Maria Grazia Nazzari  (attrice)                          Roma  1.2.2022

                                  Intervista di Gianfranco Gramola

“Il musical mi piace molto, ma non solo per quanto riguarda il teatro ma anche il musical in campo cinematografico. In America sono maestri in questo genere e ci danno dei prodotti che sono molto avvincenti”

 

Il sito ufficiale dell’attrice è www.mariagrazianazzari.com e per contatti lavorativi info@bmoremanagement.it

Maria Grazia Nazzari è un’attrice romana che esordisce al cinema con il regista russo Nikita Michalkov nel film 'Oci Ciornie' e prosegue alternando ruoli in cinema, fiction televisive e teatro. Conduttrice di programmi televisivi, autrice di testi e produttrice artistica per Cydia S.r.l., dopo aver diretto un documentario, è coautrice, interprete, produttrice e regista del cortometraggio "Più data che promessa", presentato in numerosi festival italiani e vincitore di vari premi. Dal 2020 e' tra i giudici del famoso muro di All Together now su Canale 5 e sta preparando il suo prossimo progetto cinematografico di cui ha scritto già la sceneggiatura.

Intervista

Mi racconti come ti sei avvicinata alla recitazione? Ci sono artisti in famiglia?

No, in famiglia non ho artisti, mio padre era avvocato, però mia madre era una persona molto sensibile all’arte, perché lei ascoltava tanta musica, cantava e ha fatto delle pubblicità. Forse il senso artistico me l’ha fatto percepire mia madre, me l’ha trasmesso lei. Aiutandomi poi tantissimo in quelli che sono stati i miei primi passi, perché mi accompagnava lei agli appuntamenti, ai provini, anche perché ero minorenne quando ho iniziato. Ma non ero minorenne come i minorenni del giorno  d’oggi. Comunque bisognava avere mille accortezze, mille attenzioni e  i genitori ti seguivano e l’indipendenza ce la siamo conquistata poi con il tempo. Però se non avessi avuto mia madre che tanto mi ha supportato in questi miei primi passi nel mondo artistico, probabilmente avrei fatto l’avvocato, come mio padre, perché i miei primi studi sono stati in giurisprudenza. Solo 8 anni fa mi sono diplomata in arti e scienze dello spettacolo con indirizzo regia e storia dell’arte. Se mia madre non mi fosse stata vicina sicuramente ora non farei quello che più amo fare nella vita.

Con quali idoli sei cresciuta?

Io ne ho avuti tanti, sia nella musica che nella recitazione. Nella recitazione il mio idolo  per eccellenza era Nikita Michalkov, perché mi ha scelta quando avevo poco più di 18 anni per fare il  film “Oci Ciornie”. Io già sapevo di lui, pur essendo giovanissima, tutto quello che lui aveva già fatto, quindi “Partitura incompiuta per pianola meccanica”, “Oblomov” e “La Nina” di Cechov in teatro, ecc… Io sono cresciuta con questo idolo perché le scuole russe sono quelle che hanno poi formato me, ma anche molte mie colleghe. Poi Stanislavskij e ovviamente tutti i grandi maestri del teatro dei primi ‘900 che hanno fatto scuola, perché ancora oggi, che  insegno recitazione e dizione, non faccio altro che ricordarli, perché il metodo Stanislavskiy è quello che si usa adesso. Comunque la scuola di recitazione Lee Strasberg non fa altro che riprendere tutti i principi e i canoni fondamentali dello stare in scena, quindi dell’essere attore non del fare l’attore. Quello che spiego ai miei allievi è che tu non sei l’attore ma tu devi essere l’attore, se no lascia perdere, perché questo non è un lavoro come gli altri. E’ un lavoro basato sul sentimento, quindi sulle capacità di sentire dentro. Non è una cosa facile, perché questo ti mette poi in contatto con quella che è la tua coscienza, con quella che è la tua sensibilità e anche con quelle cose che tu non vorresti assolutamente mai percepire. E’ importante anche per questo “essere” un attore, di fronte alla vera natura di te e al vero aspetto di quello che poi si vive, che è una realtà a volte mai piacevole per tutti noi.

