Federico Taddia (giornalista, autore e
divulgatore) Trento 23.5.2024
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Io scrivo molto per lavoro ma la radio
invece è l’unico mezzo dove non scrivo mai. E’ tutto sempre improvvisato,
non so se sia un dono o un talento, per me è una necessità proprio perché mi
piace quel tipo di radio che si crea mentre la fai”
Federico Taddia, è nato a Pieve di Cento
(Bologna) il 7 febbraio del 1972. Giornalista,
autore e divulgatore ha condotto "Screensaver" su Rai3, "Nautilus"
e "Terza Pagina" su Rai Cultura, "Big Bang" su Dea Kids,
"L'Altrolato" e "Monolocale" su Radio2, "Pappappero",
"L'Altra Europa" e "Terra in vista" su Radio24. Collabora ai
testi di Fiorello, al programma "DiMartedì", con il quotidiano
"La Stampa" e il settimanale "Topolino". È co-autore del
"Il manuale delle 50 (piccole) rivoluzioni per cambiare il mondo", di
"Penso Parlo Posto", e dei libri "Mamma posso farmi il
piercing?", scritto con Federica Pellegrini, "Perché le stelle non ci
cadono in testa?" e "Nove vite come i gatti" scritti con
Margherita Hack, "Perché siamo parenti delle galline?" e "Il
maschio è inutile", scritti con Telmo Pievani, e insieme a Claudia Ceroni,
ha pubblicato "Fuori luogo: inventarsi italiani all'estero". È
appassionato di tematiche giovanili, di divulgazione scientifica, di ambiente e
stili di vita, culture alternative e di storie piccole, originali e virtuose che
racconta in radio, in tv e sulla carta.
Intervista
Com’è nata la passione per la radio
e la tv? Hai qualche parente che lavora in radio?
Non ho avuto nessun parente che lavorava in
radio, ma avevo una zia non vedente e quindi la radio era una compagnia
quotidiana e io alla sera, da bambino, mi addormentavo con lei, ascoltando il
bollettino del mare, dove c’era la lettura di tutti i fari d’Italia, ecc …
Quindi il primo ricordo che ho della radio parte dal bollettino del mare. Poi ho
iniziato a lavorare nella comunicazione per bambini perché mi piaceva fare
radio per i più piccoli e ho iniziato proprio così, su Radio 24 con un
programma che si chiamava “Pappappero” e poi da lì i programmi sono
cambiati e sono a Radio 24 da molti anni e mi fa molto piacere.
I tuoi genitori come hanno preso questa
tua scelta professionale? Avevano in mente un futuro diverso per te?
Si, loro mi hanno costretto a fare
ragioneria, perché mio padre lavorava in banca e aveva deciso che io dovevo
lavorare in banca, quindi il posto fisso. Mi diedero i soldi per andare a
iscrivermi ad economia e commercio, ma io andai a iscrivermi a psicologia e lo
scoprirono un anno dopo e non fu un momento bellissimo all’interno della
famiglia.
Con quali maestri di riferimento della
radio e della tv sei cresciuto? I tuoi miti?
Da adolescente ascoltavo molto le radio
locali, quindi a parte radio uno con mia nonna, dopo diventando grandicello
ascoltavo molto Caterpillar, mi piaceva il loro modo di fare radio, che era
anche una radio sporca come si dice in gergo, una radio dove davano molto la
voce agli ascoltatori, quindi Massimo Cirri è stata una persona che
radiofonicamente ho ascoltato tanto.
Le doti di un bravo conduttore
radiofonico?
Che non sono io (risata), ti possono dire
quelle che piacciono a me. La capacità di fare la seconda domanda, quindi che
vuol dire ascoltare e saper poi adattare la chiacchierata a seconda di quello
che ti viene detto, il rispetto nei confronti della persona che stai
intervistando e anche nei confronti di chi sta ascoltando e l’essere naturali,
che per me l’essere naturali vuol dire essere poco artificiali. Ascolto e
ammiro chi ha la dizione perfetta, non mi piace la dizione perfetta fine a se
stessa. Penso che il bello della radio è che tu puoi veramente mettere in onda
la tua personalità.
