Enzo Garinei
(attore e doppiatore) Cosenza
22.2.2019
Intervista di Gianfranco Gramola
“Senza
acqua si muore, senza il pane si può vivere, senza il sole e la luce ci si
sente tristi e si inaridisce, ma principalmente senza amore non esistiamo”.
Enzo Garinei (all'anagrafe Vincenzo
Garinei) è nato a Roma il 4 maggio del 1926. Fratello del noto
commediografo e regista teatrale Pietro Garinei e padre di Andrea, anche lui
attore, è un prolifico attore teatrale, televisivo e cinematografico, nonché
uno dei principali caratteristi del panorama italiano. Esordisce al cinema nel
1949, in Totò le Mokò, e nel corso di quattro decenni partecipa, in
ruoli secondari, a numerose commedie musicali e cinematografiche, rallentando le
proprie apparizioni solo a partire dagli anni novanta. Nel teatro leggero ha
partecipato spesso agli spettacoli di Garinei e Giovannini; sue recenti
performance (nel 2008 e 2009) lo vedono tra i protagonisti di Facciamo
l'amore, a fianco di Gianluca Guidi e Lorenza Mario e di Aggiungi un
posto a tavola, sempre a fianco di Gianluca Guidi e con Marisa Laurito.
Nella stagione teatrale 2017/2018 ritorna in tournée con la nuova edizione di Aggiungi
un posto a tavola, interpretando dal vivo "la voce di Dio" ed
ottenendo un caloroso tributo d'affetto da parte del pubblico. Fino al 2008 è
stato anche, pur se saltuariamente, doppiatore: il personaggio più noto da lui
doppiato è probabilmente quello di George Jefferson della sitcom I
Jefferson.. Doppiò anche Stan Laurel in alcune comiche e film. Nel luglio
2009 ha vinto il riconoscimento speciale Leggio d'oro "Alberto Sordi".
Per la filmografia, il
doppiaggio e la prosa televisiva vedi
Intervista
Enzo
Garinei è al Teatro Rendano di Cosenza con lo spettacolo “Aggiungi un posto a
tavola” dove presta la voce a Dio. Tra una pausa e l’altra, mi dedica un
po’ del suo tempo per un’intervista.
Lei ha
iniziato a lavorare nel cinema con Totò. A parte lui, chi sono stati i
suoi maestri?
I miei maestri
sono stati i colleghi con cui ho lavorato. Sono tanti i colleghi che adesso non
ci sono più e che avrebbero la mia stessa età. Lo stesso Totò oggi avrebbe più
di 100 anni. I miei maestri sono stati anche mio fratello Pietro, grande
regista. Lui insieme a Sandro Giovanni e Armando Trovajoli hanno scritto le più
belle commedie musicali. Pietro è stato il mio secondo padre. Io ho perduto il
papà che avevo 14 anni. Io sono nato nel 1926 e ho perduto mio padre nel 1940.
E’ vero
che Totò fuori dal set era piuttosto triste?
Non era triste Totò.
Lui aveva una famiglia, una moglie, una figlia, una casa, dei parenti e degli
amici, quindi era umano. Non è che gli attori sono dei robot che continuano a
recitare anche fuori dalle scene, fare sketch,
raccontare barzellette o monologhi di Shakespeare o di Cechov. Totò era un
essere umano come un altro, come il Presidente del Consiglio, come un avvocato
… Non è che un avvocato fuori dall’ufficio continua a fare le cause, non è
che un ingegnere nel tempo libero deve costruire ponti, che poi magari cadono
come quello di Genova. Gli artisti hanno una loro vita privata e Totò, finito
di recitare e di fare il comico, si levava la bombetta e il suo abitino e
diventava il principe Antonio De Curtis. Ha guadagnato dei soldi nella sua vita
artistica, ha recitato in tanti film e aveva fatto tante altre cose, aveva un
autista che lo portava in giro, perché non era più un ragazzino. Io il 4
maggio 2019 compio 93 anni e ancora continuo a vivere e vado pure in macchina.
Certamente non faccio grandi viaggi, però giro per Roma tranquillamente.
Qualche volta può succedere che mi serva il taxi e questo quando sono stanco o
quando vado in qualche posto che non conosco. Anch’io che sono un attore
brillante, quando esco fuori dal set cinematografico oppure dal teatro, ho una
mia storia, ho una famiglia, ho una casa e i miei figli. Forse la gente
pretenderebbe che l’attore fosse sempre il pupazzo che sono abituati a vedere.
E allora può pensare che sia sgarbato. Lui era un signore che diceva: “No,
grazie, ma oggi non posso proprio.” Oppure “Mi dispiace ma ho un
appuntamento e vado di fretta”. Quella di Totò serio fuori dal set sono
chiacchiere che fa la gente. Totò era molto generoso. Quando veniva a sapere
che c’era qualche collega in condizioni difficili e preoccupanti era il primo
ad aiutare, e gli dava 500 lire, che allora era mezzo stipendio di un impiegato
della previdenza sociale. C’era una celebre canzone che diceva: “Se potessi
avere, mille lire al mese”.
