Claudio Kerschbaumer (guida alpina)
Andalo (Trento) 11. 9. 2009
Intervista di Gianfranco Gramola
Una guida alpina che nei suoi viaggi, trova
motivo di stimoli e di riflessioni
Fin da
giovane Claudio Kerschbaumer nutre una profonda passione per l'avventura.
Adolescente aiuta la famiglia nella gestione di un rifugio, ed è proprio in
questi anni di piccole ma profonde esperienze, che prende corpo la voglia di
viaggiare per conoscere luoghi nuovi. Effettua
decine e decine di ascensioni in tutto l'arco alpino, molte di queste in
solitaria. Nella metà degli anni '80 intraprende diverse spedizioni
extraeuropee. In Canada collabora con
l'Università di Calgary alla realizzazione di un CD-ROM sul Parco Kluane ed il
monte Logan nello Yukon. In anni recenti firma gli itinerari del catalogo degli
orologi Pro Trek Casio. Nel '91 parte in bicicletta dall'Alaska e scende verso
sud per più di 15.000 chilometri fino all'Argentina. Lungo il percorso scala le
cime più alte di ogni stato che attraversa, inclusi ovviamente McKinley e
Aconcagua. Il dislivello totale è di 65.000 metri. Diventa il primo uomo ad
effettuare il concatenamento bicialpinistico del nord, centro e sud America. Ora
la sua professione di Guida Alpina lo vede impegnato ad organizzare spedizioni
negli angoli più suggestivi del mondo cercando di trasmettere, con discrezione,
le proprie esperienze.
Ha detto
- L'uomo
che viaggia lo fa per vedere e conoscere altre realtà e culture, per
raffrontarsi con esse, per sperimentare la diversità di altri stili di vita,
per gioire della varietà dei paesaggi e degli ambienti, per instaurare rapporti
veri con altri uomini.
-
Il bello dell’esplorazione è meravigliarsi di fronte alle bellezze del mondo,
senza rovinarle o depredarle, ma amandole come si possono amare i propri figli,
riconoscendosi nello sguardo di un bambino povero, cui il presente offre poco e
per il quale il futuro non sarà
probabilmente roseo. Lasciarsi sedurre dalle
sconfinate lande boreali, inchinarsi di fronte al vento patagonico, e per una
volta sentirsi partecipi dei fascinosi racconti degli antichi esploratori.
Sensazioni uniche e forti che accompagnano il delicato equilibrio tra curiosità
e rispetto.
-
Viaggiare aiuta l'uomo a scoprire l'essenza della propria natura.
Curiosità
- Ha collaborato con
famose riviste fra cui Airone, Max, Tutto Itinerari, Alp, Rivista della
Montagna.
- Scrive
libri-guida di trekking e mountain bike.
- Originario
di Mezzocorona, vive a Spormaggiore. E’ separato e ha una figlia di dieci
anni.
Intervista
“Troverai più nei boschi e nella natura
che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti
dirà” diceva Bernardo Di Clairvaux. E Claudio Kerschbaumer sembra aver preso
in prestito questo consiglio, visto che ha girato mezzo mondo. Ma com’è nata
l’attrazione per la montagna e la voglia di esplorare terre nuove, terre
lontane? Siamo ad Andalo, su una
panchina del parco e Claudio mi parla della sua passione per le scalate e del
suo spirito libero per l’avventura.
Ho letto sul tuo sito che i tuoi gestivano
un rifugio.
Quando avevo 9/10 anni, i miei avevano in
gestione la malga Kraun e forse è stato da lì che è partita tutta questa mia
passione, questo mio interesse per la montagna, per le escursioni, che poi è
diventato il mio futuro, la mia vita fino ad adesso e spero anche prossimamente.
In quegli anni lì, ho scoperto un mondo, diciamo involontariamente o meglio
ingenuamente, e quindi con gli occhi ingenui ho scoperto la natura, la montagna,
con i profumi stessi dell’ambiente, i suoi giochi di luci e di ombre, ecc… E
tutto questo mi ha forgiato un po’ ad avere sempre quell’interesse di andare
a scoprire ambienti nuovi. Questo forse è stata la particolarità della mia
vita, perché da quando avevo 16 anni ho iniziato a viaggiare per il mondo e da
allora non mi sono più fermato.
