Sara Lucaroni (giornalista)          Arezzo 17.9.2022

                         Intervista di Gianfranco Gramola

“Sono ossessionata dalle cose non giuste, se c’è un’ingiustizia io sono la prima a partire per cercare di raccontarla, mi ci accanisco e cerco di capire tutti i dettagli di quella storia, di quella vicenda”

 

Contatti www.saralucaroni.com   email  s.lucaroni@gmail.com

Sara Lucaroni, giornalista professionista, laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Firenze, collabora con L’Avvenire e L’Espresso. Ha firmato reportage e inchieste per L’Espresso, Avvenire, Speciale TG1, SkyTG24. Ha lavorato per TG2000 e come inviata per il programma Fuori Onda su La7 e M di Michele Santoro, in onda su Rai 3. Ha ricevuto diversi premi, tra cui nel 2017 “Giornalisti del Mediterraneo– sezione Terrorismo Internazionale”, nel 2018 “Giornalisti del Mediterraneo- sezione Mediterraneo e diritti negati”. La giornalista aretina nel 2021 ha pubblicato “Il buio sotto la divisa. Morti misteriose tra i servitori dello Stato” e nel 2022 “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”.

Intervista

Com’è nata la passione per il giornalismo? Hai giornalisti in famiglia?

Nessuno giornalista in famiglia, diciamo che è sempre stata una mia passione. Io ho sempre detto che avrei fatto la giornalista oppure il magistrato, alla fine ho scelto la giornalista e a ben vedere le due professioni dei punti in comune alla fine ce l’hanno. Mi sono laureata all’università di Firenze, dove ho studiato filosofia, però prima ho preso il tesserino da giornalista. Ho iniziato a scrivere mentre facevo l’università, intorno ai 20 anni. All’inizio mi occupavo di storie, mi piaceva tanto raccontare le storie delle persone e questo mettere al centro le persone me lo sono sempre portato nel cuore e credo che sia anche un po’ la bellezza del tipo di lavoro che sto svolgendo in questo momento, mettere sempre le persone al centro.

I tuoi genitori come hanno preso la tua scelta di fare la giornalista?

Non credo avessero altre idee per me, li ringrazio perché mi hanno sempre lasciata libera di scegliere e di assecondare anche le mie passioni. Per come va, per come è adesso lo scenario dei media, il mondo del giornalismo, non sono troppo contenti. Non lo erano all’epoca e adesso ancora di meno, a parte le soddisfazioni e i momenti belli che condividono con me, anche perché il precariato è forte, gli editori fanno un po’ come vogliono, non abbiamo in Italia editori puri che siano in grado di garantire  l’oggettività e la certezza del lavoro di giornalisti. L’elemento principale è questo,  non si hanno mai certezze, non si sa mai che cosa succederà il giorno dopo. E’ un po’ quello che succede a tutti i freelance. Io sono una giornalista freelance e collaboro con varie testate, in particola modo con L’Espresso e Avvenire ormai da tanti anni. Il mondo del lavoro, nel nostro paese, è uno dei mondi più flagellati, più complicati, più complessi, più controversi, specie sul piano dei diritti.

Le doti di una brava giornalista?

Deve scrivere bene, in maniera semplice, cercando di far capire anche le cose complesse in modo chiaro, con parole semplici. Deve trovare le notizie e, come dice  papa Francesco, deve mettere sempre al centro le persone. Un’altra questione, che secondo me è molto importante, che talvolta si trascura, è andare dalle persone, andare nei luoghi, stare sulla strada. Queste credo che siano le cose principali.

Una tua ossessione professionale?

Io sono ossessionata dalle cose non giuste, se c’è un’ingiustizia io sono la prima a partire per cercare di raccontarla, mi ci accanisco e cerco di capire tutti i dettagli di quella storia, di quella vicenda.

Un esempio?

Ad esempio in questi giorni mi sono occupata del caso “Moby Prince”. Sono ossessionata dalle cose che non sono giuste, dalle ingiustizie e quindi ci metto tutta la mia passione, la mia professionalità al servizio della verità, del cercare il più possibile la verità dei fatti e appunto la giustizia.

Hanno mai censurato un tuo lavoro?

No, io poi cerco sempre di essere corretta, di non puntare il dito gratuitamente o di cercare notizie scandalo e di creare per forza la polemica. Lavoro sempre molto a testa bassa e quello che ho scritto finora è difficilmente contestabile. Quindi cerco di muovermi il più possibile nell’ambito della deontologia della mia professione cercando di evitare qualsiasi tipo di polemica. In fondo l’oggettività e la verità dei fatti non si possono contestare, perché alla fine la verità viene fuori, anche nei casi in cui qualcuno tenti di nascondere il tuo lavoro e cerchi di censurare la tua notizia o il tuo pezzo o l’inchiesta che hai fatto. La verità viene sempre fuori, perché è difficile arginarla. 

