Grazia
Scuccimarra (attrice e autrice teatrale)
Roma 19.3.2019
Intervista
di Gianfranco Gramola
Il mio primo
spettacolo teatrale lo scrissi nel 1979 e si chiamava “Successo”, un testo
che prendeva in giro il modo per arrivare al successo e poi ne ho scritti altri
28 in 40 anni. Il premio a cui tengo di più? Il premio
per la legalità "Paolo Borsellino"
Grazia Scuccimarra è nata a Teramo il 26 dicembre del 1944. Laureata in
Giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma, insegna Diritto ed economia
nelle Scuole superiori. Fin dall'adolescenza ha coltivato la passione per la
scrittura. A diciassette anni era corrispondente per il "Corriere della
Sera". La passione per la musica l'ha portata a scrivere testi per canzoni,
con il sogno nel cassetto di diventare cantante. Ha iniziato la sua carriera a
Roma nel Folkstudio in Trastevere. Il
proprietario del locale, il signor Cesaroni, dopo averla ascoltata cantare le
diede la spinta nell'indirizzare e valorizzare la vocazione per il cabaret.
Nel 1979, all'età di 32 anni, sposata e con due figli, affittò un teatro a
Trastevere e cominciò a esibirsi portando in scena il suo primo lavoro teatrale
"Successo". Fu una conferma che la carriera intrapresa era quella
giusta. Da quel momento portò in scena nuovi spettacoli da lei scritti e
interpretati, mediamente al ritmo di uno all'anno. Attualmente sono 28 gli
spettacoli comico-satirici messi in scena, da "Successo" del 1979 a
" Chiedo i danni" del 2013, tutti ampiamente apprezzati dalla critica
e dal pubblico. Ha partecipato come opinionista a diverse edizioni del
"Maurizio Costanzo Show". Nel 2005 ha ricevuto il premio della Società Dante Alighieri per la cultura.
L'attrice è stata insignita del premio per la legalità "Paolo
Borsellino".
Spettacoli
Successo
(1979) - Tutto
è cultura... anch'io (1980) - Maschia (1981) - Gioiamia (1982) - Noi, le ragazze degli anni '60 (1983) -
...e io scrivo a Pertini (1984) - Verdinvidia
(1985) - A
noi due signora (1986) - Tutto
esaurito (1987) - Su
e giù per le rotte sca(to)le (1988) -
Graziaditutto
(1989) - Una ragione c'è sempre (1990) - Fuorimisura (1991) - Però
ci amiamo (1994) - Figurati
adesso (1995) - Ho perso il filo (1997) - Superenaletto (1999) - Manca
Molto? (2000) - Caro
Amico John (2002) - Sono una donna laceroconfusa (2003) - Occhebello Macchebravi (2005) - Facce
di bronzo (2007) - Ma
no, ma su, ma dai, ma non ci posso credere (2008) - Zittotu
(2008) - Belladentro
(fuori non ce l'ho fatta)(2010)
- Chiedo i danni (2013) – Così
impari (2018) – Una nonna sull’orlo di una crisi di nervi (2019).
Premi
1985:
Premio Chianciano, per il complesso della sua attività radiofonica ed il "Passaporto
di Cinecittà per le sue partecipazioni cinematografiche";
1986: Nettuno d'oro, per le doti artistiche e
il contributo apportato all'arte;
1987: Premio "Funny Festival",
quale migliore attrice comico-satirica;
1987: Peso d'Oro per il teatro;
1988: Taormina: "Una vita per il
teatro";
1989: "Premio Abano 1989" e Premio
"Giovani Protagonisti" di Fondi;
1991: Premio "Funny Festival" per
il teatro;
2005: Premio della Società Dante Alighieri
per la cultura;
L'attrice è stata insignita del premio per
la legalità "Paolo Borsellino".
Intervista
Hai
iniziato cantando e suonando e poi ti sei data alla recitazione. Mi racconti i
tuoi inizi?
