Enrico Beruschi (attore comico) Roma
16.2.2007
Intervista di Gianfranco Gramola
Da
ragioniere a Drive In
Sono
nato a Milano il 5 settembre 1941, diplomato ragioniere al "Carlo Cattaneo"
nel 1960, dopo "brillanti" anni d'ufficio, nel 1972 vengo spinto da
Walter Valdi ad esibirmi al Derby Club di Milano. Dopo due anni di duro doppio
lavoro, diviso tra palcoscenico e scrivania, decido finalmente di dare le
dimissioni da vice direttore commerciale nella Galbusera Biscotti, per
abbracciare la carriera professionistica dell'attore, buttandomi nel cabaret: il
mio personaggio era quello di un ragioniere, umile impiegato.
Nel
corso naturale delle cose, nel '77 arriva la televisione e in autunno vado in
onda con una trasmissione per bambini ("Qua la zampa", dove sono
"Salvatore l'inventore" che crea strani incroci di animali), ma
soprattutto il leggendario programma "Non stop", che si dice abbia
dato una significativa svolta al modo di fare televisione. In questo caso i
compagni di avventura sono "I Gatti di Vicolo Miracoli", "La
Smorfia", "Boris Makaresko", Marco Messeri, Nicola Arigliano e
tanti altri. Nel
'79 inizia anche l'avventura teatrale con "L'angelo azzurro" di
Amendola - Corbucci con la regia di Vito Molinari, con Minnie Minoprio e
Margherita Fumero (che poi diventerà il prototipo di moglie del povero Beruschi),
e l'attività proseguirà per molto tempo, facendomi sperimentare diversi
generi.
Negli
stessi anni debutto anche nel cinema con delle particine, poi seguono
commedie-cult degli anni settanta - ottanta che hanno avuto molto successo come
"La soldatessa alle grandi manovre", e film d'autore come "Un
borghese piccolo piccolo" del 1977. Negli anni '90 si interrompe la mia
attività nel cinema, ma prosegue quella teatrale, e negli ultimi tempi assumo
dei ruoli significativi nella fiction per la TV. Da
ultimo mi cimento anche in ruoli cantati in operette e nella lirica.
E
l'avventura ancora continua…
Ha detto:
- Non condivido la perfidia di alcuni grandi
comici, che, dietro le quinte, mal sopportano gli applausi e le risate ottenuti
dagli altri. Io gioisco per i successi di questi colleghi.
- Il nostro cast è composto da un gruppo
molto affiatato. Chi non è avvezzo al teatro crede sia normale lavorare in
sintonia, senza malignità, insinuazioni, invidie. Ma io, che conosco questo
mondo, assicuro che si tratta di un’eccezione. Piacevolissima.
- Una sera, alla fine del primo tempo dello
spettacolo, andai tra il pubblico per chiacchierare, come amo fare. Chiesi a uno
spettatore: - Com’è Sibilla? – e lui rispose: - E’ orribile! – Ripresi:
- Si accontenti per ora, poi venga a trovarla in camerino e si accorgerà che è
proprio un’altra cosa! – A fine spettacolo, c’erano almeno cinque persone
in camerino.
- Ho
in cantiere una nuova commedia, ma le prove sono slittate. Nell’attesa, mi
dedicherò ai miei hobby… leggere in milanese, per esempio.
Curiosità
-
E’ un grande appassionato dell’800, di Alessandro Manzoni e della sua
Milano.
-
Prima di entrare nel mondo dello spettacolo era Vice Direttore Commerciale della
Galbusera (biscotti) .
Intervista
E’
al teatro Greco di Roma, con lo
spettacolo “Chi ha detto che gli uomini preferiscono le bionde?”, insieme
alla bellissima Milena Miconi, con la regia di Rosario Galli.
Com’è
il tuo rapporto con Roma, Enrico?
Ho
un rapporto tipico del milanese (risata). Sono innamorato di Roma, però non
so dirti chi è più bella fra Roma è Milano o chi è meno bella. A parte gli
scherzi io sono un grande appassionato di Roma. Ci sono dei punti che io osservo
con gli occhi non da turista, ma da milanese. Siccome a Milano bisogna scoprirli
i posti belli o certi angoli molto suggestivi, anche a Roma faccio uguale.
Un
esempio?
