Francesco Moser (ex ciclista, imprenditore)   Gardolo di Mezzo (Trento) 1.7.2021

                               Intervista di Gianfranco Gramola

“Non è vero che una volta si correva per la gloria, ora per i soldi. Correvano anche allora per i soldi, anche se si guadagnava di meno di quello che guadagnano i ciclisti di ora, però era un altro modo di correre”

 

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Francesco Moser è nato a Palù di Giovo (Trento) il 19 giugno del 1951 da Cecilia Simoni e Ignazio Moser. Professionista dal 1973 al 1988, è stato soprannominato Lo Sceriffo per la capacità di gestire il gruppo durante la corsa. In carriera ha vinto un Giro d'Italia e diverse classiche, tra cui tre Parigi-Roubaix, due Giri di Lombardia, una Freccia Vallone, una Gand-Wevelgem e una Milano-Sanremo, oltre ad un campionato del mondo su strada ed uno su pista nell'inseguimento individuale. Con 273 vittorie su strada da professionista risulta a tutt'oggi il ciclista italiano con il maggior numero di successi, precedendo Giuseppe Saronni (193) e Mario Cipollini (189).

Come ti è sembrato il giro d’Italia, Francesco?

Il giro è sempre il giro, poi cambiano i protagonisti chiaramente. Per fortuna che c’era Damiano Caruso che è stato bravo ed è arrivato secondo, altrimenti noi italiani eravamo fuori. Ci sono state le varie tappe e Egan Bernal in finale sembrava un pochino stanco, però è stato molto bravo a vincere e questo anche perché aveva alle spalle una squadra forte. Ormai i percorsi sono quasi tutti riservati ai scalatori, perché fanno tante salite e di conseguenza vincono i scalatori.

La tua passione per la bici la devi ai tuoi fratelli. Un ricordo della tua gioventù e dei tuoi fratelli?

Noi siamo cresciuti in mezzo alle biciclette, perché Aldo ha iniziato a correre quando io sono nato, nel 1951. Poi siamo diventati grandi  e di conseguenza seguivamo le corse, anche se la televisione non ce l’avevano tutti, si parla di quella in bianco e nero. Inoltre in tv non facevano vedere tutto quello che fanno vedere adesso, però quando c’erano le corse o il giro d’Italia si guardava molto volentieri. Così un po’ alla volta abbiamo seguito l’esempio di Aldo. Prima mio fratello Enzo, poi Diego e poi io ed è stato un continuo di gare. In casa giravano biciclette a tutte le ore (risata). A quei tempi, parlo degli anni ‘60, non tutti avevano la bicicletta come adesso. Chi correva doveva avere la sua bici da corsa, perché le squadre non fornivano la bicicletta al corridore come fanno adesso. Specialmente quando uno era agli inizi, se non aveva i soldi per comprarsi la bicicletta, non poteva correre. Ricordo che nel periodo degli anno ‘60 appunto che il mercato delle bici è andato molto in ribasso. Quando è morto Fausto Coppi e Gino Bartali non correva più, di bici se ne vendevano molto poche. Le squadre avevano le biciclette marcate con il nome della squadra. La mia stessa prima bici era marcata GBC che non faceva biciclette, ma produceva televisori.

Io mi ricordo la Salvarani di Felice Gimondi.

Si, la Salvarani che poi hanno cambiato e messo la Chiorda, che era una sottomarca della Bianchi. Ricordo all’inizio, io e i miei fratelli, avevamo corso per tre anni  con le biciclette marcate Filotex. Ho anche delle foto di Franco Bitossi, con cui non ho mai corso, con la maglia della Filotex. Poi arrivò la Benotto che era di un italiano che era andato in Messico e aveva fatto fortuna con la sua fabbrica di bici e ha voluto sponsorizzare la squadra Filotex. E lì, negli anni ‘70/’75 è ricominciato il movimento dei ciclisti, perché tanti hanno visto che pedalare faceva bene, che era salutare e c’erano anche i cicloamatori. Ora non ne parliamo nuovamente, perché tra le bici da corsa, quelle elettriche e quelle da trekking e le mountain bike, vanno tutti in bicicletta. Quando correvo io, agli inizi, non trovavi un ciclista per strada. A Trento c’erano due vecchie glorie che avevano corso in gioventù, uno era Italo Condini e l’altro non ricordo il nome, che correvano con quelle divise alla “zuava”. A quei tempi si usava così e sembrava che la bicicletta dovesse sparire. Invece ora le fabbriche di biciclette spendono capitali per fare le squadre, vedo la Trek, la Canyon e altre marche. Le squadre le tengono in piedi quasi del tutto loro.