Ho
cominciato tardi a cantare e recitare, perché prima ho fatto l’insegnante
fino alla pensione. Io nasco come insegnante di Diritto ed Economia, ma da
sempre ho scritto testi, prosa, poesie. Ho sempre scritto, fin dall’età di
sette anni. Sono passata anche attraverso il giornalismo sportivo, perché sono
appassionata di sport, in particolare del calcio. Sono stata corrispondente per
il Corriere dello Sport per una stagione calcistica della mia città
d’origine, Teramo (Abruzzo). Poi mi sono sposata, ho avuto due bei maschietti
e quando sono arrivata all’età di 32 anni ho debuttato in teatro. Ho recitato
perché nessuno voleva recitare i miei testi così come erano. Volevano sempre
metterci le mani e questo a me non piaceva, perché i testi venivano
regolarmente scomposti, cambiati, per cui alla fine decisi di salire io sul
palco e di cantarmela e suonarmela, come si suol dire. E così è cominciata la
mia carriera di attrice, che mai pensavo avrei fatto, ma proprio mai, perché io
non nasco attrice, non ho mai frequentato una scuola, non solo di teatro, ma
anche di dizione. E’ stata una cosa naturale, un talento naturale che avevo
dentro. Siccome scrivevo canzoni e facevo la cantautrice, feci una serata in un
locale storico di Trastevere, il Folkstudio, che era un luogo sacro della
musica, perché lì sono nati molti cantautori, fra questi Antonello
Venditti e Francesco De Gregori. Andai a fare questa serata come cantautrice con
dei testi a loro modo anche satirici. Fra una canzone e l’altra io parlavo un
po’ per conto mio e la gente rideva. Quello era un luogo sacro nel quale non
si rideva, ma si ascoltava la musica in religioso silenzio. Per cui arrivò il
gestore del locale, il signor Cesaroni, che era un personaggio fantastico, e mi
disse: “Grazia, secondo me la strada tua, più che la musica è il teatro”.
E fu così che accettai il suo consiglio e pensai seriamente al teatro. Scrissi
un testo che si chiamava “Successo”, un testo che prendeva in giro il modo
per arrivare al successo e poi ne ho scritti altri 28 in 40 anni.
I
tuoi genitori che futuro speravano per te?
In
realtà i miei genitori li ho accontentati, perché mi sono laureata in
Giurisprudenza, mi sono sposata, ho avuto due bambini e una volta accontentati
tutti, ho cominciato ad accontentare anche me. Loro hanno sempre saputo che ero
una che scriveva e che amava esprimersi con la penna. Il mio sogno era quello di
fare la giornalista sportiva e professionalmente, avrei voluto fare il
magistrato. Infatti mi iscrissi a Giurisprudenza perché mi piaceva anche la
professione del magistrato, dalla cui parte continuo a stare.
I
tuoi prossimi impegni artistici?
La
mia stagione sta per svolgere al termine. Farò tre serate a Ostia alla fine di
marzo e poi ho una serata in una manifestazione, in Abruzzo, che si chiama “Il
maggio festante”. Ho poi un mese e
mezzo di stop e poi riprenderò per la prossima stagione.
Quali
sono le tue ambizioni?
La
parola ambizione non mi si addice, perché ho sempre fatto quello che ho
ritenuto giusto e necessario. Non sono una persona ambiziosa, anche se chiunque
si decide a mettersi su un palcoscenico, ambizioso lo è per definizione. Però
non ho l’ambizione di arrivare a tutti i costi, non ce l’ho mai avuta. A me
piace arrivare ad ottenere consenso con le mie condizioni. Quindi o va bene come
dico io, oppure preferisco fare senza e rinunciare.
Hai
scritto quasi 30 testi teatrali. L’ambiente che ti circonda può essere fonte
di ispirazione?
Ma
scherzi (risata). Non solo Roma è fonte di ispirazione, ma la vita in genere.
Se tu hai interesse per l’essere umano, non smetterai mai di scrivere.
