Cinzia Leone (attrice)
Roma 22.4.2022
Intervista di Gianfranco Gramola
“Scrivo di comicità perché è l’unica
maniera di trattare argomenti esistenziali, interiori, psicologici che la
comicità ha il pregio di alleggerire.
Intervista
Com’è nata la tua passione per la
recitazione? Hai artisti in famiglia?
Mio padre, che ho perso quando avevo 8 anni,
viveva in America, dove erano emigrati i suoi genitori che erano di origini
abruzzesi. E’ venuto in Italia dall’America perché lui era un tenore e
voleva studiare canto. Poiché era morto il suo insegnante di canto in America,
ha voluto venire qui in Italia, a 28 anni, poi ha incontrato mia madre e “pappappero”.
Mio papà quando è venuto in Italia cominciò a fare regie di programmi
radiofonici culturali, doppiaggi per l’America. Purtroppo a 39 anni se ne è
andato, io avevo 8 anni e mia mamma era incinta di mio fratello. E’ stato un
momento bruttissimo. Mia madre, prima di incontrare mio padre faceva la
costumista al “Piccolo” di Bolzano, quindi in realtà diciamo che in casa ho
sempre respirato arte dello spettacolo. Per cui questo mi ha ispirato, però
credo di avere sempre voluto fare l’attrice, ma è una cosa mia interiore,
perché ho sempre pensato che questo
mestiere sia come una cosa sacra che non ho mai voluto esternare. Mi ricordo in
colonia una volta una ragazza, sai di quelle belle, già formate, mi chiese:
“Cosa vuoi fare da grande?”. E io: “Non lo so. E tu cosa vuoi fare da
grande?”. E lei: “Io voglio fare
l’attrice”. E io ho pensato “Io no” non in questi termini. Quando le ho
sentito dire in quel modo, come uno stereotipo, una sorta di sex symbol
parlante, ho pensato: “Io no, non farò l’attrice”. Invece ho fatto
l’attrice e l’ho fatto perché per me è stata un’urgenza. In realtà chi
fa l’attore ha molto bisogno di amore e fa l’attore e seduce il pubblico
perché ha bisogno di conferme, quindi chi fa l’attore e ha una passione per
questo mestiere, ha un’urgenza di approvazione.
Con quali miti sei cresciuta?
Ovviamente con tutti quelli della mia
generazione, quindi Troisi, Benigni, Arbore e tutti quelli della trasmissione
“L’altra domenica”, ma anche tutte le cose che sono venute prima di noi in
realtà. Una volta c’era una televisione bellissima, quella di Gianni Minà,
quella di Renzo Arbore e quelli sono
stati anni meravigliosi sotto il profilo creativo e della comunicazione
televisiva. E prima ancora c’erano i Bice Valori e Paolo Panelli, Franca
Valeri, Walter Chiari, Mina, Corrado e tutti i divi di quei tempi che per me
sono stati un grande punto di riferimento e ispirazione. Questi sono stati i
miti di quando ero piccola e che mi hanno fatto appassionare alla TV e che sono
stati di grandissima ispirazione. Per
esempio Alighiero Noschese per me è stato un genio assoluto.
Se ti dico Serena Dandini, cosa ti viene
in mente?
Con la Dandini c’ho lavorato, anzi ho
cominciato con lei in TV. Mi vengono in mente le cose che ho fatto con lei in
quegli anni, cioè il programma “La tv delle ragazze”, dove eravamo tutte
molto diverse da oggi. Poi tutti gli altri programmi sempre figli della TV delle
ragazze “Avanzi 1,2, e tre” e tutte le edizioni successive. Ovviamente in
quegli anni facevo molte ospitate televisive, diciamo che sono stata attiva
televisivamente parlando, anche se dopo ho fatto anche parecchio cinema e
teatro. Dopo la malattia ho cominciato a fare spettacoli teatrali da sola mentre
prima avevo lavorato al Sistina con Enrico Montesano e avevo fatto varie altre
cose sempre in teatro, ma mai in scena da sola. Nel cinema la cosa che ho amato
di più è stato aver lavorato con Mario Monicelli. Con lui ho fatto “Parenti
serpenti”, un film meraviglioso e nessuno mi ha mai amato, stimato e
valorizzato quanto Mario Monicelli.
