Sergio
Endrigo (cantante) Roma 16. 1. 2002
Intervista di Gianfranco Gramola
Un
Re dimenticato da vivo e celebrato da morto
Omaggio all’artista scomparso il 7
settembre 2005. Per sua espressa
volontà, esternata dalla figlia Claudia, non ci sono stati funerali religiosi,
ma un concerto organizzato dal Comune di Roma, con la richiesta “niente
fiori”, ma donazioni a enti che si occupano di animali abbandonati. E’
sepolto a Terni, nella tomba di famiglia, accanto alla moglie Maria Giulia.
Sono
nato a Pola il 15 giugno 1933, da Romeo Endrigo e da Claudia Smareglia.
La mia vocazione di cantante la scoprii a circa dieci anni. sotto casa nostra
c’era un’osteria ed ogni tanto mia madre mi incaricava di andarvi a comprare
un po’ di vino. Il padrone dell’osteria era soprannominato Bepi Mustaccia
perché aveva due grandi baffi alla Francesco Giuseppe. A mezzogiorno c’erano
operai e manovali che mangiavano ed il Mustaccia, per intrattenerli, mi
sollevava di peso, mi metteva in piedi su un tavolo ed io cantavo “La donna è
mobile”. Quando finivo di cantare tra gli applausi il padrone mi regalava un
paio di lire. Nel 1960 tramite
Mario Minasi, che era il mio impresario di allora, firmai un contratto come
cantante con la Ricordi. Nel
1962 Nanni Ricordi lasciò la casa discografica milanese per approdare alla RCA
di Roma ed io, che artisticamente lì non trovavo più spazi adeguati, gli
chiesi di seguirlo. Alla RCA ottenni il mio più grande successo con “Io Che
Amo Solo Te” (in poche settimane vendette 650.000 copie), che mi fece
conoscere anche all’estero, soprattutto in Brasile. Di questi anni sono alcune
delle canzoni più felici: “ Aria Di Neve, Via Broletto 34, Viva Maddalena,
Era D’Estate, La Rosa Bianca”. Cominciai, nel 1963, ad esibirmi nelle mie
prime serate come cantante solista dal vivo; nel gruppo musicale che mi
accompagnava c’era anche Enzo Jannacci, in qualità di pianista (ottimo
pianista e grande amico... bei tempi!). Chiamai
anche Sergio Bardotti per aiutarmi a finire alcuni testi, perché io non sono
mai stato un bravo paroliere. O le mie canzoni nascevano con musica e testo,
come “Io
Che Amo Solo Te” e la maggior parte delle mie canzoni, oppure avevo bisogno di
aiuto. E Bardotti era bravissimo. Musicai anche una poesia di Pier Paolo
Pasolini, “Il Soldato Di
Napoleone”. Nel 1965 lasciai la “RCA”
perché l’atmosfera che si era creata mi risultava veramente sgradevole per il
fatto che qualcuno volesse impormi che cosa dovessi o non dovessi cantare. Nel
1966 partecipai per la prima volta al Festival
di Sanremo con “Adesso Sì”; nel 1967 con “Dove Credi
Di Andare”;
nel 1968 vinsi il primo premio con “Canzone Per Te”, in coppia con Roberto
Carlos. In quello stesso anno partecipai al Festival
Europeo Della Canzone con “Marianne” e a Canzonissima
con “Camminando E Cantando”. “Lontano Dagli Occhi” fu il brano che
presentai a Sanremo nel 1969 (2° classificata), mentre “L’Arca Di Noè”
si classificò terza nel 1970. Negli anni ’70 interpretai diverse canzoni per
bambini scritte da e con il poeta brasiliano Vinicius De Moraes (La Casa, Il
Pappagallo, La Pulce, La Papera, L’Arca,...) e musicai e cantai alcuni testi
di Gianni Rodari (Ci Vuole Un Fiore, Napoleone, Ho Visto Un Prato, ecc...). Dal
1971 al 1993 incisi vari album, per diverse case discografiche: Nuove Canzoni
D’Amore, La Voce Dell’Uomo, Dieci Anni
Dopo, Canzoni Venete, Sarebbe Bello, Donna Mal D’Africa, …E Noi Amiamoci, Mari
