Elena Guarnieri (giornalista e autrice tv)     Milano 8.8.2022

                             Intervista di Gianfranco Gramola

“Il successo di una persona è trovare l’equilibrio tra i momenti privati, le amicizie e quella che è per me una grande passione che è il mio lavoro”

Contatti elena.guarnieri@mediaset.it

Elena Guarnieri, ha esordito poco più che ventenne in televisione. La sua prima esperienza televisiva è stata come valletta nel programma Il gioco delle coppie condotto da Corrado Tedeschi nel 1990 e nel 1991. In seguito ha preso parte a programmi come Ciao Italia in onda su Rai 1, W le donne, Guida al campionato con Sandro Piccinini, Village e Planet in onda su Italia 1. Ha recitato nella sitcom Nonno Felice, in cui interpretava il ruolo della maestra Tacchini del nipotino di Gino Bramieri, nella sitcom Casa Vianello con Sandra Mondaini e Raimondo Vianello e nella parodia musicale a cura di Beppe Recchia I tre moschettieri. Ha collaborato anche con la testata giornalistica di Telepiù per cui ha condotto il telegiornale sportivo e la trasmissione Telequote con Rino Tommasi. Dal 1996 al 2007 ha fatto parte della redazione di Studio Aperto, dove ha condotto le edizioni serali del telegiornale. Per il telegiornale di Italia 1 è stata inviata in Vaticano nei giorni della morte di Giovanni Paolo II e della proclamazione di Benedetto XVI, mentre su Rete 4 ha condotto in prima serata: Miracoli con Piero Vigorelli, Gentes, e la prima edizione di Sipario del TG4. Dall'ottobre del 2007 è caporedattore del TG5 di cui conduce prima l'edizione delle 13:00 (all'inizio in coppia con Luca Rigoni, successivamente da sola) e poi quella principale delle 20:00, sostituendo Cristina Parodi, passata a LA7. È anche autrice e conduttrice di Vite straordinarie, programma in onda in prima serata su Rete 4, dedicato alle biografie di personalità del passato e del presente: Diego Armando Maradona, Cassius Clay, Enzo Ferrari, Madre Teresa di Calcutta, il Generale Dalla Chiesa, Marilyn Monroe, Hitler, Mussolini, Papa Giovanni Paolo II e molti altri. Nell'aprile 2010 ha condotto una puntata speciale di Vite straordinarie nella sera della morte di Raimondo Vianello in diretta dallo studio 5 del Centro di produzione Mediaset di Cologno Monzese, il medesimo studio in cui anni prima erano state girate le sitcom di Casa Vianello. L'8 gennaio 2016 ha condotto il programma Angeli in onda prima serata su Canale 5. E’ iscritta all'albo dei giornalisti professionisti dal 6 ottobre 1998.

Intervista

Mi racconti com’è nata la tua passione per il giornalismo? Hai giornalisti in famiglia?

Non ho giornalisti in famiglia e quando ero bambina e dicevo che da grande volevo fare la giornalista, che volevo fare l’inviata di guerra, perché leggevo i libri di Oriana Fallaci, ridevano tutti. Mio padre addirittura mi ha messo i bastoni fra le ruote, perché aveva un’azienda sua, di famiglia e sperava che lavorassi con lui. Ma la vita è fatta di coincidenze e ho iniziato a lavorare molto dopo rispetto a quando da bambina avevo questo sogno e quando ho iniziato a lavorare in televisione mio padre non vedeva di buon occhio che fossi in TV, perché lo vedeva come un luogo di perdizione e non vedeva la televisione associata al giornalismo. Quindi mi ha ostacolata, ma il fatto che lui mi abbia ostacolata è stato un po’ il mio motore, perché volevo dimostrargli che potevo farcela anche senza di lui. Però è una cosa che avevo in testa fin da piccola, perché sognavo di scrivere, sognavo di viaggiare, sognavo di studiare, quindi o facevo la giornalista o la scrittrice, leggendo i libri della Fallaci che per me erano una fonte di ispirazione. Poi non c’erano tante donne che facevano questo mestiere e neanche in televisione e quando ho cominciato io non eravamo in tante.

Con quali maestri del giornalismo sei cresciuta?

