Floriana Bulfon (giornalista)
Roma 13.11.2018
Intervista di
Gianfranco Gramola
Le mie
ambizioni sono quelle di lavorare sempre di più a inchieste transnazionali con
gruppi di giornalisti che provengono da esperienze e paesi diversi. Sono
convinta che l’arricchimento e i risultati vengano dal lavoro di squadra
Floriana Bulfon,
giornalista d’inchiesta freelance scrive per l’Espresso e Repubblica, è
inviata per RaiUno e collabora con I dieci comandamenti RaiTre. È autrice di Grande
Raccordo Criminale (Imprimatur) il libro
che ha descritto in anticipo il sistema di Mafia Capitale. Ha realizzato inoltre
i documentari ‘Invisibili’ e ‘Vite sospese’ promossi da Unicef. Si
occupa di criminalità organizzata, terrorismo internazionale, pedofilia e cyber
security. Ha vinto importanti riconoscimenti quali il Premio Carlo Azeglio
Ciampi Schiena dritta, il premio Internazionale Luchetta e il Premio Pietro di
Donato. Laureata in filosofia e scienze giuridiche, ha conseguito un MBA con
borsa di studio al merito.
Intervista
Com’è
nata la passione per il giornalismo? Chi te l’ha trasmessa?
Uno
dei miei primi ricordi d’infanzia è la passeggiata mattutina mano nella mano
con papà per andare all’edicola a comprare i giornali. Ricordo che ritagliava
con cura gli articoli più interessanti e io guardavo quell'operazione con
curiosità. Dentro quei frammenti di carta era raccontato il mondo che mi
circondava e quello ancora da scoprire. A casa poi la radio era sempre accesa
per ascoltare le notizie, la voce dei cronisti ha accompagnato i miei primi anni
di vita trascorsi nei container dopo il terremoto del Friuli. Ne ero affascinata
e mi chiedevo spesso come potessero descrivere fatti avvenuti così lontano.
Com’è
nata la scelta di occuparti di inchieste, di criminalità organizzata?
La
consapevolezza di voler fare la giornalista arriva nei primi anni Novanta. Sono
gli anni delle stragi di mafia, una stagione di annientamento sanguinoso, e gli
anni delle guerre jugoslave. Per chi come me viveva accanto a quel confine,
abituata ad attraversare la frontiera quasi ogni settimana, con parenti e amici
sparsi tra Bosnia, Slovenia, Croazia e Serbia, è stato qualcosa di spaventoso.
L'orrore è entrato nella nostra vita. Ho scelto di fare questo mestiere
tenendo fermi due punti: analisi rigorosa e capacità di narrare il meccanismo.
Essenziale è consumare le suole delle scarpe, essere testimoni dei fatti,
viverli per capirli e svelarli senza sconti. Ritengo sia necessario denunciare
storture, violenze, responsabilità.
Chi
sono stati i tuoi giornalisti di riferimento (i tuoi esempi)?
Ce
ne sono tanti. Giuseppe D'Avanzo che ho potuto conoscere. Ricordo la soggezione
che ho provato. Porto sempre con me la sua definizione di inchiesta
giornalistica (“è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di
mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon
giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne
fa custode nell'interesse dell'opinione pubblica"). Elizabeth Cochran, per
tutti Nellie Bly, la prima giornalista investigativa americana. E poi il
premio Pulitzer Walter Robinson e l’esempio de il "Globe" nel
documentare l'esistenza di una rete di preti pedofili della diocesi di Boston,
perché grazie a quella storia, quel che era accaduto, non sarebbe più
accaduto. Ma anche i tanti i cui nomi vengono letti di sfuggita magari nemmeno
ricordati e che per informare si scontrano con intimidazioni, arresti, la morte.
Anche se oggi assistiamo troppo spesso informazione senza riscontri, senza
fondamenti, fatta di spot, penso sempre con più forza che questo mestiere debba
essere animato da umiltà, curiosità e rigore.
I tuoi genitori come hanno preso la tua
scelta di fare la giornalista? Avevano altre scelte per il tuo futuro?
