Teresa Del Vecchio (attrice)
Roma
24.4.2025
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Vincenzo Salemme è sempre stato esigente,
ma esigente in una maniera diversa, cioè lui ha un suo modo di vedere l’arte,
di vedere il teatro e mi ha insegnato
l’alternativa al teatro canonico. Lui ha fatto una rivoluzione
della recitazione”
Teresa Del Vecchio è nata a Napoli il 27
febbraio 1967. Dopo essersi diplomata al liceo classico, decide di frequentare
diversi corsi di recitazione e dizione, oltre che una scuola di tango e canto
come soprano leggero. Debutta nel 1985 in Cabaret e L'uccellino azzurro di
Maurice Maeterlinck. Successivamente recita nell'adattamento teatrale del
romanzo di Evgenij Schwarz Il drago, diretta da Francesco Bovicelli. Continua
ininterrottamente la sua carriera teatrale; recita in Sogno di una notte di
mezza estate, diretta da Maria Luisa Santella, in Francesco D'Assisi, diretta da
Salvatore Condelli e poi è chiamata a declamare le poesie della rassegna
Theatron. Viene poi scelta da Francesco Silvestri per le sue due commedie
musicali: Ali e La guerra di Martin. Nel 1991 scrive la commedia Chi ha ucciso
Concettina Scapece? con la quale si classifica al 2º posto al festival di
Lariano. Dopo questa esperienza comincia a lavorare con i grandi nomi del teatro
partenopeo. Dapprima entra a far parte della compagnia di Carlo Giuffré, con il
quale recita in Le voci di dentro e Napoli milionaria, entrambe di Eduardo De
Filippo, e I casi sono due di Armando Curcio e La fortuna con l'effe maiuscola
di Eduardo De Filippo e Armando Curcio. Dopo una breve esperienza con Luigi De
Filippo, entra a far parte stabilmente della compagnia di Vincenzo Salemme, con
il quale recita in Passerotti o pipistrelli, Di Mamma ce n' è una sola, Sogni e
bisogni, L'amico del cuore, Faccio a pezzi il teatro, Cose da pazzi, La gente
vuole ridere, La gente vuole ridere ancora. Dopo la felice esperienza con
Salemme, entra a far parte della compagnia di Biagio Izzo. Con quest'ultimo
recita in Due comici in Paradiso, Il re di New York, Una pillola per piacere, Un
tè per tre, Guardami Guardami, Tutti con me. Con Salemme e Izzo recita anche al
cinema. Li affianca in: L'amico del cuore, Amore a prima vista, Volesse il
cielo, Cose da pazzi, No problem (di Salemme), Ci sta un francese, un inglese e
un napoletano (di Eduardo Tartaglia), Un'estate ai Caraibi. Al 62º Festival di
Venezia riceve il premio della critica per il film Mater Natura di Massimo
Andrei, oltre ad essere premiata per l'interpretazione di Armandina al Festival
del Cinema di Pantelleria. (breve bio/curriculum tratto dal web)
Intervista
Mi racconti com’è nata la passione
per la recitazione? Hai qualche artista in famiglia?
Si, ho degli artisti in famiglia, però la
passione è nata quando avevo 6 anni, perché la mia maestra delle elementari
era un’appassionata di teatro e a 6 anni mi ha buttato in scena. Sono stata
scelta per uno spettacolo e ho messo piede per la prima volta su un
palcoscenico.
I tuoi genitori ti hanno incoraggiata a
proseguire questa strada?
Mia madre è stata medico e mio padre era un
commercialista e purtroppo l’ho perso presto perché è morto in un incidente
stradale quando io avevo 11 anni, però loro non mi hanno sostenuta in questa
scelta. Posso fare riferimento solo a mia madre perché di mio padre ricordo
poco. Lei non mi ha sostenuta fino a quando ho fatto uno spettacolo con Carlo
Giuffré, che era “Le voci di dentro”, era il 1991 e avevo già sei anni di
carriera alle spalle e mia madre è venuta a vedermi finalmente e dopo aver visto
questo spettacolo mi ha detto: “E’ la tua strada” e da allora ha
cominciato a sostenermi.