Una
delle cose in assoluto che mi piace di più a Roma è la Fontana di Trevi. Pensa
che io c’ho abitato lì vicino per 6 anni. Ho tenuto un appartamentino tra via
Sistina e via del Tritone per cui ero in zona. Però io a Fontana di Trevi ci
devo arrivare sempre per caso. So dov’è, però non seguo e non leggo il
cartello, faccio una strada e m’illudo di cercarla e di sbucare in quella
piccola e meravigliosa piazzetta. Quando posso mi godo i miei dieci minuti
davanti a contemplarla, anche magari telefonando, passeggiando avanti e
indietro, però con la fontana davanti è tutta un’altra cosa. Anche il
Colosseo ha un certo fascino, con tutta la storia che si porta dietro e San
Pietro che quando mi trovo davanti mi da un po’ di soggezione, perché come ti
dicevo prima, non mi piace fare il turista mordi e fuggi, a me piace guardarla
pezzo per pezzo con molta curiosità e trovare ogni volta qualcosa di nuovo.
Pensa, Gianfranco, che non pensavo più di stare a Roma per un periodo lungo,
pensavo che certe cose fossero tramontate forse in un modo giusto di dire, perché
ho dedicato gli ultimi tempi al teatro milanese, quello doc, perché io sono
milanese purosangue, per cui mi sono dedicato alle commedie in dialetto
meneghino. Non pensavo di venire a Roma per così tanto tempo, con il teatro. Ma
un amico, che è Rosario Galli, con cui avevo gia lavorato, m’ha fatto leggere
questa commedia, l’ho trovata bella e m’ha chiesto di farla e l’ho fatta e
sono tornato a Roma. Altri 2-3 mesi di zingarate, mi sono detto, o meglio 2-3
mesi di Roma (risata).
Ti
manca qualcosa di Roma quando sei a Milano o in tournée?
Si!
Un certo modo di vivere. Mi sembra di essere ancora un ragazzo quando torno a
Roma, forse perché ho dei bei ricordi giovanili (risata). Niente di strano e
niente di male, per carità. Oggi ho messo la sveglia alle 12 e mezzo, perché
ieri abbiamo tirato tardi. Dopo lo spettacolo siamo andati al Gilda e mi accorgo
che passando gli anni in questi locali, con tutte queste ragazze sul cubo, mi
dicono molto poco. Non è che vado matto per questo, però c’è la simpatia
degli anni in crescita. Io spero di crescere ancora e di fare cose nuove e cose
che mi piacciono e in cui credo. Non sono più un ventenne
in cerca di avventure.
I
romani come li trovi?
Io
con i romani mi trovo proprio bene.
A parte ieri, che per poco non mi
beccano sulle strisce pedonali (risata). Ho scritto sul “Giorno” che
ultimamente i romani al volante, quando uno attraversa le strisce pedonali si
fermano, stranamente, perché non era mai successo. Però ieri, quando per poco
non mi stendevano ho pensato:” Bene, siamo tornati ai romani di una volta” (risata). A parte le battute, ho osservato che a Roma c’è più ordine.
Strano, ma è così o almeno è la sensazione che ho avuto. Hanno tanti difetti,
però quello che mi da fastidio è che danno appuntamenti piuttosto vaghi. Ci
vediamo a colazione. Ma alle dodici o alle dodici e mezza? No! All’una e
mezza, due e mezza (risata). Hanno delle colazioni molto lunghe. Un’altra
cosa che mi diverte dei romani è che dicono buonasera a mezzogiorno e io non
voglio essere coinvolto, perché a Milano dicono buonasera al tramonto. Sono
quei giochi di parole che mi divertono molto, usanze divertenti. Nello
spettacolo che stiamo facendo adesso al teatro Greco ogni tanto faccio il
milanese e ad un certo momento vengo sconfitto e allora dico:” Si! Una
soluzione c’è. Torno a Milano, sotto a ‘la Madunina, lì si che si laora (lavora)”. Ei romani si divertono molto.
Ma
per un’artista Roma cosa rappresenta?
In
questo momento è sempre di più il centro motore di tutto. Esiste solo Roma. Io
in questi giorni sto scherzando, perché sono contento di essere accettato e lo
dico anche con due paroline alla fine degli applausi, di fronte al pubblico. Io
non sono considerato uno schiavo, ma un liberto, non sono cattivo anche se
qualcosa mi irrita. Però tutto parte da Roma, il cinema, la televisione, il
teatro si fa tutto a Roma. Questo però un pochino lo contesto, cioè il fatto
che tutto parta da Roma. Ci sono città grosse come Milano e Torino che
potrebbero essere valutate un po' meglio, un po’ di più. Qui c’è una
leggera polemica.
