Donatella Pompadour (attrice - conduttrice) Roma
3.10.2011
Intervista di Gianfranco Gramola
Un
attrice brava, seria, umile e dalla simpatia contagiosa, cresciuta con il mito
di Anna Magnani e Virna Lisi
Donatella
Pompadour è nata a Maglie il 31 luglio del 1974. Dopo aver conseguito il
diploma in ragioneria, studia recitazione con Bruno De Stefanis e Claudio Risi.
Prima di intraprendere la carriera di attrice, lavora in alcuni fotoromanzi di
Grand Hotel, come testimonial pubblicitaria e in alcuni programmi televisivi:
come valletta in “Acqua calda” (1992), come figurante speciale ne “Il
grande gioco dell’oca” (1993-1994), regia di Jocelyn (Rai 2) e infine come
modella nel programma, per la prima volta in onda su Canale 5 in “Beato tra le
donne” (1996). Due anni dopo debutta come attrice nella miniserie Tv
“Ritornare a volare”. Tra il 1998 e il 1999 cura i collegamenti esterni di
“Goleada”, trasmissione sportiva condotta da Massimo Caputi e Ela Weber su
TMC. Nel 2000 conduce su Rai 1, insieme a Gigi Sabani ed Ela Weber “Sette per
uno” e, insieme ad Amadeus, “In bocca al lupo”, programmi ideati e diretti
da Jocelyn. Dopo queste esperienze di conduttrice, si dedica esclusivamente alla
recitazione, entrando nel cast della soap opera “Vivere” (Canale 5), dove
interpreta la parte di Nina Castelli, ruolo grazie al quale nel 2005 vince la
“Telegrolla d’oro”, come miglior attrice di soap opera. Nel 2009 è nel
cast di “Fiore di cactus” in giro per i teatri con Franco Castellano e
Eleonora Giorgi.
Cinema
un
amore di Gide (2008) – The
Wait (2009)
Tv
– fiction
Ritornare
a volare (1998) -
Vivere – Il giudice Mastrangelo (2005) – 7 vite (2007) -
Distretto di Polizia 7 (2007) – Provaco ancora Prof. (2008) – I
delitti del cuoco (2010)
Tv
– programmi
Acqua
calda (1992) -
Il grande gioco dell’oca (1993-1994) – Beato tra le donne
(1996) - Goleada
(1998-1999) - Sette per Uno
(2000) - In bocca al lupo (2000).
Riconoscimenti
Telegrolla
d’oro (2005) - Miglior Attrice
di Soap opera
Ha
detto:
- Sì,
la vita della soap-opera è dura: noi lavoriamo dal lunedì al venerdì con
orari pazzeschi. Abbiamo una media di 7/8 o anche 10 scene al giorno, è un
ritmo molto intenso ma chi ha passione per questo lavoro non si ferma davanti a
queste difficoltà.
-
Se
mi chiedessero di fare un film di Salvatores, non rifiuterei, idem se mi
offrissero di presentare Sanremo: sarebbe un’ottima chance! Scherzi a parte,
ho un progetto per il cinema ma preferisco non parlarne prima di aver firmato.
Intervista
Come hai iniziato a lavorare nel mondo
dello spettacolo, Donatella?
Io
ho sempre desiderato fare l’attrice. Quindi finisco la scuola con questa mia
aspirazione, però mio padre mi voleva avvocato. Ci provo, però fallisco.
Quindi un giorno prendo coraggio e dico a mio padre:”Non è questo il mestiere
che vorrei fare, io vorrei l’attrice”: Però non c’erano le disponibilità
economiche al momento, da parte dei miei per poter affrontare questo discorso.
