Luciano
Emmer (regista, sceneggiatore,
produttore)
Molveno (Trento) 8.8.2004
Intervista
di Gianfranco Gramola
Dai
Caroselli ai film con Sabrina Ferilli
Omaggio
all'artista scomparso a Roma il 16 settembre 2009
Luciano
Emmer
è nato a Milano il 19 gennaio 1918. Inizia giovanissimo ad occuparsi di
cinematografia. Dopo un’intensa attività sperimentale, Emmer lascia Milano
per Roma dove giunge nel 1939. Si laurea in Giurisprudenza ma non per questo
abbandona il cinema. Lancia un nuovo tipo di documentario nell’arte, non
legato a meri concetti descrittivi ma caratterizzato da una profonda
partecipazione ai processi formativi delle opere di cui si occupa. Più che
documentari d’arte, questi cortometraggi possono essere definiti dei veri e
propri film, nei quali i personaggi e la storia sono tratti dai cicli pittorici
dei grandi artisti. Queste opere gli hanno valso la qualifica di "pare del
documentario d’arte", meritandogli l’istituzione, nell’ambito della
Biennale du film sur l’art, l’istituzione del Prix Luciano Emmer per il
miglior film d’arte. Giunto nel 1950 ai film a soggetto, si innesta con
autorità nel filone della commedia neorealista di cui diviene uno dei maggiori
esponenti. Con Domenica d’Agosto (1950) introduce una tecnica nuova che sarà
poi ampiamente ripresa: il film ad episodi. Gli basta un film all’anno per
procurarsi una vasta popolarità ma nel 1956, dopo aver realizzato "Il
bigamo", Emmer lascia il cinema per la televisione. In
questo periodo si accosta al settore dei Caroselli, di cui diventerà uno degli
esponenti di punta. Le avventure di Ercolino, che resta forse il personaggio più
noto di Emmer, appassionano a tal punto gli spettatori che Carosello - la cui
stessa sigla deve al regista le sue origini - diventa subito una delle
trasmissioni più seguite. Nel 1961 Emmer torna al cinema con un film difficile,
"La ragazza in vetrina" che gli procura un notevole successo sia a
livello di critica che di pubblico. Nel 1970 realizza per la TV "K 2 +
1", con la partecipazione delle gemelle Kessler e di Johnny Dorelli. Ma la
sua vocazione resta sempre la pittura ed è alla pittura che torna ancora nel
1972 con il programma televisivo "Io e ...". Dopo 30 anni, torna
nuovamente alla fiction con "Basta! Ci faccio un film", che viene
accolto con molto successo di critica e di pubblico alla Mostra del Cinema di
Venezia nel 1990. Quindi l’ennesima svolta nella sua carriera: l’approccio
emotivo e raccontato con cui modifica ed innova il "documentario"
tradizionale: "Foggia, non dirle mai addio" e "Bella di
Notte", con cui ha raccontato il restauro di Villa Borghese. Nel corso
della sua lunga carriera, Emmer ha collaborato con scrittori e sceneggiatori
come Pasolini, Zavattini, Amidei, Flaiano, Pratolini, Sonego, Age, Scarpelli,
Rosi, e ha diretto attori come Eduardo De Filippo, Vittorio De Sica, Lino
Ventura, Marina Vlady, Magali Noel, Franca Valeri, Massimo Serato, Franco
Interlenghi, Paolo Panelli, Marcello Mastroianni, Aldo Fabrizi e Alessandro
Haber.
