Cesare Ragazzi (Imprenditore e personaggio
TV) Bologna
9.4.2024
Intervista di Gianfranco
Gramola
“L'imperator
del pelo della cabeza”
“A volte mi dicono che vivo sulle disgrazie
degli altri, invece io davo loro la felicità”
Io e Cesare Ragazzi allìAntoniano di
Bologna per la registrazione del pèrogramma "A tambur battente"
Cesare Ragazzi è nato a Bazzano (Blogna) il
22 agosto 1941. Da giovane faceva parte della band chiamata "I
Vagabondi", della quale ricopriva il ruolo di chitarrista. Alla fine degli
anni sessanta, Cesare Ragazzi perse i capelli e si mise a studiare il problema
della calvizie. Riuscì a inventare la protesi tricologica, ovvero un trapianto
non invasivo che veniva applicato direttamente sul cuoio capelluto, attraverso
un nastro apposito: lui stesso l’ha definito "un parrucchino di capelli
naturali". Grazie a un'indovinata campagna pubblicitaria, negli anni
ottanta è diventato un personaggio televisivo ed è stato il terzo imprenditore
italiano a pubblicizzare la sua azienda con la propria immagine. Cesare Ragazzi,
che ha tre figli, è stato ospite in diverse trasmissioni televisive tra cui
Quelli che il calcio, Passaparola, Torno sabato...e tre di Giorgio Panariello.
Lo slogan pubblicitario utilizzato negli spot televisivi (Salve... sono Cesare
Ragazzi!), divenne un cosiddetto tormentone.
Intervista
Ciao Cesare, mi racconti com’eri da
ragazzino, da giovane cosa combinavi?
La mia gioventù l’ho passata quando a 8
anni ho iniziato a lavorare e a vendere i brustolini al cinema e andavo dal
meccanico a fare il fattorino, passavo le chiavi e
attrezzi vari, così la mamma ci tirava via dalla strada. Quando
sbagliavo chiave era un calcio nel culo (risata). Ci
vorrebbero anche adesso qualche sberlone. I miei non erano contadini e a quei
tempi chi stava bene erano i veri padroni che erano titolari di un paese intero
e i contadini che avevano le vacche, il latte, le galline, la frutta e avevano
tutto. Noi invece eravamo dei braccianti che andavano a lavorare dai contadini.
Dai 18 anni fino ai 23 anni ho fatto 17 lavori. Ho venduto porta a porta le
pentole antiaderenti, ho fatto anche il musicista per tanti anni. Ho avuto il
Cral, il circolo ricreativo a Bazzano, il mio paese, ho lavorato un anno e mezzo
in fabbrica e quando mi hanno licenziato ho detto grazie, perché stare sotto
padrone non mi piaceva. Ho gestito anche i calcio balilla che mettevo dentro i
bar. Ho fatto il contadino, sono andato a lavorare in campagna, alle 6 del
mattino a mungere le vacche, anche se non ero molto bravo, però ho bevuto tanto
latte appena munto (risata). Erano tempi dove si cercava di avere delle cose che
i figli dei ricchi avevano, come la bicicletta. Per andare a scuola facevo 3
chilometri di andata e tre di ritorno a piedi
in mezzo a un metro e mezzo di neve.
I tuoi genitori che futuro speravano per
te?
Che andassi a lavorare. La più sveglia era
la mamma e quando io avevo 14 anni abbiamo aperto
un bazar che poi ha gestito mio fratello. I genitori a quei tempi speravano in
un lavoro, non avevano velleità, forse la mamma capiva qualcosa a livello
imprenditoriale perché con lei avevamo preso anche il Cral del paese, poi il
bazar che poi ha gestito mio fratello.
Quanti fratelli hai?
Siamo in quattro fratelli. Uno di 81 anni, io
83 anni, l’atro 85 e il più anziano 87. Il futuro nostro era quello di
lavorare e mio padre faceva la stagione nel zuccherificio di Bologna. Dal paese
mio per andare a Bologna sono 20 chilometri e lui li faceva in biciletta alle 5
del mattino.
Dopo sei diventato famoso ed è nata la
tua fortuna grazie alle calvizie. Com’è nata l’idea del trapianto dei
capelli?
Da piccolo come ti dicevo prima, quando avevo
8-10 anni, d’estate vendevo i brustolini al cinema del mio paese e facevo
anche il fattorino. Il titolare si chiamava “barbera” perché beveva solo
vino barbera e quando arrivava un cliente io prendevo la bicicletta e andavo a
cercarlo nelle osterie di Bazzano e dove vedevo la sua bicicletta appoggiata al
muro, entravo nell’osteria a chiamarlo. I film
di allora al cinema erano quasi tutti di indiani e cow boy e gli indiani
scalpavano i cow boy come trofeo e allora io ho pensato che se una cosa si tira
via, si può anche mettere. E da lì mi è venuta l’idea di fare uno scalpo al
naturale e difatti l’unico che ha inventato l’innesto del capello nel mondo
sono stato io 60 anni fa, perché avevo copiato la testa di un bimbo, come era
distribuito il capello e poi ho trovato il sistema di innestarlo come madre
natura. Poi dopo la tecnologia l’ho sempre migliorata fino ad arrivare agli
anni in cui l’azienda è stata comprata da un fondo nel 2011.
Quanti dipendenti avevi?
Io avevo creato in Italia circa 80 centri e
ne avevo 18 all’estero. Io ho sempre detto che è meglio pensare in grande che
in piccolo e ho voluto espandermi e andare anche
all’estero e ricordo che un giorno ho firmato così tante cambiali che
mi hanno ingessato il braccio (risata). Il primo negozio che ho aperto
all’estero è stato in America e sapevo dieci parole in inglese, mangiare,
bere, dormire, volare, taxi, parole che avevo imparato sui libri. Dipendenti?
