Teo Teocoli (cantante, imitatore e attore)           Milano 28.9.2022

                              Intervista di Gianfranco Gramola

E’ uscito il nuovo libro di Teo Teocoli “El piede de Dios”, scritto a quattro mani con la giornalista Gabriella Mancini. La vera storia di Brigitte Lampion, calciatore e gentiluomo. Un libro divertente e spassoso.

   

Teo Teocoli nasce a Taranto il 25 febbraio del 1945. Da ragazzo sogna di diventare un cantante rock’n’roll, e si unisce a diversi gruppi, fino a quando, nel 1967, incontra Adriano Celentano, e forma i “Teo e le vittime”, con cui riesce a incidere alcuni suoi pezzi. Con la collaborazione di alcuni artisti tra cui Adriano Celentano, incide “Le vitamine”, una delle poche canzoni che ha avuto successo. Nel 1969 inizia ad avvicinarsi al mondo della recitazione, partecipando al musical “Hair”, con Renato Zero, Loredana Berté e Ronnie Jones. E’ in questo modo che l’artista scopre la sua vera vocazione e passione: essere un comico. Inizia a lavorare nei cabaret milanesi, insieme ad altri comici come Massimo Boldi e Renato Pozzetto, e partecipa al film “Paolo e Francesca”. Esordisce anche in televisione, nel 1973, nel “Il poeta e il contadino” con Cochi e Renato. La fama vera e propria arriva con Massimo Boldi nel programma “Non lo sapessi ma lo so” del 1982. Partecipa anche a “Drive In” e a “Una rotonda sul mare” e, nel 1989, nasce uno dei suoi primi personaggi, Peo Pericoli, un tifoso sfegatato del Milan (squadra tifata da Teo Teocoli). Negli anni ’90 Teo Teocoli vive l’apice del suo successo, partecipa con Gene Gnocchi a “Il gioco dei 9”, e recita nella sit-com “Vicini di casa”. L’anno successivo conduce “Striscia la Notizia” e “Scherzi a Parte”, e dal 1992 fino al 1995 presenta “Mai Dire Gol”. Nel 1997 passa in RAI e conduce un varietà, “Faccia Tosta”. Ma è a “Quelli che il calcio”, con Fabio Fazio, che Teo Teocoli crea le sue imitazioni più divertenti, come quella di Cesare Maldini e di Peppino Prisco. Nel 1999 conduce “Sanremo Notte” e partecipa al programma di Adriano Celentano “Francamente me ne infischio”. Nel 2000 infine conduce, con Fabio Fazio e Luciano Pavarotti, il “50º Festival di Sanremo”. L’artista ormai compare in molti programmi, sia RAI che Mediaset, presenta due edizioni di “Scherzi a parte” con Massimo Boldi, conduce lo spettacolo “Il Teo – Sono tornato normale” con Alba Parietti, e con Roberta Capua lo show “Sei un mito!”; mentre in RAI partecipa a “Che tempo che fa”, a “Rockpolitik” e alla “Domenica Sportiva”. Nel 2008 ritenta la sua carriera di cantante presentando al Festival di Sanremo e continua la sua partecipazione in teatro con la tournée “Teo Teocoli show – Non ero previsto in palinsesto”. Nel 2014 partecipa al programma “Ballando con le stelle”, ma è costretto a ritirarsi per problemi fisici. Nel 2015 torna in tv con il programma “Teo in the box” e negli ultimi anni si è dedicato al teatro.

Intervista

E’ uscito il libro “El piede de Dios”, che hai scritto insieme alla giornalista Gabriella Mancini. Com’è nata l’idea di questa opera e cos’ha di speciale questo Brigitte Lampion?

L’idea è stata una carrellata di situazioni che ho vissuto nella mia vita spagnola e ho voluto ripercorrere fatti del passato giocando un po’ con la fantasia e romanzandoli un po’. La storia nasce da un ragazzo che ho conosciuto a Cadaques e che a 17 anni era alto più di 2 metri. Un fenomeno e da lì mi è venuto in mente questo nome, facendolo partire da un paese spagnolo, dove vanno i credenti in pellegrinaggio al santuario di Talavera de la Reina. Una famiglia normale, povera, il nome Brigitte perché i genitori volevano una femmina e hanno deciso di chiamarlo Brigitte come la grande Brigitte Bardot e anche perché suonava bene. Lui aveva questa voglia di fare il calciatore e parte per questa avventura e da lì comincia quella che mi viene meglio nel mio lavoro, cioè la satira sportiva. Quindi c’è “Mai dire goal” , “Quelli che il calcio”,  “Emilio”,  “Che tempo che fa”, tutti programmi di grande successo che adesso purtroppo non fanno più. Peccato per il telespettatore perché noi saremo ancora in grado di far ridere molto. Però va bene così, vi farò ridere in teatro.