Del Sud,
E Allora Balliamo, Il
Giardino Di Giovanni, Qualcosa
Di Meglio. Mi sono cimentato anche
come scrittore nel 1995 con il libro Quanto mi dai se mi
sparo?,
che purtroppo l’editore ha stampato in un numero di copie assai limitato. Per
l’edizione del 2001 mi è stato attribuito il Premio
Tenco; nel corso di tale manifestazione una quindicina di artisti ha
cantato - al Teatro Ariston di Sanremo - le mie canzoni, riunite successivamente
in un CD dal titolo Canzoni Per Te. Nel
Novembre 2000, dopo un lungo periodo lontano dal palcoscenico, mi sono esibito
dal vivo al Teatro Verga di Milano. Nel Marzo 2001 ho presentato a Milano, per
tre spettacoli, con Nicola Di Staso alla chitarra, il concerto Canzone
per Teresa… e le altre. A
Roma ho attuato il progetto Ci Vuole Un
Fiore (una serie di spettacoli teatral-musicali a difesa
dell’ambiente e della natura, rivolto ai bambini e ai ragazzi delle scuole)
per la durata dell’intero anno scolastico 2001/2002; questa iniziativa mi ha
dato molte soddisfazioni e mi ha commosso per la partecipazione e l’affetto
che gli alunni mi hanno testimoniato. Il 19 agosto del 2003 ho tenuto un recital
al Tourist’s Village - Castel Sant’Angelo di Roma, al termine del quale mi
è stata consegnata una targa d’argento alla carriera dal vicesindaco di Roma,
On. Maria Pia Garavaglia.
Ha
detto:
- Sono
53 anni che mi guadagno il pane cantando, ma confesso di essere stanco. Mi
piacerebbe andare in pensione e, magari trasferirmi in Brasile, con il mio
pappagallo che vive con me da 37 anni.
- Quando
cominciai, c’era gente come Nanni Ricordi che si occupava di poesia e lanciò
Tenco, Paoli e Iannacci. Oggi ci sono venditori di carta igienica e chi fa il
mestiere di produttore lo interpreta alla Vanna Marchi.
- Mi
affibbiarono l’etichetta di cantante triste forse perché odiavo il playback.
- Avevo
una piccola collezione di francobolli regalatimi da uno zio. La diedi al
maresciallo per il quale lavorava mia madre ed in cambio lui mi diede i soldi
necessari per comprarmi una chitarra.
- Sono partito da una famiglia poverissima,
ma non ho sofferto. Mia madre ha fatto di tutto, veramente di tutto, per
mantenermi e per rendermi facile la vita. Ha vissuto fino a sessant’anni nella
miseria più nera ed io sono felice - grazie al successo - di averle fatto
vivere una vecchiaia bellissima, per ventidue anni, da gran signora. I soldi non
fanno la felicità, però …
Curiosità
- Nel giugno 1963 ha sposato Maria Giulia
Bartolocci (gliel’ha presentata Riccardo del Turco) da cui ha avuto una
figlia, Claudia. Nel 1994 è
rimasto vedovo.
- Il
padre Romeo, figlio di uno scalpellino, era autodidatta e si dedicava anche alla
pittura e divenne uno scultore molto conosciuto a Pola. Negli uffici comunali di
Pola e nella provincia, ci sono le riproduzioni in gesso dei busti di Mussolini
e di Vittorio Emanuele III, scolpiti originariamente in marmo dal padre.
- Nella
sua carriera ha scritto circa 250 canzoni e oltre che in portoghese, ha cantato
in varie lingue: spagnolo, francese, inglese, greco, slavo.
- Ha
fatto causa al compositore argentino Luis Bacalov, per presunto plagio. Sembra
che abbia copiato alcune note musicali della colonna sonora del film “Il
postino”, con Massimo Troisi.
- Nel
1964 ha lavorato nei fotoromanzi (Bolero film) e ha fatto anche l’attore nel
film “Tutte le domeniche mattina”.
Intervista
Attualmente
fai degli spettacoli al teatro
Raffaello di Roma, giusto?
Si!