Breve curriculum
Regista
(1942)
Racconto da un affresco - (1942) Romanzo d'epoca (1942) Guerrieri (1942) Il
cantico delle creature - (1943) Destino d'amore - (1943) Il conte di luna -
(1947) Sulla via di Damasco - (1948) San Gennaro - (1948) Romantici a Venezia -
(1948) Il paradiso perduto - (1948) Luoghi verdiani - (1948) La leggenda di
Sant'Orsola - (1948) Isole nella laguna - (1948) Il dramma di Cristo - (1948)
Bianchi pascoli - (1949) Piero Della Francesca - (1949) L'invenzione della croce
- (1949) I fratelli miracolosi - (1949) La colonna Traiana - (1950) Domenica
d'Agosto - (1951) Pictura - (1951) Parigi è sempre Parigi - (1951) Matrimonio
alla moda - (1951) Goya - (1952) Cavalcata di mezzo secolo - (1952) Le ragazze
di piazza di Spagna - (1952) Leonardo da Vinci - (1953) Gli eroi dell'Artide -
(1954) Terza liceo - (1954) Picasso - (1954) Camilla - (1956) Il bigamo - (1956)
Paradiso terrestre - (1957) Il momento più bello - (1961) La ragazza in vetrina
- (1963) Bianco rosso celeste - cronaca dei giorni del Palio di Siena - (1965)
La distrazione - (1969) Giotto - (1969) Geminus - (1971) La gardenia misteriosa
(film tv) - (1971) Il furto del Raffaello (film tv) - (1971) Il bivio (film tv)
- (1972) Guttoso e il "Marat morto" di David - (1972) Bianchi
bandinelli e la Colonna Traiana - (1987) Sposi - (1988) La bellezza del diavolo,
viaggio nei castelli Trentini - (1990) Basta! Ci faccio un film . (1997)
Bella di notte - (2000) Una lunga, lunga, lunga notte d'amore - (2003) L'acqua
... il fuoco.
Sceneggiatore:
(1942)
Guerrieri - (1942) Il cantico delle creature - (1943) Destino d'amore - (1947)
Sulla via di Damasco - (1948) Romantici a Venezia - (1948) Il paradiso perduto -
(1948) La leggenda di Sant'Orsola - (1948) Isole nella laguna - (1948) Il dramma
di Cristo - (1948) Bianchi pascoli - (1949) L'invenzione della croce - (1949) I
fratelli miracolosi - (1950) Domenica d'Agosto - (1951) Parigi è sempre Parigi
- (1951) Matrimonio alla moda - (1951) Goya - (1952) Leonardo da Vinci - (1954)
Terza liceo - (1954) Picasso - (1954) Camilla - (1957) Il momento più bello -
(1961) La ragazza in vetrina - (1972) Guttoso e il "Marat morto" di
David - (1972) Bianchi bandinelli e la Colonna Traiana - (1988) La bellezza del
diavolo - viaggio nei castelli Trentini - (1990) Basta! Ci faccio un film -
(1997) Bella di notte - (2003) L'acqua ... il fuoco.
Ha detto:
- Il
mio progetto, a 86 anni compiuti, è di non fare più nulla, perché sul set
sono un rompiscatole e non vorrei più tormentare nessuno, ma in realtà vorrei
fare altri film, tutti con Sabrina Ferilli.
- La
storia che è ispirata ai roghi delle streghe, numerosi anche in Val di Non, mi
dà la possibilità di denunciare una delle operazioni più gravi, paragonabile
al nazismo, fatto dalle gerarchie ecclesiastiche nel passato : quello di aver
voluto togliere alla donna il suo potere innato, di essere intermediaria tra la
natura e l’uomo.
- Ora
i Papi hanno chiesto finalmente
perdono per gli errori della Chiesa: per le persecuzioni contro gli ebrei
Wojtyla e per le guerre di religione, Ratzinger. Ma gli errori degli uomini non
si contano. Hanno creato Dio e hanno ammazzato Cristo, che era il Che Guevara
del suo tempo.
- I
miei film li faccio sempre a bassissimo costo, anche se sembrano realizzati con
grandi mezzi e cerco di auto produrmeli.
- Il
cinema è morto da quando hanno realizzato il primo film a colori. Lo stesso
vale per i libri: nel momento che la gente sarà costretta a leggerli su
Internet.
Curiosità
- La
sigla del Carosello (nato il 3 febbraio 1957) fu ideata da Luciano Emmer.
- Sua
moglie, Tatiana Graunding, è di origini russe.
- La
Ferilli ha ringraziato il regista Emmer che l’ha fortemente voluta come
protagonista nel film “L’acqua, il fuoco…”. “ Dopo il film – spiega
Emmer – mi ha mandato un cesto di rose bianche con mille ringraziamenti”.
