Roberto Vecchioni  (cantautore)    Barcuzzi (Brescia) 18.8.2003

                     Intervista di Gianfranco Gramola  

Un professore - cantante che mette in musica i ricordi

 

Roberto Vecchioni è nato a Carate Brianza (Mi) il 25 maggio 1943, da genitori napoletani. La sua carriera è lunghissima, piena di dischi, di premi, di risultati consistenti, ma segnata anche da incomprensioni e difficoltà. Comincia negli anni Sessanta quando studia all'università, si esibisce nei cabaret, e intanto scrive versi per la Zanicchi, la Vanoni, la Cinquetti e i Nuovi Angeli. La frequentazione con la "canzonetta" non gli impedisce di laurearsi alla Cattolica di Milano e di dedicarsi all’insegnamento nei licei classici. La pubblicazione del suo primo album da cantautore, "Parabola" è del 1971, ma passa inosservato, come il secondo, "Saldi di fine stagione", che pubblica l’anno dopo. Nel 1973 si convince a tentare il tutto per tutto. Si presenta al Festival di Sanremo con "L’uomo che si gioca il cielo a dadi" e si piazza ottavo, ma il pubblico comincia ad apprezzarlo. Nel 1974 realizza "Il re non si diverte", album che incuriosisce soprattutto gli addetti ai lavori. Comincia in questo periodo la frequentazione del prestigioso Premio Tenco, di cui diventa "supporter fisso". Nel 1975 incide l’album "Ipertensione". L’anno dopo è la volta di "Elisir", dove i riferimenti culturali "A.R." e "Velasquez", lasciano spazio al dialogo con i colleghi ("Canzone per Francesco", dedicata a Guccini). Il primo grande successo arriva nel 1977 con "Samarcanda". L’album, come la canzone che gli dà il titolo, è una metafora poetica del destino dell’uomo. Intanto affina anche gli aspetti musicali, circondandosi di musicisti prestigiosi come Lucio Fabbri, Mauro Paoluzzi e Walter Calloni. Nel 1978 pubblica "Calabuig, Stranamore e altri incidenti", pieno di metafore letterarie, ma l’anno dopo, con l’album "Robinson", riprendono corpo nelle sue canzoni soprattutto gli aspetti autobiografici: due infelici vicende giudiziarie (l’accusa di aver offerto uno "spinello" a un ragazzo durante un concerto, risultata poi infondata, e la causa con la vecchia casa discografica) sono riecheggiate in "Signor giudice" e "Lettera da Marsala". Nel 1980 in effetti la vertenza discografica si risolve, ma con un curioso éscamotage: il nuovo disco, "Montecristo" (un ottimo album, con partecipazioni estemporanee di Dalla, Venditti e Finardi), viene pubblicato dalle due etichette insieme. Nel 1982 è la volta dell’album "Hollywood Hollywood", dove la metafora della vita è incentrata più sul cinema che sulla letteratura. Nel 1985 pubblica un doppio album, "Il grande sogno", un progetto che si completa con un libro di poesie, racconti e testi di canzoni e un video girato dallo stesso Vecchioni negli Stati Uniti. Nel 1985, pubblica "Bei tempi" e nel 1986 "Ippopotami", che porta in tour con un’orchestra swing. Per ritrovare il grande successo dobbiamo arrivare al 1989, anno di "Milady", che è una confessione "spudorata" dei suoi sentimenti più segreti. Successivamente incide: nel 1991 "Per amore mio"; nel 1992 "Camper", con il quale vince il Festivalbar; "Blumùn" nel 1993; "Il cielo capovolto" nel 1995; e "Studio Collection" nel 1998. Nel campo letterario, oltre a "Il grande sogno", ha pubblicato nel 1996, la raccolta di racconti "Viaggi del tempo immobile.

Ha detto:

- Il pezzo “Figlio, figlio, figlio” è dedicato ai miei quattro ragazzi, ma non solo a loro. A tutti quei genitori e a quei figli che credono nel dialogo, pur sapendo che è sempre più difficile cercarlo.

- Ho scritto canzoni d’amore in tanti modi: esprimendo dolore, rabbia, distacco, incapacità di capirsi tra uomo e donna. In “Canzoni e cicogne” ho cercato di spiegare che l’amore è spesso un alibi per il proprio egoismo.

- Una canzone deve creare curiosità, essere decifrata da chi l’ascolta. Io non dico mai tutto, racconto fino ad un certo punto, perché l’emozione poetica va tradotta e interpretata da chi ascolta.

