Luisella
Costamagna (giornalista e scrittrice)
Roma 14.2.2020
Intervista
di Gianfranco Gramola
“Io
non amo molto la categoria. L’ho detto, l’ho scritto, perché credo che il
mestiere del giornalista sia un brutto mestiere, in cui i difetti umani
diventano pregi professionali, tipo lo sciacallaggio”
Luisella Costamagna,
torinese, è laureata
in Filosofia. La sua attività di giornalista televisiva inizia in una piccola
televisione locale piemontese, dove conduce l'edizione del telegiornale. Nel
1996 inizia la sua collaborazione nei programmi di Michele Santoro, che la
sceglie per la sua nuova trasmissione Moby Dick. Alla fine degli anni
novanta conduce l'edizione serale di Studio Aperto, il telegiornale di
Italia 1. Nel 2001 ritorna con Michele Santoro, questa volta in Rai, per i
programmi Il raggio verde, Sciuscià e Sciuscià edizione
straordinaria, dove cura in studio schede di approfondimento, interviste,
sondaggi. Del 2002 è il programma Donne, cinque speciali in seconda
serata su Rai 2, di cui è autrice e conduttrice. Nel 2004 collabora con i
programmi di Maurizio Costanzo: il Maurizio Costanzo Show - Raccontando,
per cui realizza interviste e reportage Tutte le mattine, Il diario
di cui è curatrice, e Pandora, rubrica di interviste al femminile in
onda sul digitale terrestre Mediaset. Dal settembre 2006 è in studio, sempre
con Costanzo, per il rotocalco pomeridiano Buon pomeriggio. Nel 2007
conduce i dibattiti del giorno di Omnibus Estate (LA7) e realizza, per il
programma W l'Italia diretta (Rai 3) di Riccardo Iacona, il reportage Parole
come ferite, sulla violenza alle donne. Dal gennaio 2008 conduce nuovamente
il dibattito del giorno di Omnibus (LA7) ed è tra gli autori del
programma Annozero di Michele Santoro, in onda su Rai 2. Da settembre 2008 conduce il dibattito di Omnibus Weekend su La7. Nel 2009 conduce, sempre su LA7, il programma di informazione pomeridiano Così
stanno le cose. L’ano dopo torna
alla conduzione di Omnibus Weekend. Dal 27 giugno 2010 al 9 settembre
2011 conduce con Luca Telese In onda, programma che lascerà in seguito
per scelta dell'emittente, che la sostituisce con Nicola Porro. Collabora con Diva
e Donna, per cui cura la rubrica Il punto interrogativo di Luisella,
e con Il Salvagente, (rubrica Le parole della settimana). Il 18
settembre 2012 pubblica il libro Noi che costruiamo gli uomini. Dell'anno
successivo è l'inchiesta Cosa pensano di noi. Gli uomini raccontano il sesso
e le donne. Dal 25 ottobre 2012, la giornalista torna su LA7 collaborando al
programma Servizio pubblico, condotto da Michele Santoro. Nel gennaio
2013 abbandona la trasmissione. Nel 2014 approda a Sky Italia sul nuovo canale
Crime+Investigation. Nel novembre seguente diventa volto di Agon Channel, nuovo
canale del digitale terrestre in onda da dicembre, dove conduce il programma di
attualità politica Lei non sa chi sono io, il
primo show del canale tv con sede operativa in Albania prodotto in Italia e in
diretta dagli studi di Roma. È editorialista de Il Fatto Quotidiano e de La Verità, per cui cura la rubrica domenicale
Gli Oscar della
settimana. A partire dal 2018, interviene come ospite collegato
durante la trasmissione "Fuori dal coro" condotta da Mario
Giordano. Ha scritto due libri: Noi che costruiamo gli uomini, 2012 - Cosa
pensano di noi 2014.
Premi e
riconoscimenti
2000 - Premio
giornalistico Giuseppe Marrazzo come "giornalista rivelazione"
2007 - Premio
giornalistico Roberto Ghinetti per il reportage Parole
come ferite
2008 - Magna
Grecia Award, Premio Maria Grazia Cutuli
2013 -
Premio Letterario Caccuri - IIª classificata - Noi
che costruiamo gli uomini, Mondadori, 2012
2013 -
Premio e Rassegna letteraria Com&Te - Premio speciale "Le Scie di Com&Te"
- Noi che costruiamo gli uomini,
Mondadori 2012
Intervista
Mi
racconti brevemente com’è nata la tua passione per il giornalismo, chi te
l’ha trasmessa?