Per me maestri lo sono tutti, nel senso che non servono necessariamente delle firme  importanti, ma da tutti si può imparare. Rubi un po’ il mestiere da chiunque e tuttora io guardo gli altri, perché mi confronto, rifletto su come lavorano. Non sto parlando solo di conduzione, perché per me è riduttivo che il mestiere di giornalista sia la parte più visibile. A me piace scrivere i pezzi, mi piace montarli e mi piace lavorare ai programmi. Ci sono stati dei maestri che hanno pesato di più nella mia vita. Io ho lavorato con Emilio Fede e ho imparato da lui cosa significa gestire una diretta nell’evento. Lui è stato il primo e io ero con lui, ad andare in onda prima di tutti, anche della Rai, nel dare la notizia dell'attentato alle Torri Gemelle. Si è infilato un giubbino color ocra, abbiamo acceso lo studio e parlato a ruota libera appunto sull’attentato alle Torri Gemelle. Sicuramente lui mi ha insegnato la gestione della diretta a braccio. Io non ho mai letto nella mia vita un gobbo e non saprei neanche come leggerlo. Non ho mai letto una cosa scritta da altri ed una cosa abbastanza inconsueta al giorno d’oggi. Tutti leggono il gobbo, sono tutti perfetti, precisi. Io ho imparato che è meglio essere “sporchi” nel parlare, ma trasmettere empatia. Ho imparato molto da Fede, ma anche da Liguori e anche da Mario Giordano. Giordano è un creativo, è un autore. Lui arrivava e diceva con la sua vocina: “Mi serve per domani uno speciale di tre ore…” e ti lanciava l’argomento, anche complicato, che si inventava in quel momento. Tu non ci dormivi notte e giorno, scrivevi e poi montavi il pezzo. Tra l’altro, quando lavoravo a Studio Aperto, siamo stati i primi con Giordano, a montare da soli, quindi scrittura mentre giravi, scrivevi e montavi. Oggi i giovani lo fanno abitualmente, però quando avevo 25 anni lo facevamo noi e basta. Ho imparato tanto da Mario Giordano, come ho imparato molto da Clemente Mimun, che è il direttore con la “D” maiuscola, perché ha una storia  pazzesca. E’ nato nel TG5, è stato il direttore che ha lanciato il Tg2, è andato al Tg1, lui è uno che ha relazioni con il mondo intero ed è un direttore di quelli che probabilmente non esistono più, l’ultimo di quella generazione lì. Ma non ho imparato solo da loro. Io ho un atteggiamento abbastanza umile con il mio mestiere, guardo tutti. A me è capitato di vedere qualche tempo fa, un reportage fatto da un ragazzino che è venuto da noi a fare uno stage qualche anno fa, Alessio Lasta. Stava in Ucraina appena è scoppiata la guerra, io l’ho chiamato per dirgli che è stato bravissimo.

Fra colleghi hai notato più rivalità o complicità?

Io tendenzialmente sono una che fa molta selezione nella vita, nel senso che nella mia testa c’è una libreria dove ci sono i rapporti di famiglia, ci sono gli amici e i rapporti stretti di lavoro. Sul lavoro io non riesco a lavorare se non ho un clima sereno attorno. Io faccio la pendolare tra Roma e Milano, perché quando conduco sono a Roma e quando non conduco o faccio servizi sono a Milano, quindi la maggior parte del mio tempo lo trascorro a Milano. Ho un forte legame con le persone con cui lavoro, non riuscirei mai ad entrare in ufficio in un ambiente freddo, senza relazioni e ti devo dire che un po’ l’azienda in cui sono cresciuta, ha un po’ questo imprinting, anche se si è molto trasformata negli anni, cioè i gruppi sono sempre stati gruppi molto affiatati. Ci sono delle persone con cui non ho feeling, ma non ho grandi tensioni sul lavoro, ne ho di più nella vita privata (risata).

Ho letto che non sei solo giornalista, ma hai fatto anche l’attrice.