Ogni mese pagavo circa 700 dipendenti.
Fra i tuoi clienti più famosi c’era il
mitico Lucio Dalla. Come l’hai conosciuto?
Oltre a lui ce ne sono stati tantissimi fra
giocatori di calcio di serie A, sportivi che correvano in biciletta, a piedi e
in moto e tanti altri personaggi famosi. Ricordo che
andavamo a suonare in un locale di Bologna e io avevo 18 – 20 anni e
Lucio Dalla due anni in meno. Lui girava con il maialino al guinzaglio, lo
sapevi? Poi lo teneva in una borsa scura. Lui ci chiedeva: “Posso fare un
pezzo?” e io dopo che aveva suonato dicevo agli altri musicisti: “Sentite
come suona? E’ meglio che cambiamo mestiere noi” (risata). Lui già allora
suonava da Dio, era un genio. Poi dopo mi portò un suo amico a suonare e poi
degli altri amici. Lui era una persona molto intelligente ma aveva il problema
delle calvizie e questo problema non lo nascondeva, non voleva
drammatizzare.
E’ vero che ti invitava spesso a casa
sua alle isole Tremiti?
Tutti gli anni lì lui faceva un concerto (l’ha
fatto per 4 o 5 volte) e mi invitava a casa sua ed erano tre giorni di vacanza,
mangiate da capogiro e poi in giro con la barca con lui, a fare il bagno e i
tuffi in mare. Anche noi con la testa infoltita, grazie alla mia tecnologia,
potevamo fare quello che potevano fare le persone normali con i propri capelli.
Si sono rivolte a te anche delle donne?
Non fraintendere quello che ti dico perché
non sta bene dirlo, però la dico nel senso positivo. Il nostro lavoro, quello
che ho inventato io, che ha dato la felicità e il sorriso a miliardi di
persone, in certi casi era un servizio sociale. C’erano persone, sia uomini
che donne, che venivano da me e mi dicevano: “Se non trovo una soluzione, la
faccio finita”. Questo perché avevano un problema estetico e per alcuni
diventava una ossessione. Io a 22 anni ho avuto un problema estetico, cioè
vedevo che i capelli se ne andavano, però non era una tragedia ma per molte
persone si, perché sono alte o perché sono basse, perché hanno un seno grosso
o troppo piccolo, non hanno un bel fondoschiena, perché hanno i denti storti o
il naso storto. Chi ha un problema e lo sente tale, è una tragedia e in molti
casi ci sono state delle brutte cose, non so se mi
spiego. L’altro giorno ho mandato gli auguri di Pasqua e come risposta
c’è chi mi ha scritto : “Ha fatto solo del bene” e ci sono ancora delle
persone che mi dicono: “Grazie per quello che ha fatto”.
Mai una critica?
Questo è un mondo di invidiosi perché
quando vai sul palco, tutti gli altri vorrebbero andarci ma non hanno le capacità
o la voglia di farlo, la costanza di farlo. Mi dicono a volte: “Ma tu vivi
sulle disgrazie degli altri”. Ma che disgrazie, io davo la felicità e
sicuramente era un business, un lavoro. Io ho avuto 80 centri in Italia
più quelli all’estero e ho dato in media 700 stipendi al mese per più di 40
anni, quindi non era la bottega di San Giovanni in Persiceto (risata).
So che non riesci a stare
fermo. Ora di cosa ti occupi?
Adesso alla mia età la cosa più bella che
deve fare una persona è curare bene il fisico e volere bene a se stesso. Poi
curarsi anche esteticamente perché se ti va via la vista, vai dall’oculista,
se ti fa male un dente, vai dal dentista e se
si abbassa un’altra cosa, non so dove andare (risata). Da 7 anni ho ideato una
tecnologia nuova che ho già depositato. Sono tre brevetti e tre varianti che
sono unici nel settore non invasivi e quando troverò l’investitore che vorrà
darmi fiducia con i miei tre brevetti, sarà una rivoluzione nel mercato come lo
è stata la mia idea 60 anni fa, capito?
Nella tua carriera quanto ha contato la
fortuna?
La più grande fortuna è quella di stare
bene fisicamente, la fortuna esiste se va giù un aereo e tu sei l’unico
superstite. L’unica cosa che puoi chiamarla fortuna è fare tante cose e prima
o poi qualcosa succede, non arrendersi mai anche quando cadi per terra, devi
alzarti in piedi. Se ti guardano e si mettono a ridere, tu devi andare più
forte di prima. Però, come dicevo prima, per me la fortuna è quella di nascere
sani e tutto il resto è noia, come diceva Franco Califano.
Un domani come vorresti essere ricordato?
Prima di essere ricordato passeranno ancora
30 anni perché mia nonna è morta che aveva 106 anni e io voglio superarla in
età (risata).
Quindi cosa farai in questi 30 anni.
Io vorrei creare un’azienda perché ho una
grande passione per questo lavoro e perché vorrei dare una soluzione innovativa
ad una persona che ha bisogno, ma veramente funzionale esteticamente. Dare la
possibilità alle persone di guardarsi allo specchio non con delle cuffie in
testa ma dei capelli veri. Per fare un auto trapianto ci vuole la parte
donatrice giusta e la parte ricevente giusta perché possa ricevere. Hanno fatto
degli auto trapianti in tanti posti in Italia e anche all’estero, però poi si
vanno a fare i riporti perché dove mancavano 50/60 mila capelli, arrivavano a
casa con 4 mila capelli, ossia delle zolle e poi per nascondere i difetti
mettono la polverina nera.