Me
la trasmessa la televisione, da spettatrice. Sono cresciuta con Giovanni Minoli,
con Mixer, e quando mandò in onda il video di Abraham Zapruder sull'omicidio
Kennedy, rimasi giorni a pensarci e poi ero un’appassionata spettatrice di
Michele Santoro, con cui poi, il caso, ha voluto che iniziassi a lavorare
insieme. L’inizio è stato in una televisione regionale. Ma al di là del
fuoco sacro del giornalismo, io studiavo anche e volevo fare qualcosa per
guadagnare due soldi da precaria. Conducevo il telegiornale regionale e poi
andavo a fare i servizi sulle mostre d’arte.
Ma
i tuoi genitori che futuro speravano per te, cosa sognavano che tu facessi?
Mio
padre faceva il commerciante di macchine utensili, quindi mi vedeva benissimo
come segretaria nell’azienda. Fu un coccolone quando scelsi
di fare filosofia. Mia nonna ricordo che voleva che facessi la pediatra o
il medico, l’ingegnere o una professione scientifica. E io, giustamente
essendo una donna fuori dal coro, ed essendo una che è scappata di casa a
quattro anni e mezzo, quindi una che non subisce e non patisce l’autorità, ho
fatto tutt’altro, cioè filosofia.
Ora
però sono contenti del tuo percorso?
Si,
però l’ho fatto molto autonomamente. Mio padre non c’è più dal ’90,
quindi in realtà non mi ha vista fare la giornalista, perché quando ho
iniziato nella TV regionale non c’era più. Io allora avevo 21 anni. Mia madre
era arrabbiata quando mi sono trasferita a Roma per lavorare con Santoro. Lei
diceva: “Devi laurearti, non mi importa che fai la televisione e la
giornalista”. Lei voleva che prendessi la laurea. Poi mi sono laureata di
mattina e il pomeriggio sono tornata a Roma perché avevo la trasmissione con
Santoro. Ora è orgogliosa, però non mi ha mai aiutata a trovare casa nei miei
vari trasferimenti Roma - Milano e non mi ha mai spinta a fare questo mestiere.
Come
ti ha contattato Santoro?
In
realtà era l’ultima puntata di “Tempo Reale”, lui stava a Rai3, ed io ero
appena diventata pubblicista per
quel contratto che avevo avuto in quella televisione regionale, e nell’ultima
puntata della trasmissione di Santoro è passata la scritta: “Cercasi giovani
collaboratrici, contattare il numero …”. Ho risposto all’annuncio, feci
una selezione a Milano con migliaia di persone. Poi feci un incontro a Roma con
un capo redattore e poi un provino a Milano. Santoro quell’estate, se ti
ricordi, passò a Mediaset e quindi io non seppi più nulla. Intanto io lavoravo
nel salone di papà, per guadagnarmi qualche soldo e mi chiamò Sandro Ruotolo
dicendomi: “Tu sei quella che ha fatto il provino per Tempo Reale? Sono Sandro
Ruotolo, possiamo incontrarci a Milano?” Lì incontrai Santoro, a lui era
piaciuto il mio provino, e mi scelse per il primo contratto. Quindi un iter
assolutamente non credibile, ma vero.
Fra
colleghe hai trovato più rivalità, complicità o amicizia?
Io
non amo molto la categoria. L’ho detto, l’ho scritto, perché credo che il
mestiere del giornalista sia un brutto mestiere, in cui i difetti umani
diventano pregi professionali, tipo lo sciacallaggio. Io ho una concezione molto
etica in realtà della vita, in particolare del mio mestiere. Noi siamo
portatori di responsabilità, il nostro unico vero editore è il pubblico e
l’unico mio principio è riuscire a guardarmi allo specchio la mattina. Quindi
essere libera, indipendente e forse per questo ho avuto tanti problemi nel mio
lavoro. Visto che questi non sono parametri molto condivisi, perché vedo una
gran sudditanza al potere, invece di essere come deve essere il giornalismo
“cane da guardia” del potere, non ho mai avuto grande solidarietà, anzi.
Nelle mie vicende professionali, sicuramente non ho mai avuto solidarietà dai
colleghi giornalisti, diciamo che se scrivo qualcosa, mi è capitato di recente,
i primi ad attaccarmi sono o i politici o i colleghi. Non ho grandi sintonie,
tranne poche eccezioni che poi sono quelle per le quali lavoro, che mi lasciano
lavorare in piena libertà, da Marco Travaglio al "Fatto Quotidiano", a
Maurizio Belpietro di "La Verità", dove ho una rubrica fissa la domenica. A
Belpietro riconosco la
disponibilità, il coraggio di farmi collaborare con il suo giornale, avendo
anche idee diverse. Altra
eccezione è Mario Giordano con cui collaboro a "Fuori dal coro?". Con
Giordano non siamo d'accordo su alcuni temi, su alcuni si, ma gli riconosco
l'indipendenza che mi garantisce. Ripeto, a parte
poche
eccezioni di un giornalismo libero,
quello che fa le pulci a 360 gradi, per il resto non ho una grande stima per la
categoria.