E’ vero che tuo fratello Aldo ha corso con Fausto Coppi?

E’ vero. Dal 1954 al 1960 (anno della morte di Coppi, ndr.) Aldo ha corso in gruppo con Coppi. Aldo mi raccontava che il primo giro della Lombardia che ha fatto, si sono trovati lui e Coppi e l’ha staccato sul Ghisallo e dopo loro due si sono trovati in fuga e Coppi ha detto ad Aldo: “Tira, che dopo ti do qualcosa”. Poi Aldo mi ha detto che non gli ha dato niente (risata). Quella volta lì, mi sembra che Coppi abbia vinto e questo aneddoto mio fratello lo raccontava spesso quando si parlava di Coppi. Comunque Aldo ha corso tanto con Fausto Coppi e stavano spesso insieme, perché  andavano all’estero  a fare il tour o qualche classica. Però le più tante corse le facevano in Italia. Ai miei tempi, oltre alle gare in calendario, c’erano tutti i vari circuiti e le gare su pista, adesso non fanno niente in confronto, perché i professionisti in un anno facevano anche 45 gare tra circuiti e gare su pista. Quest’anno, se non sbaglio, ne hanno fatto una. Pensa che differenza.

Io e Francesco Moser

I tuoi genitori come hanno vissuto le tue prime vittorie?

Papà è venuto a mancare che ero giovane, avevo 12 anni. Io facevo il contadino e mia mamma era preoccupata perché se andavo a fare il ciclista, nessuno si occupava dei campi. Invece dopo le cose sono andate bene. Mia mamma è morta quando già correvo e vincevo e ha sempre seguito la mia carriera, ma non è che aveva questo grande entusiasmo come i tifosi. Però le faceva piacere quando vincevo. Era usata ad avere dei corridori in casa, perché dal 1951 al 1988/1989 c’erano biciclette che andavano e venivano in famiglia.

Hai trasmesso la tua passione anche a tuo figlio Ignazio. Hai visto del talento in lui?

Si, aveva talento ed era un corridore tipo Filippo Ganna, con cui ha corso insieme nella Nazionale per i Campionati Mondiali della Pista. Il fatto è che bisognava che si applicasse di più. Lui come fisico assomiglia molto a Ganna ed è alto come lui. Per correre ci vuole ambizione, entusiasmo e voglia di vincere, sapendo che bisogna fare anche dei sacrifici. Dopo  bisognava vedere cosa succedeva, se andava avanti come professionista. Ma ad un certo punto, quando è andato con la BMC ha smesso ed è finita lì.

Per te la bicicletta è stato uno sport, un lavoro o tutti e due?

Tutti e due. E’ chiaro che fare lo sport era anche avere risultati e una cosa chiama l’altra. Se volevi fare sport e ti piaceva, bisognava andare forte per arrivare in fondo alle corse e non avere paura, non scoraggiarti alla prima sconfitta. L’importante è essere bravi a reagire, mai buttarsi giù se perdi una gara.

Quanto conta l’istinto nelle gare?

Conta tanto. Io sono andato avanti tante volte con l’istinto, ma è chiaro che bisognava anche ragionarci sopra nelle scelte, nel decidere le gare, le tattiche e poi c’erano sempre i direttori sportivi con noi e i compagni di squadra. Però quello che hai dentro, quello che viene fuori all’istante è importante.

Quando ti sei accorto di essere una leggenda del ciclismo?

