Riccardo Fogli ( cantante )      Campiglia Marittima (Livorno) 22.11.2024 

                           Intervista di Gianfranco Gramola

"La critica è sempre stata gentile con me perché credo di essere una persona per bene, che fa quello che deve fare. Io canto, ho una bella voce e sono intonato. Magari ci fosse della critica perché se sei criticato vuol dire che sei al centro dell’attenzione"

Riccardo Fogli è nato a Pontedera (Pisa) il 21 ottobre 1947. Studia musica nella banda cittadina ed in seguito prende lezioni di canto e di basso elettrico dal maestro Santernecchi di Montecarvoli. Lavorava alla Piaggio come metalmeccanico, lì conobbe dei musicisti con i quali iniziò a cantare nelle sale da ballo le canzoni di moda di quel periodo. Il salto di qualità avvenne nel 1963, quando vinse il primo premio al Festival di Cascine di Buti in provincia di Pisa, con la canzone di Morandi “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. A Piombino, dove lavora come gommista, conosce gli Slenders, una band che faceva musica rock. Con loro la musica da passatempo si trasformò in una cosa seria ed impegnativa. L'incontro con i Pooh avviene al Piper di Milano dove Riccardo e gli Slenders suonavano da 15 giorni. In quell’occasione i Pooh chiesero a Riccardo se voleva unirsi a loro ed egli accettò ed iniziò l'avventura con loro nel luglio del 1966. Il successo arrivò con “Piccola Katy” nel 1968. Insieme con i Pooh ha vissuto gli anni straordinari di “Opera Prima” e “Alessandra”, album storici che contengono canzoni come “Tanta voglia di lei” “Pensiero” “Noi due nel mondo e nell'anima” “Nascerò con te” ed altre indimenticabili. Nel 1973 Riccardo Fogli lascia i Pooh e diventa solista. Incide la canzone “Mondo” nella quale si parla della sua vita, dei suoi affetti e dei suoi amici e nel 1979 incontra Maurizio Fabrizio con cui Riccardo scrive il testo “Che ne sai”. Con Maurizio e Guido Morra inizia la produzione di canzoni importanti come “Malinconia”, che vince il Festivalbar di Verona e la Vela d'Oro di Riva del Garda e “Storie di tutti i giorni” che arriva prima al Festival di Sanremo nel 1982. Nel 1983 a Monaco di Baviera in Germania, Riccardo Fogli ha rappresentato l'Italia all'Eurofestival con la canzone “Per Lucia”, scritta insieme al poeta siciliano Vincenzo Spampanato, nella quale si racconta del sogno di abbattere il Muro di Berlino che aveva diviso un grande amore. Un desiderio che di lì a pochi anni è diventato realtà.  Il 1991 è l'anno di “Io ti prego di ascoltare” con cui raccoglie il consenso della critica e nel 1992 partecipa a Sanremo con “In una notte così” che Riccardo aveva sentito provinare da Mia Martini mentre stava incidendo “Teatrino Meccanico” ad Arezzo. Con “Fogli su Fogli” acustico, vengono rivisitati brani di grande emozione come “Monica”, che ottenne un grande successo radiofonico in tutta Italia. Nel 1996 partecipa nuovamente al Festival di Sanremo con “Romanzo”, mentre due anni dopo incide il CD “Ballando” con 7 brani inediti prodotto da una suo grande amico e musicista Fabio Pianigiani.

Intervista

Riccardo, la passione per la musica te l’ha trasmessa mamma o papà?

