Antonio Caprarica (giornalista) Roma 9.11.2009
Intervista di Gianfranco Gramola
Un inviato speciale con la valigia sempre pronta
Antonio Caprarica è nato a Lecce il 30
gennaio del 1951. Si è laureato in filosofia presso l'Università La Sapienza
di Roma, con una tesi dedicata alla relazione tra etica ed economia di Adam
Smith. Volto noto della televisione, collabora con numerosi quotidiani e
periodici. Alla radio consegue ottimi risultati d'ascolto, che consolidano il
primato di Rai Radio Uno. Ha esordito nel mondo giornalistico come redattore
sindacale del settimanale Mondo Nuovo; tra il 1976 e il 1978 ha commentato prima
la cronaca romana e poi la politica interna su l’Unità, in seguito è stato
condirettore del quotidiano romano Paese Sera. Con Giorgio Rossi, ha scritto nel
1986 il suo primo libro: La ragazza dei passi perduti. Nel 1988 ha lasciato la
carta stampata per dedicarsi alla televisione: entrato in Rai, si è occupato di
politica estera, poi è inviato e, quindi, corrispondente fisso del Tg1 nei
paesi mediorientali, con base al Cairo ed a Gerusalemme. Fa l’inviato in
Afghanistan, sui carri armati sovietici, che si ritirano sotto l'offensiva dei
mujaheddin. Poi a Bagdad, nell'autunno del 1990. Quando è scoppiata la prima
guerra del Golfo, si è trovato a Gerusalemme e ha raccontato la caduta degli
Scud su Israele. Nel 1993 viene trasferito a capo dell'ufficio di corrispondenza
Rai di Mosca, sotto la presidenza di Boris Eltsin. Nel 1997 è spostato a
Londra, occupando lo stesso incarico per la Rai, ma per la capitale britannica.
Nel marzo 2006 è stato posto a capo della Rai di Parigi. È ritornato in Italia
nel novembre dello stesso anno, dove viene nominato direttore del Giornale Radio
Rai (GRR) e di Rai Radio Uno, incarichi che ha mantenuto sino ad agosto 2009.
Libri
La ragazza dei passi perduti (1986) - La
stanza delle scimmie (1988) - Dio ci salvi dagli inglesi ... o no!?
(2006) - Com'è dolce Parigi ... o no? (2007) - Gli Italiani la
sanno lunga ... o no? (2008) - Papaveri&Papere (2009) - I Granduchi di
Soldonia (2009).
Ha detto:
- In
Italia i genitori si indignano davanti alle raccomandazioni, ma poi, per
sistemare i loro figli, continuano a chiederle.
- Noi italiani abbiamo la fama di essere dei
furbacchioni e tutti hanno presente l'immagine di Totò che nel film cerca di
vendere la fontana di Trevi. Ma vogliamo mettere gli innocui furbacchioni che
cercano di vendere il monumento romano con i grandi truffatori di Wall Street
che hanno cercato di vendere castelli di carta provocando una delle più grandi
crisi della storia?
- I giovani dovrebbero farsi strada, andare
all'estero, staccarsi dalla famiglia, anche se questo legame, fino ad un certo
punto della vita, crea dei forti valori. Viaggiando si mette da parte la
presunzione e si impara l'umiltà.
Curiosità
- Fra
le sue interviste importanti, va ricordata quella a Mikhail Gorbaciov.
- È vincitore di molti premi di giornalismo
tra i più prestigiosi: Premio Gaeta per la letteratura di viaggio – Premio
Italiani nel Mondo – Premio Val di Sole – Premio Ischia di giornalismo
internazionale – Premio Tigullio – Premio Frajese – Premio Bocconi per le
eccellenze italiane – Premio Barocco (nella sua Lecce).
- Ama
l’informazione, in tutte le sue sfaccettature dai docu-dramma ai documentari
naturalistici, alle inchieste storiche.