Due, tre volte alla settimana faccio uno spettacolo per i bambini e i ragazzini
delle scuole medie, che vengono lì con gli insegnanti e che si chiama:” Ci
vuole un fiore “. Sono io che parlo a difesa dell’ambiente e della natura,
canto e poi c’è un mimo bravissimo che si chiama Dino Ruggero e un’attrice
giovane che si chiama Isabella Valeri.
Com’è
nata questa idea e quali sono i risultati?
L’idea
è di un certo Giampiero Zarini, che ho conosciuto 6-7 mesi fa, uno che molti
anni fa ha lavorato alla Rca e ha ideato questo spettacolo basato
sull’ecologia e che sta ottenendo un successo incredibile. I bambini
impazziscono e si divertono da morire.
L’anno scorso ti hanno dedicato la
26esima edizione del Premio Tenco. Cosa hai provato?
Guarda,
quando cantavano le mie canzoni Paoli, Jannacci, Secchioni e Lauzi mi sono
veramente commosso e mi sono molto divertito invece con questi gruppi che hanno
accompagnato la serata. Mi è piaciuto molto specialmente un ragazzo giovane, un
pianista che si chiama Sergio Cammariere e anche Capossela che ha cantato la
prima canzone che ho scritto in vita mia “Bolle di sapone”. Ti racconto
com’è nata questa canzone, Gianfranco. Dopo sette anni di night club ero
stufo, non c’era verso di fare carriera, volevo smettere ed eventualmente
emigrare in Canada o in Australia e invece
ho tentato la “carta” discografica. Ho fatto un contratto con la Ricordi di
Milano, dove lì c’erano già Paoli, Bindi, Tenco, Corsari, Jannacci, Gaber,
ecc… Il direttore artistico di allora era Nanni Ricordi , persona
simpaticissima che, fra l’altro ho visto domenica e ho mangiato insieme a casa
sua. Nanni mi chiese a bruciapelo e
dandomi del lei:” Ma lei non scrive canzoni?”. Io ho risposto “No!”.
Sono tornato a casa e come per sfida ho preso la chitarra e ho cominciato a
strimpellare e così nacque “Bolle di sapone” che ha cantato appunto
Capossela in quell’edizione Tenco. E’ andata così.
Tu
sei figlio di un cantante lirico. Questo quanto ha influenzato la tua scelta
artistica?
Non
lo so. Non solo mio padre comunque era nel campo musicale. Mio nonno materno era
insegnante di pianoforte e poi faceva anche
il direttore di un coro. Poi un mio prozio cioè suo fratello, era autore
di opere e ha una via che porta il suo nome, qui a Roma, all’Eur ed è su
tutti i dizionari e d enciclopedie. Si chiamava Antonio Smareglia. Io non l’ho
mai conosciuto. Si diceva che abbia avuto una relazione con la moglie del grande
editore milanese della Ricordi e allora questo sembra abbia messo in giro la
chiacchiera che portava iella (risata). Ho un ricordo d’infanzia che voglio
raccontarti e che riguarda i miei inizi di cantante. Ricordo che quando avevo
8-10 anni abitavo al 4° piano, praticamente in soffitta,
e sotto casa c’era l’osteria dove andavo a prendere il vino, il cui
proprietario si chiamava Beppe Mustaccio, perché aveva i baffi alla tirolese,
chiamati proprio mustacci. Mi metteva su un tavolo e mi faceva cantare “ La
donna è immobile” del Rigoletto e poi premio mi regalava un paio di lire.
Quindi il cantare era già una cosa che avevo nel sangue fin da piccolo.
Chi
erano i tuoi miti da ragazzo?
Ricordo
che quando ho cominciato a cantare, con gli amici, ascoltavamo questi americani
come Frank Sinatra. Di italiani mi piaceva molto Rino Salviati, che poi ho
incontrato nel ’64 a Toronto, che faceva il chitarrista in un’osteria.
Allora non c’erano i media potenti come adesso, perciò noi ragazzi andavamo
così a tentoni. I ragazzi avevano radio private, avevano giornaletti
particolari e canali televisivi disponibili.
Il tuo grande successo arriva con “Io
che amo solo te”. Che ricordi hai dei quel periodo?
Quella
canzone l’ho scritta quando mi sono innamorato di una segretaria della Rca.
