Nicola Pietrangeli
(ex tennista)
Roma 19.11.2024
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Il tennis di ieri e quello di oggi? E’
la differenza che c’è fra una Topolino e una Ferrari. Prima le Topolino
andavano bene, adesso non bastano più. E’ cambiato il mondo e quindi anche il
tennis, con queste racchette che tirano cannonate”
Nato a Tunisi l'11 novembre 1933, Nicola
Pietrangeli è il più grande tennista italiano della storia, il primo a entrare
nel cuore del pubblico e diventare popolare ben oltre le sue vittorie. Che
furono comunque numerosissime, in anni popolati da grandissimi campioni e grandi
divisioni fra dilettanti e professionisti. Campione vero, Nick, per lo stile
morbido improntato su un rovescio tra i più belli del circuito, e per il
carisma, da giocatore predestinato a grandi imprese. Campione italiano under 18
nel 1951, Nicola Pietrangeli ha esordito in Coppa Davis a 20 anni, nel 1954.
Giocò a Madrid la prima delle sue 164 partite vincendola contro lo spagnolo
Carlos Ferrer. E’ il secondo turno della manifestazione e l’Italia batte la
Spagna 5-0. Nello stesso anno conquista con Giorgio Fachini il titolo italiano
di doppio. E’ il primo dei suoi 22 scudetti, 7 dei quali in singolare. Ha
vinto molto sulla terra rossa, a cominciare da due Roland Garros (1959 e 1960) e
due Internazionali d’Italia (1957 e 1961), è stato competitivo anche
sull'erba (semifinale a Wimbledon nel 1960). Ha assunto il ruolo di guida della
squadra azzurra di Davis trascinandola a due finali (1960 e 1961). Tra il 1954
ed il 1972 ha giocato 66 incontri tra nazioni in Coppa Davis (record mondiale) e
giocato 164 match (altro record mondiale). In particolare, ha vinto 120 match
(78 su 110 in singolare e 32 su 54 in doppio). In carriera si è aggiudicato 48
tornei ai quali si aggiungono la medaglia d’oro ai IV Giochi del Mediterraneo
di Napoli nel 1963 (battendo lo spagnolo Manuel Santana) e quella di bronzo nel
doppio insieme a Sirola. Ha conquistato anche la medaglia di bronzo nel
singolare maschile al torneo di esibizione di tennis ai Giochi Olimpici di Città
del Messico nel 1968. Ha giocato fino a 40 anni conservando poi comunque il
ruolo di condottiero quando, da capitano, guidò la squadra azzurra alla prima e
unica vittoria in Coppa Davis, nel 1976 in Cile, battendosi con coraggio contro
chi avrebbe preferito non andare in Cile per ragioni politiche. Nel 1986
Pietrangeli è stato ammesso, primo italiano, tra gli immortali Hall of Fame del
Tennis con la tradizionale cerimonia nello storico circolo di Newport (Newport
Casino). In carriera ha chiuso ben 7 stagioni tra i primi 10 della classifica
mondiale (al tempo compilate dal giornalista inglese Lance Tingay su “The
Daily Telegraph”): fu n.3 nel 1959 e 1960, n.4 nel 1961, n.7 nel 1959 e 1964,
n. 9 nel 1957 e n.10 nel 1956. Oggi svolge per la Federtennis il compito di
ambasciatore del tennis azzurro nel mondo. Nel 2006 in occasione della 76esima
edizione degli Internazionali BNL d’Italia, gli è stato intitolato lo storico
stadio della Pallacorda al Foro Italico, teatro di tante sue imprese, che è così
diventato per sempre il Campo Pietrangeli.
Ha detto:
- Tra duecento anni, quando morirò, il
funerale si farà sul campo Nicola Pietrangeli al Foro Italico. Ci sono
parcheggi comodi e tribune per 3 mila persone. Ma se piove, rimandiamo.
- Mi spaventa la noia. La vita diventa sempre
più difficile e faticosa. Le malattie non mi terrorizzano. Io ho sconfitto un
tumore.
- Spero come tutti di morire nel sonno. Ma
finora mi sono sempre svegliato.
- Per me Sinner non si guarda, si ascolta.
Ascoltatelo quando tira i colpi, il rumore della sua palla ha sempre qualcosa in
più degli altri.
- Nel ’46, quando arrivai dalla Tunisia,
Roma era popolare, chiassosa, colorata. Abitavo in via delle Carrozze e lì’
vicinom in piazza di Spagna, vendevano le sigarette di contrabbando.
- Non sono avaro e sono educato ma anche un
frescone. E sono pigro. Se mio fossi allenato di più forse nel tennis avrei
raggiunto traguardi maggiori.
Curiosità
- Nato a Tunisi, Nicola Pietrangeli è figlio
di Giulio e di Anna, una nobile russa. Da qui il secondo nome Chirinsky e il
blasone.