Quali sono le tue ambizioni, i tuoi progetti?

Sono 20 anni che faccio teatro, ogni tanto vado a lavorare in televisione da qualche amico o amica, tipo Mara Venier, però è molto difficile perché non c’è organizzazione con gli autori, perché vado lì e dico loro: “Che facciamo?”. E loro: “Fa quello che vuoi, improvvisa”. Quindi improvviso e a volte va bene a volte meno bene, però in linea di massima va bene, poi con questi chiari di luna bisogna cercare di guadagnare, di portare a casa il pane. Qui tra la guerra, il covid, il gas razionato, la corrente elettrica alle stelle e un teatro che deve aprire, tra il palcoscenico, la  biglietteria, le luci in sala, l’insegna fuori, il personale, spende un sacco di soldi ancora prima di iniziare lo spettacolo. E’ abbastanza dura per noi artisti.

Tu hai iniziato la carriera come cantante. Com’è nata questa passione?

Prima di tutto perché cantavo bene, da piccolo mi facevano cantare a scuola, all’aperto e più avanti qui a Milano mi facevano cantare le canzoni napoletane perché io le sapevo tutte, anche perché mio padre era un fan di Sergio Bruni e altri cantanti di allora. Poi c’è stata la storia di Celentano che ho incontrato la prima volta al mare, a Reggio Calabria. La gente mi diceva: “Ma lo sai che assomigli molto a quello che è sempre in televisione? Sei un po’ Celentano e un po’ Jerry Lewis”. Quando ero giovane Adriano Celentano ha fatto si che mi dedicassi alla musica, ma io sono stato anche un bravo talent scout, perché ho fatto nascere i Camaleonti, ho fatto nascere la PFM e artisti come Mario Lavezzi. Questo perché a Milano organizzavo dei gruppi che suonavano nelle cantine e poi facevano anche delle serate negli oratori. Ricordi i Camaleonti, mentre eravamo ancora quattro sbarbati a scuola, arrivò Livio Macchia, il chitarrista e io gli ho detto: “Vieni a suonare con noi”. Poi lui ha portato con se un batterista e io nel frattempo me ne sono andato e così sono nati i Camaleonti. La PFM è a tutti gli effetti l’evoluzione musicale del gruppo “Quelli” che aveva già dei successi come “La bambolina che fa no, no, no” e “Per vivere insieme” e poi sono diventati la PFM. Il mio merito è stato quello di averli fatto cambiare genere musicale, perché loro facevano musica country e io, che a quei tempi avevo una fidanzata a Parigi, portai dalla Francia al gruppo una serie di dischi  di rhythm and blues di Wilson Oickett, Otis Redding, Ray Charles e cose del genere. Loro ascoltarono, e siccome li piaceva questa musica cambiarono genere e poi sono diventati la PFM. Io li ho lasciati perché non stavo al loro passo, perché diventarono sempre più famosi e io ero sempre più dietro alle ragazze (risata).

I tuoi genitori come hanno preso la tua scelta di lavorare nello spettacolo?

Devo dire che i miei genitori erano due brave persone ma purtroppo erano abbastanza ignoranti. Mia madre faceva la sartina a Milano e mio padre cambiava spesso lavoro, trafficava, ma era sempre in difficoltà, quindi io sono cresciuto da solo e non mi hanno detto o consigliato niente. Si sono conosciuti giovanissimi, mio padre era in marina e mia madre veniva da una famiglia di giostrai e come dicevo prima cuciva in sartoria, quindi di Milano non sapevano niente. Io ho fatto la mia strada, così, a naso, senza sapere dove sbattere e sono cresciuto da solo e difatti nel libro racconto molto delle mie vicissitudini, delle mie conoscenze, del mio modo di essere cambiato nel tempo, arrivando a conoscere persone famosissime in tutto il mondo. Ma lì c’era di mezzo la mia fisicità e anche la mia facilità nelle battute, nell’umorismo, nel fare il pirla. Ero bravissimo e quindi ho conquistato determinate persone che in altro modo erano inaccessibili.

Hai lavorato con tantissimi artisti. Un tuo ricordo di Enzo Jannacci e Giorgio Faletti.