Leggenda (risata). Ho continuato a fare risultati correndo e un poco alla volta mi sono imposto, riuscendo a far vedere che esisto. Perché tanti corridori che hanno corso con me, la gente se li ricorda appena. Invece quando vado in giro, la gente mi riconosce, mi chiede un autografo o un selfie e questo mi  capita spesso. Ieri ero a Genova e l’altro ieri ad una manifestazione e c’era tanto entusiasmo intorno alla mia persona.

Eddy Merckx ha detto che una volta si correva per la gloria, ora per i soldi. E’ così?

Correvano anche allora per i soldi, anche se si guadagnava di meno di quello che guadagnano i ciclisti di ora, però era un altro modo di correre. I corridori più importanti guadagnavano di più se facevano i circuiti e le gare su pista e ti pagavano per andare a correre, perché dalle squadre non è che si prendevano grandi cifre come prendono adesso. Con quello che pagano Bernal, per dire, facevano tre squadre ai nostri tempi. Se pensi che  ci sono squadre che costano 30 milioni, con quei soldi compravi il ciclismo. Guarda anche il calcio, che cifre girano. Nel ciclismo non ha senso che ci sia una differenza così enorme fra corridori, una differenza sul campo di uno che prende due milioni di euro e l’altro  prende 30 mila euro l’anno. E tante volte vince quello che prende 30 mila euro l’anno, non quello più pagato. Però oggi il personaggio è così, grazie alla televisione e ai giornali, più la televisione perché del ciclismo ti fa vedere tutte le tappe, la partenza, le interviste del dopo gara, approfondimenti, ecc … Uno se vuole guardare il tour, si mette in poltrona e se lo gode comodamente da casa.

Con Saronni è stata una rivalità professionale o anche personale?

Tutte e due, perché noi non andavamo d’accordo. Avevamo un carattere totalmente diverso, anche caratteristiche diverse di correre. Si era provato anche con i direttori sportivi di andare d’accordo, di venirsi incontro, ma non è successo.

Attiguo alla sala degustazione, presso l' Azienda Agricola Francesco Moser, è situato un piccolo museo delle imprese ciclistiche di Moser, sono esposte le maglie, le biciclette d’epoca e i trofei che hanno segnato la storia degli ultimi 50 anni del ciclismo italiano.

Il corridore più simpatico e divertente che hai conosciuto?

Ai miei tempi, nel nostro gruppo c’erano Magrini e Rosola, che erano due ragazzi con cui si parlava e si scherzava insieme. In pista, quando andavamo a fare la gara della “Sei giorni”, c’era De Boser, che faceva un po’ da clown, detto in maniera affettuosa. Nella pista dove correvi e dove c’era il pubblico, ogni tanto faceva un po’ di spettacolo facendo “monade”. Sono sempre esistiti personaggi così, ad esempio io non ho mai corso con Zandegù, ma lui era un personaggio un po’ estroso, che faceva sempre le battute giuste, ci faceva divertire però vinceva anche.

Hai qualche rimpianto?

Forse il tour … l’ho fatto una volta sola. Noi eravamo obbligati a fare il giro d’Italia, perché avevamo lo sponsor completamente italiano e non è che lo sponsor ti diceva di fare il tour, bisognava fare il giro soprattutto e bisognava essere protagonisti lì.  Quando poi era ora di andare in tour, il giro e il tour erano vicini, siccome avevamo squadre da 10/12 corridori, non avevamo neanche abbastanza uomini per andare a fare una corsa così impegnativa. Per questo non sono più andato a farla, anche perché io non ero nuovo nelle corse a tappe. Cercavo di correre però sarei stato più per le classiche.

Hai mai corso per solidarietà?

Ne ho fatte tante di corse per solidarietà. Per queste cose sono sempre disponibile. Mi ricordo quando c’è stato il terremoto, abbiamo fatto delle corse per solidarietà e poi mi hanno chiamato spesso per varie manifestazioni. Ho fatto il campionato con i ciechi. Per un cieco andare in tandem è una cosa emozionante, unica. Abbiamo fatto anche delle partite di calcio.

Un tuo pensiero sulla vicenda Pantani?

