Enrico Lucherini (press agent)                           Roma 20.11.2022

                             Intervista di Gianfranco Gramola

“I paparazzi sono nati con me e non capivo perché venivano chiamati così. Le mie scrivanie erano praticamente i tavolini di via Veneto, perché stavo lì, scrivevo la notizia e le cose che avevo sentito da loro”

 

Enrico Lucherini è nato a Roma l’8 agosto del 1932 ed è uno dei più famosi addetti stampa italiani dagli anni sessanta nel periodo della "Dolce Vita" fino al 2012 con la sua agenzia, dapprima con lo Studio Lucherini-Rossetti-Spinola (Matteo Spinola, un altro press agent del cinema italiano, è stato suo socio per molti anni) e poi con lo Studio Lucherini-Pignatelli.

Intervista

Da studente di medicina al mondo dello spettacolo. Com’è nata la decisione di lasciare gli studi per dedicarsi alla passione per il cinema?

La passione è innata perché è impossibile avendo un padre medico molto conosciuto a Roma, finito il fascismo, papà era il medico più famosi di Roma,  quindi era chiaro che io dovevo fare medicina, come ha fatto anche mio fratello. Andando all’università ho incontrato dei ragazzi in tuta.

Dove?

Era in una villetta al centro di una piazza, proprio vicino all’università. Ho chiesto a quei ragazzi: “Voi chi siete?” e loro mi hanno risposto: “Siamo allievi della scuola di Arte Drammatica”. Io ero pazzo del cinema già da ragazzino e durante il fascismo ricordo che adoravo Alida Valli e Amedeo Nazzari. A 15 anni, mi diceva mio padre, che litigavo perché mi piaceva di più Alida Valli di Doris. Questo vuol dire che la passione per il cinema era innata già allora. Dopo un anno e mezzo papà pensava che io continuassi, invece mi mettevo la tuta e andavo a fare l’attorte, ma anche lì le cose non sono andate benissimo.

Come mai?

Perché è chiaro che ero inesperto di tutto, anche se cominciavo a capire chi era Rossellini, a capire che Luchino Visconti aveva debuttato durante il fascismo con “Ossessione” (1943) e quindi che qualcosa cominciava a cambiare nel cinema italiano. Anche Vittorio De Sica ha fatto “I bambini ci guardano” (1943) che all’epoca era molto interessante.  Allora c’era già un interesse verso il cinema, il voler sapere tutto su Rossellini invece che voler sapere tutto di medicina. Amavo molto anche il teatro e poi ho cominciato con delle piccole cose.  Avevo poi amicizie come Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi e Luchino Visconti e stavamo spesso insieme in via Veneto, si parlava solo di cinema e di teatro. Io alla scuola di Arte Drammatica ho fatto solo un anno, poi ad un certo punto mi ero stufato del direttore che era una persona, che comprendevo anche, perché aveva  questi 15/20 aspiranti attori da gestire, mi ha fatto fare la tragedia "Edipo a Colono" di Sofocle e io dovevo interpretare un vecchio. Mentre entro in scena camminando e interpretando Edipo, in quella piccola pista che era nella sede della scuola di Arte Drammatica per fare i provini, sento i miei colleghi  attori che dicono: "Ora Enrico ci farà un Edipo ai Parioli" e lì mi sono proprio incazzato, ho salutato e me ne sono andato. Per fortuna un regista, che si chiamava Dario Ferrera, era verso il 1955/56 e all'epoca la televisione c'era, faceva delle fiction in diretta e io vi recitavo. Lì ho cominciato a conoscere Romolo Valli, Rossella Falk, Monica Vitti che usciva dall'Accademia al terzo anno proprio mentre io ci entravo. Quindi la Vitti l'ho vista lì e ogni tanto tornava a salutare i suoi amici. Io devo dire che a quei tempi ero molto ma molto informato.

Parlando della Dolce Vita, com'era la Roma di via Veneto?