Quali
sono i temi che vorresti approfondire maggiormente?
Tutto
può essere interessante, infatti nella mia carriera ho fatto cose anche
completamente diverse, ho scritto anche libri, facendo un’inchiesta sulla
sessualità maschile, per cui credo che tutto può diventare interessante. Tutti
i temi che attengono alla vita dei cittadini sono assolutamente da approfondire,
come la violenza sulle donne. A proposito della domanda che mi hai fatto prima,
sul rapporto con i colleghi, a me sembra
che ci sia una passione smodata e ingiustificata per i retroscena da palazzo del
potere. A me questo non interessa,
anzi, lo trovo sbagliato. Ogni tanto mi domando come faccia mia madre a leggere
le pagine di politica di uno dei
“giornalini”, perché sono appunto autoreferenziali. A me piace un altro
giornalismo. Se mi occupo dei trasporti, del
deragliamento di un treno, dell’Alitalia, della manovra e tutto ciò che ha a
che fare con la vita dei cittadini, non con il palazzo, mi interessa ed è
politica.
Ti
hanno mai proposto la direzione di un giornale?
Sono
stata anche direttore di un mensile, ma è
stata una fase, era un mensile che era appena nato. Lo considero una normalità,
non un eccezione purtroppo. A parte quello, mi avevano proposto la direzione de
“Il Male” , quando tornò in edicola. Poi ti dico che sono un eccezione, nel
senso che tu mi parli di carta stampata, ma io credo di essere uno dei
pochissimi casi in Italia di giornalista televisiva pura, che nasce come
giornalista televisiva che si è conquistata uno spazio sulla carta stampata e
di questo ne vado fiera. Ma la normalità se ci pensi è nel lato opposto, perché
siamo pieni di conduttori televisivi, che non nascono in televisione, ma nascono
sulla carta stampata. Non me ne vengono in mente altri, oltre me, che dalla
televisione siano diventati editorialisti. Di questo ne vado fiera, ma sarebbe
più naturale se mi offrissero una direzione di un telegiornale, ma credo che
non sia aria per me.
Hai vinto numerosi premi giornalistici.
Ce n'è uno a cui sei maggiormente legata?
Tutti mi hanno fatto molto piacere. Direi: il
prossimo!
Un
domani, come vorresti essere ricordata?
Io
voglio essere ricordata. Punto. Ho sempre pensato che il senso della vita sia
comunque lasciare un segno. Spero positivo e spero che mi si ritrovi nel modo in
cui sottolineo le pagine dei giornali, nelle domande che nessuno farebbe e io
invece faccio in televisione.
Per
via del lavoro ti sei trasferita a Roma. Come ricordi l’impatto con la
capitale?
Sono
venuta a Roma per lavoro, poi sono tornata a Milano per un anno e poi sono stata
assunta a Mediaset, dopo l’esperienza con Santoro. Poi mi sono licenziata, a
proposito di essere sempre libera, a costo di essere disoccupata. L’impatto
con Roma è stato positivo e straniante, io vivevo a Torino e sono due città
completamente diverse. Ora sono diventata romana a tutti gli effetti e non
tornerei a vivere a Torino. Torino è una grandissima città, bella e molto
formativa, però è una città difficile. Ricordo la mia infanzia e
l’adolescenza come una cosa positiva, ma anche con grandi difficoltà, perché
poi non era la Torino di oggi, era la Torino che alle 7 e 15 s’era finito di
cenare, faceva freddo, la gente non usciva per strada, mentre oggi ci si sta
appropriando un po’ più della città. Arrivare a Roma è stato come Pinocchio
che arriva nel paese dei balocchi. Questa luce, il sole, il clima, la vitalità
romana, il mare vicino. Se tu vivi di rendita, vai benissimo, lavorarci è un
po’ più complicato. Io mi muovo con il motorino, perché spostarsi con la
macchina a Roma è un problema. Ora che sono romana di residenza, ci vivo da
tanti anni, non la cambierei per nulla al mondo. Credo che sia una delle città
più belle del mondo. Dovremmo valorizzarla e rispettarla di più. C’è anche
un elemento della romanità che si chiama flessibilità. All’ufficio che sta
per chiudere, a Torino ti dicono: “E’ chiuso, venga domani”. A Roma “Si,
si accomodi”. Mi ricordo di essere
partita per Roma portandomi i libri di Fenoglio, da buona torinese. Comunque ho
apprezzato la mia città a distanza, però poi Roma mi ha conquistata. E’ una
città affascinante.
La
tua Roma in tre posti diversi?
La
mia Roma è il quartiere dove vivo, dove ho comprato casa, che è Monteverde.
