Sebastiano Somma (attore)
Roma 1.6.2020
Intervista di Gianfranco Gramola
“Oggi sono in grado di
costruire dei percorsi teatrali da solo, senza aver bisogno del produttore e di
quello che ti dice quello che devi o non devi fare ed è una bella conquista”
Sebastiano Somma è
nato a Castellammare
di Stabia il 21 luglio 1960. A 22 anni si trasferisce a Roma, dove prende parte
a corsi di recitazione e dizione. I suoi primi lavori sono nella filodrammatica
Napoletana con opere di Scarpetta e Eduardo; recitata insieme ad Aldo Giuffré
prima e Rosalia Maggio poi nelle Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi.
Al cinema si affaccia con opere leggere; Dopo anni a lavorare come protagonista
di diversi fotoromanzi il suo primo film è Un jeans e una maglietta, cui
fanno seguito molti altri film. Il suo primo ruolo televisivo è in uno
sceneggiato di Silverio Blasi, Il boss, nel quale interpreta un killer
assoldato dalla mafia. A metà anni Novanta lavora anche come
"inviato" pubblicitario nella trasmissione di Raiuno Carramba che
sorpresa. La svolta professionale per Somma avviene qualche anno dopo con
una serie televisiva di grande successo: Sospetti di
Luigi Perelli, di cui è protagonista per tre edizioni. Interpreta poi
due fiction importanti: Senza confini e Madre Teresa.
Seguono cinque stagioni di Un caso di coscienza e La bambina dalle
mani sporche di Martinelli. Ritrova quindi il teatro, prima diretto da
Giorgio Albertazzi in Sunshine. Per quattro anni porta in scena due
lavori di Leonardo Sciascia: Il giorno della civetta e A ciascuno il
suo. Viene diretto da Gigi Proietti nella commedia Remember me, dove
mette in luce il suo lato comico/brillante. Segue un'altra commedia, Incubi
d'amore, diretta da Augusto Fornari. Al cinema ritorna con un film di
Antonio Baiocco nel 2010, Il mercante di stoffe, del quale diventa anche
produttore per salvare l'opera dal fallimento del precedente produttore. Dirige
e interpreta per la Fondazione Luchetta di Trieste tre cortometraggi che
ricordano il dramma dei bambini vittime della guerra nella ex Jugoslavia; si
cimenta nelle vesti di autore scrivendo assieme a Martino de Cesare e Paolo
Logli un programma per Rai 1 dal nome Quando arriva un'emozione, che
racconta in musica i problemi dell'infanzia. Tra le sue esperienze
professionali, la conduzione di programmi televisivi come M'ama, non m'ama,
Utile futile e Miss Italia nel mondo. E’
tra gli interpreti e tra i maggiori sostenitori del docufilm Il bacio
azzurro di Pino Tordiglione, che tratta il delicato problema dell'acqua.
Breve curriculum artistico
Cinema
Un jeans e una maglietta
(1983) - Zero
in condotta (1983)
- Voglia di guardare
(1986) - La
vita di scorta (1986)
- I miei primi 40 anni
(1987) - Rimini
Rimini (1987)
- Opera (1987) - Ciao ma'...
(1988) - Hannibal (2001) - Viaggio in Italia - Una
favola vera (2007) - Il mercante di stoffe (2009)
- Una diecimila lire (2016) - Mare
di grano (2018)-
Televisione
Skipper fiction TV (1984) - Helena fiction TV (1987) -
Io Jane, tu Tarzan
Miniserie
TV (1989) - Casa Vianello
serie TV (1993) - Cronaca nera Miniserie
TV (1 episodio, 1998) - Non lasciamoci
più serie TV (1
episodio, 1999) - Sospetti
serie TV (2000, 2003, 2005) - Senza confini Miniserie
TV (2001) - Madre Teresa Miniserie
TV (2003) - Un caso di coscienza
serie TV - (2003-2013)
- La bambina dalle mani sporche
Miniserie
TV (2005) - Nati ieri serie TV
(2006-2007) - Come una madre
Miniserie
TV (2020)-
Teatro
Il giorno della civetta
(2011)
- A ciascuno il suo
(2013) - Uno
sguardo dal ponte (2015,
2018,2019) - La Passione (2019)
Intervista
Sebastiano, mi racconti com’è nata
la tua passione per il cinema?
E’ stata una cosa graduale, perché io fin
da ragazzino avevo la passione per il teatro, anche come luogo di aggregazione,
dove con gli amici potevamo condividere l’allegria e il piacere di stare
insieme. Poi ho scoperto che era anche un bel modo per intrattenere il pubblico,
una sorta di terapia per crescere. Il teatro mi ha anche aiutato a superare
l’apparente timidezza che mi ha accompagnato per anni. Quindi il teatro è
stato per me anche il desiderio di poter comunicare esperienza. Da
ragazzino ho cominciato così, per gioco, nel luogo dove sono nato, a
Castellammare di Stabia e soprattutto a Napoli, che è la città dove ho vissuto
fino a 22 anni. Ho fatto un po’ di teatro amatoriale e qualche
spettacolo, anche di filodrammatico.