- Vive
tra Roma e Molveno (in via Paganella 7).
- Oltre
ai numerosi riconoscimenti, recentemente ha ricevuto il premio alla carriera
“La Genziana” e il Premio Pasinetti a Venezia.
-
Dal 1996 il Centre Georges Pompidou di Parigi, ha istituito in suo onore,
all’interno della “Biennale du film sur l’art”, il Prix Luciano Emmer
per il miglior film sull’arte.
- Molveno,
il paese del Trentino dove il regista risiede in estate, gli ha assegnato un
premio alla carriera nel settembre del 2002, con una retrospettiva, dove sono
intervenuti personaggi come Enrico Ghezzi (direttore Rai 3), Elisabetta
Sgarbi, Vittorio Sgarbi (critico d’arte) e l’attrice Marina Vlady.
Intervista
Incontro il regista nella sua casa di via
Paganella, a Molveno.
Allora,
parliamo di cinema…
Ho
detto un sacco di volte che io non ho vissuto per fare cinema, ma ho fatto
cinema per vivere. E’ diverso. E’ più umile ed è un mestiere come un
altro. Ho cominciato nel ’39. Invece mia moglie, altro che cinema, ha creato
questa casa meravigliosa (quella di Molveno, fatta di sassi e con delle
pannocchie esposte sul poggiolo di legno), che voglio diventi monumento
nazionale. Ho cominciato facendo delle foto in bianco e nero di Giotto e
Leonardo Goya e poi subito dopo ho fatto il Paradiso Terrestre (di Bosch) che è
al Prado, a Madrid, dove alla fine di questo mese (agosto 2004) andrò a far
vedere i miei film, appunto al museo del Prado.
Qual
è stata la sua più grande soddisfazione?
E’
stata quella di riuscire a campare, tant’è vero che io, dai pochi film che ho
fatto, non ho quasi mai visto una lira. Dal ’57 al ’77 ho fatto i caroselli,
ne ho fatti 2500, pensa, che mi hanno permesso di vivere, per comprare il pane e
anche il companatico. Il cinema che amavo era una troupe di 4 persone e i film
di due minuti, cioè i caroselli. Ne ho fatto, ripeto, 2500, con Dario Fo', Totò,
Manfredi, Toni Ucci e tantissimi altri, anzi tutti i personaggi più grandi:
Mina, Panelli. L’unica cosa che mi rincresce, è che gran parte di tutti
quelli con cui ho cominciato, non ci sono più, cominciando da Mastroianni, che
ha iniziato a lavorare con me, anche se non l’ha mai detto nelle sue
interviste. Hanno fatto delle mostre con 50 film di Mastroianni in giro per il
mondo, ma non hanno mai sentito nominare me, dei miei 5 film che ho fatto con
lui, compreso “Domenica d’Agosto” del 1950.
I
suoi genitori che futuro sognavano per lei?
Mio
padre era ingegnere a Venezia, e ha costruito Marghera, e mia madre, era
casalinga, madre di 3 figli. Quando gli ho detto che voglio fare il cinema, lei
, in dialetto lombardo m’ha detto: “Cosa vai a fare, il cinema? Cosa
sarebbe?”. E io le ho risposto che viene filmato tutto e viene fuori una
pellicola che poi viene trasmessa sul teleschermo. “Sei matto – rispose lei
– fai l’idraulico, che poi fai i “danè”, i denari! ”. Io non ho fatto
l’idraulico ma il cinema e non ho fatto i “danè”.
Il
complimento più bello che ha ricevuto?
Forse
è quello che ha detto, Marie Trintignant, l’attrice che è morta da poco in
seguito alle botte che ha preso dal fidanzato, hai presente?
Si!
Con
lei, tre anni fa, ho fatto un film, nel 2000, che era “Una lunga, lunga, lunga
notte d’amore”. Io ho chiesto a tutte le attrici che hanno lavorato in
questo film, di dirmi una loro opinione su Luciano Emmer, su di me, insomma,
c’era anche la Muti.
La Marie
Trintignant ha detto: “Ho conosciuto Emmer. Emmer è il più poetico degli
stronzi che ho conosciuto!” (risata).