L’improvvisazione in radio è un dono o
un arte?
Io scrivo molto per lavoro ma la radio invece
è l’unico mezzo dove non scrivo mai. E’ tutto sempre improvvisato, non so
se sia un dono o un talento, per me è una necessità proprio perché mi piace
quel tipo di radio che si crea mentre la fai. Prima devi tirare delle linee, sai
chi sono gli ospiti, ecc … ma ho bisogno di capire la personalità
dell’ospite e l’energia che c’è.
In radio hai trovato più competizione o
complicità?
Tanta complicità. Ho sempre fatto lavoro di
squadra con i miei colleghi, mi piace fare
un bel lavoro e senti che fai parte di una grande famiglia perché alla fine la
radio è una grande famiglia per l’ascoltatore. Mi piace la contaminazione, mi
piacciono le connessioni, quindi nessuna competizione.
Io e Federico Taddia al festival
dell'economia di Trento
Come ti prepari prima di una diretta
radio? Hai un rito scaramantico?
Non ho riti scaramantici, mi butto e come
dicevo prima improvviso molto. Spesso quando ho ospiti in studio mi chiedono:
“Ma cosa ci chiedi, qual è la prima domanda?” e dico la verità: “Non lo
so”. E’ come se si accendesse il cervello quando si va in onda, prima hai il
cervello altrove.
Quali sono i temi che vorresti
approfondire maggiormente in radio?
A me piace molto raccontare storia poco
raccontate, mi piace raccontare storie della provincia. Tanta radio è fatta
rileggendo quello che c’è già scritto sui giornali. A me invece piace
raccontare quello che ancora non è stato scritto ed è lo sforzo che cerco di
fare da sempre nei miei programmi.
Hai collaborato con Fiorello. Come l’hai
conosciuto e com’è stato lavorare con lui?
Ho iniziato a lavorare con Fiorello
proponendogli dei testi e gli sono piaciuti. Sono stato fortunato perché era un
momento anche dove stava cercando nuovi collaboratori e sono 22 anni che
lavoriamo insieme e per me è stata una scuola, una grande scuola ed è tuttora
una scuola.
Ho letto che hai scritto un paio di libri
su Margherita Hack. Perché hai voluto raccontare la divulgatrice scientifica?
Ho fatto il primo libro insieme a lei perché
mi piaceva l’idea di raccontare ai bambini qualcosa di molto complesso
com’era l’astrofisica. Poi siamo diventati molto amici, l’ho frequentata
molto e a dieci anni dalla morte ho sentito il dovere e l’esigenza di
trasmettere soprattutto alle nuove generazioni chi fosse Margherita Hack. Per me
è stata una bombola d’ossigeno, mi ha insegnato tantissimo, abbiamo riso
tanti insieme perché era molto spiritosa. Mi ha insegnato ad essere sia
rigoroso che spettinato, cioè a mettere insieme questi due elementi, che poi
era la sua presentazione, perché lei era così.
Quali sono le tue ambizioni?
Continuare a divertirmi, continuare ad essere
credibile, continuare a trovare ospiti che mi dicono: “Questa domanda non me
l’ha mai fatta nessuno”.
Progetti, idee, libri?
Sto lavorando ad un nuovo libro di scienze su
Albert Einstein e poi i progetti sono mille. E’ il mio lavoro e le idee sono
tante.
Hai ricevuto parecchi premi. Ce n’è uno
a cui sei molto legato?
Sono molto legato al premio Alberto Manzi,
che era il premio sulla comunicazione educativa, un po’ perché Alberto Manzi
era un maestro per me e un po’ perché questa
parola “educativa” che sembra una parola scomoda, una parola noiosa,
una parola vecchia, invece applicata alla comunicazione è molto importante e ha
una sua funzione perché la comunicazione può essere gentile, può essere
rispettosa, stimolante e costruttiva. A questo premio sono molto legato.