Qual
è il segreto del suo successo?
Volersi
bene, andare d’accordo, essere il primo a stringere la mano al prossimo,
accettare di buon grado di farti fotografare o fare un selfie. Avere amicizie,
conoscere e frequentare le persone e mescolarsi con loro. Uno dei miei
divertimenti è uscire da casa e andare a vedere i negozi, ma non solo per i
negozi, ma per stare in mezzo alla gente. Mischiarsi con le persone, unirsi con
altri esseri umani. Poi discutere se è necessario, ma discutere umanamente, con
termini logici e non offensivi. Questo è il segreto del mio successo. Quando
voglio fare un esempio, dico sempre questa frase: “Senza acqua si muore, senza
il pane si può vivere, senza il sole e la luce ci si sente tristi e si
inaridisce, ma principalmente senza amore non esistiamo”.
Lei
ha dei rimpianti?
No.
A 18 anni volevo fare l’attore e a quasi 93 anni continuo a fare l’attore,
cambiando logicamente i personaggi. Ad esempio nella commedia musicale
“Aggiungi un posto a tavola” che stiamo portando in tournée, fino a poco
tempo fa facevo il sindaco. Poi data la mia età non potevo avere una figlia così
giovane come Clementina, sarebbe più una mia nipotina che una figlia e io il
nonno. Ora sono salito di grado, anzi al massimo dei gradi, e faccio la voce di
Dio. A proposito di voce, devo dire che è rimasta sempre uguale negli anni, è
sempre quella che tutti conoscono nel doppiaggio, quando facevo George Jefferson, della
famosa serie tv i Jefferson, o di quando doppiavo Stan Laurel del duo Ollio e
Stallio. La mia voce non è mai cambiata, è sempre bella pulita. Certo qualche
raucedine, ma si risolve con un
risciacquo o un’aspirina. Può essere opaca, però sempre pronta a farsi
sentire. Quindi niente rimpianti, però un grande dispiacere, cioè quello di
aver perduto mio figlio 3 anni fa, il 26 febbraio del 2016. Era un bravo attore,
forse più bravo di me, di un altro genere. Si era fatto un nome nella serie
“I ragazzi della 3^ C” e in “College”. Poi ha fatto cinema, teatro e
televisione. Un tumore al polmone sinistro, è stato operato, sembrava tutto a
posto e poi c’è stata una ricaduta e l’ho perduto. Per me e la mia famiglia
è stato un grande dispiacere. Lui poteva essermi di aiuto. In compenso ho una
figlia che mi vuole molto bene, mia moglie che ha una certa età e con la
quale vado d’accordo e poi ho una nipotina, Martina, che mi fa un pochino da
segretaria e che si sta laureando in Scienze dell’Educazione. Lei ama molto i
bambini e le persone malate. Forse
è la mia bella famiglia la ragione di questa mia serenità.
Lei
ha lavorato con tutti gli artisti italiani. Un suo ricordo su Paolo Panelli e
Bice Valori?
Di
Paolo ho un ricordo bellissimo. Era il giocattolo di mio fratello Pietro e di
Giovannini. Se fosse stato possibile avrebbero voluto metterlo in tutte le
commedie musicali, perché lo divertivano. Era simpaticissimo, un bravissimo
attore comico con una sua voce particolare. Anche la moglie Bice era fantastica.
Erano una coppia di cui si sente la mancanza, come una bella coppia erano Sandra
Mondaini e Raimondo Vianello. Ho lavorato con tutti. Un altro che rimpiango
molto è Gino Bramieri, un grandissimo attore, umano, pieno di spirito. E’
stato una delle forze di Garinei e Giovannini nelle sue commedie.
Anche nella prosa ha avuto molto successo.
Marcello
Mastroianni?
Con
lui ho cominciato a lavorare. Siamo entrati al CUD, il centro universitario, a
19 anni, abbiamo cominciato a studiare insieme.
A
studiare?
Si.
E’ un consiglio che do sempre ai giovani, cioè quello di studiare, perché la
tecnica ci vuole. Tutti sappiamo giocare a pallone, ma se vogliamo diventare
giocatori di calcio dobbiamo imparare a stoppare il pallone, a dare un colpo di
testa, tirare un rigore. Bisogna studiare, perché lo studio serve, la cultura
serve e bisogna leggere, leggere molto. Bisogna curare la voce, la dizione. La
natura ti può dare il talento, perché senza talento non c’è studio al mondo
che ti faccia riuscire a sfondare. Una volta che hai scoperto di avere talento,
lo devi affinare, lo devi pulire, lo devi mettere a posto.
Lei
è romano. Che ricordi ha della sua infanzia?