E
le cose che hanno detto o scritto su di lei?
Mai
scritto male di me! Anche se a dire la verità, meno parlano di me e più
contento sono! Io sono di queste parti (Molveno) e un giorno desidero trovare un
mio parente, sulle montagne, che è l’orso! (risata)
Parlavamo
di Mastroianni come avvenne l’incontro?
Lui
faceva l’accademia del teatro e io dovevo fare un film: “La Madre”, di
Grazia Deledda, in Sardegna. Io ho abitato in Sardegna, perché mio padre,
andava per lavoro a fare bonifiche. Quel film, poi, non l’ho più fatto. Per
la parte dell’attore, prima ho interpellato Montgomery Clift e poi ho trovato
Mastroianni e ho fatto il provino con Lucia Bosé, grande amica mia, che ho
conosciuto ancora prima che partecipasse a Miss Italia, e che faceva la commessa
in un negozio, a Milano. Ho fatto il provino a Mastroianni vestito da prete e
Lucia in costume sardo, e Mastroianni mi diceva sempre: “Fammi fare qualche
scena in cui bacio Lucia!” (risata)
Luciano Emmer con Sabrina Ferilli
Era
già un don Giovanni, allora, eh?
No!
Non lo è mai stato. Era forse un don Giovanni, nel vero senso di prete, ma
invece era pieno di debolezze. Il Casanova era il vero conquistatore di donne,
il don Giovanni, invece, era conquistato dalle donne.
Lei
ha lavorato con tantissimi personaggi, come ricorda De Sica?
Vittorio
De Sica. La cosa più bella era quando ha lavorato con me e faceva l’avvocato
in tribunale e diceva la famosa battuta, appena arrivava con l’attore;”Dove
siamo alla difesa o all’accusa?” Non lo sapeva manca lui. Quando finivano le
riprese a mezzogiorno, aveva fatto fare per lui una specie di box, come facevano
nel ‘700, in Francia, a Versailles, dove i più ricchi, invece di defecare
sulle scale, avevano un box. Vittorio, siccome sudava molto lavorando, entrava
in questo box e si buttava su un bel po’ di borotalco!” (risata) E tra una
ripresa e l’altra, si metteva su una seggiola
e dormiva e mi diceva: “Luciano, quando tocca a me, svegliami dandomi
una pacca sulla spalla!”. Lui ha detto una cosa, che per me è stata
importante, ha detto: “Per fare il regista, bisogna essere attore!”
Aldo
Fabrizi come lo ricorda?
Aldo
era un “lazaron” (risata). Io ho fatto la “Domenica d’agosto” e lui
per rabbia ha fatto “La famiglia passaguai”, perché aveva rabbia verso di
me, uno del Nord che veniva a fare il romano a Ostia, e quando sono andato a
Parigi a fare: “Parigi è sempre Parigi” con una troupe di romani che
andavano a vedere la partita di calcio Francia - Italia, lui ha fatto subito
dopo: “Parigi - Roma”, conduttori di vagone letto per fregarmi. Ma alla
fine, era un carissimo amico, che sosteneva di essere un bravissimo cuoco e
invece cucinava da bestia. Si! Una volta m’ha fatto invitare a casa un amica,
una vedette del “Mouline Rouge”, e ha fatto degli spaghetti alla carbonara.
Erano freddi, scotti da buttare via. Quando lavoravo in Francia con lui, voleva
sempre dormire nella stanza mia. Diceva: “A Lucià, io non so perché i
francesi, quando me vedono, se sturbano, perché so' brutto e per telefono non
posso fare niente, perché non parlo francese” (risata).
Totò?
Era
meraviglioso. Ogni mattina, quando andavamo a girare, l’operatore direttore
della fotografia, un certo Peppino Caracciolo, era un suo parente perché era un
principe pure lui, come Totò. I Caracciolo di Turchi a Roma, era un ramo di una
famiglia in cui era stato adottato Totò, e tutte le mattine c’era la
cerimonia. Peppino Caracciolo e Totò, tiravano fuori dalla tasca 3 - 4 corni,
cornetti (risata) per scaramanzia.