Come giornalista sei più amata, invidiata o temuta?

Non lo so, io spero di essere amata soprattutto come persona. Come giornalista se qualcuno magari non mi gradisce, è un problema suo, perché vuol dire che ho scritto qualcosa che non condivideva. A me interessa essere amata come persona, poi giornalisticamente si può essere anche molto antipatici, ma fa parte del nostro lavoro.

Nelle tue inchieste hai toccato temi scottanti, dal sangue infetto alla legalità, ecc … Hai mai ricevuto minacce, querele o hai temuto per la tua incolumità?

Querele si, come ogni buon giornalista, minacce anche, specialmente  da parte dell’estrema destra, quelle a causa di una serie di lavori, di reportage, di inchieste realizzate in Siria qualche anno fa, in cui ho parlato della presenza e dei legami tra il regime siriano e Casa Pound e anche Forza Nuova e devo dire che qualche episodio spiacevole c’è stato. E’ successo anche recentemente a seguito di un post che riguardava un’estremista di destra, un ex terrorista e anche lì ho dovuto passare dalla Digos per una serie di segnalazioni e per accertare quello che è accaduto. Purtroppo succede anche questo, in Italia poi i giornalisti sono spesso oggetto di campagne di delegittimazione, su twitter in modo particolare ma in generale su tutti i social, proprio perché l’obiettivo è quello di delegittimare la professionalità. E’ una delle strategie che si osservano negli ultimi anni. Quando capita ad una donna, gli insulti hanno tutti una stessa direzione, hanno tutti la solita caratteristica. Però è anche vero che mi sono sentita protetta da tanti colleghi, dagli amici, quindi non ho un granché di paura e sono abbastanza tranquilla.

Hai scritto due libri di grande interesse: “Il buio sotto la divisa” e “Sempre lui”. Mi racconti brevemente com’è nata l’idea dei due libri e di cosa parlerà il tuo prossimo libro?

“Sempre lui” è un libro estremamente attuale, è l’ultimo che ho scritto e cerca di spiegare perché il nostro paese è così ancorato al passato, un passato ben preciso, quello del ventennio ed è così legato ancora alla figura di Mussolini. Quindi rispondo a questo quesito: “Perché Mussolini è così mainstream”, dove Mussolini è il simbolo di un’epoca, il simbolo del carattere degli italiani, il simbolo di un ventennio terrificante, il simbolo dell’amore degli italiani per l’uomo forte, la disaffezione per la politica. E’ un viaggio tra social, storia, linguaggio dei politici, la guerra della memoria e il carattere appunto degli italiani per cercare di dare una spiegazione a questo fenomeno, un fenomeno che stiamo osservando anche in questa tornata elettorale. “Il buio oltre la divisa”, con il sottotitolo “Morti misteriose tra i servitori dello stato” è un libro piccolo ma molto speciale e anche molto fortunato. Qualche giorno fa ha vinto un altro premio internazionale di cui vado fiera all’Internazional world arts festival. E’ un libro che racconta sei storie di uomini che appartengono alle varie forze dell’ordine (polizia, arma dei carabinieri, guardia di finanza, polizia giudiziaria, polizia municipale). Sono sei storie di uomini in divisa, degli eroi che hanno scelto di non farcela, quindi si sono tolti la vita. E’ un libro dedicato al fenomeno dei suicidi in divisa, sono più di 50 in quest’anno ed è una tendenza che purtroppo non si riesce a spezzare, a rompere e talvolta a capire. Lo Stato non ne parla volentieri, invece ci sono questioni su cui dovrebbe intervenire. Quindi è la prima inchiesta, che è anche un po’ narrativa, su questo fenomeno. Di questi si leggono dei trafiletti nella cronaca e poi il giorno dopo diventano solo dei numeri di statistica. Anche quello è un libro che mette al centro le persone e in questo caso delle persone che indossano una divisa. Il prossimo libro ancora non lo so, è un mistero, ci sono molte idee ma non ne parlo per scaramanzia.  

Sei la compagna di Andrea Scanzi, un giornalista che stimo molto per la sua preparazione e competenza. Vi confrontare, vi consigliate mai sui vostri rispettivi lavori oppure ognuno segue la propria vita professionale?

Seguiamo la nostra vita professionale, anche perché ci occupiamo di ambiti un po’ diversi, però ci confrontiamo, ci consultiamo e soprattutto c’è grandissima stima reciproca. Io sono una fan di Andrea e Andrea è un fan mio. Quindi c’è un sostegno assolutamente totale ed è la parte bella di fare la stessa professione. 

Nel tuo lavoro, oltre al talento e la bravura, che ruolo ha l’istinto?

