Lorenza Foschini (Giornalista)
San Casciano dei Bagni (Siena) 25.5.2022
Intervista di Gianfranco
Gramola
Il 7 giugno esce il suo libro “L’attrito
della vita” dove racconta la storia Renato Caccioppoli, matematico napoletano.
Lorenza Foschini (Napoli, 17 maggio 1949)
laureata con lode in Storia moderna e contemporanea, nel 1976 comincia a muovere
i primi passi nella televisione via cavo Telenapoli, per poi nel 1978 essere
assunta alla sede Rai di Napoli. Nel 1980 il direttore del Gr1, Sergio Zavoli la
chiama a Roma a lavorare al giornale radio. Conduce il Gr 1 del mattino, si
occupa di cultura e spettacoli fino al 1987. Il direttore del Tg2 Antonio
Ghirelli la chiama alla conduzione del Tg2 e Alberto La Volpe, succeduto a
Ghirelli, le affida la night line che precede e segue la trasmissione Indietro
tutta! di Renzo Arbore. Con la direzione di Alberto La Volpe conduce le
principali edizioni del telegiornale, gli approfondimenti di Pegaso e come
vaticanista segue Papa Woityla in tutto il mondo. Nel 1994 il direttore di Rai2
Giovanni Minoli le affida la conduzione e la realizzazione del programma
Misteri, che riscuoterà un buon successo. Nel 1997, tratto dal suo programma
televisivo, ha pubblicato il libro Misteri di fine millennio edito da Rizzoli e
vincitore del Premio Scanno. Nel 2008 ha pubblicato Il cappotto di Proust poi
riedito nel 2010 da Mondadori. Nel 2016 è uscito il suo nuovo libro: Zoé - La
principessa che incantò Bakunin, edito da Mondadori. La ricostruzione attenta e
documentata della vita della principessa Obolenskaja, la donna che ispirò Anna
Karenina di Tolstoj, la Principessa Casamassima di James e Sotto gli occhi
dell'Occidente di Conrad prima che su di lei cadesse l'oblio. Per questo suo
ultimo lavoro le è stato assegnato il Premio Capalbio e il Premio Città di
Pisa. Il libro nel settembre 2017 è stato tradotto in francese con il titolo La
princesse de Bakounine per le edizioni de La Table Ronde.
Intervista
Com’è nata la passione per il
giornalismo? Ha giornalisti in famiglia?
Avevo zio Vittorio Foschini che scriveva su
Le Ore, che non era quel giornale che poi divenne scandalistico, era un giornale
un po’ più serio. La passione per il giornalismo è nata quando ero bambina,
a 12 anni, a Positano. Ero proprio piccola e mi ero inventata un giornalino in
cui raccontavo tutte le cose che accadevano intorno a me. Ricordo che facevo
delle brevi cronache mondane di Positano e zio Vittorio mi pagava 400 lire, così
ho cominciato e poi è stata una passione per tutta la vita.
I suoi genitori come hanno preso la sua
scelta di fare la giornalista?
Erano contentissimi. L’avevo detto fin da
quando ero piccola, quindi non hanno mai avuto delle sorprese. Ero bambina che
dicevo che volevo fare la giornalista, l’ho sempre voluto fare e si sono
abituati all’idea ed erano contenti.
Come ricorda la gavetta e quali sono state
le difficoltà iniziali?
Io ho fatto i primi due anni nella sede Rai
di Napoli e, una piccola nota di folclore, ero l’unica donna. Praticamente
c’era un lungo corridoio nella sede Rai di Napoli e sulle porte c’erano
scritti i vari nomi Dr. Necco, Dr. Nitti e tutti i nomi dei giornalisti maschi.
