Simona Sparaco (scrittrice e sceneggiatrice)
Brescia 3.6.2019
Intervista di Gianfranco Gramola
Per
me scrivere è un’urgenza personale e la notte è il momenti più fertile. Nel
silenzio della notte riesco a concentrarmi meglio.
In un
racconto è più difficile trovare il finale, però io non inizio un libro se
non so dove andrò a finire.
Simona nasce a Roma il 14 dicembre del 1978.
Eredita dai genitori la passione per i viaggi, e dopo aver frequentato il liceo
classico nella sua città, sente subito il desiderio di uscire dalla dimensione
formativa italiana e di esplorare l'Europa. Si laurea quindi in Communication
and Media Studies e ha la possibilità di conoscere meglio città come Londra e
Parigi. La passione per la scrittura resta una costante nella sua vita e,
tornata in Italia, ha ancora voglia di studiare, di approfondire le sue
conoscenze sulla Letteratura, sul cinema, sul teatro, decide così di iscriversi
alla facoltà di Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma. In questi anni ha
modo di conoscere meglio anche la letteratura italiana contemporanea e di
leggere Alessandro Baricco. Nel 2004 si trasferisce a Torino per frequentare il
master in tecniche della narrazione nella Scuola Holden da lui stesso fondata.
In questo periodo esce "Anime di Carta", romanzo di formazione,
pubblicato dalla casa editrice Viviani. Conclusasi l'esperienza torinese, Simona
torna a Roma ed entra in Rai per frequentare il corso di formazione per
sceneggiatori di Dino Audino, facendosi notare con un progetto televisivo di una
fiction sulle prime donne soldato in Italia. Terminato il corso, viene chiamata
da Mediaset per partecipare ad un laboratorio creativo volto alla realizzazione
di idee nell'ambito della struttura della sit-com. Riesce così a collaborare
per serie televisive quali "Love Bugs" e "Don Luca c'è", e
a ideare e progettare serie televisive come libera professionista. Nel 2008 le
viene proposto, sempre nell'ambito della scrittura per il mondo televisivo, di
partecipare al programma "La Talpa", reality di Italia Uno ambientato
in Sudafrica, e di occuparsi dei contenuti relativi alla cultura Zulù. Proprio
durante questa esperienza in Sud Africa, in pochi mesi di lavoro appassionato e
febbrile, Simona scrive "Lovebook", un romanzo sull'amore ai tempi di
Facebook, edito da Newton Compton, che arriverà in meno di un anno alla nona
edizione e che le consente di esordire nell'affollato mondo dell'editoria, di
venire tradotta all'estero e di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura di
romanzi. Nell'anno successivo esce "Bastardi senza amore", sempre per
Newton Compton, che viene tradotto anche in lingua inglese. Nel gennaio 2013, dopo una silenziosa parentesi in cui si dedica
esclusivamente alla scrittura e alla ricerca interiore, Simona raggiunge una
maturità stilistica che le impone un cambiamento di rotta. Dopo aver faticato a
trovare un editore disposto ad affrontare insieme a lei il delicato tema
dell'aborto terapeutico, esce, questa volta per la casa editrice Giunti, il
discusso romanzo "Nessuno sa di noi", che in breve tempo scala le
classifiche e s'impone all'attenzione della critica e del pubblico, rivelandosi
il caso editoriale dell'anno. "Nessuno sa di noi" entra nella cinquina
del Premio Strega 2013 e si aggiudica il Premio Roma sempre nello stesso anno.
Nel 2014 ha
pubblicato con Giunti Se chiudo gli occhi, che nel 2015 ha
vinto la nona edizione del Premio Tropea ed è stato tra i vincitori del Premio
Salerno Libro d'Europa. Nel
mese di marzo 2016 con la casa editrice Giunti pubblica Equazione di un Amore.Nel 2019 ha vinto la prima edizione
del premio DeA Planeta con il romanzo Nel silenzio delle nostre parole (DeA
Planeta).
PS: I suoi libri sono tradotti in Francia,
Spagna, Sud America, Giappone, Inghilterra e Russia.
Premi
2013 - Vincitrice del Premio Roma per Nessuno
sa di noi.
2013 - Selezione finale per Nessuno sa di noi al Premio Strega.