In televisione hai fatto le imitazioni di
Edwige Fenech, di Francesca Dellera, di Anna Oxa e altre star. Qualcuna se l’è
presa?
Non erano imitazioni ma parodie. Francesca
Dellera se la prese un po’, la Fenech no assolutamente, la Mussolini niente
affatto, anzi è stata molto carina. Quando le hanno fatto vedere la mia parodia
un paio di anni fa, lei la guardò e disse: “Ma so’ io!? Io sono così”.
Noi non facevamo come nel programma “Tale e quale show”, a noi non ci
interessava l’imitazione con le capacità di essere uguale. Noi con le
imitazioni volevamo raccontare un mondo, a me piaceva rivelare quello che io
vedevo dentro al personaggio. La Fenech, per esempio, era felice di rispondere
al telefono quando faceva il cruciverbone a Domenica In, perché si liberava
finalmente del suo passato un po’
scollacciato nelle commedie anni 70.
Cinema, tv e teatro. In quali di questi
ambienti pensi di dare il meglio?
A me la comunicazione interessa tutta. L’ho
studiata e scrivo di comicità per trattare argomenti che ci riguardano un po’
più da vicino. Quindi anche a teatro io uso la comicità per affrontare
tematiche contraddittorie. Ed è proprio nella contraddizione che mi ispiro alla
comicità.
Per esempio?
Per esempio ho scritto uno spettacolo dal
titolo: “Mamma, sei sempre nei miei pensieri … spostati” ed è uno
spettacolo non sulle mammine, ma sulla “mammità” e che cosa vuol dire mamma
dentro di noi, vuol dire spesso che noi pensiamo per quasi tutta la vita i
pensieri di mamma e che quindi dobbiamo imparare a crescere ad un certo punto e
a scoprire quali sono i nostri veri pensieri e desideri. Molto spesso le paure
che abbiamo ci vengono dalla mamma e ci rimangono dentro, ma fanno parte della
sua storia, non sono nostre. E a volte ci impediscono di agire per noi stesse,
ma non perché mamma abbia sbagliato, ma perché chi ci cresce ci comunica il
suo vissuto inevitabilmente e noi dobbiamo scegliere se riconfermare quel
vissuto o meno. Il problema della mia vita, per esempio, è stata la paura, la
paura di sentirmi inadeguata e ho dovuto capire mia madre, e la sua paura, per
capire da dove venisse la mia inadeguatezza.
Solo così ho potuto lavorare sulla mia consapevolezza per crescere.
Ora cosa stai facendo?
Io faccio e continuerò a fare l’attrice.
Tra l’altro ho appena pubblicato un post su facebook e su instagram, in cui
esprimo anche la mia posizione su quello che sta accadendo tra Ucraina e Russia
riferendomi soprattutto alla totale mancanza di trattativa per evitare una cosa
così terribile. Spero di essere riuscita a strappare un sorriso nel dirlo.
Come hai vissuto il lockdown, la pandemia?
L’ho vissuta come un qualcosa che abbiamo
dovuto subire tutti, per cui sono stata molto attenta, sono stata isolata, ferma
con il lavoro e senza grandi capacità di fare
nulla perché siamo stati tutti abbastanza scioccati. Quindi l’ho
vissuta facendo il mio dovere e rispettando le regole.
Circa 30 anni fa hai avuto un aneurisma
congenito …
Era la fine del 1991 ed ero all’apice del
successo. Avevo appena finito di girare il film “Parenti, serpenti” e avevo
iniziato una serie per la Rai come
co-protagonista con Lino Banfi. Una sera dovevo andare alla prima del film
“Donne con le gonne” di Francesco Nuti nel quale avevo fatto una
partecipazione, ma molto divertente. Non volevo andare perché avevo un forte
mal di testa. E sono viva perché mia madre mi ha detto: “Non fare la cretina,
vai al cinema, alla prima del film”. Se non ci fossi andata, sarei morta in
casa perché non se ne sarebbe accorto nessuno. Quel mal di testa era il sintomo
della prima emorragia cerebrale in atto. Invece sono andata alla prima del film,
mi sono sentita male e mi hanno portata in ospedale e lì mi hanno trovato
questo aneurisma congenito dell’arteria basilare che è il peggiore che ci
potesse essere.
