Ferruccio De Bortoli (giornalista)
Milano 26.6.2023
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Il giornalismo è una passione, però può
essere anche una malattia e penso che bisogna guardarlo con grande amore ma
nello stesso tempo anche con un certo tipo di distacco”
Ferruccio De Bortoli è nato a Milano il 20
maggio 1953. Dopo la laurea in giurisprudenza ha lavorato per il Corriere dei
ragazzi e per il Corriere dell’informazione. Nel 1993, grazie alla volontà
dell’allora direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, viene promosso a
vicedirettore. Ne otterrà poi la guida nel 1997. La sua permanenza alla
direzione continua per sei anni. Dopo una breve esperienza come amministratore
delegato di RCS Libri, ha diretto IlSole24ore (2004-09), incarico lasciato per
tornare a dirigere il Corriere della sera fino al 2015. Dallo stesso anno è
presidente della casa editrice Longanesi e dell’Associazione Vidas di Milano.
Ha partecipato come commentatore politico a diversi programmi di attualità,
svolgendo talvolta anche il ruolo di moderatore. Tra le sue opere: nel 2017,
Poteri forti (o quasi), in cui racconta la sua carriera da giornalista; Ci
salveremo. Appunti per una riscossa civica (2019), La ragione e il buonsenso.
Conversazione patriottica sull’Italia (con S. Rossi, 2020) e Le cose che non
ci diciamo (fino in fondo) (2020).
Intervista
Ci siamo conosciuti al festival
dell’Economia di Trento. Come ha vissuto la manifestazione e qual è stato
l’incontro più gradito?
Io sono molto affezionato al festival
dell’Economia di Trento perché cominciò la prima edizione quando io ero
direttore del Sole 24 Ore, per iniziativa anche
di Innocenzo Cipolletta, che all’epoca era il presidente del Sole 24 Ore e
nello stesso tempo presidente dell’Università di Trento, insieme a Laterza.
Penso che Fabio Tamburini, attualmente direttore del Sole 24 Ore e Mirja Cartia
d’Asero, amministratore delegato, abbiano fatto un buon lavoro, anzi un ottimo
lavoro, soprattutto per aver fatto conoscere anche a livello internazionale il
festival dell’Economia di Trento, dove io ho partecipato molto volentieri. Tra
l’altro io l’anno scorso sono stato costretto a dare forfeit all’ultimo
momento proprio perché mi prese il covid. Quest’anno devo dire che ho
partecipato ad alcuni di questi interventi, ma credo che il programma sia stato
particolarmente ricco e mi ha fatto
molto piacere di aver fatto la
chiacchierata con Luca Cordero di Montezemolo, che è stato Presidente di
Confindustria e quindi editore del Sole 24 Ore, quando il festival di Trento
cominciò la prima edizione.
Da 40 anni sento parlare di crisi. Come
siamo messi realmente in Italia?
Il concetto di crisi ha dentro non soltanto
il disagio per i problemi, ma porta con se anche delle opportunità. Noi abbiamo
avuto un trentennio di straordinaria crescita che mai nella storia abbiamo
avuto, cioè dalla fine della seconda guerra mondiale fino alle due crisi
petrolifere degli anni ’70. In quel momento comincia ad esserci quel
meccanismo perverso dell’inflazione e della svalutazione della lira, si
cominciano a fare dei debiti che purtroppo si sono moltiplicati negli ultimi
tempi. Abbiamo però dato prova di saperci riprendere, perché
ci siamo ripresi dopo la crisi finanziaria del ’92, che fu una crisi
molto forte, ci siamo ripresi dopo la crisi finanziaria del 2008 e
del 2011. Certo siamo un paese che vive al di sopra delle proprie
possibilità, nel quale c’è una parte minoritaria che paga le tasse anche per
tutti gli altri, che c’è una parte che lavora e che lavora di più di chi
lavora all’estero e poi c’è una parte eccessiva di persone che vivono sulle
spalle degli altri. Per fortuna abbiamo una grande industria, grande non nel
senso di dimensione, ma insomma un’industria che esporta, abbiamo una buona
agricoltura, abbiamo delle comunità molto consolidali e coese che fanno da
contraltare ad uno stato inefficiente. Ma nel parlare troppo di crisi ci siamo
dimenticati che le riforme vere vanno fatte e non tentate ogni anno e che
purtroppo o abbiamo un serio problema demografico o abbiamo un serio problema
soprattutto di preparazione al capitale umano, perché eravamo più colti quando
eravamo più poveri.
Parliamo di giornalismo. Com’è nata la
sua passione per la carta stampata? Ha giornalisti in famiglia?
Non ho alcun giornalista in famiglia e forse
la passione è nata proprio per questo, la ragione è questa qua. Il giornalismo
è una passione però può essere anche una malattia e penso che bisogna
guardarlo con grande amore ma nello stesso tempo anche con un certo tipo di
distacco. La mia passione per il giornalismo è cresciuta negli anni perché ho
sempre desiderato fare questo mestiere, sono stato fortunato, , anzi persino
troppo fortunato. Ho diretto per due volte il Corriere della Sera (dal 1997 al
2003 e dal 2009 al 2015, ndr), ho diretto dal 2005 al 2009 il Sole 24 Ore e
soprattutto ho fatto il giornalista quando era la professione più ambita dai
giovani. Oggi lo è un po’ meno perché la professione si è trasformata anche
se vedo tanti giovani molto più preparati di quanto fossimo preparati noi
giovani negli anni ’70. Non ci sono più i grandi editori, c’è stata una
crisi, però il Corriere rimane il Corriere, ma ci sono grandi case editrici di
cultura. Io sono Presidente di Longanesi, ne sono fiero e io credo che quello
del giornalista sia ancora un bellissimo mestiere, che consente di essere
testimone del tempo, che non tutti hanno il privilegio di essere testimoni del
tempo, poi si tratterebbe anche di capirlo, ma questo è un altro discorso.