L’essere umano è sempre una fonte inesauribile di spunti. Magari parli sempre
delle stesse cose, perché la vita quello che è, si svolge in ambiti che sono
più o meno gli stessi, ossia quelli professionali, sociali, famigliari,
politici. Gira e rigira, gli argomenti sono sempre quelli. Però gli spunti, le
ottiche dalle quali guardare, cambiano sempre. Quindi si ha sempre qualcosa da
dire.
Un
titolo di una delle tue commedie mi ha colpito. Si tratta di “Io scrivo a
Pertini”. Cosa intendevi?
In
quel periodo c’era questa abitudine di rivolgersi per ogni cosa al Presidente
della Repubblica. Pertini ha segnato una svolta. Prima di Pertini c’erano
stati dei presidenti della Repubblica imbalsamati, pressoché irraggiungibili.
Con Pertini la funzione del Presidente si umanizzò improvvisamente e tutti
cominciarono a scrivere lettere al nuovo Presidente. Quindi scelsi questo titolo
in tono minaccioso e poi al solito prendevo di mira la nostra società
civile, politica, ma anche i nostri rapporti interpersonali, intimi e privati.
Per cui la minaccia finale era : “Io scrivo a Pertini”. Era diventata una
mania, una moda scrivere a Pertini, per ogni cosa.
Hai
vinto parecchi premi. A quale sei più legata?
A
nessuno. Me li sono scordati, se devo essere onesta. Perché i premi si danno un
po’ così, senza tanta consapevolezza. Si danno perché si devono dare, perché
si fanno manifestazioni, anche per abitudine. Però ce ne sono alcuni che mi
piacciono particolarmente. Ora che mi viene in mente ce n’è uno a cui sono
particolarmente legata. E’ il premio alla legalità, ossia il “Premio
Borsellino”. L’ho preso diversi anni fa e mi piace in particolar modo
proprio per il mio attaccamento al mondo giuridico, al mondo del diritto, che ho
sempre cercato di omaggiare e rispettare. Per cui sono stata molto onorata di
ricevere questa tipologia di premio.
Prima
di entrare in scena, hai un rito scaramantico?
No,
pensa che ho un anello con una ametista viola, quindi figurati. Io ho sempre
portato qualcosa di viola …
Nel
mondo dello spettacolo dicono che il viola porta male.
Dicono
così, invece a me ha sempre portato bene. Sono sciocchezze, rituali che fanno
sentire attori, gli attori. Io non ho bisogno francamente di riti scaramantici,
se sto lì è perché ci sto, lo so fare e basta. E la cosa finisce lì, senza
stare a fare tante manfrine.
Ad
uno che vuole avvicinarsi al teatro, che consigli daresti?
Di
pensarci bene, molto bene. Di accompagnare il lavoro di attore con un altro
lavoro, esattamente quello che ho fatto io. Avere un piano B. Con il teatro, una
volta ed anche adesso,
non si riesce a mangiare. La televisione, il cinema e la musica sono
tutta un’altra storia. Il mondo del teatro e un po’ come il mondo della
cultura, della poesia. Non si vive di questi proventi, quindi se vuoi fare
teatro, fallo. Però sappi che vai incontro a delle difficoltà inaudite.
Hai
una ossessione professionale? Tipo la pignoleria?
Non
sono pignola o almeno penso di non esserlo. Capisco subito quello che va o
quello che non va, mi accorgo subito se funziona. Ma non mi lego molto alle
piccolezze, al particolare. Ma forse questo dipende dal fatto che io lavoro da
sola, sul palco sono io e basta e quindi essenzialmente sono una monologhista.
Quindi come al solito me la canto e me la suono. Quando sei in compagnia con
altri attori, allora la pignoleria diventa necessaria per far quadrare il
cerchio.
Parliamo
ora di Roma. Quando sei arrivata nella capitale?