Mi ha  fatto piacere che Enzo in un’intervista abbia detto che uno dei suoi più grandi amici ero io. In effetti era vero, a parte che insisteva a dire che gli avevo rubato la Vespa, ma questo non era vero. Lui aveva dei catorci in giro che non ci potevi neanche andarci sopra. Un giorno mi ha prestato la sua Vespa, ricordo che ero in via Montenapoleone, a Milano,  ed era talmente scassata e arrugginita, che l’ho lasciata lì, proprio davanti al negozio di Cartier. Gliel’ho detto ma lui insisteva a dire che gliel’ho rubata. Invece di Giorgio Faletti ho un ricordo indelebile, perché eravamo molto amici, quelle amicizie sane dove ci si dicono in faccia le cose. Lui veniva a vedermi a teatro insieme alla moglie e poi si è messo a scrivere libri di grande successo. Ricordo che c’è stato un periodo che non lo sentivo, lo chiamai e lui mi rispose, era in America e allora visto che aveva un successo strepitoso con i suoi libri, gli ho fatto una battuta: “Non è che stai comprando la Disney? Con questo exploit pazzesco dei tuoi libri, magari ci fai un film”. “No, stai tranquillo – mi rispose – la settimana prossima sono in Italia, ci vediamo”. Poi ho saputo che era a Los Angeles per una serie di cure. Tornato in Italia non l’ho più sentito, è morto nel luglio 2014. Era malato e non lo sapevo.

La recitazione per te è più istinto o mestiere?

E’ tutto istinto, poi è anche un po’ recitazione. Io racconto delle storie e poi le colorisco un po’ alla mia maniera, giusto per renderle più spiritose possibili, però sono tutte esperienze di vita mia o di altre persone che ho conosciuto.

Hai fatto cinema, teatro e televisione. In quali di questi ambienti ti senti più a tuo agio?

A teatro do il meglio, però c’è stato un periodo  negli anni ’90 che non potevo fare una cosa che diventava virale. Ho imitato tanti di quei personaggi e dove andavo, spaccavo. Ho partecipato agli show di Adriano Celentano, di Fiorello, di Gianni Morandi, di Vincenzo Salemme, di Gigi Proietti, di Arbore e facevo sempre l’ospite d’onore e sono trasmissioni che sono andate tutte benissimo. Poi ad un certo momento ho incontrato un signore che si chiamava Pietro Garinei. Io nel ’69 feci la commedia musicale “Hair” al Sistina di Roma, con Carlo De Mejo, Renato Zero, Loredana Bertè, Glen White e Ronnie Jones. Lo feci per sei mesi e poi altri sei mesi in tournée e non sono più tornato al Sistina di Roma. Mentre stavo facendo uno spettacolo in una piazza con Serena Dandini, tra il pubblico c’era Garinei che dopo lo spettacolo, è venuto da me e mi ha detto: “A Teocoli, so’ 30 anni che te sto ad aspettà. Nun sei più venuto ar Sistina. Tu devi venì a lavorà ar Sistina”. Io gli ho risposto: “Al Sistina? Io solo a pensarci me la faccio sotto”. “Vieni a trovarmi” mi disse Pietro Garinei. Il giorno dopo sono andato al Sistina, abbiamo fatto il giro del teatro e poi mi fece vedere il camerino dicendomi: “Questo sarà il tuo camerino, che era quello di Marcello Mastroianni e di altri grandi attori, nun te lo dimenticare. Poi fai quello che vuoi. Il Sistina è aperto a tutti gli artisti”. Ho cominciato a lavorare al Sistina ed è finito con 12 date con il tutto esaurito. E poi sono tornato al Sistina per ben quattro volte e adesso che Garinei non c’è più, credo che abbiano cambiato un po’ tutto, fanno un po’ di roba in romanesco e gli one man show non li fanno più.

Parlando di imitazioni, c’è stato qualcuno che hai imitato che ti ha mandato a quel paese?  

Si, Cesare Maldini che mi ha detto: “Vaffanculo Teocoli (lo dice facendo l’imitazione), mi hai rotto queste due paia di balle”. “Come due paia, un paio solo semmai” dissi io. “Si – disse lui – mi hai fatto due paia di balle così con la tua imitazione. Hai fatto ridere tutti, anche mio figlio Paoooolino”.

L’imitazione che ti è riuscita meglio?