Avevo 29 anni e non pensavo assolutamente che questa canzone diventasse una
canzone di successo. Nanni Ricordi, che era passato dalla Ricordi alla Rca ha
sentito questo pezzo e ne è restato entusiasta, con l’arrangiamento
bellissimo di Bacalov. Ma il direttore alle vendite non voleva assolutamente
farlo uscire, perché non andavano di moda le “sedacate” (da Neil Sedaka),
cioè con 8-16 misure di batteria.
La mia canzone aveva proprio quel tipo di ritmo e quindi l’organizzatore era
contrario all’uscita di questo pezzo. Poi
Nanni Ricordi se n’è andato dalla Rca e il vice direttore alle vendite ha
insistito ed è stata la mia fortuna. Devo sapere, caro Gianfranco, che noi
cantanti non siamo assolutamente
niente. Noi possiamo scrivere Madame Butterfly, l’Aida o quello che vogliamo,
ma è la casa discografica che decide il si o il no. Però negli anni ’60 i
discografici conoscevano un po’ di canzoni, di musica, di parole e di poesia.
Oggi è tutto cambiato. Oggi i consigli di amministrazione sono composti da
tutta gente che proviene da
tutt’altri settori, da aziende che vendono, che so, pomodori in scatola,
detersivi o altre cose e che non hanno niente a che vedere con la musica. Lo
dico senza nessun livore, perché io sono grato alla discografia che è stata la
mia fortuna ma ti ripeto che era molto diversa da quella di oggi.
Nel
’68 con “Canzone per te” vinci il Festival. Come hai vissuto quel
successo?
Io
faccio sempre un po’ di ironia su questa cosa, cioè che Cementano cantava
“Canzone”, io “Canzone per te”. Dico sempre che secondo me i giurati si
sono sbagliati e volevano votare Cementano invece hanno votato me (risata).
Il
tuo nome è affiancato alla scuola genovese di Paoli, Lauzi De Andrè, Tenco,
ecc… Gruppo che portò un rinnovamento musicale negli anni ’60. Come ci
comportò la stampa con voi?
Mi sembra che sia la stampa che il mercato
discografico non sia stato molto d’accordo con noi perché c’era uno
standard un pochino più basso. Io ho letto e leggo moltissimo, ho frequentato
il V Ginnasio, non ho una maturità classica ne Lauree, però nella mia vita ho
letto molti libri e poesie e secondo me noi abbiamo rivoluzionato un po’ i
testi delle canzoni. Quando Paoli canta “ Quando sei qui
con me, questa stanza non ha più parole” sembrava una gallina, allora.
Oppure io:” Le tue parole sono parole amore, senza motivo”. Abbiamo
veramente rivoluzionato il mondo delle 7 note. Quindi si inventano cose nuove,
chiaramente l’industria è un po’ scettica e titubante. Io sono molto
contento e felice, siamo nel 2002 e tu mi stai intervistando. A me va bene così.
Pensa, Gianfranco, che ho cominciato a cantare nel ’52 e pensavo che
dopo il successo di “ Io che amo solo te” sarei durato al massimo un paio di
anni, invece è andata benissimo e ringrazio tutti quelli che mi hanno
apprezzato e che mi apprezzano ancora.
Tu
eri amico di Tenco. Cosa ricordi di lui?
