Cochi Ponzoni (cabarettista, cantante e attore)   Milano 25.8.2021

                                    Intervista di Gianfranco Gramola

“Io penso che nella vita quello che ti capita bisogna accettarlo in tutti i modi. Quello che mi è capitato fortunatamente è stato per la maggior parte positivo”

Cochi Ponzoni, all’anagrafe Aurelio Ponzoni, è nato a Milano l’ 11 marzo 1941. Iscritto alla sezione di ragioneria dell'Istituto tecnico Carlo Cattaneo, conosce Renato Pozzetto, iscritto alle classi per geometri. Nel 1962 nasce il sodalizio artistico con Pozzetto, mentre impara da Giorgio Gaber a suonare la chitarra. Il primo impiego stabile del duo è al "Cab64" dove il duo ha successo e viene notato da Enzo Jannacci con cui si instaurerà un rapporto di amicizia e che sarà co-autore di molte delle loro canzoni, Cochi e Renato si dedicheranno anche alla musica, producendo in sala d'incisione le loro canzoni più famose. Nel 1965 il duo approda sul palcoscenico del celebre Derby. Negli anni seguenti diventeranno i campioni di una comicità stralunata e surreale, fatta di una poetica povertà di mezzi, gag fulminee, esasperanti monologhi nonsense, canzoncine dai contenuti grotteschi e scenette divertenti. Dopo l'esordio televisivo in Quelli della domenica nel 1968, sono in TV anche l'anno seguente con È domenica, ma senza impegno (1969). Nel 1973 conducono un programma tutto loro: Il poeta e il contadino - l'incontro che non doveva avvenire. Nel 1974 portano al successo la canzone più conosciuta del loro repertorio, E la vita, la vita (scritta, come le altre, insieme a Enzo Jannacci) e appaiono in Canzonissima. Un anno dopo il duo si scioglie e ognuno di loro segue la propria strada. Cochi decide di fare teatro e si trasferisce da Milano a Roma. Proprio in uno spettacolo teatrale lo nota il regista Alberto Lattuada, che lo vuole con sé nel 1976 per il suo film Cuore di cane (protagonista Max von Sydow). Dopo un periodo di crisi ispirativa, torna in televisione nel 1992 nel varietà comico Su la testa!, condotto dall'amico Paolo Rossi. In verità Cochi non scomparve del tutto dalla ribalta televisiva: nel 1980 è tra gli animatori del programma di Enzo Jannacci Saltimbanchi si muore e negli anni ottanta collabora con TeleRoma 56. Nel 1985 fa parte del cast dello sceneggiato televisivo I due prigionieri. Nel 1996 Cochi partecipa a Mai dire Gol. Dal 2000 torna in coppia con Renato Pozzetto in televisione (Nebbia in Val Padana e Stiamo lavorando per noi per la Rai, Zelig circus per Mediaset) e in teatro (Nonostantelastagione, Nuotando con le lacrime agli occhi - Canzoni e ragionamenti, Una coppia infedele), partecipando anche al suo film Un amore su misura (2007). Nel 2010 partecipa al film campione d'incassi La banda dei Babbi Natale di e con Aldo, Giovanni & Giacomo.  

Curiosità

- Prima di lavorare nello spettacolo, conoscendo l'inglese, il francese e il tedesco, ha fatto il check - in counter per la Lufthansa, la Swiss Air e la British Airways.

Intervista

Tanti anni di carriera. Se lei guarda indietro, cosa vede?

Vedo una vita molto avventurosa e fortunata.

Quali sono i suoi progetti artistici?

Attualmente i miei progetti sono quelli di decidere di film che sono ancora in fase di realizzazione, nel senso che sono ancora in fase di sceneggiatura e per l’anno prossimo una tournée teatrale.

Come sta vivendo questa pandemia? Ha cambiato il suo modo di vivere?

Io sono stato fortunato perché non ho avuto nessun tipo di malessere, né prima, né dopo e quindi l’ho vissuto in modo più sereno. Anche per il fatto che ho la fortuna di avere una casa con un bel giardino e anche quando c’era il lockdown più stretto avevo la possibilità di prendere una boccata d’aria. Diciamo che mi è andata bene.

Vaccino si, vaccino no. Qual è la sua posizione?

Vaccino si, ma alla grande. Però bisogna farlo tutti perché dalle ultime notizie che abbiamo tutti quelli che sono ricoverati in ospedale in questo momento sono quelli non vaccinati. E’ evidente che se non si vaccinano, si rischia.

Parliamo della sua carriera. Da studente al cabaret, com’è  nata l’idea, è sua o di Pozzetto?

La passione ce l’avevamo fin da ragazzi, poi diciamo che l’input è stato quando abbiamo fatto i nostri primi cabaret nel 1974, cioè quando hanno creato il  Club 84, che era l’angolo dell'intrattenimento, del cabaret e lì che è iniziato tutto praticamente.

Ma i suoi genitori come hanno preso la sua scelta di dedicarsi allo spettacolo?

I miei sono stati molto liberali, mi hanno detto: “Fai quello che vuoi, basta che tu sia felice”.

Chi erano i vostri miti?

All’epoca i nostri miti erano Dario Fo’, Enzo Jannacci e i jazzisti. Io da ragazzino  andavo a vedere i concerti dei grandi del jazz, che venivano a  suonare a Milano, al teatro Nuovo. Come grandi del jazz ricordo Gerry Mulligan, Louis Armstrong, Ella Fitzgerand, ecc … Diciamo che ho vissuto la mia giovinezza, la mia adolescenza sempre in mezzo alla musica e al teatro, come spettatore chiaramente.

