Giampiero Galeazzi (giornalista sportivo) Roma 4.5.2020
Intervista di Gianfranco Gramola
La battuta “Tutto è
permesso fuorché il successo”, non era mia, ma di Lello Bersani, grande
cronista dello spettacolo
Giampiero Galeazzi
è nato a Roma il 18 maggio del 1946.
Laureato in Economia con
tesi in statistica, ha avuto una carriera sportiva professionistica nel canottaggio
in cui vinse il campionato italiano nel singolo nel 1967 (che gli valsero la
medaglia di bronzo al valore atletico) e nel doppio con Giuliano Spingardi nel
1968 e in quell'anno partecipò alle selezioni per le Olimpiadi del 1968 a
Città del Messico. Figlio d'arte, il padre vinse nel 1932 gli
europei nel "due senza". Non ancora abbandonata del tutto la crso a
Mirko Petternella, trattenutosi nell'impianto in cui si svolgevano le gare di
scherma, effettuò la sua prima radiocronaca nella sua disciplina, il
canottaggio. Successivamente, con l'arrivo di Emilio Rossi alla direzione del
TG1, passa in televisione e oltre
alle prime conduzioni del telegiornale, le sue prime partecipazioni in
trasmissioni sportive furono alla rubrica Dribbling, a La Domenica
Sportiva nel 1976. Nel 1986 svolse uno dei pochi servizi giornalistici non
di carattere sportivo della sua carriera: fu infatti l'inviato RAI in occasione
dello storico incontro fra Gorbacov e Reagan a Reykjavik, dove già si trovava
per svolgere la cronaca dell'incontro di Coppa dei Campioni fra Valur e
Juventus. A partire dal 1992 e per 5 stagioni gli fu affidata la conduzione
delle rubriche Cambio di campo, Solo per i Finali e della
trasmissione 90º minuto, nella quale è successivamente tornato in
qualità di opinionista nella stagione 2008-2009. Nel 1994 Mara Venier lo volle
nel cast del contenitore Domenica in, coinvolgendolo in numerosi sketch
che metteranno in risalto un'inedita vena comica e intrattenitrice del
giornalista. Nel 1996 Pippo Baudo lo volle nel Festival di Sanremo 1996 per la
quarantaseiesima edizione. Memorabili le sue telecronache in occasione delle
medaglie d'oro nel canottaggio di Giuseppe e Carmine Abbagnale alle olimpiadi di Seoul
1988 e di Antonio Rossi e Beniamino Bonomi a Sydney
2000. In estate partecipa a Notti Mondiali con Paola Ferrari, Maurizio
Costanzo, in diretta da Piazza di Siena a Roma. Diventa poi opinionista di 90º
minuto e di 90º minuto Champions. Nell'estate del 2012 è ospite di Notti
Europee. Sposato con Laura, ha due figli che hanno seguito
le orme del padre con grande successo. Gianluca lavora per La7 e la figlia
Susanna per la redazione del TG5. Ha pubblicato quattro libri: “I grandi
circoli di tennis (1991)” , “E andiamo a vincere” (2014), “Il magnifico
miglio! (2014) e “L’inviato non nasce per caso” (2016).
Intervista
Lei nasce come atleta e poi diventa
giornalista sportivo. Com’è nata questa scelta?
La scelta nacque appena mi sono laureato in
Economia con tesi statistica. Avevo un lavoro
sedentario in segreteria ma non mi piaceva e cercavo un lavoro più interessante
e ho avuto la possibilità di collaborare con il giornale radio di via del
Babuino, a Roma. Lì ho cominciato e mi sono innamorato del mestiere del
giornalista.
Quali sono le doti di un buon giornalista
sportivo?
La conoscenza dell’argomento e un buon
rapporto con l’atleta.
La sua telecronaca degli Abbagnale è
storica. Lei ha vissuto altre manifestazioni così entusiasmanti?
Si,
anche di meglio. Ricordo quella di Antonio Rossi e Beniamino
Bonomi a Sydney 2000.
Lei ha fatto radio e
televisione. In quali di questi ambienti si è sentito più a suo agio?