Io non voglio dire che ero l’unica laureata, ma forse ero una delle poche
laureate là e sulla mia porta c’era scritto solo Lorenza Foschini. Mi misero
in fondo in fondo, però fui fortunata perché mi misero in compagnia di questi
grandi scrittori che passavano le loro giornate in Rai senza lavorare, perché
erano scrittori. C’erano Luigi Compagnone, Domenico Rea, Samy Fayad, tutte
persone squisite e io, essendo l’unica donna, praticamente fu deciso che il
mio posto era in mezzo a loro. Quindi è stata una discriminazione fortunata,
nel senso che non facevo granché, dal punto di vista del lavoro, però ho
imparato di più in compagnia di Rea e Compagnone, questi grandi scrittori, che
altrove. Questa è stata la mia esperienza napoletana e parliamo del 1978,
quindi si immagini, praticamente un’eternità fa. Però essere l’unica donna
in una redazione di maschi, al sud, non era proprio facile. Erano tutti molto
educati, molto simpatici, però pian piano si sgelarono, e i rapporti divennero
più cordiali. Il rapporto di vero lavoro serio, duro, l’ho avuto quando sono
arrivata a Roma. Dopo due anni di redazione napoletana, Sergio Zavoli, che era
il direttore del mitico GR1, il giornale radio, cercava qualcuno che sostituisse
un giornalista che voleva rientrare a Napoli. Io con grande incoscienza, avendo
una bambina piccola di pochi anni e separata, al volo ho detto: “Vengo io”,
anche se non avevo casa, non avevo niente. Incontrai Zavoli, che era un uomo
fascinoso, simpatico e molto bravo, gli piacqui e mi prese. Lì cominciarono un
po’ le difficoltà, perché mi chiese che cosa avrei preferito fare, in che
redazione avrei amato andare e io dissi che mi piacerebbe occuparmi di cultura.
E lui mi rispose con una frase tipica di Zavoli: “Ma cara, la cultura
si mette dappertutto”. E mi sbatté, è il caso di dirlo, in una redazione che
stava costruendo e che aveva come programma “Le brevissime del GR1”.
Praticamente si andava in onda alle 6 del mattino e per andare in onda a
quell’ora, bisognava arrivare in redazione alle 5 e quindi a svegliarsi verso
le 4. Questo fu il mio arrivo a Roma. Devo dire però che ho dei ricordi
meravigliosi, innanzitutto la redazione del giornale radio era dove adesso c’è
l’hotel De Russie, in via del Babuino. Si arrivava lì alle 5 del mattino che
era ancora buio e la vicina piazza del Popolo era ancora deserta e da lì a un
paio di ore si sarebbe riempita di gente. Anche in quella redazione ero
l’unica donna, tranne un paio di segretarie e c’erano questi giornalisti con
la barba da fare, era tutto molto selvatico. Quindi il primo impatto è stato
traumatico, perché ero a Roma per la prima volta, non conoscevo nessuno, però
devo fare un monumento a Sergio Zavoli perché ho imparato le regole di base,
nel senso che le brevissime del GR1 erano le notizie che non dovevano superare
le 3 righe e dovevano riassumere i fatti più importanti della giornata. Io mi
ricordo che ci fu lo scandalo della P2 e altri casi e bisognava imparare a
sintetizzare un argomento che se sul giornale era di 3 colonne, bisognava
sintetizzarlo in 3 righe e questa è stata la mia scuola e per ciò devo
ringraziare Sergio Zavoli, cosa che ho fatto fino a quando è morto, perché lo
sentivo spesso. Sono rimasta molto legata a lui e la mia vita professionale la
devo a lui.
Da vaticanista lei ha seguito papa
Wojtyla. Che ricordi ha di lui e cosa ne pensa di papa Francesco?
Sono due papi completamente diversi, molto
differenti. Io di papa Wojtyla ho un ricordi fantastico. Ho girato il mondo con
lui in quei 5 anni in cui ho fatto la vaticanista per la Rai. Ma non
voglio parlare di problemi religiosi e di credo, le due cose vanno
nettamente separate. Il Vaticano è lo stato più piccolo del mondo, è al
centro della storia e lo ha dimostrato Wojtyla, contribuendo alla caduta del
comunismo. Quindi io mi sono trovata nel momento giusto, al posto giusto. Il
vaticano era cosmopolita e c’erano i giornalisti di tutto il mondo, dal New
York Times al Washington Post, a Le Monde e altri e ho conosciuto tutti i
corrispondenti e mi sono trovata veramente nel cuore del giornalismo
internazionale, quindi non racchiusa in quello italiano. Ed è stata
un’esperienza fantastica. Il mio è un giudizio laico e non
parlo assolutamente di problemi religiosi ma di problemi politici. Wojtyla è
stato un grande politico che ha contribuito a cambiare la storia d’Europa,
anzi direi del mondo. Era un uomo di grandissima intelligenza, un uomo
piacevolissimo, io l’ho frequentato in tutti i viaggi papali con l’aereo,
sono stata nell’appartamento dove lui viveva in vaticano, conoscevo benissimo
padre Stanislao Jan Dziwisz che ora è cardinale di Cracovia, che era il
segretario di Wojtyla. Era una occasione irripetibile di essere vicino a uno dei
grandi personaggi che in quel
momento abitava nel mondo. Papa Francesco non lo conosco se non leggendo gli
articoli e vedendolo in tv, ci sono delle cose che condivido, però non posso
fare un confronto tra Wojtyla e Bergoglio, perché sono completamente diversi.