- Su un' isola deserta porterebbe con sé la
moglie Iolanda e, ovviamente, un’intera biblioteca.
Intervista
Roma: via Gramsci. Il giornalista è nel
salotto di casa sua, alle prese con telefono e telefonino. Sua moglie mi mette
in attesa e dopo alcuni minuti Antonio Caprarica spegne il telefonino e
scusandosi per l’attesa, mi spiega che….” Il 2 di dicembre presentiamo il
mio ultimo libro a Milano. Il titolo è “I Granduchi di Soldonia” ed è
dedicato ai grandi ricchi globali, a quelli che rappresentano la crema del
pianeta, i veri governanti occulti del nostro mondo e qualcuno di questi ricchi
ce li abbiamo anche in casa, in Italia, e uno di questo si chiama Mario Moretti
Polegato, fondatore di Geox ed è uno dei dodici miliardari, in euro, del paese.
Spero che alla presentazione milanese del mio libro ci sia anche lui, a
raccontare la sua storia. Ci tengo molto”.
Ho tra le mani un suo libro che è tutto
un programma: “Papaveri e papere”.
“Papaveri e papere” era dedicato alle
gaffe dei potenti e agli svarioni dei “papaveri” appunto.
Me ne racconta una divertente?
Sono tutte umoristiche, una dietro l’altra
insomma, questa è la caratteristica di “Papaveri e papere”, il racconto
degli svarioni che i potenti possono commettere, non so, Filippo d’Edimburgo
che secondo me, è lo svarionista numero uno. E’un tizio che negli anni 80
quando l’Inghilterra era piegata dalla crisi economica, dichiarò al giornale:
“Io questa gente non la capisco, quando c’era tanto da lavorare si
lamentavano perché non avevano tempo libero e adesso che hanno tutto il tempo
libero che vogliono, si lamentano perché sono disoccupati. Che cosa vuole la
gente”. Ecco questo è Filippo d’Edimburgo e dalla sua battuta si capisce la
sua sensibilità sociale. Ma uno dei grandi gaffer degli ultimi anni è stato
George Bush, George W. Bush, l’uomo giovane, l’uomo che voleva parlare
spagnolo e che nel tentativo di parlare spagnolo non riusciva però a dire il
nome giusto del primo ministro madrileno, per cui quando arrivò a Madrid, salutò
con molto entusiasmo il signor Anzar, che in realtà si chiamava Aznar. Anzar in
spagnolo significa oca, e sempre lo stesso Bush quando andava a caccia di voti
tra i latino-americani, immigrati dal Messico, ecc…, si ritrovò a chiedere
“sus votas” ai suoi ascoltatori e invece voleva dire “sus votos” perché
“sus votas” significa le vostre scarpe (risata).
Ma le gaffe di Bush sono innumerevoli e sono anche più serie, purtroppo.
A parte che poi oltre alle gaffe bombardava i paesi. Lo stesso uomo che va in
visita in Brasile, accompagnato dal presidente brasiliano Lula, davanti alla
carta del Brasile esclama” Oh, com’è grande il Brasile!”, praticamente
non se ne era ancora reso conto. Visto che siamo nell’89, c’è un’altra
gaffe importante e molto bella, perché è stata una gaffe da ventennio. Ad un
certo punto, celebrando gli avvenimenti appunto di quell’immortale autunno del
1989, disse:” Da voi nel novembre del 1989 ci furono sommosse di piazza a
Berlino, a Lipsia e a Praga e caddero tutti i regimi comunisti dell’America
Latina”. Probabilmente pensava che Berlino fosse in Sud America (risata). Le
sue cognizioni geo-politiche erano piuttosto scarse.
Com’è nata la sua passione per il
giornalismo?