Credo sia quella di Galliani. E’ troppo godibile farlo mentre esulta allo stadio, con i suoi tic. Lo facevo sempre e a “Quelli che il calcio”, quando giocava il Milan, era un personaggio fisso. Quando esultava lui, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, esultavo anch’io. E lui era talmente una brava persona nella vita, che si divertiva vedendo la mia imitazione e grazie a me è diventato famosissimo. Prima non lo conosceva nessuno. Galliani è un grande personaggio in seno al calcio. L’altra imitazione che ho fatto di lui, era insieme a Sacchi, da Fabio Fazio e faceva molto ridere. Abbiamo parlato della storia di Berlusconi quando ha detto ai suoi giocatori: “Per un mese niente sesso, nessuno farà sesso per un mese”. Fazio, rivolgendosi a me ha detto: “Lei Galliani, cosa ne pensa?”. E io, imitando Galliani: “Io penso solo che vedere i giocatori con le gambe aperte non è molto bello”. (risata)

Secondo te far ridere è un lavoro o una missione?

Nessuna delle due, è nella natura dell’artista. Io per esempio non riesco a fare una frase compiuta se non dico tre o quattro battute, anche se negli ultimi tempi mi sto calmando un po’ a dire la verità. Parlavo ieri con Gino e Michele per una mia partecipazione a Zelig, come ho fatto l’anno scorso che andò benissimo e dove ho fatto Caccamo per 15 minuti e il pubblico si divertì moltissimo. Stavo parlando con loro due e mi hanno detto che mi vogliono a Zelig appena Claudio Bisio è libero da impegni e poi ci mettiamo d’accordo sul pezzo, un qualcosa di originale, e sulle uscite nello spettacolo. Come sempre nei miei pezzi, per far ridere, improvviserò molto.

Cos’hai sacrificato per arrivare al successo?

Ho sacrificato quello che nello spettacolo mi piace di più, il cinema. Essendo pigro,  autodidatta, con poca memoria e con altri mille difetti, per fare cinema bisogna essere preparati. A me piaceva vivere di notte, non me ne fregava un c…o di alzarmi alle 6 di mattina per girare una scena, anche se ho fatto alcuni film molto carini. Due con Steno, uno con Samperi, poi sono entrato nei film commedia tipo “Spaghetti a mezzanotte” e “Abbronzatissimi” che era un filmetto, ma quando lo rivedo mi fa ridere molto e mi piace anche perché mi ricorda Mauro Di Francesco, questo artista un po’ meno conosciuto, ma un bravo ragazzo. Nel film lo picchiavo sempre per via della statura, ma lui si incazzava davvero.  (risata)

Hai dei rimpianti?

Si, non aver imparato a suonare uno strumento, perché a me piace molto cantare. Franco Mussida mi obbligò ad andare al suo centro della musica a prendere delle lezioni di chitarra. Avevo cominciato, poi ho bigiato e non sono più andato. Mussida è ancora incazzato con me. Se canto da solo, sembro un matto, mentre se canto accompagnandomi con la chitarra, è diverso.

Un domani, come vorresti essere ricordato?

Quando sono morto dici? (risatina). Io devo dire la verità, siccome non posso sapere, ne vedere se la piazza davanti alla chiesa è piena o no e questo mi dispiace, spero che vengano gli angeli e mi dicano: “A Teo, per la tua dipartita si è riempita la piazza. Devi esserci”. Io ci sarò e lo farò in silenzio, senza far battute ma speriamo il più tardi possibile (risata). Ma perché parlare di morte, Gianfranco?

Parlare di morte, allunga la vita, Teo.

Dici che allunga la vita? Ma fra un po’ ho ottanta anni, Gianfranco.

Hai ancora molto tempo per farci ridere Teo.

Spero, anche perché sono più spiritoso adesso che una volta. Il problema è che ci sono meno possibilità di stare in televisione al giorno d’oggi. Recentemente vedo in TV dei programmi veramente indecenti, molto brutti. Anche se ci sono degli artisti che potrebbero fare meglio, si adagiano sul brutto, a fare casino, urlano, si picchiano. Ho visto ieri sera il programma “Tutto può succedere” ed è una cosa pazzesca. C’era “Il Grande Fratello Vip” che è una cosa bestiale. Non sono paragonabili ai programmi degli anni ’60-’70-’80, dove c’erano anche le TV private e c’era un fermento artistico della madonna. C’erano i Gufi, Cochi e Renato, Gianfranco D’Angelo e Ezio Greggio con il Drive In, Giorgio Faletti, Gino Bramieri, Enrico Beruschi e molti altri artisti. Che bei tempi.