Ci
siamo incontrati parecchie volte. Secondo me era un po’ strano, bravissima
persona però era molto strano. Ricordo un giorno, eravamo in piazza Duomo a
Milano e mi ha detto:” Vedi, adesso vanno mi moda i duri, vedi Joan Paul
Belmondo, anche Gino Paoli lo dice”. Io lo guardavo come si guarda un
marziano. Io so quello che valgo, quello che sono e ho sempre cercato di essere
sempre me stesso.. Fare così i duri per fare un po’ di scena o perché è di
moda mi sembra una cosa ridicola. Poi
c’è stato il suicidio, perché secondo me è stato un suicidio, perché dopo,
pensandoci, nel suo singolo “ Ciao amore, ciao” c’è il suo ritratto in
bianco e nero e poi delle facce come di pioggia e stranamente color rosse
sangue. Poi ha portato anche la pistola a Sanremo. Non so… capisco se fossimo
nel Bronx. Forse aveva fatto una scommessa con se stesso o era stano e deluso da
qualcosa. Comunque di lui ho un bellissimo ricordo. La cosa carina è stata nel
’60. Abbiamo partecipato ad una grande manifestazione a Milano, in un grande
teatro, organizzata da un quotidiano che si chiamava “Il corriere Lombardo”
e che tutti chiamavano “Bombardo” perché se c’era un terremoto e morivano
10 persone sul quotidiano scrivevano 100 morti. Due giorni dopo il sindaco di
Viano Marina, ha invitato i cantanti, gli artisti che hanno partecipato a questa
manifestazione ad esibirsi in quel comune, che ci ha pagato il viaggio, il
soggiorno e ci ha regalato una moneta d’oro che pesava mezzo etto. Si parla
del ’60, quindi erano bei soldini. Il
giorno dopo che sono tornato a Milano, allora abitavo in una piccola pensione con Tenco, ci
siamo trovati io e lui davanti ad una oreficeria, con la moneta in mano, per
andare a venderla (risata).
Ti
hanno definito il cantautore-poeta e anche il cantante - malinconico. E’ così?
Lauzi
ha detto una cosa molto carina, cioè
ha detto che quando uno a letto ci fa l’amore non pensa a scrivere
canzoni, semmai quando se ne va. Comunque
queste sono dicerie nate da qualche
giornalista di allora, perché canzoni malinconiche ne ho fatte poche. “ Io
che amo solo te” non lo è assolutamente, “Teresa” nemmeno. Non so, forse
sarà la mia faccia, le mie espressioni. Quando sono venuto a Roma nel ’62,
avevo un contratto con la Rca e un fotografo, Claudio Cortini, mi dava del lei,
allora, mi fece il primo servizio
fotografico che ho fatto nel suo studio e mi diceva:” Ma signor Endrigo,
sorrida, la prego!”. E io :” Sto sorridendo!”. E lui: “ Ma non si
direbbe!”. Ci sono delle facce particolari, per esempio Gianni Moranti
può cantare anche una canzone tristissima, ma ha sempre il sorriso sulla bocca,
perché ha una faccia così, un’espressione così. Comunque di canzoni tristi
e malinconiche non mi sembra di averne fatte.
Tra i poeti che tu hai frequentato ci fu
anche Pier Paolo Pasolini. Come lo hai conosciuto e quali sono stati i risultati
del vostro incontro?
Il
vice Direttore della Rca, Ennio Melis, quando ha sentito “Via Brunetto 34”
gli è venuta l’idea che Pisolini scrivesse le ballate dei ragazzi di vita e
che io le musicassi. Allora è avvenuto l’incontro in casa di un funzionario
della Rca, tal De Crescenzo, ho
conosciuto Pisolini che stava partendo per l’Africa per un film e mi ha detto
che non aveva tempo per scrivere queste cose e comunque di guardare sul libro
“La mejo gioventù”, in friulano, che
è la storia di una famiglia friulana che andava dal periodo napoleonico alla
resistenza. Io ho scelto la prima, con Napoleone, l’ho cantata e la canterò
ad Udine, ai primi di febbraio di quest’anno, in una manifestazione
chiamata:”Canzoni di confine”. Ci saranno 16 cantautori scelti da me ed
Edoardo De Angelis… farò il direttore artistico, insomma. Pisolini l’ho
incontrato un paio di volte e m’ha dato l’idea di essere molto timido,
chiuso o meglio riservato. Forse non si fidava troppo del prossimo.
Ci fu un momento della tua carriera in cui
sei entrato in polemica con il mondo della canzone, vero?
Guarda,
Gianfranco, io sono più che soddisfatto di quello che mi è successo. Io e i
miei colleghi negli anni ’60 e ’70 cantavamo per quelli di 18 anni e per
quelli di 60. La cosa adesso è finita, perché l’industria e le
multinazionali si sono accorti che i ragazzi sono disorientati e li fottono.
