Max Cervelli (conduttore radiofonico) Roma 24.9.2019
Intervista di Gianfranco
Gramola
“La radio non la fai da solo, ma in coppia
e per fare un buon programma, ci vuole un’intesa, una certa confidenza e
un’affinità con il partner. Senza queste puoi essere il più bravo di tutti,
ma se non scatta l’empatia con l’altro conduttore o conduttrice, il
programma è già fallito in partenza”
Max Cervelli con Giovanni Veronesi
Toscano, o per meglio dire: Etrusco. Nel 1988
si trasferisce a New York per 18 mesi e impara l’inglese (ma soprattutto il
broccolino). Nel '92 inizia a bazzicare la radio e nel '93 esordisce al
microfono occupandosi di calcio e musica. Nel ‘98 arriva a Radio2 alla
conduzione de "Cammello di Radio2", "Gli spostati", e altri
innumerevoli eventi che vanno dal Festival di Sanremo, al Primo Maggio, alla
Notte degli Oscar. Dal 2014 fa coppia con Giovanni Veronesi nel programma
"Non è un paese per giovani" e nei weekend conduce "Let’s
Dance".
Intervista
Mi racconti com’è nata la passione
per la radio?
Tutto è iniziato casualmente, perché io ero
studente all’università e un mio compagno di corso faceva lo speaker in una
radio privata di Firenze. Abbiamo fatto l’esame insieme, sulla storia
dell’Europa occidentale e sulla 2° guerra mondiale e in quella stagione
c’era l’anniversario dello sbarco in Normandia, cioè il 4 giugno. Lui mi
disse: “Guarda, a me serve una spalla per parlare dell’anniversario”.
Avevamo fatto gli esami da poco, quindi eravamo freschi di quell’argomento e
all’epoca, si parla degli anni ’90, non c’era internet. Sono andato in
radio e lì è stato amore a prima vista. Poi mi sono proposto per fare
qualsiasi cosa in radio, tutto gratuitamente e quindi prima feci l’archivista,
poi mi sono occupato di sport, poi la radio ha chiuso, perché la radio private
in quegli anni sono morte tutte, come mosche attaccate alla carta moschicida.
Poi ho auto un programma al mattino a Videomusic, che poi è stata acquistata da
Cecchi Gori. Anche Cecchi Gori cadde in malora, perché venne travolto dallo
scandalo della Fiorentina e di tele Montecarlo, però io ero già passato a
Radio2, perché avevo fatto un provino 20 anni fa. Per cui superai le selezioni
e nel 1998 mi proposero di fare l’estate in radio come test e da allora non ho
più lasciato Radio Rai.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Il primo è stato un dj nonché direttore
artistico di radio One Leonardo Daddi, a cui devo la fiducia per avermi messo
dentro la radio quando non avevo né arte né parte, perché ha avuto un bel
coraggio. Poi a Radio One lavoravano Monti e Alberto Lorenzini che sono stati
dispensatori di consigli, nonché Davide Sagliocca, quel ragazzo di cui ti
parlavo all’inizio. Loro sono stati i miei maestri. Alberto Lorenzini prima di
una diretta mi disse: “Ricordati di essere te stesso e di divertirti”. Tutto
qui. Quindi andare in onda con animo leggero, perché facevo radio di
intrattenimento. Se avessi fatto un programma di cronaca nera, non sarei andato
con quello spirito lì.
I tuoi genitori come hanno preso la tua
scelta di lavorare in radio?
Contrariamente a quanto uno possa pensare mi
hanno sempre lasciato libero di fare quello che volevo. Lavorare in radio è il
progetto più sano di quello che nel tempo avevo proposti ai miei genitori, nel
senso che a 20 anni sono andato a New York a fare il cameriere. Era il 1988 e
allora non c’era skype per i contatti, ma loro mi hanno lasciato andare con
fiducia al 100 per 100. Ogni tanto telefonavo a casa dicendo che andava tutto
bene e che era tutto a posto. Magari erano preoccupati in cuor loro, però non
mi hanno mai ostacolato in nessun modo. Mi hanno sempre dato fiducia. Mi hanno
sempre detto: “Se la fiducia che abbiamo in te non viene tradita, hai carta
bianca”. Io mi sono sempre comportato a modo, non ho mai fatto bravate, non
fumo, non bevo e non ho vizi e sono sempre stato quello di cui tutti si
fidavano, anche quando si andava in giro in macchina gli amici erano tranquilli,
essendo io sempre sobrio.