Papa Francesco è argentino, quindi ha una capacità un po’ “populista” di
comunicare, cosa che assolutamente Wojtyla non aveva.
Lei ha condotto “Misteri” un programma
sul paranormale.
Non parlava solo di paranormale. Mi chiamò
Giovanni Minoli, perché mi vedeva sempre a fare la corrispondente dal Vaticano
e mi disse: “Secondo me come tu tratti questi argomenti, mi può piacere”.
Ora “Misteri” non trattava solo il paranormale, trattava tutti i misteri,
l’archeologia, l’Egitto, le apparizioni e anche quelli che possiamo dire
paranormali. Però io ho sempre pensato di farlo con un pizzico di ironia, ma
alle volte delle persone si scandalizzavano perché toccavamo dei tasti che non
erano proprio “ortodossi”.
Cosa ne pensa delle apparizioni mariane?
Come dicevo prima il mio approccio è
assolutamente laico e ogni tanti
qualcuno pensava che siccome facevo questa trasmissione “Misteri” che io
credessi ma era un impressione che
ho dato assolutamente sbagliata. Io sono una persona che crede nella ragione e
nel cuore. Penso che in noi agiscono due elementi, lo diceva Blaise Pascal e
anche Lainez, che è molto stretta la strada che dall’intelligenza porta fino
al cuore. Praticamente in ogni individuo, secondo me, ci devono essere queste
due forze propulsive che ci spingono a vivere: l’intelligenza e il sentimento,
per cui diciamo che spalancare gli occhi su argomenti che sembrano non
spiegabili, che sembrano irrazionali, non vuol dire giustificarli, vuol dire
essere curiosi. Io penso che la curiosità sia la molla principale per chi fa il
mestiere di giornalisti. Penso che la curiosità ci renda vivi è assolutamente
sbagliato pensare che se uno è curioso è credulone. Questo mai.
In un’intervista ha detto:
“Improvvisamente non mi fecero più andare in onda”. Cosa intendeva?
Io premetto che devo molto alla Rai che mi ha
fatto fare una vita fantastica, sia alla radio che in televisione. Ho
intervistato il Dalai Lama e ho avuto delle esperienze interessanti. E’ vero
che la Rai è un’azienda legata alla politica e quindi quando una certa parte
politica ha vinto su di un’altra, ovviamente è successo di essere messa da
parte, ma questo può capitare. Io non l’ho detto come un lamento, forse
l’avrò detto in maniera un po’ filosofica, improvvisamente perché le
elezioni avevano determinato una determinata vittoria e quindi quelli che più o
meno erano dall’altra parte, sono stati messi in un cantuccio.
Lei ha mai pensato di scrivere un libro
sulle sue interviste e sui suoi incontri? Prima parlava di Dalai Lama.
L’ho pensato, anche perché con il Dalai
Lama è stato uno degli incontri più
belli che ho avuto, ho fatto tante interviste e ho incontrato tante persone, però
le devo dire la verità, io penso che la vita sia determinata dagli incontri che
uno fa nella vita. Il primo incontro che ho avuto nella mia vita, l’ho avuto
che avevo 20 anni, quando ho cominciato a leggere Proust e lì mi sono
innamorata di questo autore, mi sono innamorata di quelle migliaia di pagine che
è “Alla ricerca del tempo perduto” e sono rimasta talmente colpita quando
ho letto che Truffaut, il grande regista francese, viaggiava sempre con un libro
di Proust nella valigia che anch’io l’ho sempre fatto, sono tanti volumi e
quando parto me ne porto sempre uno nella valigia. Noi proustiani siamo un po’
una piccola cerchia, ma neanche tanto piccola, perché occupa tutto il mondo.