La Dolce Vita era di notte, però di giorno si poteva andare a via Veneto a pigliare un caffè. Da casa mia che sta ai Parioli a via Veneto ci voleva poco anche perché all'epoca non c'era il traffico di adesso e quindi ci arrivavo in un attimo e ci trovavi pure parcheggio. Non c'era la metro e quindi via Veneto era meravigliosa. Quindi di giorno si andava a pigliare il caffè e poi dovevo andare a lavorare.

Ha lavorato anche all'estero?

Si, sono andato in Sud America con la “compagnia dei giovani”, cioè Rossella Falk, Romolo Valli, Anna Maria Guarnieri, Elsa Albani e Giorgio De Lullo. Stavamo sette giorni a città e abbiamo fatto il giro di tutto il Sud America. Tornando dal Sud America Patroni Griffi aveva scritto la commedia “D’amor si muore”, dove aveva una particina anche per me e nel cast c’erano Silvana Mangano e Lino Capolicchio, però io non l’ho fatto perché Franca Valeri mi aveva offerto una cosa televisiva e avevo altri impegni e pian piano ho capito che  “D’amor si muore” sarebbe stato il mio primo lavoro come ufficio stampa, cioè  dietro le quinte.

Com’era il suo rapporto con i paparazzi’

Sono nati con me e non capivo perché venivano chiamati così. Le mie scrivanie erano praticamente i tavolini di via Veneto, perché stavo lì, scrivevo la notizia e le cose che avevo sentito da loro o dai registi oppure delle cose che riguardavano il mio lavoro e di Matteo Spinola, che aveva cominciato con me nel 1959/60, quando è nato il mito di via Veneto e della Loren. Quando Carlo Ponti mi chiamò per la moglie, io avevo fatto la promozione solo per “Il gattopardo” di Luchino Visconti e avevo fatto uno spettacolo teatrale come ufficio stampa che si chiamava “Il giardino dei ciliegi”.

Come ha conosciuto Luchino Visconti?

Luchino l’ho conosciuto perché era molto amico di  Francesco Rosi e di Raffaele La Capria, il marito dell’attrice Ilaria Occhini. Noi eravamo sempre da Doney in via Veneto, perché era più bello e più pulito. Quando volevi vedere Ennio Flaiano, Vittorio Gassman e De Feo li trovavi al Cafè de Paris. Poi sopra, da Rosati, un locale  che ora non c’è più, si riuniva tutta l’intellighenzia, cioè Antonioni, Zavattini, ecc …  Io correvo avanti e indietro, mi chiamavano loro per chiedermi: “Come sta andando “La Ciociara”? Come va “Il Gattopardo”? Poi andavo anche sui set ed era anche complicato perché “Il Gattopardo” si è girato quasi tutto in Sicilia e la “Ciociara” invece vicino a Campobasso. Insieme a loro ho cominciato anche a lavorare per dei film molto interessanti e a quei tempi non c’era il mio lavoro e dico sempre che è stata la mia fortuna e grazie a qualcuno che mi ha aiutato, perché anche il fatto di uscire dall’Accademia, fare una particina in una fiction che giravano a Milano, dove avevo il ruolo del figlio di Anna Maria Guarnieri e di Giorgio Albertazzi, è stato fantastico.

Un suo ricordo di Anna Magnani?

L’ho conosciuta poco perché doveva fare “La Ciociara” e quindi sarebbe diventata una mia amica e invece lei ebbe un’offerta di lavoro in America e la parte fu di Sofia Loren. Poi far fare la figlia della Ciociara Sofia, mi sembrava inverosimile, perché Anna Magnani era altra 1 metro e 53 e la Loren 1 metro e 80.

Ursula Andress?

E’ stata per me un’icona sexy con un niente, perché il suo bikini valeva come i calzoncini corti da mondina di Silvana Mangano. Non ho mai visto una naturalezza di bellezza così. Purtroppo poi molte di queste attrici si sono ritoccate ed è finito un mito.

Sylva Koscina?