Inoltre i miei genitori, da buoni meridionali, pensavano che quello
dell’attrice non fosse proprio un bel mestiere e che non fosse un lavoro
sicuro. Avevano ragione sul lavoro sicuro, ma torto sulla professione
dell’attrice (risata). Allora apro un negozio di latticini, all’epoca, anche
se ero incerta su quei negozi tipo Calzedonia, quei negozi in franchising, però
quello di latticini andò molto bene e questo mi consentiva di andare ai corsi
di recitazione. Con quello che mi guadagnavo con il negozio, grazie anche alla
mia collega con cui facevamo i turni. Potevo così permettermi di fare provini e
tante altre cose. Ma non è che arrivasse gran che. Per mantenermi facevo anche
i fotoromanzi per Grand Hotel e poi ho fatto la figurazione speciale con Jocelyn,
di quei programmi. Poi continuo il mio percorso con i corsi di recitazione,
giusto per guadagnarmi quelle 100 mila lire al giorno lorde, che però mi
consentivano di studiare. Dopo un po’ di tempo incontro per caso Jocelyn che
cercava le conduttrici del programma “Sette per Uno”, sulla
Rai. Feci il provino. Alla fine la Rai non mi voleva, lui si impuntò e
iniziai a fare la conduttrice per la Rai. Prima di “Sette per Uno” in prima
serata e poi per “In bocca al lupo”. Mi videro altri produttori, tra cui la
Endemol Bassetti ma io ero rimasta anche per un nuovo programma sul gioco delle
coppie. Eravamo io e la Panicucci per la conduzione del programma.
Volevano un volto sicuro, una certezza in più e sicuramente la Panicucci dava
queste sicurezze in quel momento. E quindi fui scartata. Dissi ai produttori che
non volevo fare la conduttrice, ma la mia aspirazione era quella di fare
l’attrice e mi fecero fare il provino per “Vivere”. Da lì iniziò la mia
carriera come attrice. Una carriera comunque quella dell’attrice con una
palestra grandiosa, che è stata la soap opera. Un po’ limitativa perché
facendo “Vivere” non potevo sperimentarmi con altro. Facevo qualcosina qua e
là, però il teatro che era il mio sogno non potevo farlo, perché noi
lavoravamo 11 mesi l’anno, quindi non potevo prendermi un impegno teatrale.
Quando uscii da “Vivere” ero incinta di mio figlio Lorenzo, che adesso ha 6
anni, mi presi un periodo che non era proprio di riflessione, ma più che altro
volevo un po’ ripulire quel che ormai era diventato il mio personaggio. Io
ormai portavo le vesti, la faccia, il carattere di Nina Castelli, il personaggio
che interpretavo in “Vivere”. Volevo scrollare dal pubblico questa immagine,
che ancora oggi con orgoglio mi porto dietro e chiaramente usci per un poco
dalle scene. Nel senso che decisi di non partecipare più
cose mondane, decisi di non fare più foto per rotocalchi e di questo
tipo. E poi anche per fare la mamma a tempo pieno, dedicarmi a Lorenzo e così
è stato. Ho ricominciato a fare l’attrice con l’arrivo di una cosa
teatrale. Fra l’altro è sempre stato il mio sogno e attualmente faccio
teatro, a parte qualche episodio a Distretto di Polizia. Dicevo che arrivò il
teatro con “Fiore di cactus” che ho interpretato per due anni in giro per
l’Italia, due bellissime tournée, una commedia degli anni ’60, dove io
interpretavo il ruolo che era di Audrey Hepburn.
Il mondo dello spettacolo
era come te lo immaginavo o ti ha deluso?
Io
penso che le delusioni ci siano un po’ ovunque, in qualsiasi settore. Se
avessi fatto il medico, tu non mi avresti fatto l’intervista, ma avrei avuto
le mie stesse delusioni, nel senso che l’infermiera che fa carriera perché è
privilegiata esiste quanto un attrice che si vuole imporre. Il mondo dello
spettacolo è duro in genere se ci fai parte e se fai l’attrice è un’altra
cosa, perché decidi quando fare gossip, quando vuoi far parte di questi
programmi televisivi, ma lo decidi perché magari vuoi arrotondare lo stipendio.