Io
sono romano de Roma e sono nato in centro. Esattamente in via delle Coppelle che
è una stradina che unisce via della Scrofa con via della Maddalena, vicino al
Pantheon, quindi in pieno centro e ad un passo da piazza Navona. Ho avuto una
bella infanzia, ero sempre abbastanza allegro, su di giri, scherzavo e già
allora avevo l’istinto dell’intrattenitore. Ricordo molto bene i miei 70
anni di vita italiana, perché ho quasi 93 anni e sono diventato adulto a 19
anni, quando è finita la guerra. C’era da ricostruire il paese e quindi
c’era da fare per tutti. L’adolescenza c’è stata e l’infanzia non è
stata lunghissima. C’era da dare una mano, c’era da ricostruire un paese e
poi è ricominciato il cinema, è ricominciato il teatro . A Roma c’erano
tutti gli attori, la Magnani, Alberto Sordi, Totò, Gassman, Monica Vitti e
tanti altri. Eravamo tutti giovanissimi e vogliosi di dare una mano a questo
paese. Poi avevamo la fortuna di avere gli statisti, non i politici. Gli
statisti sono coloro che amano il proprio paese, lo stato, i politici sono
quelli che ad un certo momento fanno la loro politica, puntando ad avere una
poltrona, a fare carriera. Lo statista aveva un grande amore per il proprio
paese e non contavano i colori politici, non doveva essere di destra o di
sinistra, però la resa dei conti era sempre l’intenzione di fare del bene al
proprio paese.
Cosa
le manca di Roma quando è via per lavoro?
La
mia famiglia principalmente e poi le mie abitudini. Conosco bene molte città
europee, conosco Vienna, Parigi, Londra, conosco bene la Spagna, però amo
l’Italia in generale. Tutte le città hanno i loro pregi e i loro difetti,
fanno le mostre, hanno dei musei, per cui in ogni città che vado, non mi sento
mai solo. Il pubblico mi apprezza, mi vuole bene, mi conosce, mi viene incontro
sorridendo, mi saluta volentieri. Esagera molto quando dice: “Lei è un mito,
lei è una pietra miliare del teatro e del nostro cinema”. Li ringrazio molto
dei complimenti, ma per me i miti sono altri, sono quelli che inventano la
penicillina, che ai tempi della guerra non c’era. Sono dei miti quelli che
curano le malattie e salvano delle vite. Però la gente mi vuole bene e mi
reputa uno di famiglia. Mi chiedono una fotografia, un selfie e quindi non mi
sento mai solo quando sono in giro per l’Italia in tournée. E’ chiaro che
mi manca la famiglia, la mia città che ha i suoi diffettacci. Non è più la
Roma di un tempo, è una Roma che è diventata molto grande, enorme e che ha più
di 3 milioni di abitanti, molti sono stranieri. Mi manca la mia squadra bianco
celeste, faccio il tifo per la Lazio
dal 1937. Ho visto la prima partita della Lazio contro una squadra ungherese. Mi
è piaciuto e ricordo che il centravanti della Lazio si chiamava Silvio Piola.
Però ripeto quando sto in giro vedo tanto affetto nei miei confronti. Non mi
sento mai solo, ma capita che a volte mi piace starmene da solo e allora me ne
torno in albergo e mi riposo il più possibile, anche perché sono un buon
dormiglione. Mi piacciono anche le varie cucine. Quando vado in città di mare,
mangio tanto pesce, quando vado in Toscana mangio carne e verdure. Non sono
narciso, diciamo che mi piace il mio modo di vivere e cerco di farlo capire agli
amici e avendo tanti anni sul groppone, mi permetto di dare qualche consiglio
quando vedo delle situazioni un po’ difficili, scabrose. Diciamo che sono un
buon pastore (risata).
Lei
ha sempre abitato in centro?
Ho
abitato in posti un pochino
“respiratori”. Quando stavo a piazza del Popolo, avevo a due passi Villa
Borghese. Poi sono andato a via Colli della Farnesina, nella zona dello stadio
Olimpico, del Foro Italico. Adesso da tanti anni sono sull’Aurelia, quindi
molto vicino al mare. Io amo il mare, amo il panorama del mare, anche se non
sono un nuotatore. Mi piace anche la montagna e mi piace la natura in generale e
sono un naturalista. Sulla via Aurelia, a pochi minuti di macchina da casa mia,
ho Santa Marinella e Maccarese. A 20 minuti di macchina sono al mare. Roma in
fin dei conti si può dire che è una città marina. Praticamente dall’Eur in
10 minuti sei al mare.
In
quale periodo del passato vorrebbe rivivere?
Forse nel periodo in cui
abitavo a piazza del Popolo. Stavo all’ultimo portone di via del Corso 530. Io
non sono mai stato proprietario di case e la gente preferiva prendere
appartamenti in affitto, ma quella era la casa di mia madre e mio padre e pagavo
loro un affitto. Mi piacerebbe tanto tornare a quel periodo lì, ora quel posto
è abbastanza chiassoso e non è più il centro di una volta. A quei tempi avevo
una piccola macchina, una giardinetta Fiat verde inglese, con gli sportelli di
legno e la parcheggiavo in piena piazza del Popolo, vicino alle chiese gemelle.
Il mio terrazzo stava vicino alla chiesa gemella di piazza del Popolo, a
sinistra, angolo via di Ripetta. Si mi piacerebbe ritornate lì, perché sono i
ricordi dei miei inizi di carriera.