sarà la loro professione, la loro formazione. Questo è un appello a tutte le mamme, di stare vicine ai loro figli perché sono un po’ sbandati, nel senso che non hanno le idee chiare. Per loro è tutto e subito, quando invece dobbiamo insistere a far loro conoscere il senso del sacrificio, il senso dell’aspettare, perché aspettando si ottengono i risultati. Dietro ogni obiettivo c’è tanto sudore, c’è tanto sacrificio, c’è tanto studio, perché  non bisogna mai improvvisare. Perché oggi non ci è più permesso di avere una bella faccia, andare e spaccare. No! Dietro ad una bella faccia ci deve essere tanto lavoro, tanto studio di formazione e questo è anche un messaggio perché mi sono trovata anche  ad insegnarlo questo mestiere. A tutti i giovani dico di non farsi trovare mai incompiuti di fronte a determinati argomenti, bisogna essere sempre preparati perché la bella faccia non basta. Durante il periodo del neorealismo bastava avere un bel faccino, poi ti doppiavano e anche se dicevi numeri invece di recitare,  però avevi quella faccia che spaccava. Oggi  la faccia che spacca non serve più, quella faccia ha bisogno anche di contenuti.