La scaletta di “Non
è un paese per giovani” la decidete tu e Giovanni Veronesi o ci sono
degli autori?
No, non ci sono autori e non c’è una
scaletta. Noi arriviamo in radio alle 11.55 e troviamo solo la scaletta dei
dischi e tutto quello che viene fatto è a braccio, non c’è niente di
scritto, contrariamente a quello che uno può pensare. Ci sono gli ospiti che
mediamente occupa un’ora della trasmissione e io per scrupolo preparo qualche
domanda, però Veronesi non vuole niente di preparato. C’è solo un monologo
scritto da lui, giorno per giorno.
Oltre al talento dei conduttori, cosa
serve per fare un buon programma?
A parte i programmi giornalistici, la radio
non la fai da solo, ma in coppia. Prima di tutto ci vuole un’intesa, una certa
confidenza e un’affinità con il partner. Senza queste puoi essere il più
bravo di tutti, ma se non scatta l’empatia con l’altro conduttore o
conduttrice, il programma è già fallito in partenza, perché vai avanti a
tratti, non ti intendi, non ti capisci. Invece se hai un’intesa che è frutto
di una frequentazione, di un’amicizia, la trasmissione è un’altra cosa,
perché poi la radio passa la voce e se il tuo tono è teso, un po’ in
ritirata e non sei sciolto, non sei tranquillo, disteso, si sente e i programmi
vengono male. Ti faccio un esempio, Gianfranco. I network come RDS … se tu
senti la mattina Anna Pettinelli, senza nulla togliere alla sua professionalità,
con il suo co-conduttore, sono finti. Ridono senza motivo, fanno battute per
cercare di creare un’atmosfera, ma non si crea. Viceversa tre amici come il
trio Medusa, che sono in totale sintonia. Tre persone a fare la radio, ma non si
sente che sono in tre, perché ognuno ha la sua identità e il suo spazio.
Coppie messe lì d’ufficio, non funzionano. Io ti ho descritto la Pettinelli,
ma ce ne sono tanti altri. A volte certe battute non arrivano perché senti che
sono meccaniche. La conversazione deve fluire come se io parlassi con un
familiare, con cui hai confidenza e con cui ti puoi permettere una battuta, un
affondo, anche un mezzo sottointendimento. Questo è il segreto. La radio quella
delle notizie e delle interviste si fa senza autori, perché se non sei in grado
di fare una domanda per l’ospite che ti arriva, allora forse la radio non la
devi fare.
Quali sono le tue ambizioni?
La mia ambizione è quella di rimanere in
questo contesto il più a lungo possibile. So che c’è la rete, che ci sono i
social, ma la radio è diversa e ha delle regole che vanno rispettate. Io non
vado a fare lo youtuber, perché non sono in grado di farlo e riconosco che
quella è un’altra faccenda rispetto a me. E’ altrettanto vero che chi entra
nel territorio radiofonico spesso non ha i mezzi per farlo. Facci caso, i Vip
vengono sempre affiancati da conduttori radiofonici, altrimenti vanno incontro
ad un frontale. In radio c’è la musica che va annunciata, ci sono i tempi, i
ritmi e se non ce l’hai, non te li inventi.
Hai mai lavorato per solidarietà?