Pantani è stato un bel corridore, ha vinto e forse ad un certo punto non è stato capace di gestire la sua grandezza. Quando è successo il fatto di Madonna di Campiglio, per conto mio hanno sbagliato nel non farlo correre. Lui doveva correre subito, invece è stato fermo e senza correre per un anno. L’unico modo che aveva per dimostrare il contrario di ciò che tutti dicevano, era correre e vincere. Merckx quando l’avevano fermato al giro, l’avevano mandato a casa e lui è andato al tour e ha vinto ed è finito lì. Pantani non era squalificato, lui era fermo per 15 giorni. Dopo un anno che era fermo, aveva ripreso, però non è stato più il Pantani di prima. Non so se è stato per colpa dei fatti di Campiglio, ma ha avuto anche degli incidenti abbastanza gravi.

Doparsi non è un po’ tradire i tifosi?

E’ sempre esistita la ricerca dell’uomo di migliorarsi, anche con le diete. Poi è scesa in campo la medicina e chiaramente la squadra e tutto l’entourage ha deciso di adottare certe misure. E’ chiaro però che ci sono delle regole che vanno rispettate, perché se c’è un controllo, devi essere in regola. Poi siamo d’accordo che bisogna rispettare le regole anche in confronto degli avversari. Dopo si è visto quello che è successo dopo il fatto di Pantani, che più o meno in quel momento tutti assumevano qualcosa e erano un po’ tutti sullo stesso piano.

Danilo De Luca, squalificato a vita per doping, ha scritto nel suo libro che tutti assumevano le sostanze più assurde, senza pensare alla salute.

Conosco De Luca, che è stato positivo al doping e cercava di giustificarsi, coinvolgendo anche gli altri. Non è perché lo faceva lui, era sicuro che lo facevano anche gli altri, perciò lì ha un pochino giocato sulla sua vicenda, pensando di risolvere non so cosa. Ha scritto delle cose che hanno coinvolto gli altri, ma che lui poteva dire di se stesso. Non degli altri.

Della tua esperienza politica, che ricordi hai? Quali erano le tue idee?

Le mie idee erano quelle di migliorare la situazione, di non sprecare i soldi pubblici. Invece sembrava che quello che contava era spendere i soldi, poi giusti o sbagliati, era uguale. Ricordo quando ero assessore al turismo, che c’era tutto un progetto riguardo alle Terme. C’erano già gli investimenti avviati quando sono arrivato io, a Levico e Vetriolo e hanno fatto questi alberghi, pagati dalla Provincia. Questo è sbagliato, perché i soldi  bisognava mandarli ai privati, che facessero gli alberghi e fossero coinvolti direttamente e non aspettare sempre la Provincia. Perché le terme di Levico sono andate come sono andate, invece bisognava investire sugli alberghi. Però ormai avevano deciso così, hanno speso una barca di soldi, mi sembra sui 20 miliardi di lire. 

Il collegamento Andalo con Campiglio?

Quello è un progetto che è ancora in piedi ed è un progetto che vale soldi per tutti e in Alto Adige i collegamenti li hanno fatti. Il “Giro dei Passi” se i tedeschi  avessero detto di no, non esisterebbero, anche se vanno fuori dalla regione. Quello di Andalo-Campiglio poteva essere un collegamento con una valenza economica importante, perché si avvicinava Campiglio ad Andalo e a Trento. Parlando di inquinamento, si usavano meno macchine per raggiungere le località, ma la funivia, e quella non inquina. Se tu volevi andare a sciare a Campiglio, Andalo o Marilleva, era possibile senza usare la macchina.

Che sport segui oltre al ciclismo?

Il calcio lo seguo poco, guardo qualche pezzo di partita, poi a metà preferisco guardare l’orto. Guardo lo sci e anche le moto. Quando c’è sport e atletica, quando ci sono manifestazioni, mi piace vederle.

Campioni sportivi che ti piacciono?