In realtà da mamma, perché mentre cuciva a maglia, che era il suo mestiere, canticchiava. Passava ore interminabili a cucire e a cantare. C’era la radio in casa, non avevamo lo stereo e mamma cantava sopra tutto quello che veniva trasmesso alla radio. Cucinava, faceva lavori di casa e ascoltava Luciano Tajoli, Peppino Di Capri, Gianni Morandi e Claudio Villa, che era il suo preferito e io ero lì, piccolino, avrò avuto 5/6 anni e canticchiavo con lei. Ad essere sincero è arrivata prima la voce e poi la musica perché a scuola ero un bambino molto povero e i poveri non stavano mai in prima fila, nei primi banchi. Io stavo al terzo banco ed ero bravino, mai una ripetizione o una bocciatura. Però rimanevo sempre un bambino povero, figlio di poveri, papà lavorava in fabbrica e io ero predestinato metalmeccanico. Ma quando poi a Natale c’erano da fare i canti natalizi, allora la mia vocetta usciva dal dietro e il  maestro prima e il prof dopo, dicevano: “Ma sei tu Riccardino che canti così bene? Puoi venire in prima fila?”.  E da quel momento mi facevano capire che avevo un talento nella voce. Poi ho studiato musica e ho fatto solfeggio nella banda. Io volevo suonare uno strumento ma era complicatissimo anche lì, perché prima dovevo studiare.

Qual è stato il tuo prima strumento?

Io ho lavorato nella fabbrica dove facevano le Vespe, ossia la Piaggio. Avevo 15 anni e facevo il postino, cioè prendevo la posta in centrale e la distribuivo in tutte le 10  officine che c’erano nella fabbrica. E io cantavo sempre e fischiettavo felice. Finché  un giorno mi si avvicinò un signore e mi disse: “ Riccardino, canti sempre. Ti piace così tanto cantare? Allora devi andare a scuola. Ti porto io dal maestro Santarnecchi”. Dopo un mese che facevo il metalmeccanico fui accompagnato da questo maestro che aveva una grande orchestra ed era figlio di un altro grande musicista e quindi lui mi ascoltò e mi disse: “Sei bravo” e dopo 6/ 7 lezioni mi portò a cantare con sé. Poi mi disse che dovevo studiare uno strumento per completarmi e mi consigliò il basso elettrico. Cominciai a studiare il basso elettrico, arrivarono i Beatles e piano piano imitavo Paul McCartney, anche se lui era mancino e io sono destro. Ma le cose cambiarono perché cominciai ad entrare in una prima band, poi in una seconda band, poi nella terza band e io cantavo e suonavo, quindi ero un cantante bassista.

Quante ore al giorno dedichi alla musica?

Ora ho un acufene che mi fa compagnia nell’orecchio sinistro, quindi o ascolto la radio o ascolto musica. Quando sono in macchina ascolto tutte le canzoni che posso e quando la sera c’è silenzio, il mio acufene si fa vivo e urla. Allora mi metto la cuffia e ascolto musica a tutto volume.

Dopo una esibizione live temi più il giudizio del pubblico o della critica?

Perché temere. La critica è sempre stata gentile con me perché credo di essere una persona per bene che fa quello che deve fare. Io canto, ho una bella voce e sono intonato, il basso non lo suono più ma suono la chitarra. Magari ci fosse della critica perché se sei criticato vuol dire che sei al centro dell’attenzione. La cosa complicata è essere al centro dell’attenzione per aver fatto un disco, un album. Oggi è molto complicato questo.

Tu sei soddisfatto del tuo percorso artistico o hai dei rimpianti?

Sono felicissimo del mio percorso artistico. Sono riuscito ad aiutare prima mio padre, mia madre e mio fratello, la seconda moglie e ora la mia famiglia. Ho sempre vissuto facendo musica, scrivendo canzoni e soprattutto facendo molta musica dal vivo dove è possibile. Io non avrei mai messo piede a San Siro o in quei posti meravigliosi senza i miei fratelli Pooh.

A proposito com’è andato il tour con i Pooh?

Con i Pooh abbiamo fatto 27 concerti con 27 sold out e se ci fossero state ancora mille sedie le avrebbero riempite tutte. I Pooh sono dei veri  professionisti, una famiglia allargata, una faccenda seria e molto importante e il destino vuole che ci siamo rincontrati perché bisogna partire da Valerio Negrini, grande autore di testi e bravo batterista e poi Stefano D’Orazio anche lui batterista e cantante e grande autore. Poi se vogliamo parlare di Red o di Roby siamo all’eccellenza assoluta.

La canzone “Piccola Katy” è tratta da una storia vera o è di fantasia?