Poi ad un certo punto ti fermi e lo fai per un periodo, vuoi farti conoscere poi
se vali, non c’è bisogno di fare la fiction che ti dà popolarità. Quello
che ti dà soddisfazione è fare teatro, commedie teatrali e film d’autore per
il cinema, che vedono in pochi. Quindi il mondo dello spettacolo è bello ma è
anche deludente. Sapevo che avrei incontrato delle difficoltà, mi delude
tutt’ora a volte, quando mi trovo a che fare con persone che guadagnano tanti
soldi, senza aver studiato o prendono delle parti perché sono raccomandate. Io
sono arrivata a fare fino alla fine i provini, ho superato selezioni, ho fatto
tante cose, poi ti vedi passare davanti dei raccomandati. Purtroppo è la legge.
Ultimamente dico:”Ce l’avessi io una raccomandazione”. Quando mi dicono
cosa vorrei, dico sempre “Una bella raccomandazione, per un bel progetto”
(risata).
Se tuo figlio un domani
volesse fare l’attore, che consiglio gli daresti?
Innanzitutto
gli consiglierei di non farlo (risata). Chiaramente sto scherzando. Se lui
decidesse di fare l’attore, gli consiglierei di fare l’Accademia d’Arte
Drammatica. Io ho fatto tutti i corsi in privato, però l’Accademia è
fondamentale per questo lavoro. L’Accademia ti forma completamente. Ti fa
studiare testi di teatro, ti fa capire da dove veniamo, t’insegna la storia
del cinema e del teatro italiano. Non potranno mai tornare l’Alberto Sordi,
l’Anna Magnani, non ci sarà più Totò… Però per essere un attore completo devi fare questa scuola, perché ti forma
come attore e anche come uomo, inteso come essere umano, ti matura.
Quali sono i tuoi miti?
Te
l’ho detti. Sordi, Magnani e Totò. Credo che la Magnani sia stata la più
grande attrice italiana. Io prendo
come riferimento le donne italiane, le attrici italiane. Come attrice vivente,
in questo momento per me la migliore è Virna Lisi. Poi ci sono tante ragazze
che mi piacciono, tipo la Mezzogiorno, Giulia Nichelini e la Ramazzotti. Però
quando guardo i film della Magnani, mi dico:” Porca miseria, come si fa a fare
e a recitare così bene… quando riuscirò a recitare così?”. Secondo me non
ci riuscirò mai, perché se ci deve essere qualcuno che recitasse come lei,
comunque non verrebbe apprezzato. Perché erano altri momenti e secondo me perché
lei era unica nel suo modo di imporsi. Non bella ma di un fascino che trascinava
qualsiasi cosa. Teneva incollati tutti allo schermo, per la grandiosità. Quando
recitava si trasformava. Io mi sono letta la sua storia, la sua vita privata.
Aveva mille frustrazioni e recitando evidentemente le trasformava e le portava
sul set. Forse anche il fatto che viveva questa popolarità, ma che sapeva di
non essere bellissima e allora si chiedeva sempre perché gli uomini andassero
con lei. Poi lei non è che avesse tutte queste storie. Comunque lei è sempre
stata il mio mito. Uomini Sordi, Totà e Vittorio Gasmann. Anche Monica Vitti è
una grande attrice, però lei ha un suo genere, una caratteristica molto forte,
forse dovuta anche alla sua voce, che comunque la fa catalogare come personaggio
particolare. Mi piace, però come mito, come recitazione, come espressività
ritorno sicuramente ad Anna Magnani o a Virna Lisi.
Hai mai pensato ad un
nome d’arte?
Si!
