Angela
Failla (giornalista e scrittrice)
Bari 4.6.2022
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Nelle
interviste se tu metti il personaggio nella condizione di mostrare il lato
inedito di se stesso, probabilmente il personaggio non solo ti ringrazierà, ma
tirerà fuori anche quella parte nascosta che poi effettivamente piace alla
gente”
Angela Failla, nata a Caltagirone (Catania),
Laureata in Economia e Commercio all'Università degli studi di Catania. La sua
avventura di giornalista è iniziata nel 2007 con L’ Obiettivo, quindicinale
per il quale ha scritto fino al 2011. Ha continuato con La Gazzetta del
Calatino, la rivista Elegance, Il Sette e mezzo e Blog Taormina. Con Il Sette e
mezzo ha iniziato a lavorare in tv. Nel 2014 ha collaborato con il Giornale di
Sicilia e ha scritto per La Sicilia. Dal 2015 collabora con i settimanali Visto
TV e Novella 2000 (Prs e Visibilia spa) per i quali realizza interviste ai
personaggi famosi del mondo dello spettacolo e segue i maggiori festival del
cinema. Nel 2017 ha lavorato per il mensile Rai La vita in diretta. Online
scrive per Io gioco pulito, rubrica sportiva nata dal Fatto Quotidiano. Nella
sua carriera ha realizzato tante interviste a personaggi del mondo dello
spettacolo: Ian McKellen, John Corbett, Bernardo Bertolucci, Ronn Moss, Anggun,
Jeremy Irons, Kasia Smutniak, Rutger Hauer, Luca Argentero, il Volo, Battiato,
Dario Argento, solo per citarne alcuni.
Libri:
1.
Chissà se si chiamava amore (Giovane Holden Edizioni, 2008).
2.
M'ama o non m'ama (Gruppo Albatros, 2011).
3.
Il collezionista di bambole (Graus Editore, 2013).
4.
Il Giocattolaio (Yume Edizioni, 2020).
Intervista
Angela,
com’è nata la passione per il giornalismo? Hai giornalisti in famiglia?
In
realtà la passione è nata quando ero piccolina perché ho sempre cercato di
scrivere ed insieme ai miei cugini avevamo inventato un giornale ed anche una
specie di telegiornale. Poi dopo l’università ho cominciato a scrivere per
una vera e propria testata giornalistica e lì poi è iniziato il percorso che
mi ha portata a diventare giornalista a tutti gli effetti. Però ho avuto sempre
una passione per la scrittura e non ho parenti giornalisti.
I
tuoi genitori che futuro immaginavano per te?
Io
sono laureata in economia e commercio, quindi loro mi volevano commercialista,
però alla fine è prevalsa la passione e sono andata avanti con il giornalismo.
Con
quali maestri del giornalismo italiano sei cresciuta?
In
realtà non ho mai pensato a dei maestri del giornalismo, nel senso che secondo
me si può imparare da chiunque. Più che altro come mentore vero e proprio è
stato il dr. Antonio Grasso, il direttore
con cui ho iniziato a scrivere, che non era un personaggio famoso, però mi ha
insegnato il mestiere. Da lì ci sono stati tanti giornalisti da cui ho imparato
molto, a cominciare da Roberto Alessi e poi tutti i direttori con cui ho
lavorato, perché io scrivo per tantissimi giornali. Da ognuno di loro ho
imparato qualcosa.
Qual
è la tua ossessione professionale? Sei pignola, meticolosa?
La
precisione, io sono molto pignola e meticolosa. Spesso ho fatto delle interviste
all’ultimo momento, perché mi hanno chiamato all’improvviso, però
sinceramente preferisco conoscere e informarmi sui personaggi, studiarli e mi
piace essere molto professionale. Quindi vado a spulciare dalle cose più
stupide alle cose più importanti, perché mi piace sempre proporre delle
domande differenti dalle solite interviste. Domande che riguardano la sfera
privata, cioè le debolezze, il lato di forza, le passioni che coltivano. Queste
sono le domande che rendono interessanti le mie interviste rispetto a quelle
degli altri, anche se poi ognuno ha il suo marchio di fabbrica. Quindi sono
molto pignola e meticolosa nelle cose che faccio.