A quel tempo c’erano tante piccole Katy. L’Italia era così e le ragazze erano curiose e sognavano di scappare ma non da casa, ma perché volevano vedere cosa c’era aldilà del loro paese, la voglia di viaggiare e di fare l’autostop per andare  Roma o a Milano, perché si parlava di Piper dove io ho suonato da solo e anche con i Pooh, il Piper di Milano e quello di Roma erano l’Europa, il mondo che si racchiudeva all’interno di questi posti rumorosi, con delle band inimmaginabili, con delle canzoni straordinarie che in Italia ancora non giravano e quindi “Piccola Katy” poteva essere Piccola Maria o Piccola Giovanna o Piccola Francesca. Ma Piccola Katy è nel cuore degli italiani e non c’è concerto o serata che non mi si avvicini una ragazza che mi dice: “Sai, mia madre mi ha chiamata Katy grazie alla vostra canzone”.

A proposito di ragazze, hai mai avuto delle fan un po’ invadenti?

No, le fans non sono mai invadenti. Parlo per i Pooh ma parlo anche per me, quando le fans sono tante, sono meravigliosamente invadenti. E’ quando non sono più invadenti che ti devi preoccupare (risata).

Cosa ne pensi dei talent musicali? Sono una fabbrica di illusioni o un’opportunità per farsi conoscere?

Parlando dei talent di Maria De Filippi e di The Voice penso che sia una grandissima scuola, c’è una selezione spietata e prima di entrarci se ne sono ascoltati mille e quelli che sono lì sono quelli bravi ed evidentemente hanno talento, sono giovani ma già molto bravi. Certo come nel calcio non basta giocare bene a pallone o nel tennis, sono tante le componenti che poi ti fanno avere successo come la fortuna, il momento storico, la famiglia che ha pazienza per accompagnarti in giro per l’Italia per fare concorsi. Trovo che siano veramente utili perché ci sono dei ragazzi talentuosi che grazie a questi talent hanno la fortuna di farsi conoscere.

Tu sei anche autore di tante canzoni. Qual è il tuo metodo, prima il testo e poi la musica o viceversa?

Ero un giovane poeta da ragazzino e scrivevo lettere d’amore alle fidanzatine, con scarsi risultati (risata). Con i Pooh trovavo straordinario quello che scriveva Valerio Negrini e non c’era neanche la possibilità di proporsi. Io vorrei cantare ancora le  canzoni di Valerio, avrei voluto che lui vivesse mille anni perché lui era un genio. Poi quando nel 1973 mi sono trovato solo ero in cerca di canzoni e io scrivo solo le parole, i testi per semplificare e mi portavano delle musiche e anche delle parole che non mi piacevano perché i miei riferimenti erano Roby Facchinetti e Valerio Negrini. Il livello delle cose che mi proponevano erano lontanissime dalla sensibilità di Valerio e di Roby. Quindi ho cominciato scrivendo testi e ho scritto anche canzoni fortunate.

A proposito di fidanzatine, qual è il segreto del tuo successo con le donne?

Il segreto del mio successo con le donne è un falso mito perché sono sempre stato sposato. Ho avuto un periodo movimentato dove era facile perdersi negli occhi di qualche ragazza perché alla fine il fascino delle donne l’ho sempre subito. Che io sia stato un playboy assolutamente no, però ripeto ne subivo il fascino. Era anche uno stimolo per le mie canzoni, era uno stimolo per cantare bene quando ero sul palco, poi è arrivata mia moglie Karin Trentino e la mia vita è meravigliosamente cambiata.

La passione per la natura l’hai ereditata da mamma o da papà?