Nelle scuole non si insegna musica e non se ne parla neanche, di poesia ne
parlano pochissimo. Per cui questi ragazzi, con le dovute eccezioni,
in queste cose sono assolutamente ignoranti. Per noi non c’erano le
televisioni, i giornali specializzati e le radio private e quindi da ragazzi
sentivamo di scegliere qualcosa, i giovani di adesso invece non scelgono
più niente, prendono tutto quello che gli si dà, non c’è niente da fare.
Io non voglio fare nomi, ma è così. Lo dico senza livore, senza invidia. Io per i bambini non ho scritto
canzoni, le ho solo cantate. Dico sempre che per scrivere canzoni per bambini
bisogna essere prima poeti o grandi scrittori, oppure dei furbastri.
Io credo di non essere né un poeta né un furbastro. Però canzoni come
“Ci vuole un fiore” che da il titolo allo spettacolo che è in scena al
teatro Raffaello di Roma adesso, ha ben 27 anni e i bambini si divertono a
cantarla e la conoscono anche perché
le nonne, le mamme e anche le maestre dell’asilo le insegnano. Io penso di
aver inventato una cosa inconsciamente e me ne rendo conto solo adesso. E’
successo pensando allo Zecchino d’Oro, con tutto il rispetto che ho per Cino
Tortorella che è simpaticissimo, e che conosco molto bene, e ai bambini e alle
bambine che cantano molto bene e che sembrano tante scimmiette ammaestrate. Ho
pensato che quando il bambino dice:” Papà, mi racconti una fiaba?” e poi
chi è che canta la Ninna nanna al bambino? La mamma, la nonna? Allora
l’invenzione che c’è stata in questo disco con Rodari è che l’adulto
canta una cosa e il bambino risponde e ripete le cose. Secondo me questa è una
gran trovata che piace molto ai bambini.
Qual
è stata la tua più gran delusione in campo artistico?
E’
stata molto recente. I cinque album che ho fatto dall’80 al ’96 e che pochi
conoscono, nonostante una canzone “Mille lire” sia stata scelta come sigla
per un anno e mezzo del programma televisivo “ Di tasca vostra” , che poi
hanno tolto perché parlava dei pregi e dei difetti dei vari prodotti, un
programma scomodo per le aziende.
Comunque sono molto contento perché lavoro nonostante questa delusione e mi
sono anche tolto tutti gli sfizietti piccolo borghesi. Mi sono fatto la casa al
mare, la casa in campagna e la barca due alberi per un paio di anni. Mi sono
tolto qualche soddisfazione e adesso sono veramente tranquillo. L’unica cosa
che mi pesa un po’ e non riesco ad abituarmi è la vecchiaia (risata).
Però nel ’99 hai avuto la soddisfazione
di veder inserito nell’album di Franco Battiato due tue canzoni:” Aria di
neve – Te lo leggo negli occhi “.
Certo!
Inoltre la Vanoni ha cantato nel suo ultimo disco:” Io che amo solo te”.
Battiato non l’ho mai conosciuto personalmente, l’ho solo sentito per
telefono in una trasmissione radiofonica che si chiamava:” Se telefonando”.
In quell’occasione l’ho ringraziato. Lui poi ha detto una cosa su
Internet:” E’ una vergogna come i media abbiano dimenticato Sergio Endrigo”.
Parole sue.
La
più gran cattiveria che ti hanno detto?
Cattiverie
non me ne ricordo. Stupidaggini si, tante.
Vedi
ancora qualche collega della mitica scuola genovese?
A
parte Gino Paoli che è venuto al
Premio Tenco nell’ultima edizione, i rapporti che ho più frequenti sono con
Bruno Lauzi. Lo sento spesso.
In
tutti i settori ci sono i Coppi - Bartali e i Rivera - Mazzola. Chi era il tuo
rivale?
Io
non ho avuto mai nessun rivale. Noi poi siamo sempre stati dei cani sciolti.
Ognuno cantava per conto suo. Poi dopo ci si metteva d’accordo per una tournèe
tipo Dalla-De Gregori. Io sinceramente non ho mai invidiato
persone che hanno avuto successo. Posso invidiare uno che ha vinto al
super enalotto.
Hai
dei rimpianti?
Sinceramente
no! Adesso è un po’ lunga da spiegare, ma le scelte che ho fatto sono state
tutte fortunate e sono veramente contento di quello che nella vita ho fatto.
