Franco
Califano (cantante) Marino (Roma) 18.2.2001
Intervista di Gianfranco Gramola
Si vive per amore, tutto il resto è noia
Franco
Califano, poeta maledetto, artista scomodo e per tutto questo, unico. Originario
di Pagani (Salerno) è nato tra le poltrone di un aereo nel cielo libico, il 14 settembre 1938.
Un’adolescenza burrascosa alle spalle con continue fughe dal collegio
dive veniva rinchiuso dal padre carabiniere, Califano diventa famoso imponendosi
nel mondo dei fotoromanzi. Ma il suo mondo è la musica, la ama e la canta,
dalle ballate popolari alla musica
leggera. Scrive le sua prime canzoni per altri e le sue frequentazioni in ambito
artistico lo portano a collaborare con diversi artisti che apprezzano il suo
modo di pensare. Inizia così a raccontare, attraverso le sue melodie,
l’amore, gli amici e la vita di tutti i giorni. Il pubblico lo adora e non lo
abbandona nemmeno quando finisce in prigione per una storia di droga. Fra
le sue più belle canzoni (sono tantissime e quindi la scelta è molto
difficile) vanno ricordate :” Tutto il resto è noia – La mia libertà –
La malinconia – Una serata insieme a te – Per una donna – La musica è
finita – Semo gente de borgata “.
Ha detto
-
Non
ho avuto il successo che meritavo perché non ho mai frequentato i potenti.
-
Un
epitaffio per quando morirò? Potrebbe essere: "Franco Califano, tutto il
resto è noia".
-
Dopo
Alberto Sordi, la voce romana sono io.
-
Mi
sento un signore che non ha bisogno di morire per diventare leggenda.
- Cosa temo? L'agonia che precede la
morte.
Curiosità
- Ha
ricevuto una Laurea ad Honoris Causa in filosofia alla New York University.
Intervista
E' nella sua villa di Marino, piccola
cittadina dei castelli romani, a due passi dalla Capitale.
Sei
romano de Roma, vero?
Giustissimo.
Che
ricordi ha della tua infanzia e com’era la Roma di allora?
L’infanzia
è una cosa, l’adolescenza è un’altra e la gioventù un’altra ancora.
Penso che ti riferisci alla gioventù, no! Me la ricordo, una Roma molto diversa. Era il tempo della “Dolce Vita”, allora, non
dimentichiamolo, il tempo che si usava, si impegnava soltanto per il
divertimento.
Attualmente
com’è il tuo rapporto con Roma?
M’è
un po’ sfuggito dalle mani perché Roma è diventata un agglomerato di tante
piccole città che sono i quartieri. Una volta per andare a comprare una bella
cravatta, una bella camicia bisognava andare a via Frattina o in via Condotti.
Oggi ogni quartiere ha il suo negozio inglese dove si può comprare qualsiasi
cosa, camicie firmate, scarpe alla moda, tutto insomma.
Ma
sei sempre innamorato della tua Roma?
Si,
sono sempre innamorato di Roma, soltanto ripeto, che m’è un po’ sfuggita
dalle mani. Non è più la Roma di una volta. Non ci sono più borgate. E’ una
Roma che sarebbe sfuggita dalle mani anche a Pasolini, perché non troverebbe più
quella Roma che ha tanto amato e che ha tanto così bene raccontato nei suoi
film. E’ una Roma tutta diversa insomma. E’ piena di Università, scuole da
tutte le parti, chiese da tutte le parti, adesso poi con il Giubileo sarà una
Roma ancora diversa.
Parliamo
dei romani?
I
romani hanno più difetti che pregi. Sono difetti non dannosi, non
pericolosi, per fortuna. Il romano è sbruffoncello, un po’ bugiardo,
è ritardatario, sono difetti perdonabili. Però la puntualità non sa cosa sia,
parla tanto di soldi e poi cerca di scroccare le sigarette, al momento di pagare
il conto si gira da un’altra parte. Io parlo chiaramente del “romano
medio”. Poi c’è il buono e c’è il cattivo come in tutte le città del
mondo. Essendo Roma però una città
con 3 milioni e mezzo di abitanti è chiaro che il numero dei cattivi, fra
virgolette, è maggiore di quanti ne può avere una cittadina piccola.
Com’è
il tuo rapporto con la cucina romana?