Com’è iniziata la tua avventura nel
mondo artistico?
E’
iniziata per scherzo. Mi ha spinto, così, per gioco Walter Valdi. A quei tempi come punte di diamante del cabaret c’erano il Bagaglino e
il Derby. Walter mi ha spinto ad esibirmi al Derby. Era una parte di merda, però
mi ha detto che faccio ridere. Io l’ho fatto, c’ho provato raccontando un
paio di barzellette. E da lì ho fatto la gavetta.
Hai avuto qualche delusione?
Ce
ne sono, ma passano.
Soddisfazioni?
Tante,
ma tante. Ne ho tutte le sere con gli applausi. La gente che ti ferma per la
strada.
Fra tutti gli artisti con cui hai lavorato
insieme, ce n’è uno che ti è rimasto nel cuore?
Noi
artisti viaggiamo, cambiamo partner, però ricordo la Margherita, quella che
faceva mia moglie a Drive In e che ancora molto pensano che sia veramente mia
moglie, ma non lo è. Mia moglie, quella vera, è un tipo discreto, non lavora nel mondo dello spettacolo a tirato
su i figli e ha fatto il suo bel lavoro che è più difficile. Ecco, direi che
Margherita è quella che mi è rimasta
più nel cuore. come collega.
La cosa più cattiva che hanno detto o
scritto su di te?
Sai
che mi prendi impreparato? Forse quella volta che in quei trattati, in quelle
enciclopedie che pensano di sapere tutto di tutti, hanno scritto che Beruschi è
un personaggio meteora, che passa e via senza lasciare traccia di sé. Non mi
sembro proprio una meteora, perché a parte qualche apparizione come ospite a
Cultura Moderna o a Striscia la notizia, ho fatto e faccio teatro. Prima
prevalentemente un teatro dialettale milanese e adesso in italiano. Però
lavoro, mi accontento e mi va bene così. Agli inizi ho lavorato in
quell’isola felice che è Antonio Ricci, in Drive In con Gianfranco D’Angelo
ed è stato il programma rivelazione e di maggior successo. D’Angelo è una
persona di una grande simpatia e insieme abbiamo fatto tante cose buone e ogni
tanto, quando possiamo, ci troviamo a teatro nei nostri spettacoli.
Hai un sogno nel cassetto?
Ho
un sogno che comincio ad avvicinarmi abbastanza. E’ l’opera lirica. Ho fatto
qualche regia e ho fatto qualche partecipazione. La cosa più bella è che mi ha
chiamato Riccardo Muti, il famoso e bravissimo direttore d’orchestra per il
Don Pasquale. Io sono uno che ama la lirica e che combatte per fare qualcosa di
nuovo, per avvicinarla ai giovani. Il fatto che a Riccardo Muti sia piaciuta
questa cosa che io ho fatto per il Don Pasquale mi ha fatto molto piacere, ma
purtroppo ho dovuto dire di no perché in quel
periodo ero in teatro con una commedia in dialetto milanese e non me la sono
sentita di abbandonare così i colleghi.
Un consiglio che vorresti dare ai giovani
comici?
Vorrei
insegnare ai giovani cabarettisti che si può far ridere e sorridere senza
turpiloquio, senza volgarità ma anche con certi doppi sensi detti con una certa
leggerezza, con una certa eleganza.
A chi vorresti dire grazie?
A
chi mi ha buttato in scena, a Walter Valdi. Forse se non fossi diventato un
attore comico, a quest’ora sarei un bel dirigente. Ma va bene così.
Se potessi tornare indietro, cambieresti
qualcosa?
E’
andata così bene, Gianfranco, cosa vuoi fare. Forse qualche correzione, qualche
ingenuità in meno l’avrei (risata). Pensa che ho mollato Drive In dopo tre
anni, che era il programma di maggior successo di quei tempi. Non è che sono
stato proprio furbo. Fa niente, perché la vita è bella anche così.
Hai un sassolino nelle scarpe che vorresti
toglierti?
No!
Però adesso sto scrivendo delle piccole osservazioni che gente dello spettacolo
ma anche gente comune dice ma non pensa, perché il pensiero a volte lo
considero latitante. Il parlare normale non esiste più. L’altro giorno
sentivo dei colleghi che si lamentavano che la televisione non li guarda più.
Io non è che mi lamento, io prendo atto e ci rido sopra e va bene così.