Forse il rimpianto che ho è quello di non aver studiato musica, forse per
pigrizia. Un maestro di musica un giorno mi ha detto:” Se tu avessi studiato
musica al Conservatorio forse non
avresti scritto le canzoni che poi hai cantato, perché saresti stato un po’
deluso, legato a certi andamenti, ecc… “. Direi che da ignorante le ho
scritte ed è andato tutto bene.
Hai
un sassolino nelle scarpe che vorresti toglierti?
No!
L’unica aspirazione alla mia età sarebbe quella di vincere al super enalotto
e di andare in spiaggia, senza radio e televisione, senza giornali. Solo con un
po’ di libri che non ho ancora letto fino a quando non mi stufo.
Il
tuo rapporto con la politica?
Le
cose politiche di oggi sono stucchevoli. Io votavo sempre P.C. ma non perché
avessi letto Marx, Hengel o Gramsci, ma perché ero contro un certo tipo di
potere, come la Democrazia Cristiana bacchettona. Però guardando il mondo
politico del giorno d’oggi mi viene da ridere, per non piangere. Non voglio
neanche parlarne, Gianfranco, perché rovineresti questa bella intervista.
Tra
poco inizia il Festival di Sanremo. Come lo vedi rispetto a quello dei tuoi
tempi?
Il
Festival fino ai primi anni ’60 era Sanremo, cioè le canzoni le cantavano
davvero. Io ho vinto con una canzone che la gente ricorda ancora. Anche in
Brasile la ricordano. Allora c’era una rete sola, un canale unico e
trasmettevano solo la serata finale. Poi ad un certo punto gli effetti di
Sanremo sono crollati. Adesso ci sono cinque serate consecutive e mi sembra di
notare che la canzone conta poco. Poi ci sono questi comici che a me non fanno
ridere per niente. Adesso è un varietà, un rotocalco che tira avanti cos’,
con la scusa di Sanremo. Non mi piace e non ne posso parlare bene. Speriamo che
quest’anno Pippo Baudo trovi una formula un pochino più decente. Un’altra
cosa… questa ragazzina di Monfalcone, Elisa, che ha vinto l’altro anno, è
molto simpatica e carina. Ha detto:” Non canterò più in italiano”.
Praticamente ha sputato sul Festival di Sanremo. Poi la cosa assurda è che
pochi ricordano i vincitori degli anni passati.
Sono contento comunque che nel prossimo partecipi anche Gino Paoli, perché
non ha niente da rimetterci. Io non
ne faccio di Festival, perché come ti ho detto prima sono frustrato da quei
cinque dischi buttati via. Faccio un in bocca al lupo a Gino Paoli.
Ad
un ragazzo che volesse fare il cantante che consigli ti senti di dargli?
Gli
direi semplicemente “Buona fortuna”. E,
come ho detto prima, noi non contiamo assolutamente niente. Possiamo scrivere e
cantare quello che volgiamo ma contiamo come il zero. La differenza fra i
cantanti di ieri e di oggi è che negli anni ’60 e ’70 uno sentiva
chiaramente che cantava Jannacci, Paoli, Lauzi o Endrigo. Adesso sono
praticamente tutti uguali, a parte qualche eccezione tipo Eros Ramazzotti che ha
una voce particolare. Io penso che forse l’industria ha pensato che i ragazzi
possano immedesimarsi con delle voci assolutamente neutre. Forse è un caso ma a
me pare così.
Suo
figlio lavora nello spettacolo?
No!
Lavora da alcuni anni in televisione, alla Rai, come assistente alle produzioni.
Lavora 9 mesi all’anno. Speriamo che trovi un posto fisso…
Un
domani come vorresti essere ricordato?
Per
quello che sono e per quello che ho fatto. Posso dire una cosa?
Certo. Questo è un Sito dove uno può
dire tutto, dove uno può sfogarsi.
Grazie.
Visto che sono morti tanti miei colleghi, quando è morto Lucio Battisti hanno
fatto quattro pagine su Repubblica. Io sono contento di non poter morire giovane
così i "media", potranno dire tutte le cazzate che si sono
inventati.