Nel giornalismo abbiamo tante brave
professioniste. Un altro passo verso la parità?
Di passi verso la parità ne sono stati fatti
molti, ma non ci si può assolutamente accontentare. Molte delle principali
firme oggi, sono di donne, di ragazze. Una volta sul fronte, a raccontare la
guerra, erano quasi ed esclusivamente uomini, a parte
l’eccezione di Oriana Fallaci. Oggi sono soprattutto ragazze molto
brave, molto coraggiose, però come tutti gli altri settori dell’economia e
delle professioni in Italia, bisogna praticare una parità vera e non soltanto
una parità di facciata con tante promesse che spesso non vengono mantenute.
Prima parlava di Oriana Fallaci. Ha un
aneddoto, un ricordo?
Oriana Fallaci aveva un carattere terribile e
sapeva anche punirti nel modo più perfido. Il suo libro “La rabbia e
l’orgoglio” nasce da una conversazione tra me e lei, infatti nella prima
edizione di “la rabbia e l’orgoglio” c’è un articolo che venne
pubblicato il 29 settembre 2001 sul Corriere della Sera e cominciava con “Mi
chiedi”, poi dopo lei si arrabbiò e nel libro, quel “Mi chiedi” non c’è
più.
Due parole su Indro Montanelli e
Tiziano Terzani?
Montanelli è stato un grande, oltre che un
amico e un maestro. L’ho apprezzato non soltanto per le sue straordinarie
qualità letterarie e giornalistiche, per il suo genio incontrastato e per
quella sua amabilità, ma anche per quella straordinaria capacità di prendere
la vita come viene e di vederne gli aspetti più curiosi e volerla vivere fino
in fondo senza ansie, ma con la soddisfazione di poterla abbracciare tutta. E’
stato un insegnante di vita. Montanelli ha vissuto più di 90 anni e diceva:
“La cosa peggiore è cominciare a morire dalla testa che cominciare a morire
dalle gambe. Per fortuna a me è accaduto l’opposto, cioè sono cominciate a
mancare le gambe”. Ma fino all’ultimo è stato straordinario. Mi ricordo che
alla fine del secolo scorso gli chiesi: “Senti, tu sei sempre stato anti
italiano. Ma se tu dovessi rinascere, in quale paese ti piacerebbe
rinascere?”. Lui mi rispose: “Guarda, nel dirlo mi arrabbio un po’ e mi do
del bischero, ma vorrei tanti rinascere italiano”. Questo era Indro
Montanelli.
Tiziano Terzani?
Lui era l’antitesi fiorentina di Oriana
Fallaci. Terzani e la Fallaci erano nati entrambi a Firenze, si frequentavano in
gioventù e decisero anche di tenere un epistolario di lettere che si sarebbero
scambiati, lei andando in occidente e lui andando in oriente e poi finirono per
detestarsi. Come litigano i toscani, non litiga nessuno. Però lui è stato un
grande scopritore e indagatore dell’anima umana. Profondo nella sua
spiritualità, con il bisogno di essere in sintonia con la natura, la voglia di
scoprire nuove persone, nuove culture, il voler essere un viaggiatore del tempo,
senza pregiudizi. A volte anche
abbracciando quelle ideologie con troppo entusiasmo.
Non posso fare meno di chiederle
dell’incontro con Papa Francesco. Com’è stato?
A parte l’emozione di poterlo incontrare,
era una delle prime interviste che il Papa rilasciava per cui aveva una certa
difficoltà con l’italiano. Mi chiese di avere un interprete spagnola. Io non
potevo dire all’interprete spagnola che avremmo visto il Papa e dissi una
bugia, cioè che saremmo andati ad intervistare un cardinale sudamericano.
Quando vide entrare nella stanza il Papa, lei ebbe un piccolo mancamento e il
Papa durante l’intervista si preoccupava di lei, che chiaramente era molto
emozionata. Poi il papa ebbe parole di grande attenzione umana, perché questo
Papa è una sorta di fratello maggiore, di padre, di nonno, di amico, una figura
che racchiude tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno nei nostri rapporti umani.
Questo penso che sia un grande segno del suo pontificato.
L’intervista che l’ha fatta più
tribolare?
Quella con Putin fu un’intervista non
facile, come quella con il presidente siriano Bashar al Assad. Le interviste
sono per loro natura difficili perché se sono troppo facili, non incidono.
L’intervistato deve sentirsi un po’, non dico preso per la collottola, ma
non deve sentirsi mai troppo a suo agio, perché se si sente a suo agio,
evidentemente l’intervista non è una buona intervista.
E’ in arrivo un nuovo libro?
Per il momento, no, è meglio leggere. In
Italia scriviamo in troppi e leggiamo in pochi.
Come sarà la sua estate?
Un estate normale dove io mi dividerò tra il
mare e la montagna, quindi un po’
dalle sue parti, in Trentino. L’importante è stare con i figli e avendo una
nipotina che ha appena un anno, mi piacerebbe restare un po’ con lei a fare il
nonno.