Paolo
Panelli?
Panelli
è stato l’amore della mia vita. Ho fatto circa 50 caroselli con lui e quando
ho fatto ‘sti 50 caroselli, lui mi ha detto: “Luciano, io voglio fare un
film sulla storia di Ercolino!” Io gli ho scritto la storia e lui voleva fare
il regista. Ha fatto il film e mi ha detto: “C’è un produttore che vuole
prendere il film! Ti rincresce?” .“Per carità - gli ho detto - fai come
vuoi!”. Ha girato il film e per primo ha voluto che lo vedessi io. Finito di
vederlo mi disse: “Cosa ne pensi (parlando forte perché era molto sordo) ?”
. “Guarda, Paolo –gli dissi - la pellicola, oramai non è più infiammabile,
ti consiglio di stare per un mese vicino al gabinetto e fotogramma per
fotogramma tagliarlo con le forbici e buttarcelo (risata)”. Sto sciocco aveva
voluto fare del personaggio di Ercolino, una specie di Mastroianni, un don
Giovanni. Io ho visto Paolo Panelli, un anno prima che morisse, sono andato a
trovarlo a casa sua e gli ho detto: “Ma sta copia di Ercolino?”. E lui: “
Non me ne parlà, non me ne parlà!”, urlando. Non so se esiste.
Fellini?
Fellini,
grande amico. L frase più bella che mi ha detto è stato quando alla mia
domanda: “Ma come cavolo fai a lavorare con 200 persone della troupe?” Mi ha
detto: “Perché sono solo, tu hai 3 figli!”. Mi ha commosso. Poi un’altra
volta che ci siamo rivisti, mi disse: “Lucianino (lui mi chiamava Lucianino),
sei convinto anche tu che il cinema è morto?”.
Allora
il cinema italiano era quasi moribondo.
Si!
E’ morto con il bianco e nero.
Perché
ha scelto la Ferilli per il suo ultimo film “L’acqua, il fuoco …”?
Perché
non trovavo nessuna per quella parte. Sono andato in Francia e le ho viste tutte
e non c’era un’attrice che corrispondeva a quel personaggio, con quel
temperamento, con quel fisico. Una brava donna, una popolana, sincera e alla
buona. Ha fatto un film con me, con una simpatia reciproca enorme.
La
Ferilli ha preso un riconoscimento alla mostra di Venezia, per quel film,vero?
Ma
si! Però, come al solito, non mi hanno detto che Ciampi gli dava il premio come
miglior attrice per il mio film. Non ne sapevo niente.
Lei sa che nessuno è eroe in patria?
Non
sono un eroe. Faccio ‘sto mestiere e sono felice solo quando sto a casa mia.
Nella sua lunga carriera c’è un
progetto che avrebbe voluto realizzare, ma per vari motivi non s’è fatto
nulla?
Io
ne ho uno, che vorrei realizzare adesso. Sto parlando con le APT locali del
Trentino e desidero che tutta la Val di Non intera, mi aiuti a realizzare un
film che si chiamerà “ Le fiamme del Paradiso”. Io nel 1988 ho fatto un
film che si chiamava “La bellezza del diavolo – viaggio nei castelli
trentini”, ma con i fantasmi del castelli trentini e adesso invece voglio fare
una storia impegnata, intorno ad un libro bellissimo che ho gia comperato 10
volte e che si intitola:” Il processo ad una strega”, che a come sfondo il
paesino di Coredo, in Val di Non. In questo piccolo paese, c’è una casa, dove
si entra liberamente perché non c’è un custode e in questa grande sala c’è
“Il trionfo della morte” e dove ci sarebbe da metterci un tavola e delle
sedie e con dei figuranti e si potrebbe fare il cinema oggi, con tre lire. E
quindi voglio trovare l’aiuto economico di tutta la regione, dagli alberghi,
alla Melinda (quella delle mele del Trentino), al Teroldego (cantine),
ecc… Solo facendolo in questo modo, come si faceva all’epoca, che non
costava niente e si potevano fare i film che si amavano, si possono produrre
tanti film, altrimenti se ci vogliono i miliardi e meglio
lasciarli fare agli americani. Ho letto una notizia oggi, su “Alias”,
il supplemento del Manifesto, che adesso arrivano addirittura con il digitale,
il computer a prendere i film e modificarli. Per me quelle sono porcate, non
realtà ma porcate belle e buone. Io, facendoli con quattro soldi, dico quattro,
voglio realizzare questo mio sogno, altrimenti restituisco le chiavi al comune
di Molveno.