Tu hai lavorato con molti personaggi famosi. Un tuo ricordo di Gigi Proietti e Paolo  Calissano?

Mi fai commuovere per entrambi, Gianfranco. Gigi Proietti ci ha lasciato un patrimonio inestimabile.

Pensa che io sono stato a casa sua per fargli un’intervista e di lui ho un ricordo indelebile. Un grande attore, semplice e umile.

E fai bene a tenerti stretto quel ricordo perché la sua umiltà è la stessa che io ho riscontrato con grandi attori come Marcello Mastroianni, con cui ho lavorato. Hai ragione a dire che la grandezza di questi grandi attori è innanzitutto nella loro semplicità e sono grandi anche grazie alla loro umiltà, perché riconoscevano sempre il fatto di poter imparare qualcosa nella loro vita e invece già sapevano dare tanto e insegnare tanto. Io ho lavorato con Gigi Proietti nel “Maresciallo Rocca” e quindi sono stata fortunata a viverlo non solo dal punto di vista del maestro ma anche come collega di lavoro, se così si può dire. Però la grandezza di Gigi stava proprio nel fatto che dava tanto, e nel non essersi mai risparmiato. In ogni cosa che ha fatto lui ha sempre cercato di compiacere il suo pubblico e di essere sempre se stesso, non si è mai snaturato. Lui per anni non è stato tanto amato dal pubblico cinematografico e per anni ha avuto il contatto diretto con il pubblico grazie al teatro e con il suo “A me gli occhi please”, che è andato avanti per 20 anni, quindi è normale che lui avesse questa sensibilità, questo bisogno del pubblico, come il pubblico aveva bisogno di lui. Quando il cinema si è riaccorto che esisteva questo enorme personaggio, come Gigi Proietti, l’hanno chiamato per recitare in tante fiction che l’hanno fatto conoscere anche alle generazioni dei più giovani. Perché la televisione entra nelle case per cui è molto più di quello che può essere un pubblico teatrale. Gigi ha dato tantissimo e  tanto abbiamo ricevuto tutti noi, perché noi delle scuole, sicuramente un maestro così ce lo sogniamo e non lo dimenticheremo mai. Il pubblico da lui ha ricevuto tante emozioni, perché sapeva recitare, sapeva ballare, sapeva cantare e la sua arte scenica  era completa. Per cui Gigi Proietti ha lasciato questo patrimonio infinito ed inestimabile. Paolo Calissano è stato un collega di lavoro fantastico. Con lui ho fatto “Vivere” per tanto tempo, quindi avevo tutte le scene con lui perché interpretavo Marina D’Angelo e lui ha interpretato quello che poi ha preso il mio posto in questa televisione privata che fingevo di dirigere nella soap opera. Io l’ho conosciuto anche dal punto di vista umano, perché aldilà di quello che condividevamo sul set, lo frequentavo anche dopo finita la scena. Quando chiudevano gli studi di via Mambretti, si usciva la sera a mangiare una cosa e devo dire che era un ragazzo di grande educazione, di grande cultura, che aveva studiato a Boston e aveva conseguito un laurea in America. Era di ottima famiglia ed era una persona assolutamente sicura di se apparentemente, perché la sicurezza gliela dava queste sue origini forti, anche economicamente parlando, però forse non aveva questa sicurezza così certa, così acclarata per quello che riguardava la sua vera natura, quella umana, quella che forse lui cercava in qualche modo di soggiogare, di illudere con l’assunzione di sostanze che non ricolmavano queste sue carenze. Conoscere Paolo è stato conoscere un  uomo pieno di vita, una persona gioiosa, sorridente e nessuno di noi avrebbe mai immaginato che sarebbe andata a finire così. L’ho incontrato ultimamente perché abitavamo nello stesso quartiere della Balduina, qui a Roma,  ed era sempre sorridente, ma si vedeva che era un uomo spento che aveva ucciso una parte di sé,  forse perché non è stato capace di reagire a queste sue carenze che erano forse più importanti di quelle che una persona normale avrebbe mai pensato di vivere. Lui non ce l’ha fatta, perché poi alla fine, il fatto di cronaca tragico che l’ha visto protagonista prima della sua morte, sicuramente l’ha segnato in profondità e i suoi tentativi di recupero psico-fisico non sono riusciti. Lui aveva ancora tanto da dare, tanti progetti e tanto entusiasmo. Era un uomo che ricordo sempre con il sorriso e lo voglio ricordare così, perché non ce l’ha fatta e  forse non ha neanche avuto molta fortuna nel trovarsi attorno persone che potessero aiutarlo in qualche modo, nonostante le promesse. Siamo un popolo di finto perbenismo, noi italiani siamo un popolo che condanniamo con molta facilità, ma non perdoniamo con altrettanta facilità. Mi viene da pensare a Mia Martini adesso, perché anche lei, donna di inestimabile valore artistico e di grande sensibilità, aveva addosso una fama che certo non la onorava e non era neanche per altro giustificata. Io sono italiana, ma tante volte non mi riconosco nei valori che portiamo avanti. Anche quello che è successo con le elezioni del Presidente della Repubblica lo testimonia, cioè che non abbiamo il coraggio di guardare oltre, ma ci fermiamo alle apparenze e non abbiamo il coraggio del cambiamento, non abbiamo il coraggio delle novità. Da questo ci distinguiamo parecchio rispetto al popolo americano che invece osa molto. Ti parlo così perché frequento molto l’America, quindi conosco la realtà dell’Italia e anche  dell’America. Le percepisco proprio in maniera netta le differenze perché sono italiana ripeto, sono orgogliosa di essere italiana, ma le mie figlie da quando sono nate frequentano una scuola americana che insegna loro ad avere una testa molto più aperta, un’altra mentalità, un altro tipo di concetto proprio nei confronti della vita.