Attrice è una parola grossa. Quando ho iniziato a lavorare, un po’ per caso, sono finita in televisione perché ho accompagnato un amico modello a fare un provino e alla fine hanno preso me e sinceramente a me non importava di lavorare come attrice, ma mi hanno presa per lavorare con Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, con Gino Bramieri e all’inizio l’ho fatto perché mi davano parecchi soldi, erano gli anni delle vacche grasse e per me era anche divertimento e intanto mi mantenevo e studiavo. Inoltre speravo che fosse una maniera per poi finire a fare qualcosa di giornalistico e così è stato, perché dopo ho lavorato con Ennio Doris a Italia News, una specie di telegiornale economico e quindi ho fatto la mia bella gavetta perché mi hanno fatto intervistare premi Nobel come Modigliani, gente pesante.

Che ricordo hai di Raimondo Vianello?

Ricordo che Raimondo Vianello mi diceva: “Ma sei bravissima, perché vuoi fare la giornalista?”. Anni dopo ricordo che lo incontrai nel corridoio degli studi e mi disse: “Lei aveva la testa dura e ce l’ha fatta. E’ proprio brava”. Per me questo è motivo di orgoglio, come è successa la stessa cosa con Mike Bongiorno che mi mandò un messaggio bellissimo. Sono stati dei mostri sacri della televisione e aver lavorato con loro per me è un ricordo bellissimo. Comunque attrice, mi viene da ridere. Ho fatto un po’ di puntate, mi sono divertita ed ero bravina, diciamo che me la cavavo davanti alla telecamera.

Ho letto che hai avuto a che fare con due Papi.

Proprio quando stavo a Studio Aperto, morì paolo Giovanni II. Io avevo fatto un programma che si chiamava “Miracoli”, per cui la redazione, che era una redazione molto giovane, non era strutturata come il TG5, non aveva le redazioni tematiche, non c’erano i vaticanisti e quindi chi aveva più relazioni sul campo, partiva e io in quel caso fui mandata a fare l’inviata in Vaticano, perché avevo qualche relazione con qualche cardinale, in funzione del fatto che erano stati ospiti del mio programma “Miracoli”. Quindi è stata un’esperienza pazzesca, veramente molto forte, anche perché mi è successa una cosa surreale. Io non ero neanche accreditata e c’era un ufficio stampa per noi giornalisti non accreditati dell’ultima ora. Eravamo in 6 mila se non ricordo male, da tutto il mondo. C’era una boccia e chi veniva estratto, veniva portato a vedere la salma di Giovanni Paolo II, chiaramente una cosa quasi impossibile perché se ti ricordi c’era una folla incredibile, una coda infinita e io fui una delle 10 estratte, l'unica italiana. Arrivai lì davanti e c’erano già i cardinali che si stavano riunendo e discutevano per il conclave ed è stata una  emozione pazzesca. Poi lavoravo con Mario Giordano e lui mi mandò in diretta a raccontare questa cosa che ho vissuto più unica che rara ed è stata un’esperienza abbastanza forte. Ho seguito tutto quello che poi hanno visto gli italiani, il funerale, la tempesta, il vento. Sono dei ricordi abbastanza forti che non si cancellano facilmente, nonostante gli anni passati. Poi Ratzinger mi è capitato per caso, perché Mediaset fece una fiction dedicata a Giovanni Paolo II e alla prima, alcuni di noi giornalisti vennero invitati a vedere la fiction e mi capitò di stare seduta accanto a Ratzinger. Di papa Francesco non ho fatto nessun lavoro, però un giorno lui è venuto alla salita di San Gregorio, dove c’è la sede del Tg5, per andare dalle suore di Madre Teresa di Calcutta. Appena in redazione l’abbiamo saputo, un gruppetto di noi giornalisti siamo corsi e c’era lui,  abituato a fare queste fuori uscite, e si è messo a chiacchierare chiedendoci cosa facevamo, ma io sono rimasta pochissimo perché dovevo andare in onda e sono rimasti i miei colleghi. Sono ricordi belli.

Tu sei stata autrice e conduttrice di “Vite straordinarie”. Un paio di personaggi che ti hanno colpito molto?