Lei prima ha affermato che il cinema è
morto quando è finito il bianco e nero, cioè con l’avvento del colore,
giusto?
Certo!
Perché il colore era, senza volerlo, l’antesignano della televisione.
Non c’era la fantasia straordinaria della realtà, vista attraverso il mezzo
nuovo, a colori. Vuoi mettere l’essenza che il bianco e nero dava, la forza
della recitazione, la crudezza degli ambienti? Il bianco e nero era il
prolungamento del romanzo, dell’800. Ora sono morti tutti e due.
Un consiglio ai giovani registi italiani?
Di
fare gli idraulici, che fanno più soldi. Sai qual è il difetto, Gianfranco?
Questi giovani registi sono quelli che vivono per fare il cinema e invece
bisogna fare cinema per vivere, come ti dicevo all’inizio dell’intervista.
Allora è più giusto. Se io ho imparato a fare il falegname, faccio la mia vita
e sono soddisfatto di aver fatto il falegname. Io sono uno che fa cinema e lo fa
per vivere e sono molto soddisfatto di questo mestiere che, fra l’altro, è un
mestiere come un altro.
Lei è stato nominato “decano” dei
registi. Le fa piacere?
Beh!
Decano… Sono vecchio, si, ho 85 ani (risata). Si! Mi fa piacere.
Chi è il suo erede cinematografico?
Non
lo so, perché ce ne sono tanti di registi bravi.
Ha mai scritto una sua biografia?
Si!
Adesso fanno una “monada” durante il festival di Torino, cioè fanno una
retrospettiva con tutti i miei film, i mie documentari e i miei Caroselli e
pubblicheranno un libro, bello grosso, con testimonianze di tutti quelli che mi
hanno conosciuto, attori, Vip, ecc…
Magari ci sarà anche qualche aneddoto,
eh?
Quelli
privati non li ho raccontati a nessuno, magari qualche aneddoto sui vari set,
che fra l’altro, il set è un posto come un altro, dove si lavora sodo e con
passione.
Parliamo di Roma, Lei ci è arrivato nel
’39, giusto?
Si!
E m’è sembrata subito la città più bella del mondo. Forse ancora oggi lo è,
se non guardo troppo in giro. Io abito in una zona abbastanza tranquilla, in via
Monte Maloia. Ricordo che quando arrivai a Roma, si mangiava la piazza con 50
centesimi e una cosa che mi ha colpito subito di Roma e lo spirito dei romani.
Dopo la guerra, quando ho comperato la mia prima macchina usata, un giorno, alle
10 del mattino, passavo per porta Pinciana e via Veneto e all’incrocio con via
Lazio mi sono scontrato con un’altra macchina, perché in quel momento passava
un “tocco” di ragazza favolosa. Mi sono guardato con questo romano, ci siamo
guardati e ci siamo detti:” Quando ce vo’, ce vo’!” (risata). Al
giorno d’oggi ci sarebbe stata una rissa, con tanto di coltelli.
Era una Roma più tranquilla, caciarona e come dicevo prima, con uno
spirito diverso, fatta di trattorie, cinema e scampagnate. C’era una generosità
cinica dei romani, che erano unici e generosi. Adesso ce ne sono ancora così,
ma sono molto pochi. Tatiana, mia moglie, è fortunata perché ha un giro di 7
– 8 artigiani, quei pochi rimasti, che non lavorano in una bottega, ma in
casa, tipo quello che vende ferramenta, il falegname, le stoffe, i vetri, ecc…
Le piace il dialetto romanesco?