- Io sono lento e la Tv è veloce, è il regno del disordine, della disarmonia e dell’usa e getta.

- Al mio funerale vorrei che suonassero “Obladì Obladà” dei Beatles e “E’ morto un bischero”.

Curiosità

- Tifoso dell’Inter, è tra i soci fondatori del prestigioso Club Tenco.

- Possiede una casa a Watamu, in Kenya, a sud di Malindi.

- Ha quattro figli: Francesca nata dal primo matrimonio con Irene Bezzi e Carolina, Arrigo ed Edoardo, nati dalle nozze con l’attuale compagna, Daria Colombo.

- Detesta l’ipocrisia, l’ignoranza, la prepotenza e soprattutto lo scaricare le colpe sempre sugli altri. Il suo motto è:"Niente che sia umano mi è estraneo".

- Nella sua carriera ha inciso più di 20 album.

- La sua e-mail è info@vecchioni.it 

Intervista

E’ nella sua di Barcuzzi, una frazione di Lonato, in provincia di Brescia, che si sta riposando, insieme alla sua famiglia.

Roberto Vecchioni? Posso darle del tu?

Ma certamente. Dimmi tutto che ti rispondo.

Allora parliamo un po’ di Roma. Quando ci sei stato nella capitale la prima volta e come ricordi l’impatto?

Mi ricordo di Roma come di una delle cose più grandi della mia vita, perché non avevo mai visto tanti spazi larghi, ero bambino e avevo 6-7 anni e mia madre e mio padre mi avevano portato in gita a Roma. Mi sembra che era il ‘49ed eravamo andati a vedere il Colosseo, San Pietro e tutti monumenti più famosi. A me sembrava di essere nel paese dei giocattoli, perché non avevo mai visto una città così bella, così piena di cose diverse, perché avevo sempre visto città di “case” e invece Roma era una città in cui c’erano tante cose diverse dalle “case”, c’erano teatri, tanti giardini, monumenti antichi e me ne sono innamorato subito.

Attualmente com’è il tuo rapporto con Roma?

Grandioso! Ti dico che ogni volta che devo partire per Roma, per fare un concerto mi passano le tristezze, i pensieri e i problemi, perché vivo la città con grande serenità. Sento che il tempo a Roma è calcolato a  misura più interna, più spirituale. Ci sto molto bene a Roma.

Un angolo a cui sei affezionato?

Ce ne sono parecchi, caro Gianfranco. Il centro, ad esempio, è meraviglioso. Amo villa Borghese ma anche Trastevere che, forse, è la zona di Roma che adoro di più, perché è un villaggio globale. All’interno è come se fosse quasi indipendente, una specie di porzione di piccolo Brasile, di piccola follia e fantasia cittadina, tutto ristretto in un piccolissimo spazio. E poi perché c’è vita, si vive sempre, a qualsiasi ora di giorno che di notte, si ride, si scherza, si gioca e naturalmente si fanno anche cose più serie (risata). Il bello è che quando la sera si può fare tardi, non ci si accorge delle ore che passano, tanto è bello e assicurato il divertimento. Però, devo dire, che le parti di Roma a cui sono veramente affezionato, sono quelle che mi ricordano il 600 – 700 romano, perché rivedo con la mente chi poteva esserci lì, alle guerre pre-papaline, ai primi rivoluzionari e poi a tante cose di quel tipo che, per esempio, nei film di Gigi Magni vengono descritti molto bene.

Hai un aneddoto che riguarda te e Roma?