Angela Failla con Raoul Bova
Hai realizzato parecchie interviste. Ce ne sono un paio che ami ricordare con
molto piacere?
Ce
n’è più di una, Gianfranco, per esempio quella con Morgan, dei Bluvertigo,
ricordo che dovevo realizzare l’intervista nel primo pomeriggio, era nel mese
di agosto ed era caldissimo. In realtà l’intervista l’abbiamo fatta poco
prima di un concerto ed eravamo all’interno di un camper, dove salivano i
musicisti a prendere gli strumenti per fare le prove. Ad un certo punto mentre
Morgan mi parlava della sua vita professionale e quella privata, ha preso fuori
una bottiglia di prosecco e due calici. Io lì per lì sono rimasta un po’
basita, poi prese altri 6 bicchieri e in pratica loro, poco prima di un
concerto, hanno questa usanza di fare un brindisi, una specie di mantra ed io mi
sono trovata a brindare con loro. Un’altra intervista
molto simpatica che mi è
capitata è stata con l’attore che ha fatto “Il mio grosso grasso matrimonio
greco”, John Corbett. Nella conferenza stampa gli avevo fatto alcune domande e
poi una raffica di fotografie, perché lui è alto quasi due metri e non
riuscivo a fargli una foto per intero e che lo riprendesse nella maniera giusta.
Poi dopo ci siamo incontrati durante l’aperitivo e lui mi ha riconosciuta
subito e infatti mi ha fatto il gesto della macchina fotografica e un po’ mi
ha fatto sentire una stalker (risata). Poi mi ha chiesto come mai non avessi un
bicchiere, mentre tutti gli altri bevevano e risposi che avevo appena finito di
lavorare e lui mi prese il braccio e
mi accompagnò al tavolo degli aperitivi e mentre camminavamo diceva ai
presenti: “Bevete, bevete, è gratis” (risata). Poi lui prese un cocktail e
io un aperitivo. Gli americano sono così, sono alla mano
molto umili. Mi ricordo anche Russell Crowe a Taormina, stava mangiando
in un locale e ad un certo punto la gente l’ha riconosciuto e sono andati
tutti verso di lui per fare delle foto. Queste persone
erano gli invitati Ad un matrimonio. Quando gli sposi sono usciti dalla
chiesa, non c’era nessuno a buttare il riso (risata). Russell Crowe è andato
dagli sposi, ha aperto una bottiglia e ha brindato con loro. Questo per farti
capire come sono alla mano i divi americani. Un’altra intervista molto carina
è stata quella con Franco Battiato. Io ho realizzato una delle ultime
interviste a Battiato. Sono stata contattata all’ultimo momento e non ho avuto
neanche il tempo per prepararmi più di tanto. Sono andata da lui e abbiamo
pattuito 3 domande. Abbiamo cominciato a chiacchierare e alla fine da tre le
domande sono diventate otto e lui ad un certto punto mi ha detto: “Non avevamo
pattuito tre domande? Me ne hai fatte otto. Non sono un po’ tantine?”. Ma
lui è stato gentile e alla fine gli
ho fatto fare anche un video saluto e devo dire che è stato un bell’incontro.
Se tu metti il personaggio nella condizione di mostrare il lato inedito di se
stesso, probabilmente il personaggio non solo ti ringrazierà, ma tirerà fuori
anche quella parte nascosta che poi effettivamente piace alla gente. Secondo me
il lato umano è sempre la cosa più bella a parte ovviamente il lavoro che fa.
Però il lato umano riesce a far uscire il personaggio e a renderlo più
interessante, perché molti sono ermetici e quindi bisogna metterli a proprio
agio e quando sono a proprio agio tirano fuori il meglio.
Hai
scritto 4 libri, due romanzi e due thriller. Scrivere per te è stata
un’urgenza personale, una valvola di sfogo o semplicemente una passione?