Forse è il programma che professionalmente mi ha dato di più in termini di emozioni, perché noi eravamo una troupe e giravamo il mondo facendo dei veri e propri documentari, stile BBC, in 10 giorni a zero costi e cercavamo di ricostruire la vita dei personaggi non per forza positivi, perché abbiamo raccontato anche la vita di Hitler. Pensando a Hitler abbiamo trovato una persona anziana, che era la figlia di un gerarca nazista, che visse gli ultimi momenti di vita accanto ad Hitler. Lei ovviamente salvandosi, nel bunker a Berlino, prima che lui si suicidasse. Quindi il racconto di questa donna adulta, che peraltro parlava bene l’italiano perché aveva sposato un italiano e si era trasferita a vivere a Bologna, fu molto forte, perché fu la testimone oculare di un uomo che ha segnato la nostra storia, le nostre vite ed è stata un’esperienza fortissima. Tutt’altra storia è stata quella di Madre Teresa di Calcutta. Lei era morta da 10 giorni ed è stato un viaggio a Calcutta che mi ha cambiato dentro, perché nessuno voleva rilasciare interviste, la sua erede spirituale alla fine decise di raccontarmi tutto quello che poteva raccontare di lei e ci portò in un posto che mi segnò moltissimo, ci porto alle fogne, dove le madri andavano a partorire i bambini e dove poi li abbandonavano. Queste suore li prendevano e li portavano all’orfanatrofio e li tenevano fino a 8 anni, dopo di che li mettevano in mezzo alla strada, se nessuno li aveva adottati. Siamo stati anche nei lebbrosari e dal punto di vista umano è stata una cosa che mi ha segnata molto. Quindi esperienza di tipo molto diversa. Poi Cassius Clay, che è sempre stato il mio mito. Non ho potuto intervistarlo perché era già molto malato e non parlava più, però ho intervistato il fratello, la figlia e la prima moglie, la bellissima Sonji Roi. Lui era un mio mito personale, al di là del fatto che mi piace la boxe, lui andava oltre. Lui, uno che era venuto da un paesello sperduto dell’America più profonda ed era riuscito a vincere una medaglia d’oro, negli anni dell’apartheid e a buttarla via, rifiutandosi di andare in guerra. Un uomo di quelli che non esistono più.   

Oltre al giornalismo, curi delle passioni nella vita?

Lo sport. Se avessi avuto i numeri, avrei voluto essere un’atleta, ma non li ho (risata). Avrei voluto essere una di quelle atlete che l’anno scorso di questi tempi, vincevano le medaglie d’oro. Lo sport mi piace tantissimo, tranne il calcio, perché lo trovo molto distante dallo sport. Lo sport intendo come fatica fisica, non lo sport come si diventa miliardari.

Una tua ossessione professionale?

Io sono nota in studio come una che fino alla fine vuole guardare tutto, perché voglio avere tutto sotto controllo. Mi prendono in giro perché a cambiarmi vado in bagno anziché andare in sartoria, non sto molto tempo davanti allo specchio, nel senso che dedico il tempo che serve, dopo di che mi interessa essere fino alla fine sul pezzo, perché mi da fastidio l’idea di prendere in giro chi sta davanti al televisore. Forse sono eccessiva, ma sulle cose che faccio, do sempre il massimo e ci metto tutto l’impegno possibile. Poi si sbaglia sempre, non siamo macchine, gli errori si fanno. Però devo essere convinta di avercela messa tutta e quando a volte non sono  concentrata al 100 per 100, perché mio figlio mi fa sclerare (risata), allora mi arrabbio molto perché sono molto esigente con me stessa e non mi perdono gli errori. Io sono della bassa mantovana e ci hanno insegnato che se semini bene, hai un buon raccolto e io ho questo atteggiamento.

Hai dei riti scaramantici?

Riti scaramantici ne ho molti. Ho due elastici con cui mi faccio le trecce quando vado in palestra e li tengo sempre al polso, tipo bracciali. Nello studio, accanto a me, c’è uno sgabello, dove c’è la  bottiglietta d’acqua e lì ho sempre le stesse cose, messe nella stessa posizione, perché mi portano fortuna messe così. Ridono tutti, perché non ha nessun senso e poi c’è anche la valigetta del trucco, come se tra un servizio e l’altro mi truccassi. Però è lì da sempre e la voglio lì.

Di cosa hai bisogno per essere felice?

Dell’equilibrio tra la mia vita professionale che per fortuna è anche la mia passione e la mia vita privata, sentimentale, il mio compagno, mio figlio, i miei genitori, sapere che i miei affetti funzionano. Per me il successo non corrisponde alla parola fama. Il successo di una persona è trovare l’equilibrio tra i momenti privati, le amicizie e quella che è per me una grande passione che è il mio lavoro. Non entro mai negli studi pensando “Che schifo”. Può esserci il giorno si e il giorno no, però io mi sento veramente fortunata di fare un lavoro che mi piace.