Ora la mia passione, il mio grandissimo amore per Proust, è pari a quello per
il giornalismo. Cos’è successo? Quando io sono stata messa da parte, come
dicevo prima, lavoravo a Rai Sat e facevo delle interviste e un giorno decisi di
intervistare il grande Piero Tosi, premio Oscar e costumista di Visconti. Come
tutti quelli che sono un po’ malati di Proust, perché come ripeto, è una
specie di setta quella di noi proustiani, io finita l’intervista, chiesi a
Piero Tosi perché Luchino Visconti non aveva fatto il film: “Alla ricerca del
tempo perduto”, che era il sogno della sua vita. E Piero Tosi mi raccontò una
storia affascinante che sarebbe troppo lunga da raccontare e quando io tornai a
casa pensai tanto a questa storia e scopro questa storia favolosa che fa nascere
il mio primo libro che si chiama: “Il cappotto di Proust”. Lì mi è
cambiata la vita perché nel momento in cui non lavoravo più tanto in
televisione in simultanea Tosi mi racconta questa storia.
Parto per Parigi, scopro questa storia pazzesca, pubblico il mio primo
libro che viene tradotto per una
piccola casa editrice, poi ancora prima che lo prendesse la Mondadori, venne
tradotta dalla Harper e Collins in America, che è una delle più grandi case
editrici di New York. Poi venne tradotto in 16 lingue e sono stata invitata in
tutto il mondo e intervistata da tutti i giornali del mondo. Quindi la mia vita
nel momento in cui sembrava che si segnasse un declino come giornalista
televisiva, ha preso questa piega stranissima, ma non è stata una sorpresa
perché le mie due passioni sono il giornalismo e Proust, passioni che
camminavano parallele. Solo che una era intima e privata e l’altra era
professionale. Nel momento in cui quella professionale era scivolata
nell’ombra, il caso ha voluto che facendo il mio lavoro di giornalista,
incontrassi Tosi e che mi raccontasse questa storia. A quel punto il mio libro
è stato tradotto in tutte le lingue, anche in quelle più strane, dal rumeno al
portoghese, ecc … Per cui è stata un’esperienza che è durata alcuni anni
perché sono stata invitata dappertutto. A quel punto ho cominciato a scrivere
delle storie che galleggiavano, che navigavano dentro di me e
quindi ho scritto “Zoè, la principessa che incantò Bakunin”, la storia di
questo anarchico, che ha fondato il movimento anarchico
e di questa principessa Zoè a cui strappano tutti i figli. Dopo di
questo i francesi mi hanno chiesto di scrivere un altro libro e io ho scritto la
passione d’amore tra Reynaldo Hahn e Marcel Proust. Una storia d’amore che
all’epoca non si poteva raccontare e che fino a quando non l’ho raccontata
io, non era stata mai esplorata. E’ stata tradotta in francese, in inglese e
in tedesco. Veniamo al mio ultimo libro. Non è che io ho cambiato mestiere ma
è come se il giornalismo e la scrittura fossero strade che erano parallele
nella mia vita e ad un certo punto si fossero incontrate. Così è nata la
passione dello scrivere, che poi è sempre la stessa, diciamoci la verità. Io
scrivo facendo delle indagini come se facessi la giornalista, cioè non invento,
non sono una romanziera, non ho fantasia, però amo ricostruire le storie sulla
base di testimonianze, delle ricerche e far uscire poi un po’ la verità dei
fatti.
L’ultimo suo libro esce il 7 giugno e ha
per titolo “L’attrito della vita”. Qualche anticipazione?
All’inizio del libro ci sono degli alberi
genealogici, questo per districarsi e capire perché racconto questa storia.