Poi nell’82 sono venuto a vivere a Roma, ma non avevo un’idea precisa su
cosa avrei fatto da grande, direi che non ce l’ho neanche adesso (risata). Però
cominciavo a capire piano piano che poteva essere un percorso difficile, ma
interessante. Allora ho fatto la scuola di recitazione e ho cominciato a
riprendere a fare teatro e quelle cose che fanno un po’
tutti agli inizi. Io ho avuto da subito la fortuna di fare teatro
importante, con Aldo Giuffrè, con Rosalia Maggio e compagnie molto importanti e
lì ho osservato a lungo per imparare.
I tuoi genitori come hanno preso la tua
scelta di fare l’attore?
I miei genitori sono persone semplici, papà
non c’è più da tanti anni e ho solo mamma, che ha 94 anni. A mia madre
piaceva molto il cinema, andare al cinema e spesso mi portava con lei e in
qualche modo mi ha trasmesso il piacere e le emozioni che regalano il cinema.
Mio padre invece era più razionale e sperava per me il posto fisso, come tutti
i genitori e come ha rilanciato Checco Zalone nel suo film, dove il ragazzo da
grande voleva il posto fisso. Quando avevo 18 anni, prima di venire a Roma,
avevo già questa voglia di andare nella città eterna, dove c’era ancora una
sorta di dolce vita romana e a volte si sentiva di certi scandali che portavano
i genitori ad aver paura a lasciar
andare il figlio a Roma, poi a fare cosa? Il cinema? Che cos’è il cinema? Il
nostro mestiere non solo è precario, ma spesso mi sono ritrovato fin da ragazzo
a discutere con gli amici, quando mi dicevano: “Che fai?
L’attore? Ok, ma nella vita che lavoro fai?”. Diciamo che ancora oggi
non è che siamo trattati bene, anche dal governo. Sembra quasi che siamo un
corpo a parte, specializzati a far ridere, come ha detto il presidente Conte. Ha
detto: “Ci fanno tanto ridere”. E’ stata una battuta infelice, perché il
governo non si rende conto di cosa c’è dietro ad un lavoro di questo tipo,
non ne ha idea. La nostra categoria non è accreditata come una delle principali
fonti di economia, ma nel nostro mondo, ci lavorano centinaia di migliaia di
persone. Non parlo solo di attori, ma anche dell’indotto che ci sta dietro, e
quindi una fonte di economia. Per anni, ho recitato in una fiction a Trieste,
che si chiamava: “Un caso di coscienza”, e per 5 mesi l’anno, una
cinquantina di persone, ossia la troupe e noi attori, occupavamo alberghi,
ristoranti e portavamo soldi. Lo stesso vale per il teatro, quando si va in
tournée. Poi c’è la cultura che non è ultima, ma una cosa principale, anche
se noi la mettiamo sempre per ultima, perché comunque è un luogo comune
pensare che con la cultura non si crea economia, che non si mangia. Invece la
cultura porta ad una crescita sociale importantissima, perché questo paese
sotto certi aspetti è ancora fermo. Quindi diciamo che quello dell’attore
alla fine è un lavoro vero e proprio, che richiede tanta fatica, tanto
sacrificio, tanta dedizione e le difficoltà sono tante. Ancora c’è
quell’idea che l’attore non abbia un ruolo ben preciso nella società.
Hai mai pensato ad un nome d’arte?
Ce l’ho avuto un nome d’arte, da ragazzo,
quando mi affacciavo al mondo dei fotoromanzi. E’ stato un periodo dove facevo
contemporaneamente fotoromanzi e teatro. I fotoromanzi è stato motivo di gioia
per tanto tempo ed è lì che il direttore commerciale della Lancio,
un’azienda che vendeva i giornali in tutto il mondo, mi diede il nome
d’arte. Siccome non sembravo il tipico rappresentante della terronia,
dell’italiano, perché ero alto, slanciato, biondino e sembravo più nordico,
mi diede il nome d’arte di Chris Olsen, che è un nome tipico della Norvegia,
dei paesi scandinavi. Mi chiamai così per un lungo periodo, cioè fino a quando
non feci un programma in televisione come conduttore, che si chiamava “M’ama
non m’ama”. Fu la mia primissima esperienza come conduttore e da lì in poi
usai il mio nome vero. C’è ancora qualcuno della vecchia generazione che
quando mi incontra mi dice: “Ciao Chris”. Sono stato in Norvegia un anno e
mezzo fa, ad Oslo, per presentare un film e un mio amico mi ha ricordato: “Oh,
torni alle origini? Non sei Chris?”.