2019 - Vincitrice del Premio DeA Planeta per Nel silenzio delle nostre
parole.
Intervista
E’
uscito il tuo nuovo romanzo “Nel silenzio delle nostre parole”. Mi racconti
di cosa parla e perché l’hai ambientato a Berlino?
L’ho
ambientato a Berlino perché è una storia che si presta ad uno scenario europeo
multiculturale. “Il silenzio delle nostre parole” è la storia di un palazzo
e viene raccontata in una giornata sola, ossia le 15 ore che precedono un
incendio. Il lettore sa sin dall’inizio che alla fine della giornata i miei
personaggi sono accomunati tutti dal destino
di questo incendio che in qualche modo dovranno attraversare, perché le fiamme
hanno un valore simbolico, di trasformazione. I miei personaggi fanno parte in
realtà di tre storie all’interno del palazzo e una esterna all’edificio.
C’è una mamma che ha appena avuto un bambino e che non riconosce il pianto di
suo figlio e in qualche modo lo avverte come un estraneo. Poi c’è una madre
anziana, sulla sedia a rotelle, che non si fida più del figlio trentenne, che
è un debosciato che si droga, ed è un figlio di cui non andare fieri. Però
questo figlio ha delle cose importanti da dire a sua madre, ma sta aspettando
proprio in quella giornata le parole giuste per dirgliele. Poi abbiamo una
ragazza che è a Berlino per l’Erasmus, è italiana, e Silvana sta al piano più
alto di questo palazzo. Sua mamma la chiama, perché ha un rapporto un po’
morboso con lei, possessivo e vorrebbe in qualche modo riuscire a comunicare con
lei. E’ in apprensione, la figlia è lontana, in un mondo che lei non conosce
e in qualche modo ha paura che possa succederle qualcosa. Queste tre storie si
incrociano e s’intersecano nei loro destini all’interno di questa giornata.
Di fuori di questo palazzo, c’è una ragazza
giovane che si trova in un negozio H 24, è turca di origine ed ha una
visione lucida su tutto ciò che sta accadendo a lei. E’ l’unico
personaggio che in qualche modo è dotato, rispetto agli altri, di quella
capacità di capire gli altri. Perché gli altri, in qualche modo, si
fraintendono continuamente.
Il
tuo libro ha vinto un premio. Te l’aspettavi?
No, non
me l’aspettavo, ma ero molto fiduciosa, perché sentivo che stavo scrivendo
un libro importante. L’ho finito di corsa, in lotta contro il tempo,
per riuscire ad arrivare al bando di scadenza che peraltro coincideva con la
data presunta del parto.
Del
parto?
Ero
incinta mentre lo scrivevo. Da una parte ero molto fiduciosa, dall’altra è
stata una scommessa. Prima ancora del premio, è stata una vittoria personale,
il riuscire a finirlo in tempo ed
aver attraversato quelle “fiamme”in quella condizione particolare, sperando
di arrivare al traguardo e ci sono riuscita. Peraltro usando uno pseudonimo,
perché volevo tutelare il mio inedito. Il nome era di fantasia, ma è anche il
nome dei miei due figli, Diego Tommasini, Diego è il figlio più grande e
Tommaso che è l’ultimo nato. Tommaso è nato insieme al libro. Quella dello
pseudonimo è stata una scelta anche per vedere quanto valesse il libro senza il
mio nome sopra, per vedere se i giudici lo avrebbero apprezzato, senza
pregiudizi di nessun tipo. Il mio libro parla anche di pregiudizi, quindi volevo
togliere qualunque tipo di pregiudizio intorno allo stesso, sia nel bene che nel
male.
Per
te è più difficile iniziare un racconto o trovare il finale?
Trovare
il finale è più difficile, però io non inizio un libro se non so dove andrò
a finire. Sono tutte e due delle sfide, cioè l’inizio e la fine.
Com’è
nata la passione per la scrittura, chi te l’ha trasmessa?
Me
l’hanno trasmessa i miei insegnanti, perché il maestro delle scuole
elementari, aveva capito che avevo capacità di scrivere e tradurre in parole le
emozioni che provavo e che provavano quelli intorno a me.