Del ciclismo mi piace molto Alejandro Valverde, che è uno che è andato forte su tutti i terreni, anche se adesso potrebbe smettere di correre, perché ha 40 anni. Dopo ci sono i campioni odierni come Bernal e Frummo e poi ci sono quei due sloveni che spopolano (Pogcar e Roglic, ndr.) e dopo i belgi Van Der Poel e Wout Van Aert che sono forti anche nel ciclo cross e che vanno forte sia d’inverno che in estate. 

Tu eri un passista, ossia eri forte nelle gare su lunghi percorsi pianeggianti, vero?

Si, ero un passista ed ero forte nel cronometro. Non è che perché uno è forte nel cronometro, deve sempre vincere, perché ci sono dei momenti che hai le condizioni fisiche giuste e momenti che ti sembra che la bici non vada (risata). Dipende sempre  dalle condizioni fisiche, perché nell’arco della stagione hai dei momenti di grazia, e cerchi di salvarti. A me sarebbe piaciuto  andare forte in salita, ma uno che era passista non poteva essere tutti e due le cose. Ai nostri tempi non era considerata la specializzazione e tu dovevi andare forte su tutti i terreni per essere considerato un campione e quindi cercare di fare dei risultati anche al giro, nelle corse diverse  da quelle che potevano essere le mie e dovevi prepararti di conseguenza anche per questo, magari a scapito di quello che erano le tue caratteristiche.

Un paio di consigli a chi vuole avvicinarsi al ciclismo?

Una bella domanda, Gianfranco, perché non esiste una ricetta per diventare campioni. E’ chiaro che prima di tutto bisogna avere la predisposizione fisica, perché se non hai il fisico di un certo tipo, neanche mettersi a fare ciclismo, perché è uno sport durissimo. Nel ciclismo si deve correre per 5 ore, magari sotto l’acqua o sotto il sole. E’ una situazione particolare essere campioni nel ciclismo, non basta avere un motore dentro, perché devi avere  altre doti per resistere, per essere all’altezza della situazione, altrimenti vieni sorpassato.

Ora fai il produttore di vino, con la tua cantina. Soddisfatto?

Lo spumante mi sta dando grande soddisfazione. Abbiamo cominciato a produrlo dopo che ho fatto il record e poi abbiamo portato avanti il discorso della cantina e abbiamo avuto un buon riscontro. Inoltre facciamo un moscato giallo, non quello dolce, quello secco. Però ora puntiamo molto sullo spumante, perché è anche quello che ci dà più soddisfazione ed è anche molto richiesto.

Molti personaggi famosi si sono dati alla  vinificazione, vedi Albano, Bruno Vespa, Massimo D’Alema, il compianto Paolo Rossi e tanti altri. Un investimento o una passione?

Prima è una passione, perché si fanno coinvolgere. Anche molto industriali hanno fatto questo tipo di investimento. Ho visto delle cantine dove dei privati hanno investito fior di milioni di euro. Non è facile dal niente fare il produttore di vino. Uno deve affidarsi  ad uno del mestiere. Io sono nato in mezzo alle vigne e alle pergole, ma tanti non sanno neanche come sono fatte le vigne e si sono messi a comprare campagne e cantine. Gli Antinori, che da una vita sono in mezzo alle vigne, hanno fatto una cantina nuova, sulla strada che va a Siena, dove mi pare che abbiano speso circa 100 milioni di euro per farla. Ma ce ne sono tantissime cantine, moltissime di privati, non sociali. Ce n’è una in Veneto il cui proprietario correva con me. Lui si è messo a fare il prosecco. Quando correva non faceva vino, ha cominciato quando ha smesso di correre.   

Francesco, un domani come vorresti essere ricordato?

Che mi ricordino come vogliono (risata). Io avevo il vantaggio che avevo i miei fratelli che correvano e che mi hanno trasmesso la passione. Ma se non avessi fatto i risultati che ho fatto, tutto finiva lì e andavo a lavorare nei campi. Se tu giri per il mondo, è Moser il ciclista più conosciuto di tutti. Ricordo quando andavo in giro con il presidente della provincia di Bolzano Luis Durnwalder, mi diceva: “ma com’è che tutti ti conoscono?”. (risata).