Con quali artisti di rifermento sei
cresciuta?
Qui dobbiamo aprire un baule (risata). Io
amavo tantissimo Sandra Mondaini, Bice Valori, Monica Vitti e qui stiamo
parlando di miti proprio per me. Quando ero bambina vedevo la televisione e
vedevo questi mostri di bravura. Ti ho citato le donne per non parlare di Totò,
lo stesso Edoardo De Filippo e mi ricordo che faceva sempre le commedie in
televisione e io me le vedevo tutte. Ero una bambina ma guardavo queste commedie
con una avidità e un amore immenso.
Il teatro gode di ottima salute, conserva
ancora quella magia che aveva una volta?
Il teatro ha la stessa malattia che ha la
cultura e l’arte in questo periodo. Purtroppo sono trascurate, non c’è
nessuno che gli dia veramente la giusta considerazione, però il teatro non è
morto. Il teatro è nato con l’essere umano, se vogliamo fare dei riferimenti
alla tragedia greca che rappresentava il mito di Dioniso e tutto il resto. E’
nato proprio come facente parte della vita sociale dell’essere umano e quindi
non muore. Certo ha una vita difficile perché socialmente sono subentrati altri
modi di comunicare che hanno la meglio, anche se spesso sono poco intrinsechi di
cultura. Io credo che il teatro stia attraversando un brutto periodo, come da
tanto, ma anche la cultura è così e anche i musei non è che siano molto
frequentati. Però la magia di trovarsi di fronte ad un avvenimento che capita
soltanto in quel momento e non si ripeterà più, quella rimane. La magia del
filo che intercorre tra l’attore sul palco e lo spettatore in sala, quella è
una magia eterna.

Prima di entrare in scena, da buona
napoletana, hai un rito scaramantico?
Si, ultimamente anche con i colleghi ci diamo
le pacche sul sedere, indistintamente uomini e donne. E’ diventato un rito
molto diffuso a quanto pare perché in diverse compagnie che ho frequentato ho
visto che si faceva questa cosa. Un mio rito vero e proprio non ce l’ho,
sicuramente cerco di stare concentrata. Se trovo qualche ferro o corni si li
tocco, però non necessariamente ogni volta che vado su un palcoscenico.
Mi racconti come hai conosciuto Vincenzo
Salemme?
Come ti dicevo prima, nel 1991 sono entrata
nella compagnia di Carlo Giuffré, e avevo
già al mio attivo sei anni di carriera teatrale. Ho iniziato nel 1985 come
professionista, quindi appena maggiorenne e quindi ho potuto prendere le mie
scelte, perché a casa non era vista di buon
occhio questa professione. Nel 1992 ho fatto uno spettacolo nella compagnia di
Carlo Giuffré e l’aiuto regia era Vincenzo Salemme, un giovane Vincenzo
Salemme che era molto propositivo, molto brillante come intuizioni e non si
limitava a scrivere ciò che diceva il regista, ma proponeva. Infatti ricordo
che Carlo Giuffré ogni tanto gli diceva: “Tu che faresti qua Vincenzo”. Il
regista non è che avesse avuto bisogno di consigli, perché Carlo aveva
un’esperienza da paura, ma a Carlo gli sono sempre piaciuti gli artisti
propositivi. Infatti pure a me mi faceva fare un sacco di cose e mi piaceva
inventare delle piccole cose. Io ho amato Carlo Giuffrè, per me che ho perso
mio padre, lo calcolavo come un papà, un papà artistico. Era molto dolce nei
miei confronti, veramente mai una sgridata, sempre con grande pazienza mi faceva
vedere le cose. Vincenzo Salemme mi colpì molto, un ragazzo in gamba. Nel 1994
lui fondò la sua compagnia e quando l’ho saputo ho cercato subito di lavorare
con lui, perché mi piacevano le cose che scriveva lui direttamente. Il primo
lavoro che ho fatto con lui è stato non nella compagnia di Salemme, ma con
quella di Marisa Laurito, era il 1996. Io sono andata a fare il provino e lui si
è ricordato di me e mi ha preso, poi da lì ha voluto confermarmi anche
successivamente.