Mi ha tenuto molta compagnia perché l’ho  sempre trovata molto simpatica, molto dolce. Ha fatto una bella carriera e ad  un certo punto sembrava che diventasse una diva.

Florinda Bolkan?

Con la Bolkan ho fatto un lavoro che è riuscito molto bene perché ha avuto la fortuna di cominciare con Patroni Griffi con il film “Metti una sera a cena” e poi dopo con Toni Musante “Anonimo veneziano”.

Irene Ghergo?

Ha cominciato a lavorare con me e lei è la mia migliore amica. Ad un certo punto aveva bisogno di lavorare, è venuta nel mio ufficio e con Matteo Spinola abbiamo formato questo trio che si voleva molto bene. E da lì lei ha conosciuto moltissima gente dello spettacolo e ha fatto anche tante cose per la TV come autrice. Io ho lavorato tanto con lei, e poi ho cercato di convincere gli attori dei film in uscita  a far fare i primi passaggi ad Irene. Quindi Irene mi deve molto e io devo molto a lei perché è veramente un’amica speciale. Non vedo in giro amicizie femminili come lo è veramente quella tra me e lei.

Massimo Troisi?

Era molto tenero. Con lui ho fatto “Che ora è”, con Marcello Mastroianni e mi ricordo al festival di Venezia, dove il film passava, che era talmente intimidito nel vedere tutti questi paparazzi che volevano fotografarlo e ad un certo punto gli ho detto: “Non possiamo sederci, dobbiamo fare la passerella”. E lui: “No, no, tutte queste fotografie, tutti questi flash non mi piacciono”. E io: “Allora facciamo almeno un paio di foto con Marcello Mastroianni e il regista Ettore Scola”. L’ho convinto.

Ha lavorato con tutti.

Si, ho lavorato proprio con tutti. Negli anni ’60 non c’era questo lavoro, l’ho creato io senza pensare che così ho potuto aiutare una bella parte del cinema italiano e anche straniero.

Francesca Dellera?

Non la vedo da molto e la trovavo una delle attrici italiane più belle.

Anche Monica Bellucci è bella.

Monica oltre che bella è molto simpatica e la conosco fin dagli inizi, quando ha cominciato con i primi film e ogni tanto quando viene a Roma, oppure fa dei film, la curiamo noi. Per esempio “Malena” abbiamo fatto promozione io e Pignatelli.

Enrico Vanzina?

Lo conosco molto bene e mi ricorda molto il fratello Carlo, che non c’è più. Ho curato tutti i film dei fratelli Vanzina.

Ha conosciuto anche Totò?

Ho cominciato con lui, come comparsa e avevo tre batture, poca cosa, però mi sono divertito molto. Altre volte lui mi chiamava, quando il mio lavoro cominciava a crescere e mi faceva piacere vederlo insieme a Pasolini e con Monicelli. Lui era molto carino con me e io lo ero con lui. Umanamente era un uomo d’altri tempi.

Anita Ekberg era  un’attrice acqua e sapone o una diva?

Macché acqua e sapone, era una diva capricciosa. C’ho lavorato due volte e speravo di non vederla più.

Roberto D’Agostino?

E’ un grandissimo amico mio ed è il giornalista più libero che c’è in Italia e  quello mi piace tanto.    

Lei è famoso anche per le sue “lucherinate”. Ma la rivalità fra la Loren e la Lollobrigida è opera sua?

Era assolutamente vera e devo dire che non c’è un’intervista in cui Sofia Loren parla male di Gina Lollobrigida, si limita a dire: “Non la conosco ma mi pare una bella donna”. Punto. L’altra invece le si scatenava contro dicendo: “Si compra le copertine dei giornali con i soldi del marito”. Poi guardi i film di Sofia Loren e ti rendi conto che è proprio brava, come nel film appunto “La Ciociara” che ho rivisto pochi giorni fa, dove la Loren è strepitosa.

Ho letto che alcune attrici si sono prese a borsettate.