I miei genitori mi hanno lasciato sempre
molta libertà nelle scelte e non mi hanno mai immaginato in un modo o in un
altro, mi hanno sempre supportato. Sono stata io, durante il periodo
universitario, ad avere qualche ripensamento, soprattutto per la precarietà
economica che questa professione comporta. E così ho scelto dopo la laurea in
filosofia di intraprendere un percorso di studi economici e poi giuridici che
apparentemente si discostavano dalle mie aspirazioni. In realtà sono tutt'ora
un bagaglio culturale che mi aiuta nella professione. Se so leggere un bilancio
o le fasi di un processo penale lo devo a quel percorso che è stato
apertura.... Quanto all’incertezza, mi accompagna ancora oggi. Fare la free
lance continua a essere faticoso ma so di avere ancora la mia famiglia accanto.
Perché le trasmissioni di cronaca
nera, di mafia hanno molto seguito in tv?
Le
tragedie altrui esorcizzano in qualche modo le paure che abbiamo. Il problema è
che la cronaca nera entra nelle nostre case con disinvoltura e leggerezza,
diventa intrattenimento tanto da abituarci alla morte e all’orrore.
Parlare di mafia è invece necessario. Perché l’evoluzione di questo
fenomeno criminale non ci mette più di fronte a fatti concreti se non in
sparuti casi. E’ una mafia silente, che si insinua nell’economia e nella
pubblica amministrazione. Non solo droga e pizzo ma anche appalti e riciclaggio.
Per raccontare questo sono necessari altri strumenti divulgativi.
Quali
sono i temi, le problematiche che vorresti approfondire maggiormente?
Cerco
di avere un approccio rigoroso nelle mie inchieste a prescindere dal tema che
tratto. Sono esigente nell’individuare le problematiche da analizzare. Mi sono
confrontata su temi di criminalità organizzata, terrorismo, cyber security, ma
non posso negare che parlare delle mafie e di come riescano a stravolgere le
regole della comune convivenza ancora oggi è quello che mi da più motivazione.
Come disse il magistrato Giovanni Falcone: “Bisogna rendersi conto che è un
fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo
eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze
migliori delle istituzioni.”
Un
tuo servizio giornalistico che ti ha dato più soddisfazione?
Di solito sono
sempre le ultime inchieste a lasciarmi un segno. L’ultima, sul clan dei
Casamonica, è frutto di un lavoro durato anni e non ancora concluso. E’ stato
fondamentale parlare del boss Giuseppe Casamonica prima del suo arresto, così
come aver portato alla luce la violenza subita da una giovane disabile e dal
barista rumeno. Continuerò a indagare e raccontare di questa ferocia, come di
quanto è accaduto a Giulio Regeni. Sono passati quasi tre anni e ricordo ancora
la prima volta al Cairo, nel marzo 2016. Non possiamo smettere di ricerca la
verità.
Hai
realizzato i documentari ‘Invisibili’ (storie di bambini e minori non
accompagnati in fuga) e ‘Vite sospese’. Mi racconti come hai affrontato
questa avventura giornalistica? E’ un tema che ti appassiona?
Siamo un paese dalle
tante emergenze ma questa per me è quella più trascurata. L’infanzia è un
tema troppo spesso abbandonato, eppure da lì si costruisce il futuro di un
Paese. Con questi due documentari ho affrontato un viaggio nei sogni infranti di
un’infanzia negata. Grazie all’inchiesta sui minori stranieri non
accompagnati, al loro coraggio, Unicef e la Polizia di Stato hanno aperto un
tavolo tecnico e avviato un’unità di strada. La procura di Roma ha arrestato
un pedofilo, un ingegnere americano che per la seconda volta era venuto a Roma
per la sua vacanza degli orrori. Con Vite sospese, l’ultimo documentario
sempre promosso da Unicef, ho viaggiato da Palermo a Trieste tra adolescenti in
guerra tra loro per pochi spiccioli e un futuro da boss; bambine già madri che
chiedono aiuto e si ritrovano protagoniste di un gioco dell’oca infernale tra
case famiglia e strada; minori violati e costretti a vendere il proprio corpo, a
essere considerati merce.
Mafia
Capitale, i Casamonica e i Spada, ecc ... Come siamo arrivati a questi livelli
secondo te? Di chi sono le colpe?