Devo dire che precisi aneddoti non ne ho. Fammi pensare se c’è qualche fatto curioso. Si! Beh, quando ho iniziato a capire come erano fatti i romani, agli inizi della mia carriera, cioè che bisognava entrare nella loro mentalità e mai costringerli ad entrare nella tua. Il fatto: quando una delle prime volte, agli inizi, che andai a Roma per lavorare per la televisione, mi dovevo presentare a colloquio con il regista di cui non ricordo più nemmeno il nome, in un Caffè di Roma, verso le 2 di pomeriggio e aspettai fino alle 5 e lui non arrivava più. Allora io andai a casa sua e lo trovai bello, spaparanzato sul divano e mi disse: "Ma il colloquio era per domani". “No! – gli dissi – era per oggi”. E lui: "Ah! Beh, non fa niente, è la stessa cosa, ci vediamo domani!". (risata). Capì allora che bisognava stare ai tempi, ai modi, ai passaggi dei romani, che poi non sono tutti così. Non bisogna fare di tutta un’erba, un fascio. Poi un’altra cosa che adoro dei romani è il dialetto. Come diceva Alberto Sordi, che prima di morire scrisse un bellissimo articolo sul Messaggero, il romano non è un dialetto, ma è l’italiano storpiato. I romani, siccome sono notoriamente degli sfaticati, cioè non vogliono opprimersi di fatica, hanno semplificato l’italiano e quindi hanno tolto tutti i finali, hanno raddoppiato le consonanti, per poterle strascicare e quindi c’era questo bellissimo articolo di Sordi che era verissimo, perché per i romani è l’esatto specchio del loro modo di essere interno. Cioè questa ambiguità, questa tranquillità e questa lentezza nell’esprimersi. E questo a me piace molto. Poi è un dialetto che chiunque può capire. Molte volte ho avuto a che fare con questo modo di esprimersi romano e a volte con incomprensioni, però quando ho cominciato a capire è andato tutto benissimo.  

Cosa ti da fastidio di Roma, Roberto?

Non è che ci siano tante cose che mi danno fastidio di Roma. A parte il traffico, forse l’unica cosa che mi da fastidio è che i romani non guardano molto fuori da Roma, cioè per loro esiste solo la realtà di Roma. Roma è tutto e il resto è sempre qualcosa da considerare di meno. Credono che al nord siano odiati, ma non è vero, perché al nord  non tutti sono leghisti, però nella mentalità romana, al nord sono tutti padani. Non è così, ce ne saranno un terzo o un quarto. Ma generalmente il romano vive bene a Roma. Io ho notato questo, stando a Milano, che tutti quelli che emigrano dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Campania, riescono ad entrare nella mentalità di Milano e di mantenere la loro cultura, perché Milano l’hanno fatta i meridionali, sia chiaro. I romani, no. I romani a Milano non si ambientano e questo in nessuna altra città italiana, perché Roma è unica e loro possono vivere bene solo a Roma.

Qual è stata la tua più grande soddisfazione artistica?

Ce ne sono talmente tante, Gianfranco. Probabilmente il premio Tenco, il premio ai 25 anni di carriera nella canzone d’autore e quando tutti i cantanti, dalla Vanoni a Paolo Rossi e tanti altri, hanno cantato le mie canzoni a Sanremo, quello è stato un momento bellissimo della mia vita. Però altrettanto belli sono stati i momenti non di carriera, ma di esistenza, cioè quando sono nati i miei figli. Momenti particolari. Ma se tu vuoi riferirti esclusivamente alla mia carriera non ho mai pensato ai primi posti nella classifica o ai guadagni. Certo mi stava bene quando andavo in alto, ma le soddisfazioni più belle sono state le dimostrazioni di stima, per esempio, del Papa stesso o di politici come D’Alema, Bertinotti, ecc… gente che mi stima, mi ama e mi vuole bene.

Com’è nata la passione per la musica. E’ una cosa di famiglia?

No! E’ mia. Queste passioni nascono per tanti motivi. Uno dei motivi fondamentali è che nascono dalla timidezza. Se da piccolo sei insicuro, hai dei problemi e vuoi in qualche modo esprimerti e pensi che gli altri non ti capiscano e tu in qualche modo vuoi far capire chi sei, allora tenti di diventare un’artista e ti sfoghi nella musica, nella poesia, nella letteratura, ecc… Ti sfoghi perché è la tua seconda voce, è quella che pensi possa essere ascoltata di più, visto che non ti ascoltano quando parli.

La cosa più cattiva che hanno detto o scritto su di te?

C’è stata una pagina intera del Giornale che ha buttato fango sulla mia persona, soltanto 7-8 mesi fa. Siccome in quel periodo lavoravo nei “girotondi” di Nanni Moretti, il Giornale per  denigrare la mia persona a Milano, ha scritto una pagina intera di cose selvagge, cioè prendendomi in giro come musicista, sventolando che io non ero un buon insegnante, non ero un buon professionista e spesso mancavo dal lavoro. Tutte cose così, senza mai entrare però in particolari penali, per cui hanno solo buttato lì il sasso e hanno tolto la mano. Però questo mi ha fatto molto male.

I tuoi genitori ti sognavano cantautore?