- Al Circolo Parioli, dove si allenava, il
custode era un certo Ascenzio che aveva un figlio di nome Adriano (Panatta).
- Da bambino per le sue origini tunisine e il
parlare francese, era chiamato “Er Francia”.
Intervista
E’ appena terminato il torneo di
Torino. Lei aveva previsto che Jannik Sinner sarebbe diventato il numero uno di
tennis?
L’avevo detto io e adesso lo dicono tutti,
solo che io l’ho detto 4 anni fa, però nessuno se lo ricorda.
Cosa le piace di Sinner?
Mi piace tutto. Se qualcuno gli trova qualche
difetto me lo dica, magari imparo qualcosa (risata). Mi piace come sta in campo,
gioca molto bene ed è un bravo ragazzo, molto umile. Una domanda stupida che
spesso mi chiedono è : “Secondo lei Sinner può migliorare?”. E’ il
numero uno al mondo, cosa può diventare di più? Il numero uno più uno? La
gente fa domande stupide e quindi a domanda stupida, risposa stupida.
L’importante è restare il numero uno,
giusto?
Quello è già più difficile, perché
arrivare è difficile, mantenersi e ancora più difficile.
A parte Sinner, chi vede come talenti del
tennis italiano?
Quello che gioca meglio, il più forte è
sicuramente Lorenzo Musetti, poi Flavio Cobolli…
Matteo Berrettini non lo vede come
campione?
Berrettini ce lo deve dire lui, perché non
sappiamo mai come sta. Lui potrebbe essere il numero due del tennis italiano,
dopo Sinner chiaramente.
Mi racconta com’è nata la sua
passione per il tennis?
A Tunisi mio padre Giulio
era il numero due del tennis, era un atleta versatile e io da ragazzino
scimmiottavo mio padre. Papà era un eccellente calciatore, pallanuotista e
tennista ma anche discreto giocatore di Rugby. Io fino a 18 anni giocavo meglio
a pallone che a tennis. E’ cominciato tutto da lì.
Come ha usato i primi soldi che ha
guadagnato con il tennis?
Li ho usati per mangiare. Erano tempi magri,
però non era una questioni di come spendere i soldi, era una questioni di
averli.
I suoi genitori che futuro pensavano
per lei?
Mio padre voleva che giocassi a tennis, io
speravo nel calcio e mia madre ci lasciava fare.
Quando ha capito di essere diventato una
leggenda del tennis?
Questo non l’ho ancora capito (risata). Le
leggende e queste cose qua, sono cose che fanno parte di mode. Adesso va di moda
il calcio e il tennis, poi in inverno gli sciatori, poi la pallavolo, ecc … Il
tifoso però vuole o meglio pretende però che si sia il numero uno, perché il
numero due non va bene. Di questo non capisco il perché.
La differenza che vede fra il tennis dei
suoi tempi a quello di oggi?
La differenza che c’è fra una Topolino e
una Ferrari. Prima le Topolino andavano bene, adesso non bastano più. E’
cambiato il mondo e quindi anche il tennis, con queste racchette che tirano
cannonate, fai delle cose che prima non si potevano neanche immaginare. Era un
tennis diverso e anche i guadagni erano diversi, ora i tennisti guadagnano di più,
molto di più.
Lei ha vinto 48 tornei e un sacco di
riconoscimenti. Ce n’è un paio a cui è molto legato?
Naturalmente all’Hall of Fame, che è come
se fossi nel cinema avessi preso l’Oscar. Poi avere uno stadio bello come
quello del Foro Italico a mio nome, non è da tutti. Evidentemente qualche
ricordo lo lascerò perché ho preso tutto. Ho preso anche la racchetta d’oro.
Poi dopo sono stato nominato commendatore onorario, presidente onorario, socio
onorario, ecc … Ho avuto di tutto (risata).
Fra lei e Adriano Panatta c’è rivalità
o amicizia?
E’ quasi un gioco fra di noi, perché
Adriano ha 17 anni in meno di me. Per uno sportivo 17 anni sono due carriere,
tipo una di 8 e una di 9 anni. Quando uno ha fatto già 9 anni di carriera, può
considerarsi di aver fatto una bella carriera. Quella fra me e Adriano è un
gioco, ma la gente e soprattutto i giornalisti si divertono a mettere zizzania e
invece ne sanno poco. Ci piace scherzare. Come dicevi prima io ho vinto 48
tornei, lui ne ha vinti 17, quindi una bella differenza. Poi i giornalisti
scrivono che ce l’ho con Sinner e io mi chiedo il perché ce la devo avere con
Sinner. Io ho detto più di una volta che ci vorranno due vite per battere tutti
i miei record. Ce ne uno imbattibile che è quello giocato in coppa Davis,
quello non potrà batterlo mai, anche se è cambiato il regolamento. Quindi
avendo giocato 164 incontri in coppa Davis e Sinner ne ha giocato 17, arrivare a
164 anche se è giovane, per me è impossibile battere il mio record.