Ti hanno mai proposto la partecipazione a
dei reality?
Si, anche per l’ultima edizione del Grande
Fratelli Vip. Una signora di Mediaset, gentilissima mi ha contattato e mi ha
chiesto se ero interessato a partecipare al Grande Fratello. Mi è venuto da
sorridere, ma la mia risata non è per schernire o perché ho
qualche motivo di contrasto con queste cose, ma perché non mi sento dentro
a questo contesto. Io ho bisogno di fare l’artista, di fare cose in cui credo,
anche se queste trasmissioni a volte diventano interessanti, ma da come sono
strutturate non mi fanno sentire a mio agio. Anche Milly Carlucci mi ha cercato
per il suo “Ballando con le
stelle” e ho avuto delle proposte
anche da “Tale e quale show”, però alla fine prevale questo mio desiderio
di non mettermi in competizione in questa direzione. Amo il mio lavoro, amo fare
l’attore, amo cercare e leggere dei testi e trovare delle cose in cui credo.
E’ un altro tipo di approccio allo spettacolo, sono due mondi diversi dove
trovo interessanti anche i reality quando esprimono
delle cose interessanti e divertenti. Però non mi sento proiettato
dentro, anche se poi nella vita, mai dire mai. Ho imparato con me stesso che a
volte bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione o addirittura
paradossalmente aver bisogno di quelle vetrine, perché spesso il nostro mondo
è fatto anche di queste cose. Ad un certo punto sei dimenticato da tutto e da
tutti e in qualche modo questo tipo di trasmissioni ti danno la possibilità di
rimetterti in gioco. Però ripeto, avendo costruito il mio percorso partendo dal
teatro e avendo poi avuto la fortuna di fare televisione e cinema, so che il mio
rifugio naturale è il teatro. Oggi sono in grado di costruire dei percorsi
teatrali da solo, senza aver bisogno del produttore e di quello che ti dice
quello che devi o non devi fare ed è una bella conquista.
A proposito di teatro, prima di entrare in
scena hai un rito scaramantico?
Tutti noi teatranti facciamo degli scongiuri
ogni sera. Io ho due tipi di momenti, uno è il mio, quello intimo, dove faccio
il segno della croce nel vero senso della parola, per me e per la compagnia.
L’altro è quello comune, dove facciamo tutti insieme il classico “merda,
merda, merda” e ci si tocca le chiappe uno con l’altro, perché portano
bene. Al di là della superstizione, che è una cosa simpatica, dico sempre a
quelli della compagnia, che serve molto la concentrazione. L’ultima
rappresentazione che ho fatto è stata “Uno sguardo dal ponte” di Arthur
Miller, dove eravamo una famiglia di immigrati siciliani in America, negli anni
’30, ’40, ’50 e lì se non c’è una concentrazione alta, come fai a
portare il pubblico dalla tua parte, a fargli credere che tu rappresenti loro.
Quindi la scaramanzia va bene e può essere utile per alleggerire la tensione,
però è molto forte l’esigenza e la voglia di concentrarsi per catturare il
pubblico fin dalla prima parola che dici.
Hai dei progetti finita la quarantena?
Appena sarà possibile, continuerò la mia
attività teatrale. Ho uno spettacolo musicale
dal titolo “Lucio incontra Lucio”, che è un percorso dove sono in
scena come attore e regista. Parlo della vita artistica di Lucio Dalla e di
Lucio Battisti. Loro sono nati a 12 ore di distanza l’uno dall’altro, uno il
4 marzo del 1943 e l’altro il 5 marzo dello stesso anno. Poi ho un altro
lavoro, che è tratto da “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, dove
racconto un viaggio nell’amicizia, nei valori, un viaggio nella
natura. Ho anche un progetto
per un film, ma non ti posso dire altro perché è in fase di costruzione ed è
un progetto a cui tengo molto. Tratteremo un po’ il mondo della patologia, con
una storia abbastanza originale. Io collaboro con il teatro Patologico di Roma
(via Cassia 472), che si occupa di diversità. Sono un volontario e il socio
fondatore è l’attore Dario D’Ambrosio. Noi con i ragazzi di diverse
patologie facciamo spettacoli anche a livello internazionale. Abbiamo messo in
scena Medea e abbiamo girato per il mondo, da Tokyo a New York, ecc … Sta
uscendo un progetto che può diventare un film molto interessante, che poi è un
giallo che sta nascendo all’interno del teatro Patologico.
Parliamo un po’ di Roma Sebastiano.
Quando sei arrivato a Roma e come ricordi quel periodo?
Roma, un mondo pazzesco. Sono arrivato a Roma
nel 1982 e ancora si respirava la parte terminale della Dolce Vita. Io sono
stato subito fortunato perché appena arrivato a Roma cercavo di fare qualcosa
per il lavoro, però cercavo anche la piacevolezza diurna e notturna romana.