Quali sono le tue ambizioni? So che ami molto i musical…

Il mio sogno più grande è proprio quello di fare un musical, fra l’altro insegno anche canto e poi perché il canto mi appartiene, perché ho studiato musica e chitarra per tanti anni. Anche la danza mi appartiene perché ho insegnato danza orientale fino a qualche anno fa. Nel campo artistico c’è sempre quella voglia di sapere, di imparare e i maestri più grandi sperimentavano sempre, avevano sempre voglia di saperne di più, di conoscere e questo fa parte anche di me. Io sono una persona molto curiosa, molto attenta alle cose e soprattutto vado nelle profondità quando un argomento mi appassiona. Il musical è la mia ambizione più grande perché mi piacerebbe moltissimo sperimentarlo.

Musical tipo “Mamma mia”?

“Mamma mia” è il sogno della mia vita, gli Abba poi, figurati, sono stati la colonna sonora della mia vita e anche mia mamma li ascoltava sempre. Oltre a “Mamma mia” ce ne sono tantissimi musical e a Roma in cartellone ora c’è “Sette spose per sette fratelli”, che è fantastico. Il musical mi piace molto, ma non solo per quanto riguarda il teatro ma anche il musical in campo cinematografico. In America sono maestri in questo genere e ci danno dei prodotti che sono molto avvincenti, incredibili. Ben fatti, che ti dimentichi perfino di essere lì, dal vivo, a vederli perché ti abbracciano talmente in profondità che non puoi che rimanerne coinvolto.

Se le tue figlie volessero lavorare in campo artistico, che consigli vorresti dare loro?