Mia madre e mio padre sono delle persone straordinarie e hanno sempre sognato il futuro che volevo io. E io, già a 14/15 anni avevo come futuro l’antichità e il mondo dell’antichità, poi il giornalismo, lo scrivere libri e fare il professore.

I tuoi idoli da ragazzo?

Tantissimi ne avevo, specie nei fumetti, Nembo Kid, Tex Willer, Zagor, Capitan Miki, ecc... Di musicisti invece amavo molto il soft rock americano, negli anni fine ’50 inizio ’60, cioè Elvis Presley. Ma amavo molto i “Cansoniere” francesi, da Yves Montand, Aznavour, ecc... Un genere più leggero, quelle americane e un genere più impegnato quelle francesi.

Quali sono i tuoi hobby, quando non lavori?

Ne ho tanti di hobby e passatempi, ma purtroppo lavoro sempre quindi ho poco tempo da dedicare alle mie passioni. Tra l’Università, tra i giornali, i libri che devo scrivere per la Einaudi, i dischi e i figli. Comunque i passatempi che adoro sono i giochi in generale, mi piacciono moltissimo gli scacchi, il bridge, anche i giochi d’azzardo, mi piace il casinò ma moderatamente, il poker, i cavalli, gli adoro, l’enigmistica è una cosa che mi affascina, i problemi di logica, poi faccio raccolta di dischi degli anni 50/60 e li vado a cercare da tutte le parti, come la raccolta dei fumetti.

Il tuo rapporto con la fede?

Ottimo. Ho un rapporto molto privilegiato perché conosco molti uomini di fede, anche professionisti, preti e non, vescovi e con loro abbiamo lunghi dialoghi interessantissimi, inoltre ho grandi amicizie tra i giornalisti dell’Avvenire, per cui Bernardini è un mio carissimo amico, con cui faccio sempre discussioni lunghissime. Ho una grande fede. “Non omnis moriar”, come diceva Orazio, non morirò del tutto, cioè succederà qualcosa, dopo. Lui pensava così perché diceva che le sue poesie sarebbero rimaste. Io invece penso che dopo c’è un’altra vita.

Il tuo rapporto con il denaro?

Sai, io spendo per divertirmi e per fare divertire le persone che stanno vicino a me. Sono tutte persone semplici, non conosco nessuno che sia veramente ricco o di potere. Poi li spendo per altre cose che non amo dire pubblicamente, che faccio con il cuore. Penso che tu abbia capito. (beneficenza)

Con il successo sono cambiate le tue amicizie?

Sono sempre rimaste le stesse, ho sempre avuto gli stessi amici fin da quando ero ragazzo, amici a cui voglio bene, molti hanno cambiato professione, molti si sono sposati un’altra volta, ecc… ma sono sempre stati degli amici normalissimi, persone semplicissime, borghesia medio - bassa, anche popolo. Sopra lì non voglio andare.  

Hai un sogno nel cassetto?

Si! A me piacerebbe moltissimo poter scrivere un’opera teatrale come quella che ha fatto Cocciante. Però con altri argomenti, altri modi. E poi mi piacerebbe scrivere un romanzo che faccia parlare di me anche letteralmente, non solo musicalmente.

Hai un sassolino che ti da fastidio?

Più di un sassolino, ho un macigno. (risata) Ne avrei tanti, ma tanti. Bisogna guardarsi in faccia con la gente, con gli italiani tutti quanti, perché stiamo divergendo troppo, invece di unirci divergiamo, scappiamo da tutte le parti e siamo indifferenti a tutto e ce ne sbattiamo. Diventiamo sempre più menefreghisti e personalisti. Sarebbe importantissimo non farsi più rincretinire dai media, dalle televisioni, dalla pubblicità ed essere un pochino più coscienti e quindi essere un po’ più padroni di se stessi. Questo lo dico a tutti e lo faccio con tutti, faccio quello che posso ma è una battaglia quasi perduta.

Che letture preferisci?

Io leggo di tutto. Ciclicamente leggo un classico, ho finito ora Shakespeare e l’ho letto tutto, poi mi piacciono moltissimo i gialli, quelli belli, e poi Agata Christie. Poi mi piacciono i saggi, che sono la parte più piacevole della mia vita. Della saggistica io adoro 3-4  argomenti: l’antropologia, la storia delle religioni, la sociologia e i labirinti della mente.

Progetti?

Adesso sto finendo il disco che uscirà in febbraio.