Tante volte. All’anagrafe sono Pompadur, perché ai tempi del fascismo,
abolirono il De Pompadour. Quando facevo i fotoromanzi, cioè prima di
incontrare Jocelyn, sui giornali io ero Donatella Dori. Però a me questa cosa
non mi apparteneva. A casa mi chiamavano con un nome e sul set con un
altro. E questa cosa non mi piaceva e non riuscivo a farmela piacere. Poi
parlando con Jocelyn, gli dicono che devo cambiare il mio cognome. Lui si chiede
il perché. Riconosco che è un cognome molto forte, perché a scuola venivo
derisa con qualche battuta classica, piuttosto che una battuta sul famoso tè.
Io con questo cognome c’ho convissuto per tanto tempo, perché lo devo
cambiare? E Jocelyn mi ha detto:”Rimetti la O, che è più morbido e il
cognome diventa un po’ alla
francese. Se vuoi fare un cambiamento, fallo così”. E così è stato. Lui è
stato il mio pigmalione, l’ho ascoltato ed è rimasto Donatella Pompadour.
E’ lungo, forse troppo lungo, me ne rendo conto, però resta impresso. Jocelyn
mi disse:”Vedrai che sicuramente non ricorderanno il tuo nome, la il tuo
cognome se lo ricorderanno in tanti”.
Ho letto che hai vinto la
Grolla d’Oro. A chi l’hai dedicato?
Quando
andai a ritirare la Grolla d’Oro, ero incinta e venivo da alcuni anni di
sofferenza. Era morto mio padre. Quindi sicuramente il mio grande pensiero era
per mio padre e a mio figlio, che portavo in grembo.
Ho
visto su Facebook alcune foto in cui dedichi anima e corpo alla solidarietà.
Innanzitutto
parliamoci chiaramente...noi non facciamo nulla. Noi attori, sportivi,
calciatori o beniamini del pubblico, che abbiamo fatto vivere delle emozioni,
con il canto, con il ballo e recitando, non facciamo altro che portare la nostra
immagine. Sensibilizziamo la gente nell’aiutare le persone più sfortunate.
Quando mi chiamano, se sono libera da impegni lavorativi, ci vado molto
volentieri. Effettivamente, l’ho detto più di una volta, questo è una forma
di egoismo, perché tu nel tuo piccolo, nel non fare niente, ti rendi utile e ti
senti appagata. Quindi tu hai fatto qualcosa che non è che hai fatto del bene a
loro, ma hai fatto del bene a te stesso, al tuo stato d’animo, al tuo umore. E
questo serve per ricaricarti. Oltretutto quando sei in contatto con
persone che non hanno la tua stessa fortuna e stanno veramente male, ti
fanno pensare:”Caspita, è meglio non lamentarsi, mai, perché i problemi sono
altri”. Io ho vissuto una malattia tremenda che è quella della SLA, con mio
padre. Non so se ricordi il caso Welby e adesso c’è Borgonovo, il calciatore.
Mio padre è stato nelle stesse condizioni per due anni. Io facevo “Vivere”
dal lunedì al venerdì e il venerdì sera arrivavo a Roma, mi trasformavo con
mascherina, camice e cuffietta ed entravo nella camera da letto, in terapia
intensiva e stavo con mio padre. Uno dei più bei Natali che ho fatto, è stato
nella terapia intensiva del Bambin Gesù di Palidoro a Roma, dove mio padre è
stato ricoverato per dei periodi e lui era l’unico adulto insieme a dei
bambini piccoli, che andavano dai 2/3 mesi ai 14 anni. E passare il Natale lì,
ti fa rendere conto di quanto sia importante la vita, quanto siano importanti i
cinque sensi che noi abbiamo e quanto siano importanti le piccole cose, che noi
pensiamo siano futili ma non lo sono affatto. Quindi ho aperto un’associazione
in Sardegna, per i malati di SLA, anche se ci sono 3 mila problemi dietro perché
via di una burocrazia pazzesca, per ottenere determinate cose e quante cose
bloccate soltanto per una questione religiosa, però cerco di aiutare tutti a
prescindere in particolar modo i malati di SLA. Ho molti amici malati di Sla,
con cui mi faccio le foto, con cui ci vediamo spesso, organizziamo feste. Questi
sono amici veri, che tratto normalmente, non da malati. Loro apprezzano la mia
presenza e quando sono con loro, li vedo più felici. Rende felice anche me,
anche se a volte mi fa male, perché apre una ferita. Un mio grande desiderio è
morire, sapendo che si sia trovata una cura per la SLA. E siamo vicino,
incrociamo le dita. A volte mi chiedo:”Ma ormai chi me lo fa fare di
combattere ancora… la persona che mi è più cara non c’è più”. Poi a
sentire gli stessi odori, rivivere le stesse situazioni mi fa male. E lì ogni
volta è una prova che devo superare.