E’ tanto difficile poter dare consigli a chi ami di più nella tua vita, anche se io sono capace di dare consigli agli altri. Le mie figlie stanno prendendo questa direzione, perché hanno già scelto di fare il liceo artistico, sempre in lingua inglese, perché hanno studiato musical in lingua inglese, che è la loro prima lingua, perché avevano 2 anni quando hanno cominciato le scuole e parlano meglio l’inglese che l’italiano. Quindi questa immagino sia la loro direzione per il futuro, però io non faccio pressioni ma avrei voluto che almeno una figlia seguisse le orme paterne, ma non c’è verso. Il loro papà ha una fondazione qui a Roma sulla ricerca sull’oftalmologia e loro vedono i sacrifici che fa e che  non gli viene riconosciuto, dal punto di vista economico, un adeguato compenso per quello che fa, per il tempo che ci spende. In America potresti fare il medico tranquillamente con grandi soddisfazioni in tutti i sensi. Qui in Italia le soddisfazioni non te le danno.

Difatti c’è la fuga dei cervelli dall’Italia per andare all’estero.

Esatto. Ma sai la fregatura qual è? Che se tu vai all’estero per fare il medico, dopo che ti sei laureato in Italia, non ti permettono di operare, quindi la chirurgia è vietata per tutti coloro che si sono laureati in chirurgia e medicina in Italia.

Quindi cosa bisogna fare per essere operativi?

Dovresti rifare tutto l’ultimo anno di Medicina e poi tutta l ‘intera specializzazione per quello che riguarda la chirurgia, non potresti praticarla nel territorio americano per via dell’assicurazione, perché loro hanno un sistema sanitario molto diverso dal nostro. Però le mie figlie hanno già deciso di iniziare l’attività artistica, hanno cominciato a studiare scuola di musical per diletto quando avevano 6/7 anni, qui a Roma. Però vedo che si sta consolidando sempre di più questa volontà, questa passione. Il consiglio che posso dare a loro, ma anche agli altri, è cercare di inseguire i propri sogni, perché questa è l’unica cosa che colma il cuore e ti rende sereno, quello di vivere assecondando le emozioni e i propri sogni. Le emozioni contano tanto dal punto di vista proprio del sentimento perché possono essere positive e posso essere anche negative. Però quando sono emozioni in cui tu credi fortemente e che diventano anche desideri, allora lì la tenacia e la forza di volontà deve venire fuori, perché magari qualcosa si avvera.

Hai qualche rimpianto?

Ho il rimpianto di non aver vissuto abbastanza mia madre, perché è morta molto presto. Avrei voluto tanto tenerla ancora per mano perché lei per me è stata fondamentale e non posso pensare la mia vita senza di lei, perché ancora oggi mi manca tantissimo. Avere avuto due figlie gemelle, che sono meravigliose, non ha ancora colmato questo vuoto enorme che lei mi ha lasciato. Il rimpianto è di non aver potuto viverla di più, ma so che queste cose seguono dei cicli che non è possibile per noi esseri umani in qualche modo guidare, quindi mi adeguo. Ho interrotto per tanti anni il mio lavoro, perché ho avuto questo grave lutto e ho voluto interrompere il mio percorso artistico per svariati anni. Però il mio più grande rimpianto è quello che ti ho detto, perché dal punto di vista della mia vita, quello che ho fatto, sono grata di averlo fatto. E’ andata così, avrei potuto fare di più se fossi rimasta in America quando ci sono andata a 20 anni per lavorare. Avevo un paio di occasioni  per rimanere lì e non l’ho fatto perché avevo una famiglia molto bella a Roma che mi attirava tantissimo. Non l’ho fatto e non ho rischiato e quindi un mio rimpianto è di non aver avuto sufficiente coraggio nell’affrontare alcune scelte che avrebbero potuto fare la differenza. Però oggi, a conti fatti, con le mie figlie, con la mia famiglia, sono felice che le cose siano andate così, perché mi ritengo una donna molto fortunata. Devo dire grazie a me stessa e alla mia famiglia d’origine.