Roma, capitale del
Paese e centro del potere, è da decenni obiettivo della criminalità
organizzata. A Roma le mafie esistono e fanno affari. Un’illegalità
resistente e uno spirito pubblico intriso di corruzione che ha portato chi
doveva amministrare la cosa pubblica a mettersi a libro paga di criminali. Il
mondo di mezzo è l’espressione piena di una città pronta a piegarsi a
calcoli di convenienza. Roma è anche indifferenza, negazione. Un’impunità
culturale prima che giudiziaria. Ritenere la corruzione una cosa normale è
rassegnarsi alla manifestazione dell’intimidazione mafiosa.
Nel
tuo lavoro oltre all'esperienza e il fiuto, quanto conta la fortuna?
Alcune
qualità sono istintive altre si costruiscono negli anni, indagando di nuovo,
scrivendo e riscrivendo. La fortuna come sempre aiuta, ma quel che conta è il
senso della notizia, la precisione e avere la mente sgombra da pregiudizi.
Hai
pubblicato il libro “Grande Raccordo Criminale”, scritto insieme al collega
Pietro Orsatti. Scriverlo per te è stato un’esigenza personale, una valvola
di sfogo o una sorta di dovere?
E'
stata la necessità di mettere in fila i pezzi di quello che vedevo. Per me e
per i tanti cittadini soffocati dalle mafie. L’indifferenza è colpevole. E’
necessario prestare attenzione e riconoscere l’illegalità che ci circonda per
rifiutarla. Non girare la testa. Perché la legalità è questione concreta e,
ogni giorno, ognuno di noi ha il potere di dimostrare da che parte ha deciso di
stare.
Pensi
di dare un seguito a questo libro?
Te lo
dirò quando l'ho scritto.
Federica
Angeli, una giornalista che si occupa di mafia capitale, vive sotto scorta. Tu e
la tua famiglia, avete mai ricevuto minacce? So che sei stata aggredita dai
Casamonica.
Fare
la giornalista consumando le suole vuol dire rischiare. Non è possibile
raccontare cose che non si sono viste e approfondite sul campo. Sì, ho subito
minacce perché dopo aver ripetutamente denunciato la mafiosità dei Casamonica
sono stata additata dagli elementi del clan come responsabile dei loro arresti.
Sono stata aggredita, inseguita con i bastoni, mentre stavo facendo il mio
lavoro. Convivo con la paura, certo, ma non mi lascio condizionare.
Continuo semplicemente a raccontare e a chiamare con il loro nome le
cose: si tratta di mafia.
Quali
sono le tue ambizioni?
Lavorare
sempre di più a inchieste transnazionali con gruppi di giornalisti che
provengono da esperienze e paesi diversi. Sono convinta che l’arricchimento e
i risultati vengano dal lavoro di squadra
Un
domani come vorresti essere ricordata?
Come
una cronista che aveva tanto altro da raccontare
Hai
lasciato il Friuli per vivere a Roma. Quando ti sei stabilita nella città
eterna, in quale occasione e come ricordi l’impatto? (le prime difficoltà, le
emozioni).
Roma l’ho scelta.
Ne sono sempre stata affascinata. Dopo aver vissuto in varie città in Italia e
in Europa ho accettato un’offerta di lavoro a Roma con il desiderio di viverci
per sempre. Ho cambiato molte case, da piazza Fiume a San Giovanni. Amo i
contrasti di questa città, i cortili popolari con le grida tra le antiche
rovine. E’ una città che ti accoglie e non si impone, malinconica nella
decadenza che sta vivendo. Ti fa rabbia, la critichi, però non ne puoi fare a
meno.
I
problemi di Roma che più ti danno fastidio?
Dai
rifiuti ovunque, agli autobus che si incendiano, dal semaforo sotto casa mia il
cui mancato funzionamento crea quotidiani ingorghi, alle voragini che ti
inghiottono, è una città in uno stato di tragico e progressivo abbandono. I
cittadini cercano di sopravvivere e la disperazione è diventata normalità.
Un
paio di consigli alla sindaca Raggi?
Assumersi
la responsabilità di decidere, perché stiamo vivendo in una città
paralizzata. Essere onesti non significa solo non finire nelle maglie della
giustizia, ma anche essere capaci di riconoscere i propri limiti.