E’
una passione sicuramente che coltivo fin da piccola, dai temi che facevo in
classe e poi è anche una valvola di sfogo, perché effettivamente lo scrivere
ha una funzione catartica. Cioè
quella di tirar fuori delle cose che ti servono per poter superare anche dei
momenti che possono essere belli ma anche brutti. Io scrivo molto sotto
ispirazione e devo dire che ultimamente scrivo anche senza ispirazione perché
quando inizi un percorso di scrittura e scrivi già, ho scritto 4 libri e spero
che presto arrivi il quinto, giustamente gli editor vogliono delle bozze e
quindi devi essere continuativo. Non può essere solo una passione se poi vuoi
farlo diventare anche un mestiere. Io ho unito queste due cose e la passione è
sempre alla base e senza passione secondo me non riesci a fare le cose che
riesci a fare quando hai la
passione, perché quando sei stanca, riesci ugualmente a scrivere perchè non
senti il peso della stanchezza. La scrittura l’ho sempre messa al primo posto
e ultimamente sto decidendo di mettere la scrittura più avanti del giornalismo,
perché è una cosa che mi appartiene molto di più e poi alla base c’è che
mi piace leggere tantissimo.
Angela Failla con John Corbett
C’è
qualcosa di autobiografico nei tuoi libri?
Io
credo che nei libri ci sia qualcosa di autobiografico che poi in realtà non
significa che si abbia vissuto realmente le cose che si
scrivono. Però solitamente si prende spunto da persone che incontri,
dagli aneddoti e fatti che ti raccontano, oppure da cose che nella vita ti
capitano. Per esempio in uno dei miei romanzi ho raccontato la mia esperienza
lavorativa. A me poi piace molto etichettare i personaggi e farne quasi delle
caricature per cui è questo che rende il personaggio più simpatico. E’ come
nel film “Il diavolo veste Prada” dove c’è questa
datrice di lavoro che è esasperante, che rende la protagonista che è la
giovane ragazza che cerca di fare la stagista, oltre che vittima, più umana.
Queste possono essere le cose autobiografiche, così come ad esempio
nell’ultimo romanzo: “Il giocattolaio”, di autobrigrafico non c’è
niente perché è un thriller,
quindi c’è un assassino che uccide le vittime, però ti posso dire che per
creare figura del detective mi sono ispirata ad un criminologo che esiste
veramente e che mi ha affascinata molto per il suo percorso di studi, per la sua
tesi di laurea sul cannibale di Rotenburg. Tutta
una serie di elementi che possono essere utili in un romanzo, che
poi è sempre un’opera di fantasia. Nei romanzi c’è sempre qualcosa
di autobiografico che non è sempre personale, qualche volta è di riflesso
oppure di una persona che ci ispira.
E’
in cantiere il quinto libro?
Non
posso dirlo.
Tu
hai sceneggiato il cortometraggio “Mai insieme a te”. E’ tratto da una
storia vera, da un fatto di cronaca?
Nasce da una storia vera e da una di queste violenze viene generato un bambino
che la vittima decide di tenere. Paradossalmente sembrerebbe facile per una
donna tenere un figlio nato da una violenza, ma non è così perché in ogni
momento quel bambino ti andrà a ricordare un episodio tragico della tua vita.
La storia effetivamente nasce dal fatto che io ho fatto volontariato in un
orfanotrofio per diversi anni e vedevo da lontano una donna che veniva e si
metteva dietro una rete dell’orfanotrofio. Non capivo cosa volesse e a dire la
verità mi faceva anche un po’ paura. Poi mi è stato detto dalle suore che
quella donna era la mamma di uno dei bambini, che non era riuscita a tenerselo
perché aveva vissuto un dramma e ha dovuto darlo all’orfanotrofio. Però lei
ogni giorno veniva ed era come se lo seguisse quotidianamente da lontano. Io ho
preso spunto da questo fatto, ma poi la nostra storia è un po’ diversa, però
lo spunto nasce da una storia reale. Più che altro non è tanto un
cortometraggio sulla violenza, ma è sulla speranza e sulla possibilità che
hanno le donne di scegliere della loro vita, anche in una condizione così
difficile, che non è mai semplice.