Praticamente racconto la storia di Renato Caccioppoli che era il nipote di
Bakunin, il principe anarchico che ha inventato l’anarchia e Renato
Caccioppoli aveva il sangue della mamma (Giulia Sofia Bakunin) che era mezza
russa e mezza polacca e di un napoletano, Giuseppe Caccioppoli. Mia mamma si
chiamava Isabella Caccioppoli e con Renato erano parenti lontani, ma per un
certo periodo per via del nonno, questa parentela è stata molto vicina. Quindi
la storia di Renato Caccioppoli, così come è stata quella di Proust, ha sempre
galleggiato nella mia mente perché era da quando ero bambina che sentivo
parlare di questo genio che poi si è ucciso. Il regista Mario Martone vinse il
Leone d’Argento al Festival di Venezia con “Morte di un matematico
napoletano”. Film meraviglioso in
cui raccontava gli ultimi due giorni della vita di questo matematico napoletano.
Poi su di lui fiorivano leggende, si raccontavano
storie non credibili, quindi io mi sono dedicata anima e corpo in questi
ultimi anni a fare delle ricerche negli archivi, avevo testimonianze di famiglia
e avevo tante cose e ringrazio il covid perché sono stata 2 anni chiusa in
casa, dove avevo questa mole di carte che avevo raccolto nelle mie ricerche e
l’ho scritto. Quello che mi preme dire è che la storia di Renato Caccioppoli
è una storia meravigliosa, perché coincide con la storia di Napoli, che è la
mia città, nel senso che io spero che nel raccontare la storia di questo genio
assoluto della matematica, si possa capire e avere un ritratto della città che
non sia il solito ritratto stereotipato. Io racconto una Napoli che parte dagli
anni ’20 fino a quando Renato si è ucciso, cioè nel 1959, una Napoli colta,
raffinata, elegante, internazionale, una Napoli molto vivace e a mio avviso poco
conosciuta. Napoli e Caccioppoli sono un po’ la stessa cosa, per questo io
credo che la città lo ami molto. Fuori Napoli non è così conosciuto, ma per
Napoli Caccioppoli è un mito. Quando lui si spara un colpo alla nuca, nel
maggio del 1959, un’intera città ha partecipato ai suoi funerali.
Caccioppoli era un intellettuale, era un uomo poliglotta, parlava non so
quante lingue, era un genio e aveva un legame così forte con la città che la
notte invece di dormire, andava in giro per la città, girava i quartieri,
attraversava i “decumeni” e andava nei “bassi” e beveva insieme al
popolo della città e mi affascina questa storia abbastanza appassionante e in
più incarna in un certo modo quello che è la città al di fuori di ogni
stereotipo.
Quando si è trasferita a Roma e come
ricorda l’impatto con la città eterna?
Io da anni vivo in Toscana
ho lasciato la città eterna. Io Roma l’ho vissuta dal 1° aprile del
1980, cioè il giorno in cui Sergio Zavoli mi ha assunta al GR1 e quindi lasciai
la sede Rai di Napoli per venire a Roma. E quella data coincide con l’inizio
della mia carriera di giornalista e quindi Roma è stata la mia città. Io non
mi sono mai mossa da quel piccolo quadrato che è tra via Giulia, via di
Monserrato e campo de Fiori e ho ricostruito
il microcosmo di un villaggio. Un quadrato vivacissimo che mi è sempre
piaciuto moltissimo. Lì sono cresciuti i miei due figli e lì ho sempre vissuto
fino a quando mi sono innamorata della Toscana e di questo piccolo paese dove
vivo e quest’anno ho preso la decisione drastica di lasciare la mia casa
romana per trasferirmi definitivamente qui. E’ stato complice il covid perché
non solo in questi 2 anni sono stata chiusa in questa casa della Toscana, dove
ho scritto il libro su Renato Caccioppoli, ma ho capito che ci sono varie
stagioni della vita e ora la mia vita ha come cornice questa meravigliosa e
stupenda campagna toscana. Sono sempre stata fortunata, Napoli è bellissima,
Roma dove vivevo è un incanto, ma in questa stagione della mia vita, la
meraviglia della Toscana, dalla val di Paga e della val d’Orcia, sono proprio
il mio elemento naturale, il mio paradiso terrestre.