Certo. Ti faccio un esempio. L’anno scorso
c’è stata la festa della Croce Rossa e io ho fatto la serata con i volontari
che venivano da tutte le parti del mondo. Era in giugno, a Castiglione delle
Stiviere e c’era anche dj Fester. Vado anche nelle scuole per parlare del
lavoro in radio, anche se quella non è solidarietà. Come diceva Giorgio Bocca
o forse Montanelli: “Se dopo 50 anni che hai imparato qualcosa e questo
qualcosa non lo ridistribuisci ai più giovani, sei un’idiota”. Se vengo
interpellato a parlare di radio, io se posso portare un mio contributo, senza
parlare dal pulpito, ma semplicemente dare consigli, mi fa molto piacere.
Il 28 e il 29 di questo mese sono a Bologna a fare una masterclass di
comunicazione radiofonica a dei ragazzi che un domani vorrebbero lavorare in
radio. E questo lo faccio molto volentieri.
Parliamo un po’ di Roma, Max. Tu sei
di Firenze. Quando sei venuto nella città eterna e come ricordi l’impatto?
L’impatto con Roma fu bellissimo perché
era il 1998 e la capitale si stava preparando per il Giubileo. Era un cantiere a
cielo aperto, però tutto venne chiuso nel tempo di un anno, a differenza di
quello che avviene al giorno d’oggi. L’impatto è stato di un trentenne,
senza impegni famigliari, nel senso che ero senza figli da portare
quotidianamente in piscina, in palestra, a scuola, dal pediatra, ecc … Dopo
mia moglie mi ha raggiunta a Roma. La Roma di una coppia a Roma è fantastica,
perché giri in motorino. Quando metti su famiglia giri in macchina ed è un
disastro totale. E adesso Roma è una città slabbrata, una città abbandonata,
una città incivile, colpa delle varie amministrazioni, di tutti gli
schieramenti. Però c’è una compartecipazione massiccia dei suoi abitanti,
perché con la scusa che non funziona niente, i suoi abitanti non fanno niente
per renderla migliore, perché la macchina in doppia fila non ce la metto io, e
neanche il turista. I cassonetti sono stracolmi anche perché non viene fatta la
differenziata ma non per colpa delle amministrazioni, ma perché il singolo
cittadino non la fa la differenziata e se ne frega. Io spesso mi sono permesso
di chiedere il perché di questo e spesso ho ricevuto minacce e insulti. Ho
fatto presente a uno che il vetro non va nel cassonetto della carta. La risposta
è stata: “Fatte li cazzi tua, stronzo”. C’è un’inciviltà da parte dei
suoi abitanti che non ti dico.
Ho notato che di notte portano i divani
e le lavatrici vicino ai cassonetti…
Portano di tutto, anche i frigoriferi,
televisori, sedie. Avrei una casistica da raccontarti su certi episodi,
Gianfranco. Giovanni Veronesi in trasmissione mi fa raccontare dei fatti che mi
sono accaduti e mi chiama “il Robin Hood di ghiaccio”, perché faccio
presente lo sbaglio e poi vengo minacciato e avendo paura, me ne vado. Una volta
un ragazzo del ristorante vicino casa mia, aveva un sacchetto pieno di bottiglie
di vetro e le gettava nel cassonetto dell’indifferenziata, anche se c’era la
campana del vetro accanto. Gli dico: “Scusa, ti rendi conto che hai appena
buttato il vetro nel cassonetto sbagliato, invece che nella campana?”. Lui ha
preso una bottiglia e me l’ha tirata addosso. Follia pura. Io provo ogni tanto
a chiedere alla gente perché si comporta così, ma ricevo solo insulti. Ho
litigato spesso con i vicino del condominio. Uno ha lasciato l’immondizia
fuori dalla porta, ma non per 5 minuti, per intere giornate. Un altro ha
annaffiato i fiori del suo balcone e arrivava acqua a quello di sotto. Uno
fumava per le scale e gli ho detto: “Scusa,
ma non si può fumare sulle scale”. Questo fa una tirata di sigaretta e
mi dice: “Mo’ famme ‘na multa”. C’è un menefreghismo totale. Non è
per fare polemica, ma se tu vai a Genova o a Bologna o altre città italiane,
non c’è questa inciviltà. E nei piccoli paesi è ancora meglio. Recentemente
sono andato a Milano a fare una puntata di “Non è un paese per giovani” e
ho trovato una città molto pulita, ordinata, dove i mezzi funzionano e dove
anche il noleggio delle biciclette funziona che è una meraviglia, altro che a
Roma, che le gettavo nel Tevere. Questo vuol dire che tu non hai la concezione
del bene pubblico e non te ne frega niente. Va bene per te e quindi deve andare
bene per tutti. E qui si torna al discorso della macchina in doppia fila, non
fare la differenziata, passare davanti alle file, fare i furbetti, ecc …
Max Cervelli con Giovanni Veronesi
La cucina romana ti ha conquistato?