L’ho ereditata da mamma perché papà faceva il fabbro e non era il manager della nostra casa di campagna. Il manager era la mamma che dava ordini al papà su come si coltivano le cose, come si tengono le galline, i conigli e le papere. Io ho comperato questa casa per i miei genitori che avevano voglia di invecchiare là dove erano nati, in un luogo simile e quindi  gli ho costruito il pollaio, ho preparato l’orto con il pozzo e poi ho cominciato a piantare alberi perché c’era un vivaio in Maremma che con pochi soldi mi vendeva pini, cipressi, alloro e passavo delle giornate a rompere le scatole a questo signore a chiedere: “Ma questa quando va piantata, a che distanza, quando va potata, ecc …”. Quindi mi sono fatto una cultura ed è scoppiata la grande passione per la terra, per la natura. Vorrei tornare indietro di 60 anni per studiare agronomia e botanica. Vorrei essere considerato un boscaiolo buono perché ho piantato migliaia di alberi e con la potatura riesco a tenere calda la casa. Ma gli alberi sono miei amici, io li conosco tutti, uno per uno perché li ho cresciuti io. Una cosa che mi dispiace è che tra ieri e oggi il vento mi ha schiantato un pino di 50 anni, messo lì come protezione del tetto della casa, insieme ad altri venti alberi e lui è morto sul campo, perché il suo compito era di proteggere il tetto, le tegole di questa vecchia casa, dal vento che arriva sempre dal mare e si moltiplica in questa gola prendendo forza portando appunto il vento di mare. Ieri l’albero ha perso un pezzo e oggi si è schiantato in terra e io sto andando sul posto con il dolore nel cuore.

Se ti dico padre Pio cosa mi rispondi?

Padre Pio era il protettore di mia mamma. Mi ha insegnato lei a pregare padre Pio e a tenerlo sempre nel mio cuore. Poi con la nazionale cantanti ho avuto anche la fortuna e l’occasione di andare a vedere la cella dove lui dormiva, dove pregava e dove lottava contro il demonio. Diciamo che Lui è un compagno di viaggio.

Quali sono adesso le tue ambizioni?

Di veder crescere sani i miei figli. Le mie preghiere sono per loro. La mia bambina Michelle che ha 12 anni e mio figlio Alessandro che ne ha 31, quindi le mie telefonate quando sono in giro per suonare sono: “Come stai? Tutto bene? Come va lo studio Michelle? Hai mangiato bimba?”. Loro sono i miei amori, insieme a mia moglie Karin ovviamente.

Hai ancora il B&B “Casa Fogli”?

Io e mia moglie ci sposammo 14 anni fa e un amico e un’amica che fanno catering dissero: “Che bella casa vostra! Però potreste fare degli eventi e con quelle tre stanze che vi avanzano potreste fare un piccolo B&B”. E mia moglie si è divertita a fare questa cosa che poi dopo il covid è diventata “Casa vacanze”. Però abbiamo due appartamenti e quasi sempre sono riempiti da mio figlio con la fidanzata, la sorella di mio figlio con il marito, quindi non è un business. La nostra casa in estate è una casa aperta, siamo sempre in tanti, una volta cucina uno, una volta cucina l’altro e spesso cucino io. Sono molto richiesto come cuoco.

Un piatto che ti riesce molto bene?

Prima guardo il frigorifero Gianfranco e poi con la mia alchimia metto insieme delle cose e faccio dei piatti favolosi. Guardo se c’è un pomodoro, della pancetta, un po’ di verdure e delle olive e ti faccio un piatto da leccarti i baffi. Io ho un certo equilibrio e quando cucino sono tutti molto carini con me perché poi tiro fuori la chitarra e ci divertiamo. Quindi li tengo un po’ in ostaggio perché se uno dice che la pasta non è buona poi non ascolta il concertino che faccio alla fine (risata).

Di cosa hai bisogno per essere felice?

Avrei bisogno di un’altra quindicina di anni per proteggere i miei figli che anche se sono belli, bravi e studiosi potrebbero avere bisogno di me. Non dico cento anni, mi bastano quindici anni in salute. Io sono uno sportivo e quindi sono una pellaccia (risata).

Sei uno sportivo come Gianni Morandi.

Morandi è un maestro in tutto. E’ stato ispiratore quando ero bambino e vinsi il primo concorso Voci Nuove cantando “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”.

Lui è anche un maratoneta come te.

Lui è più bravo e ne ha corse di più e corre più veloce di me. La sua maratona più veloce è intorno alle 3 ore e mezza, la mia intorno alle 4 e 20. Lui arriva 50 minuti prima di me, quando arrivo io lui si è già fatto la doccia e mangiato un piatto di spaghetti. Però siamo entrambi appassionati di sport.