E me l’ha fatto subito notare e ha cercato subito di esaltare questa
mia dote. Anche il professore del Liceo aveva capito che avevo questo talento. I
miei insegnanti mi hanno sempre accompagnato ed hanno esaltato queste mie
caratteristiche. Cosa che deve saper fare un insegnante, cioè riconoscere in un
alunno la sua radice e in qualche modo annaffiarla, in maniera tale che possa
con il tempo dare i suoi frutti.
Quali
sono i temi che ami affrontare nei tuoi libri?
Ho
affrontato tanti tipi di temi e ogni libro è a sé, è un mondo diverso. Cerco
sempre di non ripetermi mai nelle mie storie, in questo libro si parla di
maternità, una tematica che è
esplorata in modo completamente diverso dal solito. Quindi anche se posso avere
dei temi comuni che uniscono tutta la mia produzione, in realtà cerco sempre un
punto di vista nuovo.
Per
te scrivere è una valvola di sfogo, una sorta di dovere o un’urgenza
personale?
Un’urgenza
personale. Quando non sento quell’urgenza, non scrivo e posso anche rimanere
ferma per diverso tempo. Per fortuna è un’urgenza che sento sempre più
frequente, perché fa parte della mia vita, del mio percorso. Non scriverei mai
per dovere.
Qual
è il momento della giornata più fertile per scrivere?
La
notte. Nel silenzio della notte riesco a concentrarmi meglio.
Quali
sono le tue ambizioni?
Vorrei
che uno dei miei libri diventasse un film. Io sono una grande appassionata di
serie tv e anche di cinema e quindi mi piacerebbe veder tradotto in immagini
quello che io scrivo.
Hai
già in mente di cosa parlerà il tuo prossimo libro?
Il mio
prossimo libro uscirà a breve, perché l’ho scritto prima del “Nel silenzio
delle nostre parole” ed è una saga per ragazzi. Questo sarà il primo di una
serie, che spero sarà lunga, e uscirà prima di Natale.
Roma,
la tua città, può essere fonte di ispirazione per i tuoi libri?
Certo
che può esserlo. A parte che i romani sono dei grandi inventori di vita, si
reinventano ogni giorno qualcosa per riuscire a schivare tutte le difficoltà
che la città ti pone davanti. Però si nutrono della sua immensa bellezza.
Com’è
il tuo rapporto con Roma?
Di
amore e odio. Di amore perché è talmente bella, è talmente ricca di storia,
di cultura e poi perché c’è la mia famiglia. Sono una donna che dà molta
importanza alla famiglia. Odio, perché la vedo molto trascurata, perché i
romani sono sempre più maleducati, sempre più spazientiti. Quando ti lasci
andare perché hai perso fiducia negli altri, dai il peggio di te. Io penso che
i romani stiano dando il peggio di sé, come lo sta dando Roma in questo ultimo
periodo.
La
tua Roma in tre posti diversi?
La
bocca della Verità, perché è una zona molto affascinante per tutta la sua
storia e poi perché la bocca della Verità è anche il passaggio di testimone
tra me e i miei figli. Quando ero bambina ricordo le emozioni che provavo nel
mettere dentro la mano nella bocca. Recentemente c’ho portato Diego, mio
figlio, e vedere quello che è stato per lui l’emozione di dire una cosa,
sperando che la bocca non stringesse le sue fauci sulla sua mano, è stata una
cosa che mi ha accomunato a lui. Poi casa mia, che è vicina a ponte Milvio ed
è una casa che mi sono disegnata intorno a me e mi dà un
grande senso di pace. Il terzo posto potrei dirti un ristorante che mi piace
molto, che è in centro e si chiama”L’arancio d’oro”.
Cosa
ti manca di Roma quando sei via?
Mi
manca la luce e il suo cielo, che ha un colore unico. Ci sono dei colori
accesissimi a Roma che forse solo in Sicilia ho visto. Quando vado in Sicilia,
di solito in estate, quando fa caldo, il cielo si illumina, come in Puglia e in
quei posti dove le abitazioni sono bianche e fanno contrasto con il cielo.
Invece Roma è la città che secondo me ha un cielo di un colore unico e dai
colori molto accesi, quasi tutto l’anno.
Ora
stai presentando il tuo libro, dove?
Ora
sono a Brescia e domani sono a Novara.