Vincenzo Salemme è una persona esigente e
pignola sul lavoro?
Lui è sempre stato esigente, ma esigente in
una maniera diversa, cioè lui ha un suo modo di vedere l’arte, di vedere il
teatro. Mi ha insegnato molto, mi ha insegnato l’alternativa al teatro
canonico dove si imposta la voce, dove si seguono delle sonorità. Lui ha fatto
una rivoluzione della recitazione e questo spiega molto il suo successo, perché
il pubblico si è trovato di fronte a qualcosa di nuovo, di fresco, di non
stantio, di qualcosa che non aveva mai visto. Questa rivoluzione è proprio sua,
del suo stile e quando io sono entrata la prima volta in compagnia con lui, mi
sono trovata spiazzata perché ero abituata a lavorare in modo più accademico e
invece lui scomponeva tutto, smontava tutto, non voleva sentire i suoni che già
avevamo sentito. Ha scomposto tutto e mi ha permesso di rinnovarmi.
Hai lavorato molto con il teatro
napoletano. Ma la napoletanità è più un’opportunità o uno svantaggio per
un’artista?
Nel caso mio è un vantaggio, perché ho
lavorato veramente tanto nella napoletanità, e poi io non sono figlia di
napoletani, perché mia madre era di Trento e mio padre era calabrese e c’era
mio nonno che era napoletano e il dialetto me l’ha insegnato la tata, che mi
ha cresciuto perché mia madre lavorava sempre, soprattutto con la morte di mio
padre aveva bisogno di lavorare di
più. Quindi io sono stata cresciuta da questa tata che tra l’altro aveva un
ritmo comico e grandi doti comiche che mi ha passato. Quindi la mia napoletanità
io la devo a lei.

Cinema, Tv e teatro. In quali di questi
ambienti ti senti più a tuo agio?
In teatro mi sento più a mio agio e penso
che sia proprio la mia formula espressiva, però mi piace molto il cinema,
mentre la televisione meno. Il cinema mi piace perché mi sembra un bellissimo
sogno e io da spettatrice seguo tantissimo il cinema, vedo tanti film. Però
devo dire che dopo 24 film che ho fatto, credo di aver imparato un po’ la
tecnica cinematografica che è completamente diversa da quella del teatro. Però
io a teatro mi sento a casa mia.
Rivedi i tuoi lavori? Sei molto
autocritica?
Li rivedo molto poco, non riesco a guardarmi
(risata). Oggi prima di sentire te, mi sono rivista una commedia che poi è un
dramma che devo riprendere a fare in teatro dall’8 maggio al 18 maggio al
teatro di Ostia. E’ un testo molto duro che parla di camorra e il regista ci
ha mandato la registrazione così ci rinfreschiamo la memoria. Io l’ho rivisto
e subito mi sono massacrata di critiche (risata), però da lì mi sono detta,
visto che ho l’opportunità di rivedermi, quelle cose che ho notato, non le
devo fare adesso che ritorno in teatro.
Ora vivi a Roma. Cosa ti manca della tua
Napoli?
Io vado spessissimo a Napoli e mio marito che
è attore come me e che è di Roma, ama
molto Napoli, per cui abbiamo passato la Pasqua a Napoli, siamo anche andati a
vedere dei siti archeologici, abbiamo passeggiato nel centro storico, siamo
andati a vedere le chiese e mi sono goduta Napoli come una turista. Mi manca
Napoli e io devo andarci, è come
l’ossigeno per me.