Io
abito a Roma da sempre, perché ci sono arrivata che ero adolescente. Ho
studiato qui e poi non me ne sono più
andata. Quindi io ho due città di origine: Roma e Teramo. Purtroppo, e lo dico
con un tono estremamente dolente, Roma la vedo precipitare nel baratro in questi
ultimi anni. E’ triste, molto triste, quello che sta accadendo in questa città,
è una cosa pazzesca. E’ dolorosa questa immagine, perché Roma è una città
meravigliosa, splendida, è una città che meriterebbe di essere trattata
meglio, è una città che è veramente superiore mentalmente a tante altre città
che sono schiave un po’ dei loro limiti delle loro origini. Roma ha delle
origini meravigliose, è abituata alla gente, a qualsiasi tipo di gente,
all’apertura. Invece adesso Roma sta diventando micragnosa, si sta
chiudendo in se stessa e vedere questo è molto triste.
Quali
sono state le tua abitazioni?
Io
ho sempre abitato nello stesso rione, che ho portato alla ribalta in teatro e di
cui parlo sempre, che è il rione Tiburtino. Sto vicino alla stazione Tiburtina,
che poggia come tutta Roma su vestigia romane. Qui appena si fa un buco o si
crea una voragine, si scopre un pezzo di un bagno dell’antica Roma o una
cucina. Qui anche le buche lasciano qualcosa di culturale, oltre a qualche gamba
rotta.
La
cucina romana l’apprezzi?
Altro
ché (risata). Non tutto, perché non sono quella che mangia la pajata o la coda
alla vaccinara o quelle cose lì. Però mi piace molto la matriciana, la cacio e
pepe, la gricia o la carbonara.
Quando
sei in giro per l’Italia con gli spettacoli, cosa ti manca di Roma?
Mi
accorgo del mio legame con Roma proprio quando vado in tournée. Nel senso che
non è che mi manchino delle cose in particolare, perché io mi sento un po’
cittadina di tutti i posti dove vado. Amo l’Italia dalla cima fino al fondo,
apprezzo i luoghi dove vado, però quando attaccano Roma, salto su come una
molla. Io ne posso parlare male, ma gli altri no (risata).
Quali
sono i tuoi luoghi del cuore di Roma?
Trastevere.
Il mio luogo ideale è quello. Lì ho affittato il teatro Leopoldo e c’ho
lavorato 8 anni di seguito, i miei primi anni di teatro praticamente li ho fatti
in quel quartiere, che è il cuore di Roma. In quella zona, amo molto Santa
Maria in Trastevere, via della Scala,vicolo del Cinque e piazza Trilussa.
Un
paio di consigli alla sindaca Virginia Raggi?
Oddio,
quanti ne darei alla sindaca. La prima cosa che farei fare è aggiustare le
strade, perché è veramente uno scandalo per come sono ridotte. Bisogna poi
risolvere il problema dei rifiuti e far curare il verde romano. Io riempirei non
solo Roma, ma tutte le città italiane, di oleandri. Io sono una patita degli
oleandri perché è una pianta meravigliosa, estiva e invernale e che non ha
bisogno di tanta manutenzione, quindi poco costose. Sono allegre d’estate e
verdi d’inverno. Piazzerei un bel po’ di oleandri e abbellirei anche i posti
meno belli con i fiori. Addolciscono e migliorano l’umore e il carattere delle
persone. Se tu la gente la fai vivere nell’immondizia, ti restituisce
immondizia, perché ci si abitua e gli animi si forgiano conforme l’ambiente
dove vive.
In
quale Roma del passati ti sarebbe piaciuto vivere?
Nell’epoca
del Marchese del Grillo (risata). Sai, tutte le epoche romane sono state
affascinanti in qualche modo. Io sono una amante di Giuseppe Gioacchino Belli e
di Trilussa. Mi piace molto l’ironia del popolo romano che non riesco a
trovare in nessun altro popolo. Solo i romani ce l’hanno ed è fantastica.
Questo
è per via del clima o ce l’ha nel sangue?
Questo
dipende probabilmente dall’averne viste tante, proprio perché Roma è una
città che in tutte le epoche ne ha viste di tutti i colori e allora da lì
nasce la capacità di sintesi dell’essere umano, della vita umana, che poca
gente ha. Se un popolo lo chiudi nel suo ambito, avrà poco senso dell’ironia,
perché ha visto poco e ha conosciuto solo se
stesso e la gente praticamente uguale a se stessa.