La televisione, perché
con la radio, se non iniziavo bene, non proseguivo.
La critica che le ha
fatto più male?
Quella di un grande
scrittore che mi disse di cambiare mestiere.
In un’intervista
lei ha detto: “Il sarcasmo è la mia ancora di salvezza”. La pensa sempre
così?
Si, il sarcasmo,
l’ironia e l’umorismo romano.
E’ vero che in Rai
girava il detto: “Tutto è permesso fuorché il successo”?
Confermo. Ma la battuta
non era mia, ma di Lello Bersani, grande cronista dello spettacolo della Rai.
Calcio, tennis,
ciclismo. Quale di questo sport le ha dato più soddisfazioni?
Come cronista il
canottaggio, perché era il mio sport.
L’intervista più
difficile che ha realizzato?
Ne ho fatte talmente
tante. Dipende anche dal momento, dalla situazione.
E’ vero che Sandro
Ciotti, grande cronista sportivo, non pagava mai il caffè?
Era un po’ tirato, dal
punto di vista economico. Non lo pagava in certe occasioni.
A Domenica In ha
avuto un grande successo. Come c’è arrivato?
Mi ha voluto Mara Venier
che è una mia grande amica.
L’imitazione che le
fa Nicola Savino la fa arrabbiare o la fa sorridere?
Rido ancora. Non mi fa
arrabbiare.
Ha pubblicato il
libro: “L’inviato non nasce per caso”: Cos’è uno sfogo o una sorta di
dovere verso chi l’apprezza?
In quel momento della
mia carriera professionale volevo fare un po’ il punto della situazione e
volevo far conoscere la mia storia di giornalista sportivo.
Lei hai intervistato
moltissimi campioni. Due parole su Maradona?
Lui è molto meglio di
quello che noi pensiamo.
Platini?
Platini è un burino
mancato che ad un certo punto si è trovato il suo stesso mondo contro di lui.
E’ vero che con
Adriano Panatta faceva delle grandi mangiate?
Panatta più che
mangiare gli piaceva cucinare. E io mangiavo. Lui è un grande cuoco e faceva
molto bene la matriciana.
Lei è tifoso della
Lazio. Ha mai litigato di brutto per il calcio?
Si, di brutto proprio
no. Diciamo che ho litigato.
Nella sua carriera
sono state più le soddisfazioni o le amarezze?
Sicuramente le
soddisfazioni.
Un domani come
vorrebbe essere ricordato?
Come uno che ha portato
una certa novità, nel senso come rapporto fra televisione e l’atleta, con le
interviste ai titolari. Lo dico nel senso romantico del lato sportivo.
Parliamo della sua
città. Che rapporto ha con Roma?
Io sono un romano
atipico. Sono nato a Roma, ma da genitori non romani, quindi non completamente
immerso nella romanità.
Se le dico Tevere,
cosa mi dice?
Il mio rapporto con il
Tevere è totale. Sono nato e cresciuto sul Tevere. Lì è nata la mia carriera
sportiva e lì mi sono formato caratterialmente e culturalmente. Il fiume
insegna molto.
In quali zone ha
abitato?
Sono nato in piazza di
Spagna, proprio in centro, poi a 16 anni sono andato a vivere sulla via
Flaminia, a Roma nord, dove ci sono tutti gli impianti sportivi più famosi,
dallo stadio Olimpico, il villaggio Olimpico, lo stadio dei Marmi, ecc … sono
tutti qui.
So che lei è
un’ottima forchetta. Cosa le piace della cucina romana?
Tutti i tipi di pasta,
fatta in tutte le maniere. Mi piace la cucina romana e anche quella ebraica,
come i carciofi alla giudea e i fritti.
A Roma qual è il suo
luogo del cuore?
Il Tevere.
Il romanesco perché
piace così tanto?
Mica l’ho insegnato io
(risata). Ora va di moda ed è apprezzato nel cinema il romanesco. E’ un
compagno letterario.
Tradirebbe Roma per
vivere in unì’altra città?
No. Non vivrei bene
lontano da Roma.