La mia passione per il giornalismo è una
passione che nasce dalla curiosità. Io nasco come studioso di filosofia. Mi
sono laureato in filosofia con Lucio Colletti, con una tesi di laurea dedicata
ad un pensatore che poi nella vita ho incontrato a più riprese e che si chiama
Adamo Smith, il fondatore del pensiero liberale. In qualche modo sono stato
anche il suo primo critico. Era uno scozzese, un pensatore che mi ha aperto le
porte della cultura anglo – scozzese, non posso dire solo inglese altrimenti
gli scozzesi si arrabbiano moltissimo, diciamo britannica. E in qualche modo è
anche l’origine della passione che ho sempre avuto per il mondo anglosassone.
Poi, invece di rimanere all’Università a lavorare con Colletti, sono andato a
lavorare al Mondo Nuovo, come redattore sindacale. Sono stato anche il più
giovane capo cronista romano nella storia dell’Unità e ho fatto due più due
e mi sono detto:”Si! La biblioteca mi appassiona moltissimo, l’Accademia
anche, ma sono capace di rinunciare alle mie curiosità che vanno oltre i muri
dei libri? No! Non sono capace e per questo mi sono messo o meglio ho scelto di
fare il giornalista”. Sono stato fortunato. Ho praticato in un tempo dove le
occasioni non mancavano, le opportunità c’erano e per un ragazzo che aveva
voglia di lavorare, aveva un mondo abbastanza aperto.
Lei nella sua lunga carriera ha fatto
anche l’inviato. E’ stato a Bagdad, a Gerusalemme, Mosca, ecc…
C’è stato in un momento un po’ difficile in cui ha pensato di
smettere?
Devo dire la verità che nei primi sette anni
della mia carriera, dall’87 al ‘94/95, ho fatto l’inviato e il
corrispondente da posti molto pericolosi. Tu hai citato Gerusalemme. Ero a
Gerusalemme quando scoppiò la prima guerra del Golfo e quindi mi sono passati
tutti gli “Scud” di Saddam, sopra la testa e sono stato, prima di trovarmi
in Medio Oriente, in Afghanistan, al tempo in cui c’era la guerra contro i
sovietici. Sono stato insieme ad un mio amico, collega e operatore Rai,
l’unico giornalista italiano a salire sui carri armati sovietici, in ritirata
da Kabul, nell’inverno del 1988. E quello è stato il momento più pericoloso
della mia vita, perché eravamo in ritirata, che si sporgeva sotto i colpi di
mortaio e dei missili. Ricordo ancora un missile terra terra che fu scagliato da
una guerriglia, probabilmente a meno di un km. da dove ci trovavamo, che mandò
in frantumi tutti i vetri delle finestre nel punto in cui eravamo, provocando su
di noi una sensazione molto strana, di completo sbalordimento, per cui è stato
come se il tempo si fermasse e tutto andasse al rallentatore. Quando mi sono
ripreso, c’è stato un momento che mi sono chiesto chi me lo fa fare, perché
giocarmi la vita per questo… Ma ho capito che non avevo alternativa, perché
questo era quello che mi appassionava, cioè raccontare il mondo a chi non ha la
possibilità di vederlo con i propri occhi e questo è quello che ho sempre
cercato di fare per circa quarant’anni. Mamma
mia come sono vecchio (risata). Sono già passato 40 anni…
Le fa paura la parola “vecchiaia”?
No! Non ho paura della parola vecchiaia. Ho
iniziato giovanissimo, avevo 19 anni, adesso ne sono passato 40 e ho quasi 59
anni, quindi è una vecchiaia sopportabile. Direi che come mestiere sono
abbastanza vecchio (risata).
Ho visto che ha ricevuto parecchi premi.
Ce n’è uno a cui è particolarmente legato?