La Fede che ruolo ha avuto
in quel brutto periodo?
Io non ho un’idea di fede in cui chiedo al
Signore delle grazie. Perché penso che ne dovrebbe fare troppe prima di
occuparsi delle mie. Ho una mia maniera di rispettare la vita che mi spinge
sempre a responsabilizzarmi più che a chiedere. Ho un’idea troppo alta di
Dio. Ma sicuramente quando sono entrata in sala operatoria, in America, l’ho
pregato di non abbandonarmi.
In America?
Sono dovuta andare in America per
l’operazione, perché qui non si poteva fare. Ma
l’ho fatta in America non perché fosse meglio, ma perché in Italia
non c’era ancora il macchinario per operare in extra corporea, visto che
bisognava agire su un organo così vitale al centro del cervello, e infatti si
sono rifiutati di operarmi anche in
tutto il resto del mondo perché era una operazione impossibile. Quindi sono
stata in America per questo, perché il Dottor Spetzler (il neurochirurgo che mi
ha operato) è stato l’unico che ha detto: “portatela qui, io ci provo”.
Ma quando mi hanno messo le mani in
testa, io non sapevo ancora nulla.
Ero andata alla prima del film a Roma e mi sono ritrovata in America, ma prima
sono stata un mese all’ospedale San Camillo, senza avere coscienza. In quei
momenti è stato sicuramente importante l’amore per il mio lavoro, quello mi
ha veramente portato a reagire, non
solo in quel momento, ma anche dopo perché io ho avuto una emiparesi della
parte sinistra bruttissima e ho lavorato 30 anni per superarla quasi
perfettamente. Io anche stamattina ho fatto il mio allenamento e
faccio delle cose mostruose, tipo 500 addominali, altrimenti non avrei potuto
ricostruire l’equilibrio né stimolare una parte cerebralmente morta. Però
devo dire che sono stati 30 anni difficili ma interessantissimi perché anche
misurarmi con una cosa del genere, lavorarci, insistere fino allo sfinimento
altrimenti non lo superi è stata una cosa che mi ha dato molto. Nonostante
questo, io non ho mai maledetto la vita, questo no.
Ci sono stati dei colleghi che ti hanno
dimostrato la loro solidarietà?
A dire la verità non me ne sono potuta
accorgere molto, perché ero in brutte condizioni
e non avevo coscienza e poi sono partita per l’America, però Mario Monicelli
mi chiamava continuamente, è venuto anche in ospedale, ci siamo sentiti quando
sono rientrata a Roma dall’America. Poi c’è stata la prima del film e
ovviamente non ci sono andata perché non volevo che mi vedessero e
fotografassero in quelle brutte condizioni. Ma sei mesi dopo ho
cominciato a lavorare nel programma di Serena Dandini e mi sono inventata
la signorina Vaccaroni, che era un personaggio statico ma bellissimo.
A chi vorresti dire grazie?
Forse a tutti quelli che hanno sopportato gli
anni in cui sono stata insopportabile, cioè quando ho dovuto alzare un livello
di narcisismo e di onnipotenza altissima, altrimenti questa storia non l’avrei
superata. E forse più che grazie, dovrei dire “scusatemi”. Ero
costantemente sopra le righe, perché se non
avessi costruito l’idea di essere una persona quasi eletta, ossia una grande
idea di me stessa, io non ce l’avrei mai fatta ad affrontare una mostruosità
del genere.
Parliamo un po’ della tua città. Com’è
il tuo rapporto con Roma?