Qual è stata la tua prima grande impresa?
Diciamo che è stata una evoluzione di cose.
Innanzitutto la scoperta dell’alpinismo, una scoperta un po’ solitaria che
poi è proseguita per parecchi anni sempre in solitaria. La scoperta in
solitaria perché i primi passi che ho fatto nel mondo dell’arrampicata, un
po’ con amici, spesso e volentieri c’era questa trazione della solitudine,
della solitaria che mi portava a percorrere degli itinerari dell’arrampicata
da solo. Quindi sinceramente non so quale dare come aspetto primario delle mie
imprese, nell’evoluzione che ho avuto nell’alpinismo, nell’arrampicata.
Sicuramente ricorderò sempre la prima arrampicata che ho fatto da solo, così
ingenuamente, perché avevo pochi mezzi, cioè avevo solo una corda da 30 metri
che sapevo usare poco, avevo qualche moschettone, un imbrago, un paio di
scarpette aperte davanti, praticamente sulle punte avevo una specie di “bocca
di lupo” (risata) e ricordo che avevo fatto una via che si chiama
“Barbara” sul Colobri di Arco. Una via che poi ho scoperto che aveva una
certa importanza sotto l’aspetto tecnico. E poi da lì è partita tutta una
serie di cose che mi hanno portato a fare le mie belle solitarie in tutti i vari
gruppi dolomitici, appunto partendo dal Brenta che è sempre stata come una casa
per me, visto che ci abitavo vicino ed è chiaro che i fine settimana finivo
sempre lì, a seguire tanti itinerari che facevano parte di quell’alpinismo
classico che hanno fatto storia nell’alpinismo. Poi negli anni ’90 una cosa
che ha fatto grande scalpore è stata l’attraversata delle Americhe.
Ricordo di aver letto che una mattina, ti
sei svegliato e fuori dalla tua tenda, c’erano i soldati con i mitra spianati.
Si! E’ stato nel 1991. Quando si parte per
un viaggio della durata di un anno, e che prende di mira due continenti, che
sali sulle vette più importanti, che le attraversi nel modo più normale e
semplice, cioè con la bicicletta, è chiaro che può succederti di tutto e di
più. Soprattutto in quegli anni lì, che in centro America c’erano dei
problemi. A Panama ad esempio era tutto un subbuglio. C’erano le guerriglie
interne e tante altre cose, che adesso in quei luoghi non esistono, per fortuna.
Come aiuto tecnico, sotto l’aspetto della semplicità di una chiamata
telefonica, a quei tempi poteva diventare un problema, non c’era internet, non
c’erano i telefonini, non c’era niente. Sotto certi aspetti era molto più
affascinante, più romantico, più avventuriero e anche molto più impegnativo
soprattutto per chi rimaneva a casa, i famigliari, perché, come dicevo prima,
non c’erano i contatti. Adesso mi ritrovo a percorrere i stessi luoghi, ma
basta un semplice “clic” e puoi parlare con chi vuoi. Quindi c’era una
bella differenza.
Quali sono i tuoi miti, i tuoi idoli?
Quando ero giovane, ho trascorso veramente
tante ore a leggere libri di persone che hanno fatto la storia dell’alpinismo,
dell’arrampicata, quindi da Riccardo Cassin, a Giorgio Rebuffa, a Cesare
Maestri, ecc…
Messner?
Anche Messner, però Riccardo Cassin per me
era un grande personaggio. Tranquillo e pieno di umanità e soprattutto un uomo
comune, proprio come aspetto, come qualsiasi persona che si possa incontrare per
strada. Era una persona che veramente ha fatto la storia dell’alpinismo e che
ha messo la firma nel monumento degli alpinisti di grande valore. Ma con lui ce
ne sono tanti e tanti altri. Il mio mito, diciamo, che sono quei personaggi che
fanno parte del periodo classico dell’alpinismo, quindi comprendono un po’
tante persone.
Oltre alla capacità, alla preparazione,
nelle escursioni serve anche una buona dose di fortuna?
