Ronnie Jones (cantante)    Andalo (Tn) 11-9-2019

                   Intervista e foto di Gianfranco Gramola

Vorrei aver lasciato il mio marchio e che la gente abbia un bel ricordo di me e che ricordi la mia musica, la mia serietà e la mia professionalità.

Gianfranco Gramola insieme a Ronnie Jones  

Il suo sito ufficiale è www.ronniejones.it

Ronnie è nato a Springfield (Massachusetts) il 14 settembre 1937 e, dopo il diploma di scuola media superiore, ha girato il mondo grazie agli USAF (United States Air Force) giungendo in Inghilterra dove ha inizio la sua storia musicale. Alexis Korner ha fatto conoscere Ronnie al giovane manager Ronan O' Rahilly. In quel periodo Alexis, che creò i Blues Incorporated e Ronnie  incide The Night Time Is The Right Time di Ray Charles e Drifters' Money Honey. Dopo il servizio militare, Ronnie torna in Inghilterra dove si unisce a Mick Eves e a John McLaughlin per formare i Nightimers che hanno resistito sei o sette mesi soltanto. La band successiva è stata quella dei Blue Jays con Roger Dean. Questa band è rimasta unita abbastanza per farsi conoscere in Francia e Germania. Dopo lo scioglimento del gruppo Ronnie incontra il bassista Chester Simon e forma la band che prese il nome di un club giamaicano di Paddington, dai ritmi ska e reggae, chiamato Q Club. La band fece diversi tour in Francia e in Italia. Durante uno degli ultimi tour in Italia, durato 3 mesi, la nostalgia di casa portò la band a sciogliersi. Jones non sapendo cosa fare senza musica e senza un lavoro decide di fare l'audizione per la parte di Hud nella Rock Opera Hair e la ottiene.  Questa situazione durò circa 10 mesi, ma alla fine non ci furono altri musical né altre possibilità per cantare. Dopo un contratto in un club come DJ. si ritrova a lavorare per radio RAI con Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, Radio 105, 101, RTL e 105 Classics e subito dopo in televisione su Canale 5 con la trasmissione Pop Corn  e a Buona Domenica con Maurizio Costanzo (come DJ showman). Arrivano gli anni ottanta, quando la disco music è ai massimi livelli. In quegli anni incide quattro album con Jurgen Korduletsch grazie ai quali è entrato nelle classifiche di tutto il mondo e nel 1980 partecipa alla diciassettesima edizione del Festivalbar con la canzone Let's do it again. Nel periodo che va dagli anni ottanta ad oggi, è entrato a far parte di tre diverse band. La prima Blues After Dark, la seconda Seven40, con cui nel 1998 ha inciso l'album The Man, ed infine The Soul Syndicate. In qualità di compositore ha scritto più di 200 canzoni. Ronnie è solito affermare che ne ha vendute solo un paio: una con Zucchero Fornaciari, ossia Bambino Io Bambino Tu (Fornaciari, Jones, Mamolti). L'altra è Let's All Dance per la Band Of Jocks, ma ce ne sono altre come Me And Myself, The Man, I Wanna Make A Wow e Welcome To The Party. Ha poi scritto Corinna's Blues in G ed infine Wake Up Teggae per la pubblicità della Fiat Doblò che divenne un successo in Germania e in tutta Europa (composta da Flavio Ibba "mago" musicista per la pubblicità). Nel 2008 realizza il cd Again al quale hanno partecipato artisti di livello internazionale come Steve Lukather, Bill Evans e Billy Cobham. Ronnie Jones continua con le esibizioni live e tra le sue collaborazioni spiccano i Gospel Times, il coro creato da Joyce E. Yuille. In seguito realizza il progetto Ray Charles Memories in cui interpreta più di venti successi del grande artista accompagnato da una Big Band composta da quasi 20 elementi. Nel 2011 esce il suo nuovo cd Bang! prodotto da Emilio Foglio per Melunera Records e suonato interamente dalla sua band The Soul Syndicate che lo accompagna in tutti i concerti. Collabora come autore e cantante nel disco di Ivana Spagna Four uscito a gennaio 2012. 

Intervista

Com’è nata la passione per il canto, Ronnie?

Sono stato fortunato perché  avevo una mamma che voleva cantare, poi a 20 anni sono arrivato io e lei era sola e doveva pensare a me. Visto che lei cantava e cantava bene veramente, la passione per il canto è arrivata in modo naturale e per me il canto è sempre stata una cosa importantissima. Ho cercato di mantenere la tradizione famigliare per il canto (risata).

Chi sono i tuoi artisti di riferimento, i tuoi preferiti?