Qual è il suo segreto del suo successo
sportivo? Il talento innato?
Il campione non è che lo si costruisce, ci
nasce. Per esempio Sinner, se avesse scelto di sciare, sarebbe diventato un
campione di sci. Lui ha scelto il tennis ed è un campione perché il talento
c’era già. Mi hanno detto che lui ha scelto il tennis perché
le gare di sci sono troppo corte, durano poco, 10/15 minuti ed è finito
tutto. Lui evidentemente preferiva il tennis perché è una gara molto più
lunga. Mi hanno detto che Sinner giocava molto bene anche a pallone e quindi
evidentemente aveva talento per lo sport. Quindi un campione non va fabbricato,
ma nasce così, con una predisposizione.
Oltre al tennis segue altri sport?
Io sono nato calciatore ma il mondo del
calcio del giorno d’oggi non mi piace assolutamente. Per carità, facciano
tutti come vogliono, non mi interessa e non mi riguarda. Però non capisco
ancora la gente che spende delle cifre per la società e per pagare dei
giocatori, quando le società al 90 per 100 stanno fallendo. Ma chi paga tutti
questi debiti? A tennis se vinci guadagni,
se perdi guadagni molto ma molto meno. Ho visto il risultato
dell’organizzazione del torneo di Torino e hanno guadagnato pure i topi che
stavano di fuori (risata). Io sportivo guadagno giustamente, ma deve guadagnare
anche chi organizza il torneo. Nel calcio ci sono squadre che hanno milioni di
euro di debito. Ma stiamo scherzando?
Tra le varie curiosità ho letto che lei
ha fatto anche l’attore.
Si, ho fatto l’attore per ridere, mica
seriamente. Ero molto amico di Virna Lisi e del marito e il regista era Duccio
Tessari. Ho fatto l’attore in cinque film ma non ho mai parlato. Virna Lisi
era la più bella del mondo, anzi dire bella è dir poco. Era una brava persona
oltre che bravissima attrice.
Tra i suoi incontri ho letto che ha
conosciuto Frank Sinatra.
Si. Questi divi li ho conosciuti un po’
tutti. Frank Sinatra non posso dire
che è stato un mio amico, ma l’ho solo conosciuto e visto solo una volta in
una cena. Posso dire che i miei amici veri erano Omar Sharif, Charlton Heston e
Sean Connery e poi un mio grande amico era Marcello Mastroianni.
Ho visto che ha incontrato il Papa.
Papa Bergoglio l’ho incontrato due anni
perché c’è stato un anniversario sportivo e siamo stati ricevuti con la
Federazione. Gli ho stretto la mano ed è stato una grande emozione. Poi
conoscere una persona è una cosa, esserne amico è un’altra cosa. Posso dire
che sono ben visto dal presidente della repubblica Sergio Mattarella. Con lui
c’è un gran feeling e l’ultimo incontro con lui sul Colle è durato 40
minuti.
Nicola Pietrangeli con il Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella
Lei ha frequentato la via Veneto della
famosa Dolce Vita?
Pochissimo e ti dico il perché. La Dolce
Vita di via Veneto era una questione estiva e io a Roma non c’ero mai
d’estate perché stavo sempre in giro a fare i tornei. Sono stato in via
Veneto un paio di volte al Cafè de Paris.
Parliamo un po’ di Roma. In quali zone
di Roma ha vissuto?
Quando sono arrivato in Italia stavo a piazza
di Spagna, angolo con via delle Carrozze. Poi mi sono spostato a piazza Euclide,
quindi ai Parioli. Poi mi sono sposato e sono andato a piazza dei Giochi
Delfici, all’inizio di via della Camilluccia. Un paio di volte ho abitato in
zona Monte Mario, poi sono andato a Casal Palocco per amore, quando stavo con
Licia Colò, fuori Roma. Quando è finita con Licia Colò sono tornato a Monte
Mario.
Cosa le piace e viceversa di Roma?
Roma è una tentatrice, non ti regala niente,
è solo bella e riesce sempre a sorprenderti. Il romano poi non si meraviglia più
di niente perché ha visto tutto. Per fare un esempio, il Papa che va a
comprarsi gli occhiali da solo, i romani avranno detto: “Ma guarda un po’
quello vestito da Papa” (risata). A Roma non ti danno soddisfazione, la danno
solo ai calciatori se giocano bene. Del resto il romano non da confidenza.
Un paio di consigli al sindaco Gualtieri?
Non oso. Capisco che non è facile governare
una città come Roma, però sicuramente può fare meglio. Quando governi una
città così grande non puoi essere tu il bravissimo o il malissimo. Se intorno
a te hai dei collaboratori validi, puoi fare molto, però governare Roma non è
facile.