E’ un quartiere popolare dove c’era Pasolini. Adesso quella sede l’hanno
trasformata in una serie di appartamenti, l’hanno buttata giù e ricostruita,
ma era dove c’era il cinema di “Ragazzi di vita”. Comunque è un quartiere
bellissimo perché ha delle case meravigliose. Io ho il mercato di fianco e ci
vado, anche se non trovo il caffè per la macchinetta espresso. C’è solo
quello per la moka.
Altri
due posti della tua Roma?
Mi
piace il centro. Arrivi a piazza Venezia e giri ai Fori e ti trovi davanti uno
spettacolo per gli occhi. Ogni volta che vado a Milano, tornando mi chiedo:
“Cosa pensa un turista, uno straniero in visita a
Roma, trovandosi davanti tutta questa bellezza?”
Resterà a bocca aperta. Io ho sempre viaggiato molto e devo dirti che
arrivare a Roma e vedere un centro così meraviglioso è impressionante. Poi ci
aggiungerei il mare e il fatto che è vicino. Io vado a Sabaudia, ma pure a
Fregene, anche se non è bella e il mare non è bello. Il fatto di avere a 30
minuti di macchina, una spiaggia e il mare, è una grande apertura per la mente.
Le Pontine di Sabaudia, per me è uno dei posti più belli del mondo. Il mare di
Palmarola è riconosciuto come tra i
dieci mari più belli del mondo, al pari della Polinesia. Li vale tutti.
Vivendo
a Roma si diventa più ottimisti o pessimisti?
Bella
domanda. Io sono tendenzialmente un’ottimista, nonostante tutto anche forse più
realista. In realtà, secondo me, si diventa più ottimista vivendo a Roma
proprio per questa flessibilità, che ha un sacco di difetti, che però ti da un
senso o meglio l’impressione che forse tutto si può aggiustare, anche se in
realtà non è così. In fondo un po’ di ottimismo nella vita ci vuole.
Ti
piace la cucina romana?
Io
sono piemontese e noi siamo cultori dell’aperitivo, dell’antipasto, del
vino, inoltre la cucina romana non ha la varietà che abbiamo noi. A Torino
ricordo il vitello tonnato e la varietà di antipasti. A casa cucino la
matriciana e la carbonara, però apprezzo anche la cucina ebraica, come i
carciofi alla giudia. Al di là della varietà, quella romana è una cucina
dalle grosse dimensioni. Io sono una gran mangiona, ma mi piace variare e fare
tanti tipi di antipasti diversi. Piuttosto di fare un piattone di pasta,
preferisco tante cose diverse. Altra cosa riguarda la pasticceria. Noi siamo
abituati alle paste mignon, a quella piccole, mentre a Roma sono abituati al
maritozzo con la panna, una pasta grande quindi. A me piace invece l’assaggino
di tanti tipi.
Esiste
una Roma da buttare, una Roma che non ti piace?
La
Roma che non mi piace è quella della inciviltà, la Roma che non valorizza il
suo patrimonio e la trasforma in terzo mondo. Per terzo mondo mi viene in mente l’inciviltà
dei rifiuti e su questo io do colpa solo parzialmente all’amministrazione, nel
senso che io vivo a Roma da tanti anni e non è che io abbia visto un tracollo
adesso. E’ da anni che c’è questo problema, è un male eterno di Roma. Mi
è capitato di vedere cassonetti rivoltati, dopo che ha vinto la Raggi. Quindi
non nego che ci siano stati degli ostruzionismi spaventosi. Ti faccio un esempio
per farti capire cosa voglio dire con inciviltà. Vicino a casa mia c’erano
dei cassonetti, ad un certo punto li hanno spostati di venti metri più in là.
Eppure per quasi due anni la gente ostinatamente ha continuato a lasciare i
rifiuti nello stesso punto dove c’erano i cassonetti. Allora
di fronte a questo non puoi reggere. Come fai, devi cambiare le teste, la
mentalità. Come l’inciviltà del traffico, penso ai taxi. Io sono stata a
Mosca a Natale, e lì hai le App per i taxi, che ti arrivano, ti dicono una
cifra e viaggi tranquilla. A Roma arrivi all’aeroporto a Fiumicino, ti
avvicina qualcuno e ti dice: “Taxi, taxi?” in modo insistente. Questo è
inaccettabile e penso che la civiltà di un paese si misura anche sulla qualità
del trasporto pubblico e in questo Roma, e non soltanto Roma, ha una componente
di totale inciviltà, che poi va a
danno di un patrimonio che invece se fosse valorizzato sarebbe meglio che una
manovra. Se trasformassimo tutti i beni in entrate, come dovrebbe essere, e come
avviene in tutti gli altri paesi europei che hanno molto meno bellezze di noi,
non avremmo neanche più bisogno di pagare le tasse.