Il mondo dello spettacolo era come se lo immaginava o l’ha deluso?

Il mondo dello spettacolo per me è sempre rimasto nell’ambito delle nostre conoscenze private, per cui i nostri amici e colleghi erano Dario Fò, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Felice Andreasi, perciò eravamo molto amici e un gruppo molto solidale. Non abbiamo vissuto quelle situazioni di lavoro basate sulla concorrenza, sulla rivalità e la voglia di sorpassare. Eravamo molto amici e ci aiutavamo l’uno con l’altro. Io e Renato eravamo i pivelli della situazione e siamo stati aiutati da Jannacci e dagli altri colleghi più “anziani”.

Fra lei e Pozzetto, chi era il più pignolo, il più fantasista?

Siamo sempre stati molto solidali tutti e due. Non abbiamo mai avuto delle differenze e cercavamo sempre di fare le cose insieme e nel miglior modo possibile e quindi non c’era rivalità fra di noi. Non abbiamo mai litigato e non ci sono stati problemi fra di noi.

Le scene e le canzoni, sono tutto frutto vostro o avevate degli autori?

No, sono tutte nostre, però molte delle musiche sono di Enzo Jannacci e mie. Diciamo che la maggior parte del lavoro è roba nostra, la maggior parte delle canzoni è frutto della nostra fantasia, magari un po’ malata (risata).

Con Mario Monicelli ha fatto un film. Un suo ricordo di Monicelli?

Si, con Monicelli ho fatto il film “Il Marchese del Grillo”. Eravamo molto amici e abitavamo tutti e due a Roma nel rione Monti. Tra l’altro lui ha fatto un bellissimo documentario sul rione Monti.

Lino Toffolo?

Toffolo era il nostro compagno d’avventure, perché abbiamo iniziato insieme nel 1974. Sono stati dieci anni di convivenza e lui era come un fratello maggiore per me.

Enzo Jannacci?

Jannacci è venuto a vederci a teatro, quando facevamo i primi spettacoli di cabaret e gli siamo piaciuti tanto e quindi è stata poi una unione artistica che poi si è trasformata in una grande amicizia. Non ci siamo mai mollati.

Dario Fò?

Dario per noi era il “maestro”, per cui all’inizio ci ha dato una mano. Siccome era talmente preponderante la sua personalità, ci siamo un po’ allontanati perché avevamo paura che  influisse eccessivamente la nostra carriera. Era talmente prorompente e gli abbiamo detto: “Grazie mille, ma cerchiamo di farcela da soli”.

Tornando indietro rifarebbe tutto quello che ha fatto o se potesse cambierebbe qualcosa?

Io penso che nella vita quello che ti capita bisogna accettarlo in tutti i modi. Quello che mi è capitato fortunatamente è stato per la maggior parte positivo. Quindi non ho rimorsi e neanche discriminazioni.

Ha un sassolino nelle scarpe che vorrebbe togliersi?

Un sassolino sarebbe quello che penso riguardo al nostro lavoro, cioè che ci vorrebbe un po’ più di considerazione per il lavoro di attore. Diciamo che ancora siamo in una fase un pochino medievale per quanto riguarda la considerazione nella quale vengono messi quelli che fanno il nostro mestiere. A parte i Vip, quelli che hanno fatto carriera, c’è una schiera di persone, come in tutte le aziende, come nel mondo dello spettacolo che fanno i protagonisti e che dovrebbero essere presi nella giusta considerazione, come i giovani che debuttano nello spettacolo. Le paghe da fame non le prendono solo chi porta il cibo a casa, ma anche i giovani che si avvicinano a questo mestiere, quello dell’attore. Giusta considerazione nel senso che la nostra industria dello spettacolo venga considerata come tale, perché in questo ambiente circolano un sacco di soldi. Diciamo che questa è una cosa che spesso viene dimenticata e viene messa da parte, anche dal pubblico e questo per mancanza di conoscenza, perché l’ industria del cinema da lavoro a tantissime persone. Non ci sono soltanto gli attori, ma anche gli elettricisti, i truccatori, scenografi, macchinisti, assistenti alla regia, costumisti, operatori, fonici, ecc … Se poi guardi la situazione sindacale per i registi, come per i giovani attori, è veramente una situazione da mettersi le mani nei capelli.

Lei prima di entrare in scena ha un rito scaramantico?

No, cerco semplicemente di concentrarmi.

Lei è milanese ma per lavoro ha abitato a Roma. Sempre nel rione Monti, vicino a Monicelli?

Ho vissuto a Roma per tanti anni. L’impatto con la capitale è stato splendido, perché era una Roma diversa da quella odierna, più pulita e più tranquilla. Ho abitato sempre nel centro storico, prima a piazza Rondanini, vicino al Pantheon e poi nel rione Monti, in via Tor de Conti. Io abitavo al piano di sotto dello scrittore e filosofo Luciano De Crescenzo. Per me Roma è stata la mia seconda madre, poi per varie situazioni personali nel 1992 sono tornato a riprendere contatto con Milano, perché mi ha fatto tornare su Paolo Rossi, quando ha fatto “Su la testa!”, per Rai 3, che mi ha voluto nello spettacolo. Da una decina di anni ho lasciato Roma e sono tornato a vivere a Milano.