Si, ma come fa a non conquistarti? Anche se
io amo molto i primi. La coda alla vaccinara e la pajata non mi piacciono. Amo
tutti i tipi di pasta, dalla gricia alla carbonara, dalla matriciana alla cacio
e pepe. Come fai a non amare questi piatti o ad esempio anche degli antipasti
come i fiori di zucca, i carciofi, ecc … mangio poca carne, anche quando torno
nella mia Toscana la mangio raramente. Non sono vegetariano, però mangio poca
carne.
In quali zone di Roma hai abitato?
Da quando mi sono stabilito a Roma ho sempre
cercato abitazioni vicine al posto di lavoro, quindi in zona Rai, altrimenti
dovevo fare un viaggio per attraversare la città. Ho abitato in zona Prati e
vicino a ponte Milvio. Un periodo ho vissuto a Borgo, questo quando eravamo io e
mia moglie da soli. Borgo è un bellissimo posto a due passi dal Vaticano. Anche
ponte Milvio, a parte la movida del fine settimana, è un bel posto e si sta
bene. Ora sto sempre in zona Roma nord, proprio per via della comodità di
raggiungere il posto di lavoro. Mi piacerebbe vivere a Testaccio oppure
all’Eur, però poi se mi trasferisco all’Eur, che sta a Roma sud, devo
attraversare la città per andare al lavoro e passare due ore al giorno in
macchina.
Nei momenti liberi in quale zona di
Roma ami rifugiarti?
Ovviamente nel centro storico, con il
triangolo che va da piazza Venezia, piazza Navona e campo de Fiori. Mi piace
molto anche la fontana delle tartarughe di piazza Mattei, come mi piace il
Ghetto, il portico d’Ottavia e il circo Massimo. Roma è un museo a cielo
aperto. Ha degli angoli molto suggestivi. La zona Coppedè è fantastica e
la zona di villa Torlonia, con tutti quei palazzi liberty color giallo ocra e
terra di Siena che sono bellissimi e sembra di stare in un’altra città.
Tradiresti Roma per vivere in
un’altra città?
Io non sono romano ma vivo a Roma e avendoti
raccontato i disagi in cui vivo quotidianamente, dico sempre che vorrei provare
a vivere in una città un po’ più a dimensione d’uomo, perché Roma è
troppo grande e troppo caotica. Però ci sono delle grandi città che sono
organizzate meglio, dove tutto funziona. Inutile parlare delle città estere,
perché lì funziona tutto meglio. Da Madrid a Parigi, per non parlare di
Londra. Però se dobbiamo rimanere in Italia, andrei volentieri a vivere a
Milano, perché come ti dicevo prima, ci sono stato recentemente ed è proprio
un piacere viverci. Lo dico con la morte nel cuore, perché io a Roma ci sto da
20 anni, qui c’è nato mio figlio e lui è romano doc e parla romanesco. Però
quando torno a Roma dopo un viaggio, mi piange il cuore. In Italia abbiamo tante
città dove i suoi abitati hanno rispetto di quello che è a disposizione di
tutti. A Roma non rispettano niente e non si può accettare una situazione del
genere. Tu vai a Torino e trovi una città che è un salotto, è una città
magnifica. A Roma sai cosa c’è di imbattibile? Il clima, che è unico.