Hai un sassolino nelle scarpe che vorresti toglierti?

Sono abituata a togliermeli tutti i giorni. Non mi piace far montare le situazioni, quindi quando qualcosa non va, tendo ad affrontarla. Magari se capisco che accanto a me c’è una persona che in quel momento è nervosa, aspetto e ci arrivo dopo, però io non amo avere rancori. Di carattere sono fumantina e questo riguarda più il privato che non il professionale. Nel professionale riesco a gestire le cose con più calma e razionalità e quindi se c’è una cosa che non va in un rapporto o c’è stata una incomprensione, per me deve essere risolta subito. Non è un sassolino, ma mi è venuto in mente un fatto divertente. Enrico Mentana quando mi fece il provino mi disse: “Ma tu non vai bene, perché sei troppo bella”. Diciamo che a 23 anni ero belloccia ed ero anche un po’ vistosa. Però anni dopo l’ho rivisto e gli ho detto: “Hai visto che ce l’ho fatta?” e lui si è messo a ridere. Ricordo che dopo il provino mi sono tagliata i capelli, li ho lisciati e ho cercato di smorzare l’effetto vistoso e quello che mi ha detto Mentana l’ho preso come un consiglio.

Qual è il tuo punto debole?

Sono più fragile nel privato che nel professionale e mi chiedo spesso se sono amata e se riesco a farmi volere bene.

Se ti dico Roma, cosa mi rispondi?

Che non è la città per me (risata). A Roma devo moltissimo ed è sicuramente la città più bella del mondo, ma io sono proprio nordica. Quando finisco la settimana lavorativa a Roma, dico “Wow, torno a Milano”. Ripeto, sono grata a Roma perché mi ha dato tantissimo, però la considero per certi versi la città più a nord del continente africano, con rispetto per il continente africano e Milano la più a sud del continente europeo. Nel senso che ora Roma è una grande casbah e devi sapere che funziona tutto così. Milano è un altro mondo ed è una città bellissima. Fai conto che io sto a Roma 8 giorni perché poi ruotiamo sulla conduzione del Tg  della sera in  quattro e quindi  faccio 8 giorni e poi torno a Milano. Quindi sono anche un po’ romana, un po’ tanto perché faccio la pendolare più o meno da 15 anni.

La cucina romana ti ha  conquistata?

Tantissimo. Io dico sempre che come si mangia la pasta a Roma, noi al nord non la sappiamo fare, però devono imparare a fare il risotto con la salamella.

Roma da pochi mesi ha un nuovo sindaco. Hai notato dei cambiamenti?

Sono 15 anni che vado e vengo da Roma e quindi ho vissuto un po’ di sindaci. Non mi sento di dare la colpa al sindaco di turno. Questa è una città difficilissima e di difficile gestione e non vedo miglioramenti. L’altro giorno camminavo per via Claudia, una via che costeggia le mura Aureliane e  va verso il Colosseo, e vedevo questa spianata di lattine e bottigliette ai piedi delle mura Aureliane. Una cosa che fa venire il mal di pancia e non penso che questo sia colpa del nuovo sindaco, perché mi viene in mente quando c’era Alemanno e ci fu la nevicata per due anni di seguito e sembrava la guerra termo nucleare. Va bene tutto, ma erano caduti molti alberi non potati. Roma è una città di difficile gestione. La prima volta che sono venuta a Roma avevo 25 anni e mi è successa una cosa surreale. Sono arrivata alla stazione Termini e ho chiesto all’autista dov’è via Vittorio Veneto. Lui mi ha  guardata e mi ha detto: “Vittorio Veneto? Via Veneto”. Salii sull’autobus e mi ha  portata in giro a visitare Roma come nel film di Celentano “Innamorato pazzo” e mi ha fatto vedere tutta Roma. Solo a Roma può succederti una cosa così, quindi ha anche degli aspetti bellissimi. Però c’è il bello e il meno bello. Diciamo che se fai il turista non ti può capitare niente di più bello, se ci lavori è un po’ più complicato.