Io amo profondamente Roma, però
in alcuni momenti la detesto per la spazzatura per terra, per le buche,
per l’incuria. Capisco anche che è una città difficilissima da gestire perché
è molto vasta, è immensa, però questo non toglie che è una città molto mal
gestita e trascurata. Nonostante tutto, la amo profondamente perché si fa
perdonare per la sua bellezza, la sua atmosfera, che sembra sempre evocare il
suo grande passato. E la amo per l’appartenenza alla romanità, perché
Roma è una città aperta, sempre aperta a tutti.
In quali zone hai abitato?
Ora sto a Roma nord, tra la Camilluccia e la
Trionfale, proprio sopra la via dove hanno rapito Aldo Moro, sopra via Mario
Fani. Prima ho abitato in via Medaglie d’Oro e prima ancora nel quartiere
africano, questo quando ero piccola. Abbiamo cambiato parecchie zone di Roma.
Però dove sto ora io è una zona molto bella, piena di verde, nel cuore di
Monte Mario dove c’è una riserva naturale fantastica. Sai perché si chiama
monte Mario? Perché in origine si chiamava mons Maris, monte del mare, perché
qui arrivava il mare. Come dicevo prima, abbiamo una riserva naturale ricca di
fossili, testimonianze e sedimentazioni di un tempo infinitamente lontano. Infatti
spesso i geologi vengono qui a studiare in questa riserva dove io vado tutti i
giorni a passeggio con i miei cani, per i boschi. Qui ci veniva spesso anche
Leonardo da Vinci e tanti altri studiosi perché era un posto particolarissimo e
ricercatissimo per via dei fossili, preziose testimonianze del passato. Ecco
perché si chiama monte Mario, non perché c’era uno che si chiamava Mario, ma
perché molto spesso, nel passaggio dal latino al volgare
i nomi vengono storpiati e da mons
Maris è diventato mons Mario e poi monte Mario.
Roma ha influenzato il tuo estro
artistico?
Si, io parlo sempre in romanesco quando parlo
con gli altri, ma non per esaltare il dialetto, ma per essere normale, me
stessa. Poi attenzione, ho una mamma padana e un padre nato in America da
genitori abruzzesi, quindi hanno fatto un grandissimo mix.
Io dicevo nelle tue commedie.
Io non faccio commedie, faccio monologhi
senza quarta parete e in realtà tra il pubblico ho una suggeritrice che è una
ragazza o una persona, alla quale, quando io improvviso e devo riprendere per
esempio il discorso, dico, davanti a tutti: “Che stavo a dì?” e lei me lo
dice. Oppure quando non mi ricordo, perché mi capita di non ricordarmi, io
glielo chiedo, lei me lo dice e io spiego al pubblico che se non mi ricordo
qualcosa, io mi porto apposta la suggeritrice “evidente”. E
alla gente piace questo “sdoganamento dell’errore” in realtà, perché il
mio non è uno spettacolo di perfezione, non è uno spettacolo estetico, ma una
condivisione profonda dei limiti, in cui cerchiamo di ridere delle
contraddizioni insopportabili della vita, per esempio del terrore costante di
commettere un errore. Con l’ironia alleggerisco e perdono il rischio di
sbagliare. E tutti ci divertiamo molto. Addirittura a volte credono che faccia
parte del testo. E non è così. Io sbaglio sul serio. Ed è uno dei momenti più
comici solo perché è vero. E’ sinceramente un errore ammesso. E dobbiamo
imparare a perdonarci e a riderne con gli altri.
Da pochi mesi Roma ha un nuovo sindaco.
Hai notato dei cambiamenti?
Non lo so, è troppo presto per valutarlo. A
volte la spazzatura viene ritirata con un po’ più di frequenza, il problema
dei cinghiali e dei gabbiani ce l’abbiamo ancora e sono venuti qui perché
hanno sentito l’odore dei rifiuti per strada. Ma la spazzatura non dipende
solo dalla città, dal Comune, ma anche dalla Regione e quindi sono talmente
intrecciate le cose luride della politica che è impossibile trovare un
colpevole.
Nessuno paga…
Paghiamo noi, con delle bollette molto
salate.