Il
romanesco è molto efficace, basta pensare a Sordi, a Verdone. E’ una lingua
molto cinematografica. Allora non si poteva fare il cinema dialettale. Adesso si
parla di cinema Europeo, l’Europa è una realtà meravigliosa, a una
condizione, che ciascuno faccia parte della propria identità. Il difetto
dell’Italia è che è un paese fatto di 1000 comuni, ognuno dei quali ha
espresso alcune delle opere d’arte più straordinarie del mondo, in
letteratura, in pittura, in scultura, ecc... C’era il signor Montaigne, quando
ha scritto il viaggio in Italia, ha scritto: “Mi hanno detto che vogliono
farne una nazione di questo meraviglioso Paese, che Dio lo preservi!” E questo
non è questione di secessione, ma è questione che se perdi l’identità
individuale, anche nella lingua, spariscono le tradizioni popolari. Cosa sarebbe
il Friuli senza il suo dialetto. L’identità di tutti i Comuni, delle Regioni,
è la forza dell’Italia, che se si disperde l’Italia perde moltissimo
identità. Infatti su questo, voglio farne un film.
Ha mai letto poesie romanesche, tipo il
Belli e Trilussa?
Tra
il Belli e il Trilussa c’è una bella differenza. Anche Petrolini. Io cito una
sola frase che è l’inizio di una poesia del Belli, che va dicendo: “La
morte sta anniscosta nell’orologi”. Questa poesia del Belli è a livello di
Dante Alighieri. Trilussa era un grande, a Roma abitava dietro Piazza del
Popolo, dove, in quel palazzo, poi c’era la Fono Roma, in via Maria Adelaide,
dove c’era conservata la sua stanza, ancora intatta con tutti i suoi libri, i
suoi effetti, il ballatoio, ecc… Io ci andavo spesso lì, adesso ci sono solo
negozi, e basta.
Lei ha sempre abitato a Montesacro?
All’inizio
vivevo in un albergo, che stava all’angolo di Palazzo Chigi, Adesso non c’è
più. Poi abbiamo abitato in una casa, all’inizio di viale Mazzini, dove
c’era davanti una pompa di benzina, e noi stavamo in questa piccola casa, ad
un piano, e lì ci siamo stati in affitto per due anni. Poi abbiamo comperato
una casa, col mutuo, che è quella dove abito tuttora. Pensa che allora per il
mutuo si pagava l’uno per cento di interessi. Com’è cambiato il mondo.
C’è un angolino di Roma che lei ama
particolarmente?
Montesacro.
Perché è rimasto ancora abbastanza intatto. E’ ancora pieno di piccole ville
liberty, bellissime. Lì vicino ci passa l’Aniene, che viene da fuori Roma e
adesso il vecchio ponte romano l’hanno chiuso e così le macchine non passano
più davanti a casa mia. Quindi è ancora più bello ‘sto posto. E’ ad una
dimensione alla pari di un paese, c’è anche un bel parco, con delle panchine.
Lì ci passo dei pomeriggi interi.
I romani pregi e difetti?
Te
l’ho detto i romani sono bonari e generosi, ma c’è stata una tale invasione
di barbari, da Porta Pia in poi che è tutto sfasato anche questo popolo. Il
famoso romano delle sette generazioni, non c’è più, o meglio ce ne sono
molto pochi. Ogni tanto trovo qualcuno di questi.
Cosa le da fastidio di Roma?
Quelli
che sono venuti da fuori, a cominciare dai piemontesi, dai bergamaschi, ecc...
Che se ne stiano a casa loro e non a “rompere i coglioni” agli altri, con la
scusa del governo.
Cosa le manca di Roma quando è via?
Niente!
Mi manca Molveno e la mia bella casetta, quando sono a Roma. Però ripeto
sempre, mi manca casa mia, che è bella come questa, bella nel senso
“dentro” senza confort, senza computer, video, ecc… Una casa
semplicissima, ma confortevole. Ho il mio angolino dove ho tavolo e una sedia,
in cui amo scrivere, e sul muro tanti disegni fatti da mia figlia piccola, da
mia nipote, ecc… Tanti ricordi. E poi tante foto di orsi, perché l’orso è
della nostra famiglia. Quando abitavamo a Marino, piccola cittadina dei castelli
romani, che abbiamo dovuto lasciare dopo 4 volte che ci sono venuti a
“visitare” i ladri, lì avevamo una cagnolina che abbiamo battezzato
l’Orsa. Uno di questi giorni vado al Genzianella (località di Molveno, ndr), mi metto in mezzo al prato e aspetto che passi l’orso (risata). Una volta
l’orso andava sempre a Spormaggiore, perché c’era la discarica. Hanno
eliminato la discarica e il povero orso non sa più dove andare a mangiare.