Era
meglio una volta, ma non perché sia cambiata la cucina. Una volta c’era mamma
che cucinava e si alzava la mattina alle 7 e faceva da mangiare, curando tutto
nei minimi particolari. Oggi è tutto già fatto. La cucina non è più quella
di una volta. Per fare la coda alla vaccinara bisogna girare tutta Roma per
trovarla. I vecchi cibi romani li puoi trovare solo in certi ristoranti. Oggi
vanno di moda i Mc Donald’s con gli hamburger e patatine. Vabbè, è un moda
per i giovani, d’accordo, però se uno vuole un ristorante raffinato lo
trova nella cucina nazionale, non nella cucina romana. C’è ancora qualche
trattoria romana, comunque, dove si mangia bene. Come ripeto, per me, è un
po’ decaduta la cucina romana, dico così forse perché non ho più la fame di
una volta, non ho più l’appetito di una volta.
Io mi sazio con una forchettata di pastasciutta. Ecco, io sono un
pasta-cultore , mi piace la pasta.
Però ne mangio due forchettate e sono sazio, una volta ne mangiavo due etti e
mezzo. E’ questo il problema, mi piace di tutto, però non mangio con avidità.
C’è
un angolo di Roma a cui ti senti molto legato?
Sicuramente
sono angoli periferici e anche il centro storico, ovviamente. Io adesso vivo ai
Castelli Romani, a Marino, perché ho bisogno di vivere a Roma, stando in
campagna, ecco. Con un grande giardino in mezzo al verde, quindi sto ai bordi di
Roma, dall’altra parte del raccordo, però molto vicino a Roma. Sto vicino a
Marino, vicino alla residenza estiva del Papa, cioè
Castel Gandolfo. Questo
posto mi è molto comodo anche per i viaggi. Qui è proprio bello, ho alberi,
tanto verde, frutta, fiori è come stare in campagna, anzi è campagna.
Cosa
provi nel ritornare a Roma dopo una lunga assenza?
Io
vivo a Roma da sempre, io so' romano. Non è che manco tanto da Roma, parto la
mattina e vengo la sera.
Un
suggerimento a Rutelli per migliorare Roma?
Secondo
me c’è molta confusione al Comune, perché qualunque tipo di lavoro è stato
iniziato tardi, non so come andrà a finire, si ammucchierà tutto sul finale e
diventerà tutto un caos. Perché aumentano le macchine, perché c’è troppo
traffico, certe zone sono troppo strette, bisogna migliorarle ed è tutto un
casino. Per che cosa ? Per il Giubileo che sarà una festa, dove arriveranno 5
milioni di stranieri, si, va bene, però saranno 5 milioni di stranieri che non
porteranno tanta ricchezza, perché si porteranno persino il panino da casa,
secondo me.
Com’è
avvenuto il tuo accostamento verso la canzone romana?
Essendo
romano, io sono un amante dei dialetti, specie quello romanesco. Io con la
musica coloravo spesso le cartoline, raccontavo le cose romane, parlavo di Roma,
chiaramente in dialetto romanesco, in alcune canzoni. E sono stato molto
apprezzato per questo da chi ama questo tipo di musica, di canzone.
Un
tuo sogno nel cassetto?
Vivere
pensando, nonostante tutto, che il domani sia sempre il tempo migliore. Sognare
un tempo migliore, nonostante che gli anni passano.
Progetti
futuri?
Tanti!
Cinema, tante proposte, teatro, disco da fare, tournee da completare e da
riprendere e un ritrovo che vorrei mettere in piede a Roma, come punto di
riferimento, per passare le serate e incontrare gli amici. E poi viaggi, e un
po’ di estero.
Ti
hanno definito il Prevert di Trastevere, il Belli romanesco, il Califfo di Primavalle e l’Aznavour
di Trastevere.
Quale di queste definizioni ti fa più piacere?
E’
una vita che mi chiamano così comunque mi fanno piacere tutte quante.
Il
tuo poeta romanesco preferito?
Io
(risata).
La
tua più grande soddisfazione nel mondo dello spettacolo?
Ma
sono tutti momenti molto belli, non ce n’è uno particolare. Sono 40 anni che
ho tanti momenti belli e purtroppo anche di quelli brutti.
E
delusioni?
Delusioni
no, non ne ho avute. Chi se le ricorda (risata)?
A
chi vuol intraprendere la carriera di cantante, che consiglio vorresti dargli?
Di
prendere questo lavoro come un hobby… poi come viene viene.
Sei
soddisfatto della tua carriera?
Eccome,
Gianfranco. Sono molto soddisfatto.
Com’è
nato il nomignolo “Er Califfo”?
E
che ne so … me l’hanno dato che ero un bambino. Mo’ te devo lascià,
Gianfranco, perché devo andare a fare un concerto. Ciao.