Parliamo un po’ di
Roma, Donatella. Quando sei arrivata a Roma?
Tu
dici questo perché sulla mia biografia c’è scritto che sono nata a Maglie,
in Puglia. Ti dico una novità…
io sono sempre stata a Roma, non sono arrivata. Mio padre, carabiniere, riesce
ad avere il trasferimento al NAS (Nucleo Anti Sofisticazioni),che lui aspirava,
di Roma. Nel momento in cui lui raggiunge la massima aspirazione, decide di
sposare la fidanzata del paese, con
cui era da anni. Si sposano e porta questa ragazza a Roma, da sola. Da un
piccolo paese ad una grande città, sola e spaesata. Dopo pochi mesi mia madre
desidera un figlio, per avere una compagnia. Rimane incinta di me e lei, al
settimo mese, chiede a mio padre di portarla a partorire al paese, in Puglia,
vicino al parenti, alle persone care, perché quando sarà il momento, avrà
bisogno di aiuto. Mio padre non c’era mai, perché faceva degli orari molto
particolari. Mia madre viene trasferita al settimo mese, mi fanno nascere a
Maglie, dopo qualche mese mi riportano a casa, a Roma e quindi ho sempre vissuto
nella magica Roma (risata). Ritorno spesso nel Salento, alle mie origini, posto
che amo e che adoro. I miei genitori mi hanno sempre portata d’estate, a
Natale, a Pasqua e ancora oggi, io porto mio figlio in Puglia. A parte che è un
posto dove si sta benissimo, c’è un mare che è meraviglioso, delle location
stupende… Comunque io ho sempre abitato a Roma, tant’è che quando io volevo
fare l’attrice ed ero una ragazza, mentre alcuni amici andavano a via del
Corso, io prendevo la metropolitana, scendevo a Cinecittà e scavalcavo nella
parte di dietro ed entravo. Ricordo in quel periodo che c’era questa
scenografia all’aperto, credo ispirato ad un western, tipo Bud Spencer e
Terence Hill. Ed io riuscivo ad arrivare su questo set, abbandonato chiaramente,
e mi sentivo la persona più felice del mondo. Altro che via del Corso o piazza
di Spagna. Era un mio sogno.
Dov’è che avevi il
negozio di latticini?
Era
vicino al policlinico Gemelli, zona monte Mario, più o meno.
L’infanzia dove l’hai
passata?
L’infanzia
l’ho vissuta a monte Mario, un’infanzia come tutti i ragazzi e ragazze.
All’inizio la comitiva all’oratorio della chiesa, poi si è spostati alla
stazione di monte Mario e poi il classico muretto.
Ami più la cucina romana
e quella pugliese di tua madre?
Che
bella lotta, Gianfranco. Mi hai fatto una domanda tremenda, perché credo sia
alla pari. Io mangio tutto, quindi non solo cacio e pepe o l’amatriciana, ma
anche la coratella, la coda alla vaccinara e impazzisco per i carciofi alla
romana. Tra il pure’ di fave con la cicoria salentina e l’amatriciana è una
bella lotta, Gianfranco. Come si fa a dire qual è la più buona. Io le metto
alla pari. A Roma ho la fortuna di avere un amico che ha un ristorante storico,
dalle parti di piazza degli Eroi. Storico perché la trattoria ce l’aveva il
nonno ed è rimasta quella di una volta, dove fanno la cucina di una volta, dove
ti servono alla buona e dove si mangia benissimo. Oramai Roma si è riempita di
tutti questi ristorantini dove fanno il sushi, che mi piace, però quando mi
viene voglia di mangiare alla romana, vado dal mio amico a piazzale degli Eroi.