Devi pensare che i miei preferiti erano tutti di origine italiana. Mario Lanza, Frank Sinatra e tutti quelli che erano dei miti negli anni ’50. Da lì sono passato a Ray Charles, Marvin Gaye che aveva solo 2 anni più di me. Io volevo fare come loro, però non avevo idea di come potevo iniziare in America. Facendo il militare ho avuto la possibilità di viaggiare e quello mi ha portato in Inghilterra. In Inghilterra ho conosciuto i grandi della musica, Mick Jagger e i Rolling Stones, Rod Stewart e tanti altri. Eravamo tutti amici e a me è sembrato di aver toccato il cielo con un dito. Non c’era rivalità, ma solo amicizia. Il mio sogno era quello di cantare e pensavo che il mio momento verrà, basta avere pazienza, perché volevo diventare cantante a tutti i costi. Poi ho avuto la possibilità di fare il cantante con i Cream, ma ho detto di no, non per motivi di musica, ma per altre cose che non stavano bene a me. Non aveva niente a che fare con la droga, ma ho dovuto rifiutare e veramente mi piangeva il cuore. In quella band, quando mi hanno chiesto di cantare con loro, erano solo in due, perché il terzo è venuto dopo di me, perché non c’era Alexis Korner, ma c’era Eric Clapton e come batterista c’era Ginger Baker e come bassista c’era Jack Bruce. La carriera c’era, però non c’erano le situazioni di progetti nei miei confronti. Poi sono venuto in Italia, un paese che è sempre stato il mio sogno perché mi dicevo che tutti gli italiani sanno cantare bene, perché la maggior parte dei cantanti in America sono di origine italiane. Ho pensato che dovevo cantare come loro, però non ho mai scelto un genere di musica, ma ho scelto di fare tutto quello che era la musica nel mio piccolo mondo, cioè il blues, il jazz e il funky. In Italia non mi hanno apprezzato quando ho cantato in italiano, perché mi hanno bocciato (risata). Allora ho pensato di lasciar perdere le canzoni in italiano e cantarle in inglese. Le case discografiche avevano già Rocky Roberts e Wess del duo Wess e Dori Ghezzi. Allora ho dovuto farmi strada facendo le cover di altri cantanti. La prima è stata “Rock your baby” di George McCrae.

La tua più grande soddisfazione artistica?

Ne ho avute due. Una è quando, come cantante e ballerino, ho fatto parte del musical “Hair”, nella prima versione italiana, con Bill Conti come direttore musicale. E’ stato un lavoro enorme, perché non esistevano i musical in Italia, perciò noi eravamo i primi. Bill Conti mi ha detto: “Ronnie, fai tu il direttore musicale e vediamo per quanto tempo durerà questa compagnia”. E’ durata undici mesi. Abbiamo girato tutta Italia, da Roma a Milano, da Napoli e Palermo, ecc … e credevamo molto in questo spettacolo. E’ stata una bella esperienza. La seconda soddisfazione è stata “Popcorn”, su Canale 5, perché era il periodo della nascita dei disc jockey. La prima gara fra disc jockey l’ho fatta io in quel programma e Claudio Cecchetto ha fatto tutto il resto. Però, a questo punto, qualche merito ce l’ho.

Hai mai avuto dei momenti difficili nella tua carriera?

Sempre, ho dovuto sempre lottare in tutti i sensi, perché al giorno d’oggi, in Italia si sta cercando di integrarsi il flusso di uomini di colore. Quando sono venuto in Italia eravamo solo io e Rocky Roberts. Fai conto che allora erano momenti più facili e la grande difficoltà arrivano adesso. La gente non vuole capire che l’americano è una cosa, quello che scappa dall’Africa per venire in Italia è un’altra cosa. Io non vedo in Italia una mentalità giusta, l’Italia non è preparata e si litiga molto sulle leggi.    

Quali sono le tue ambizioni?

Alla mia età io spero di vivere giorno per giorno al meglio e in salute. Un mio sogno è che qualcuno si riscopra Ronnie Jones.

Lo vedo nell’ambiente musicale un Ronnie Jones?

Ancora non ne ho visto uno. C’erra una volta un certo Sammy Bardot che poteva spaccare il mondo, ma anche lui è stato messo in disparte. Lui era il direttore di  Popcorn.

A chi vorresti dire grazie?

A Renzo Arbore, lui è il numero uno. Già il secondo giorno che ero qua ero nel suo programma radiofonico “Bandiera gialla”, con Gianni Boncompagni. Lì mi hanno fatto cantare e mi hanno dato la possibilità di lavorare in Rai come disc jockey. C’ho lavorato per cinque anni e questo lo devo proprio a Renzo Arbore. Ringrazio anche alcuni produttori che sono stati molto bravi, alcuni un po’ meno perché bisogna  essere capaci per fare questo mestiere. Questo è un lavoro difficile e spesso si prendono delle persone che non hanno la minima idea di quello che si incontra. Comunque per me un pezzo di cielo c’è di sicuro, perché finché io sarò in grado di cantare, canterò. Credo in questo bel miracolo.

Un domani come vorresti essere ricordato?

Vorrei aver lasciato il mio marchio e che la gente abbia un bel ricordo di me e che ricordi la mia musica, la mia serietà e la mia professionalità.