Io l’istinto a volte non lo seguo sbagliando, ma sto imparando.  L’istinto è fondamentale, anzi consiglio a tutti di seguirlo perché è la nostra vocina interiore che ci dice e ci anticipa i fatti, le sensazioni e spesso quello che è giusto.

Hai realizzato dei reportage sulla realtà dell’Iraq e della Siria. Che ricordi hai di quell’esperienza e c’è stato un episodio che ti ha colpito molto?

Il mio è un legame fortissimo con l’Iraq e la Siria, anche perché ho iniziato ad occuparmene proprio concretamente e materialmente, ovvero recandomi sul posto per questo reportage, in un periodo che era anche molto complicato della mia vita, un  periodo di grande cambiamento. Ti racconto questo episodio che ha aperto quel filone della mia vita, della mia carriera professionale. Avevo lavorato per qualche anno in una nota TV nazionale e c’erano stati dei cambiamenti ai vertici, hanno cambiato i dirigenti e non mi hanno rinnovato il contratto, quindi io e alcuni colleghi siamo rimasti senza lavoro. In quel periodo stavo collaborando in maniera saltuaria con un quotidiano nazionale. Un giorno ricevo una telefonata che poi ho scoperto che arrivava dalle montagne del Sinjar. Lì per lì non sapevo neanche se rispondere a quel numero di telefono che era un numero che non conoscevo, un numero strano,  internazionale. Rispondo e dall’altra parte del telefono c’era uno degli yazidi, gli yazidi sono una minoranza curdofona che vive al confine tra l’Iraq, la Siria e la Turchia, che si erano rifugiati sulle montagne. Era la popolazione oggetto del genocidio compiuto dall’isis. Siamo nel 2014 ed era la fine dell’estate. Ho risposto alla telefonata di questo combattente che era un ragazzo più o meno della mia età, che cercava le scarpe per i bambini e chiedeva aiuto all’Italia. Da lì in avanti ho iniziato una corrispondenza grazie al quotidiano “Avvenire”, di quello che accadeva in presa diretta, in quel territorio e soprattutto a quella minoranza. Appena ci sono state le condizioni di sicurezza adeguate, sono riuscita a partire. In quel momento ero l’unica giornalista europea in quella zona e ho potuto documentare, ho potuto vivere  quello che hanno visto e vissuto nei mesi successivi all’attacco dell’isis, queste donne, questi bambini, questa popolazione. Da lì sono tornata più o meno tutti gli anni in quel territorio, salvo la parentesi della pandemia, occupandomi di quello che stava succedendo, se stava migliorando o peggiorando la vita di queste persone. Chiaramente esperienze di quel tipo ti cambiano profondamente. Io ti confesso che non mi considero una giornalista di esteri, perché mi occupo essenzialmente di inchieste, ma negli ultimi anni anche di quel specifico territorio che è appunto l’Iraq e la Siria. Non sono andata in Ucraina, non sono stata in Libano quando c’è stata l’esplosione al porto. Non ho seguito i fronti caldi ma mi sono specializzata su un territorio e alcune questioni e seguo costantemente quello ormai da anni. Però sono molto legata sia a quelle persone che a quel territorio e alla loro storia. Quando torni, quando realizzi quanto sia grande il mondo, quanto sia complesso il mondo, ti rendi conto quanto siano importanti anche quelli che sono i valori della tua vita, ma anche i valori della vita di tutti e sono le persone a cui vuoi bene, alla famiglia, agli amici, al tuo partner. Insomma ancora una volta ci sono le persone al centro.

Quali sono le tue ambizioni, i tuoi progetti?

Spero di fare un nuovo libro, spero di realizzare bei lavori, belle inchieste, di occuparmi del mio paese, di poter tornare presto in Iraq e in Siria e spero che il mio lavoro in qualche modo si stabilizzi. Si è imprenditori di se stessi e quindi spero di continuare a farlo nel migliore dei modi. Spero di avere sempre questa volontà, questo coraggio e soprattutto questa grande passione.

Un paio di consigli ai giovani che vogliono diventare giornalisti?

Consiglio di studiare, di specializzarsi su un argomento e diventare i massimi esperti di quell’argomento lì e soprattutto non smettere mai di studiare e documentarsi, perché niente può essere lasciato al caso, specialmente se si vuole lavorare all’estero. Quindi studiare e diventare esperti  di ciò di cui si è appassionati. Quello è fondamentale perché fa veramente la differenza. Quello del giornalismo è un mondo in cui c’è tanta concorrenza e ci sono anche tanti personaggi improvvisati che spesso sono innamorati dell’idea del giornalismo, che è un’idea spesso romantica e totalmente avulsa dalla realtà. Quindi bisogna essere veramente capaci non solo di fare tutto, quindi di saper scrivere, di riprendere e all’occorrenza fare foto, quindi essere veramente multitasking e di essere molto veloci, ma bisogna essere soprattutto estremamente competenti.