Quindi mi sono ritrovato in qualche festa dove mi trovavo davanti Robert De
Niro. Ero un ragazzo molto giovane e molto intraprendente e mi portavo dietro la
mia sana follia napoletana, quindi ero ben accetto nei luoghi d’incontro e
nelle feste. Mi ricordo gli incontri dove c’erano questi mostri sacri del
cinema, come appunto Robert De Niro ad una festa di amici, con cui ebbi modo di
scambiare quattro chiacchiere, poi Mickey Rourke, che poi ho incontrato
nuovamente a Los Angeles, dove ho vissuto nel 1990. Di Roma mi ha colpito molto
la “Grande bellezza”, quella descritta da Paolo Sorrentino. Ricordo molto
volentieri le colazioni al Pincio, a Trinità dei Monti dove c’era un
ristorantino molto carino. Ricordo la bellezza della terrazza del Gianicolo dove
si vede tutta Roma. Allora c’era un’atmosfera molto intensa, direi unica.
Roma l’ho sempre sentita una città di grande ospitalità, di grande
tolleranza, di apertura. Poi il fascino della vecchia Roma, delle zone come
Trastevere e Testaccio, dove c’erano ancora gli anziani che amavano parlare
della Roma di una volta. Qualche piccolo spaccato c’è ancora adesso, però
chiaramente c’è stata una invasione, una trasformazione di questa città
negli ultimi anni. Ti mettevi a sedere e chiacchieravi con questa gente che ti
raccontava dei fatti, degli aneddoti, della storia del loro quartiere. Era un
mondo meraviglioso.
In quali zone di Roma hai abitato?
Appena sono arrivato a Roma abitavo in via
Santa Maura, zona San Pietro, quella zona lì, vicino a viale Giulio Cesare, via
Candia. Condividevo un appartamento con un mio amico anche lui napoletano. Poi
per un periodo ho abitato in centro, in una via vicino a largo Argentina, poi ho
avuto un periodo dove le cose non andavano proprio bene economicamente e ho
cominciato a vivere in pensioni e pensioncine. Era un periodo dove mancavano
soldi, mancava una continuità lavorativa, però avevo la fortuna che la mia
famiglia riusciva a reggermi. Poi piano piano sono riuscito a uscire dal centro
e sono andato a vivere a Roma nord, nella zona dove ancora oggi vivo. C’è
stato un momento in cui stavo per prendere un piccolo attico a Trastevere, ma mi
ha soffiato la casa sotto il
naso la raccomandata di turno. Come vedi la vita in un attimo può portarti a
dei cambiamenti radicali. Se fossi riuscito a prendere casa a Trastevere forse
la mia vita sarebbe stata anche un po’ diversa. A Roma c’è di bello che
abitando nel centro storico hai il confronto quotidiano con una molteplicità di
razze umane che possono anche segnarti la vita. Come dicevo prima, vivo a Roma
nord, in un quartiere dove mi trovo
molto bene.
Tradiresti Roma per vivere in un’altra
città?
Nonostante le difficoltà di una città come
Roma, sarebbe difficile trovare un luogo che ti offre così tanto come questa
città. Per rispondere alla tua domanda ti dico che avendo vissuto per un lungo
periodo a Trieste, per girare “Un caso di coscienza”, la fiction dove interpretavo l’avvocato
Tasca, direi che se
proprio dovessi scegliere una città in cui vivere, sceglierei Trieste, per la
sua vivibilità, per la sua piacevolezza. Ho passato veramente degli anni
straordinari lì perché è una città meravigliosa. A me piace molto viaggiare
e trovo che in Italia ci sono dei posti molto belli. Amo molto la val Pusteria
che è dalle tue parti e ho un ricordo meraviglioso. Nel 1995 feci un programma
per Rai1 con Giulia Fossà che aveva per titolo “I migliori film della nostra
vita”, per festeggiare il centenario della nascita del cinema. Era un
programma itinerante e ricordo quando venni a Brunico, in quell’hotel pazzesco
che aveva dei cuscini così morbidi che non ho più trovato in nessun altro
hotel. A parte i cuscini mangiavo molto bene le specialità del posto e mi
godevo il posto. Quando ho tempo, vado a rifugiarmi in quei posti meravigliosi
per rigenerarmi. Io vado spesso a Limone sul Garda che non è molto distante da
Trento. Vado in un centro TAO, al Park Hotel Imperial. Quando ho bisogno di ristrutturarmi fisicamente vado dalla famiglia
Risatti che sono i proprietari del Park Hotel Imperial e lì mi godo la
struttura, la rimessa in forma e la magia di quei luoghi. Poi faccio delle belle
escursioni in giro per il Trentino e vado anche a Trento che è molto vicina a
Limone.