Quella l’ho organizzata io per ridere (risata). E’ stata una delle mie “lucherinate”, perché non se ne poteva più delle cose che scrivevano sui giornali, della presunta rivalità fra Eleonora Giorgi e Ornella Muti. Allora facevano un film insieme e durante una pausa, in sala stampa, le ho fatte prendersi a borsettate in faccia e ci sono delle foto divertentissime. E’ stata anche un occasione per promuovere il film “Appassionata” e in realtà la Muti e la Giorgi erano molto amiche.

Lei ha pubblicato anche un libro di fotografie.

Si e il titolo è “Purché se ne parli” (Dietro le quinte di 50 anni di cinema italiano). E’ veramente bello, Gianfranco. Me lo dico da solo però è molto interessante e per chi vuole sapere un po’ di più del cinema degli anni ‘50/60, questo libro è perfetto. Compralo e vedrai che ti piacerà.

Com’era la Roma godereccia di quei tempi? Immagino anche molti tradimenti.

C’erano anche altre cose oltre alle corna. Prima cosa c’erano bei film, degli  spettacoli teatrali fantastici e poi c’era una rivalità fra Giorgio Strehler e Luchino Visconti per il teatro e c’era una certa competitività nell’ambiente. Una cosa devo confessarti Gianfranco, che io non mi sono mai annoiato, ma proprio mai, anche se ho trovato dei registi pesanti, degli attori terribili, delle attrici tremende, però poi con questi siamo diventati amici e quindi non mi sono mai annoiato, anche perché a litigare c’è più vitalità. Comunque a me è sempre andato bene, mi chiamavano dei produttori che non conoscevo e mi offrivano di fare promozione, perché non c’era chi si occupava del dietro le quinte, della regia, degli attori, della storia del film e io ero come un bambino che chiedeva notizie ai genitori. Quando ho conosciuto Sofia Loren, era appena tornata dall’America, dove c’erano fior fiore di uffici stampa e mi raccontava che gli uffici stampa erano più di venti, mentre io ero da solo. Infatti dopo sei mesi ho chiamato Matteo Spinola e per 20 anni abbiamo lavorato insieme.

Parlando di Roma mi vengono in mente i salotti di Marta Marzotto e di Marina Ripa di Meana. Li ha frequentati?

Si, ma molto poco, forse un paio di volte. Da Marta a Cortina, anche se a Cortina c’era sempre qualche imbucato che arrivava e lei è sempre stata carina ad aprire la sua casa. Qui a Roma, no perché in quei salotti c’era poco cinema e molta mondanità, molto prestigio, principi e principesse, politici, pittori e l’élite romana. Roma ti porta anche a conoscere quelle realtà lì. Anche Marina Ripa di Meana faceva questo tipo di feste e lì mi sarei annoiato da morire perché si parlava di pellicce incendiate e delle sue battaglie sociali e quindi mi divertivo di meno.

Perché la Dolce Vita è finita?

Perché Roma è così, dura tutto poco, specialmente una cosa bella. Come ha scritto Ennio Flaiano nel suo libro “Un marziano a Roma”, arriva un marziano e tutti sono meravigliati e dopo un paio di anni deve andarsene perché non lo guarda più nessuno, anzi dicono: “Uffa, ancora questo”.

Ha dei rimpianti?

Rimpianti no, malinconia invece si, quando vedo ancora dei registi con cui ho fatto delle cose. Ora sono tre anni che non lavoro nel cinema, perché dopo una lunga carriera faccio il pensionato.

Come siamo messi con il cinema italiano?

Adesso malissimo e malissimo così non l’ho mai visto. Nessuno va più al cinema e quello che va meglio è quello di Ficarra e Picone. Agli attori italiani manca proprio il divismo, anche alle piccole dive non glie ne frega niente, sembrano degli scappati di casa.

Un domani come vorrebbe essere ricordato?

Come un uomo completamente diverso da tutti quelli che attraverso il mondo del cinema ho conosciuto.