Come trovi i romani, come
ti sembrano?
Benissimo,
perché ne faccio parte, Gianfrà. Per spiegare il romano, basta una frase:”Nun
c’è problema” (risata). Il romano è sempre positivo, allegro e devo dire
che a me la comicità romana piace tantissimo. Sicuramente quella napoletana è
fantastica, però la comicità romana, la classica battuta romana che viene
spontanea, che può arrivare sia da uno che è medico, sia da uno che è
ristoratore, è fantastica. Poi il romano…” nun c’ha mai problemi…tutto
se risolve”. Tant’è vero che quando io sono andata a Milano per la soap
“Vivere” e anche per vivere (battuta), ero spaesata, perché tutti in
orario, tutti di fretta, tutti con l’ansia ed io con la mentalità romana, più
tranquilla, non mi trovavo. Quando poi sono entrata a far parte della mentalità
milanese, arrivavo a Roma e andavo a fare la spesa con una mia amica e mi
chiedevo:”Ma perché la commessa mi chiede cosa faccio a pranzo, come lo
faccio? Cosa gliene frega a lei cosa faccio? Perché devo darle la ricetta”. E
la mia amica:”Non mi dire che sei diventata milanese”. Ti spiego le due
mentalità, Gianfranco. Classica situazione alla cassa del supermercato. Tu
prendi la roba dal carrello e la metti sulla cassa. A Milano la cassiera il
massimo che può dire è il prezzo, quanto devi pagare in totale e “Bancomat o
contanti? e “vuole il sacchetto?”. Stessa situazione a Roma. “Er
sacchetto? La busta vorrai dire”. Poi man mano che passa la roba, la cassiera
dice: “Er lievito, la farina, le ova.. fai er dolce? Che me dai la
ricetta?”. Questa Gianfranco a Roma è la quotidianità. L’altro giorno la
cassiera m’ha detto:”Hai preso er pesce. Come lo fai? Ce lo metti er
pomodoro? E i capperi?”. A Milano
questo te lo sogni. Sono telegrafici.
Un angolo di Roma a cui
sei particolarmente affezionata?
Ce
ne sono tanti. Uno che è cresciuto e vive a Roma, ogni zona ha un significato,
un’importanza per un fatto legato alla propria esistenza. Vedi Cinecittà, il
primo bacio sotto al Colosseo, ecc… Sei nel traffico di Roma, c’hai mille
casini, sei in via della Conciliazione e alzi gli occhi, anche mentre guidi e ti
rendi conto che c’hai davanti er Cupolone. Adesso abito sulla Cassia e quando
vado a portare mio figlio a scuola, a volte mi è capitato di dire:”Vado a
fumarmi una sigaretta alle cascate di Veio”.
A Roma ci sono talmente tanti di quei posti dove ti potrei raccontare
aneddoti o fatti a cui sono legata.
Ad esempio il Tevere. Quando parcheggio la macchina e devo andare a Trastevere,
quando posso mi fermo a vederlo scorrere, magari da un ponte o dall’Isola
Tiberina. Altro posto il Gianicolo. Chi non s’è dato un bacio sul Gianicolo?
Tu Gianfranco quando sei venuto a Roma con tua
moglie, l’hai portata al Gianicolo e le hai dato un bacio? (risata).
Quando vieni a Roma devi andare
assolutamente a prendere solo un gelato o una cosa, allo Zodiaco, dove vedi
tutta Roma, in via degli Innamorati.