Onestamente ce ne sono almeno due, che mi
hanno fatto enorme piacere. Il primo è un bellissimo premio che si chiama
“Val di Sole, giornalismo trasparente”, cioè per il giornalismo
trasparente, che mi fu dato nello stesso anno in cui fu consegnato al portavoce
di Giovanni Paolo II, Joaquin Navarro Valls, che è una persona di cui ho un
enorme stima. Persona di straordinaria cultura, sensibilità e intelligenza
giornalistica. Molto del personaggio Woytila, nasce dall’intelligenza di
Navarro. E quello è un premio a cui tengo molto, come tengo molto anche al
premio Ischia di giornalismo internazionale, perché l’Ischia è un premio
storico che ha visto veramente scorrere nel palmares tutto il meglio del
giornalismo europeo e internazionale. Due premi che mi hanno fatto un enorme
piacere riceverli.
Un domani come vorrebbe essere ricordato?
La collega Elsa Di Gati, conduttrice insieme
a Fabrizio Frizzi di “Cominciamo bene” su Rai tre, ha scritto un libriccino
molto curioso che si chiama "Le penultime parole famose".
Dice”Quarantasette personaggi famosi si immaginano nell’aldilà e versano le
loro lacrime di coccodrillo”. Tra i 47, Elsa ha avuto la bontà di inserirmi e
di chiedermi che cosa vorrei fosse scritto sulla mia tomba. Io ho risposto:”
R.I.P. Antonio Caprarica, giornalista ma onesto, lasciò il mondo sperando di
trovare altro da raccontare”. Questo è il mio epitaffio.
Parliamo un po’ del suo libro "Soldonia"?
Volentieri! Dunque “I Granduchi di Soldonia”
è l’ultimo dei miei libri e ha un sottotitolo “Eccessi e follie dei
miliardari globali che se la ridono della crisi” ed è un viaggio nel mondo
della ricchezza fantastidionaria. E’ un viaggio nel mondo dei grandi, dei veri
grandi ricchi, di quelli che posseggono fortune tipo oltre un miliardo di
dollari, una manciata di uomini e donne meno di mille che tutti assieme fanno
fortune per 2200 miliardi di dollari, il che vuol dire quasi il doppio del
P.I.L.(prodotto interno lordo) di un paese come l’Italia, e quindi un pugno di
persone che possono veramente decidere, muovendo i loro capitali, di gestire il
nostro pianeta. Ma non è un libro arido di cifre d’economia, è un libro
sulle loro manie, i loro tic, le loro follie, gli sprechi. Pensa, caro
Gianfranco, ai quattro panfili di Abramovich (il russo, presidente anche di una
prestigiosa società calcistica in Inghilterra, il “Chelsea”) che se ne fa
fare uno ogni anno più grande, l’ultimo più di 160 metri, quello (Abramovich)
che ad un certo punto si voleva acquistare pure la Roma. Uno schiaffo alla
miseria e uno schiaffo al buon senso, uno schiaffo al senso comune e alla vita
di milioni e di miliardi di persone. Tu pensa che almeno mezzo miliardo di
persone dipendono dalle decisioni di poco più di 6000 grandi capitalisti e
manager che controllano le principali multinazionali del pianeta. Noi siamo un
po’ indietro rispetto all’analisi del nostro mondo e continuiamo a parlare
di voti, di democrazia, governo, popolo, senza renderci conto che in realtà il
pianeta è nelle mani di un pugno di personaggi che semplicemente spostando i
loro capitali possono cambiare il corso del mondo. E’ un viaggio nel paese di
Soldonia, che è definito non dai confini ma dal livello del conto in banca.
Appartiene a Soldonia chi ha almeno un milione di dollari in assi finanziarie in
una delle banche del pianeta, una popolazione quella di Soldonia di 8 milioni e
mezzo di persone, fra questi 8 milioni e mezzo di persone meno di mille
posseggono più di un miliardo di dollari. Fai un po’ tu i conti. Sono cifre
che fanno girare la testa!
Parliamo un po’ di Roma?