Roma è o era la città più bella del
mondo?
Io
non ricordo la Roma di una volta, che era la città più bella del mondo. Quella
odierna non la frequento. Amo frequentare l’angolo di casa mia!
In quale Roma del passato le sarebbe
piaciuto vivere e in quali vesti?
In
quella odierna e nelle vesti del regista Luciano Emmer. (risata)
In quale zona va a passeggiare?
Nel
parco dell’Aniene che è a 150 metri da casa mia. Lì mi trovo benissimo. Come
mi trovo bene a Molveno. L’altro giorno ero in piscina, ho portato mia figlia.
Mi sono seduto e guardavo su i “Sfulmini”, una delle montagne del Brenta,
c’erano alcune nubi e tra una cosa e l’altra formavano un disegno
meraviglioso, poetico. L’unica cosa che mi fa rabbia, è che siamo andati
tanto tempo fa, d’estate, al Grand Hotel, e tutte le mattine facevo il bagno e
attraversavo il lago di Molveno. Adesso non si può più perché è troppo
freddo. Hanno fatto venire il fiume Sarca ed è stata la sua rovina.
Parlando di Roma, lei ha conosciuto anche
Pasolini?
Certo.
Con Pasolini, ho scritto assieme, la sua prima sceneggiatura: “Ragazzi di
vita!” Un produttore gli aveva proposto di fare un suo copione che si
chiamava: “Amici per la pelle”; che poi ci feci un film. Per due mesi, io e
lui, abbiamo girato tutte le segreterie di Roma, tirando su storie, personaggi e
fatto 2000 fotografie. Chissà dove è andato a finire quel lavoro. Quando
abbiamo finito di fare il film, abbiamo portato dal produttore una copia e una
al presidente. Siamo tornati dopo una settimana e il produttore ci disse:
“Questa è la sceneggiatura che avete scritto voi?” “Si” abbiamo detto.
E lui ce la tirò in faccia (il copione). Se non tenevo fermo Pier Paolo
Pasolini, l’amazzava.
Come ha conosciuto Pasolini?
A
quei tempi Roma non era così grande ed eravamo in pochi a fare questo mestiere.
C’era un certo giro e ci incontravamo spesso, perché andavamo a mangiare
nelle stesse trattorie. C’era un posto strano, in via Veneto, che si chiamava
Bar Rosati e c’era una saletta dove anche se non consumavano niente, ci
lasciava in pace ugualmente e non ci cacciavano. Lì era il nostro ritrovo.
C’era Amedei, Flaiano, Brancati, Blasetti, il grande Steno, papà di Enrico e
Carlo Vanzina, ecc… Enrico, tra l’altro, mi scrisse una lettera che mi fece
venire le lacrime, perché sapeva che ero un grande amico di suo padre. Un uomo straordinario. Se vai a Roma a trovarlo Gianfranco,
salutamelo tanto.
Con piacere. Posso mandargli anche una
e-mail, se le fa piacere.
Uffà !
Queste cose moderne. Io non ho ne computer, ne tecnologie moderne. No go’ un
“caz…” e vivo benone. Io scrivo solamente a penna, esattamente come facevo
una volta. Lo so che il mondo va avanti e non si può fermare, ma io mi sono
fermato qui e sto bene così. Non uso nemmeno la macchina da scrivere, perché
fa rumore. Però, sai che ti dico, che non mi sento affatto indietro, rispetto
agli altri che usano queste
diavolerie moderne, anzi, mi sento più avanti.
Ha ragione. Mio nonno diceva che se va via
la luce si blocca tutto, ma la penna puoi usarla ugualmente.
(risata) Tuo nonno era un saggio.