Dipende. Se questa fortuna è valutata come
l’aspetto di una giornata che tu parti al mattino e rientri la sera facendoti
la tua bella camminata e non becchi un temporale, oppure salire una cima,
scendere e tornare a casa sani, per fortuna. Sono degli aspetti un po’
differenti. Se un giorno mi balza l’idea di dire “Salgo la Nord dell’Eiger
in solitaria”, non è che considero la fortuna in quel momento lì, considero
il fatto che ho una preparazione fisica e anche mentale per poterlo affrontare.
Comunque se la fortuna in certe situazioni mi vuol dare una mano, ben venga.
Se un domani vorresti lasciare l’Italia,
per andare a vivere in un posto che hai gia visitato, quale sceglieresti e perché?
Questa è una domanda che mi fanno in tanti.
Io il mondo l’ho girato in lungo e in largo e penso di conoscerlo bene e
spesso ho avuto questa idea di andare a vivere in un altro paese, anche perché
avrei le possibilità di farlo. Niente mi ferma qui e se qualcosa mi ferma in
questo luogo è solo il fatto che ho una figlia. Sinceramente è difficile
vedere e capire quale luogo può andare bene a me, perché ogni volta penso a un
posto che mi piacerebbe, tipo il Canada o l’Alaska e subito dopo mi viene in
mente un altro posto che può essere l’Australia, la Nuova Zelanda, la
Patagonia oppure il Sud America. Forse sono più legato ai Poli e quando dico
Poli significa i limiti, quindi il Polo Nord e il Polo Sud e le
zone limitrofe a questi ambienti. Li preferisco ad altri, perché li so
apprezzare di più, li conosco di più anche perché assomigliano un po’
all’ambiente da dove arrivo, da dove sono nato. Se invece mi metti nei luoghi
centrali, tipo Africa, centro America o foreste tropicali, fluviali, ecc…
posti straordinari, però nello stesso tempo faccio fatica ad adattarmi, perché
non li conosco bene.
Qual è il tuo prossimo viaggio, la tua
prossima sfida?
Sfida adesso non ne ho. In testa ne ho tante,
ma di concreto non ho niente. Per vari motivi famigliari, ormai da 5 anni sono
un po’ fermo. Sto uscendo da una situazione famigliare ( separazione, ndr.)
che mi ha un po’ provato sia fisicamente che mentalmente e quindi al momento
proseguo nei miei viaggi che sono i soliti viaggi quotidiani. La cosa bella, la
sfida bella che ho iniziato da poco è quella di riuscire a condividere con mia
figlia questa passione per la montagna e per le escursioni. Quindi il fatto di
aver potuto navigare su di una canoa per quasi 500 km. Attraverso il Canada e in
Alaska con mia figlia è stata un’esperienza straordinaria, è stata
un’avventura bellissima. Adesso siamo tornati da pochi mesi dal Messico.
L’altro giorno eravamo ad arrampicare insieme sul Brenta, a fare le Bocchette
centrali, ecc… Quando la legge e qualcun altro me lo permette, amo stare con
mia figlia e cerco di condividere le mie passioni con lei, passioni che adesso
appartengono anche a lei.
Un articolo sul giornale diceva che sulle
montagne muore una persona ogni due giorni. “Montagna assassina o alpinista
pirla?” diceva un comico.
E’ una battuta per sdrammatizzare, ma alle
volte può essere vero. Sotto l’aspetto da guida alpina, da professionista
della montagna, dico che effettivamente vedendo alle volte come le persone
girano in montagna, trovo che sono veramente sprovveduti, a differenza di un
tempo, di una volta quando la gente andava in montagna, era più consapevole di
quanto andava a fare. Adesso sono molto più sprovveduti, prendono un po’
sotto gamba la cosa, come si trattasse di una semplice passeggiata, con orribili
scarpette da ginnastica e quindi ecco che alle volte si ritrovano a non saper
dare i giusti valori all’ambiente in cui si trovano. Dico sempre che ne
succedono di tragedie, ma sono poche a differenza di come alle volte la gente
affronta la montagna.
Hai un sogno nel cassetto?
Ho sempre vissuto di sogni, sono cresciuto a
pane e sogni e ho sempre cercato di realizzarli. Vivo di sogni e vivo di
avventura e quindi le avventure a volte sono dei sogni che in quel momento sto
realizzando. Ho alcune cose importanti che ho nel cassetto e forse, se la
situazione familiare che ti dicevo prima me lo permetterà, credo che riuscirò
a realizzare.