Roma è la mia seconda città. Io sono nato a
Lecce, ho fatto il Liceo a Lecce e ho lasciato la mia città quando avevo 17
anni, cioè quando sono venuto a studiare all’Università La Sapienza di Roma,
che allora era un’Università non ancora dilatata ed eccessiva come è oggi.
Pensa che ci sono circa 150 mila studenti, sono una follia. Ai miei tempi era
una scuola più sensata, le lezioni si frequentavano e i professori si
incontravano. E allora Roma è diventata la mia nuova città e ci sono rimasto a
lavorare, all’inizio a Paese Sera, poi ad Epoca, a Panorama e poi ci sono
rimasto fino al 1987, perché quando sono entrato in Rai ho anche fatto la
valigia e ho cambiato mestiere, nel senso che da commentatore di politica
interna, da specialista di affari nostri, sono diventato uno specialista di
affari internazionali e quindi ho cominciato a raccontare il mondo piuttosto che
casa nostra. Però Roma è il posto dove torno, a Roma ho casa, anche se non
posso negare che la mia Roma, quella della mia giovinezza fosse una Roma molto
diversa.
In quali zone ha abitato?
Adesso abito ai Parioli, vicino alla Galleria
di Arte Moderna, zona villa Borghese per intenderci. All’inizio, cioè appena
arrivato a Roma, abitavo vicino all’Università, dalle parti di piazza
Bologna, poi mi sono spostato a viale Lanciani, che era un bel quartiere
residenziale a quei tempi. Da via Lanciani mi sono trasferito a via di Tor
Fiorenza, vicino alle catacombe di Santa Priscilla, di fronte a villa Ada e poi,
quando sono tornato dall’estero, abbiamo preso questa casa a via Gramsci, che
ci accingiamo a lasciare perché come tu sai, io e mia moglie lasciamo Roma e
torniamo a Londra che è l’altro posto che amiamo molto.
Con i romani come si trova?
(risata) Guarda Gianfranco che i romani
sono persone strane, a parte che sono gente “de core”. Poi i romani, si fa
per dire, perché anch’io sono romano, però se tu lo dici a qualcuno che ha
alle spalle qualche generazione, si arrabbia e ti dice che i romani sono quelli
delle famose sette generazioni, non gli abitati di Roma. I romani negli ultimi
anni sono diventati molto più aggressivi, da come ho notato nel traffico, di
come erano 30-35 anni fa. La Roma che io amavo molto era una Roma molto più
paciosa, più pacioccona, una Roma più cinica e abituata a guardare alle cose
con il passo davvero dell’eternità. Adesso trovo una città perennemente in
crisi di nervi. In questi ultimi tre anni che ho vissuto a Roma, ho trovato una
città molto provata, molto nervosa, trasformata e mi dispiace questo, perché
Roma rischia di perdere un po’ del suo fascino. Anche perché i stranieri se
continuano a guardare Roma come alla città e ai cittadini che dopotutto
guardano le cose con distacco, con una punta di cinismo ma soprattutto con il
distacco che deriva dalla consapevolezza dell’eternità del tempo. Invece i
romani di oggi sembrano incalzati da una incomprensibile fretta di arrivare non
si capisce bene dove. Per questa città ci sarebbe bisogno di politiche che
fossero più capaci di tenere il più possibile la gente insieme. Mi pare che
nei romani di oggi manchi soprattutto l’amore per la propria città e il senso
di appartenenza a questa città.
Nei momenti liberi in quale zona di Roma
ama rifugiarsi?
Io non ho momenti liberi, ma quando voglio
farmi una bella passeggiata, scendo da casa e mi faccio un bel giro a villa
Borghese. Ma un angolo di Roma che amo molto è il lungotevere al tramonto. E’
un posto che non ha pari al mondo, con il profilo del Cupolone e di castel
Sant’Angelo. Una cartolina bellissima. Una cartolina che noi romani, anche
quelli come me di adozione, avremmo il dovere di tenerla più pulita.