Enrico Vanzina (sceneggiatore, scrittore,
giornalista e regista) Roma
26.10.2022
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Ho un solo rimpianto. Ero il più grande
di due fratelli. Ma se ne è andato per primo quello più piccolo. Avrei voluto
andarmene prima io”
Io con Enrico Vanzina nel suo studio
Enrico Vanzina è nato a Roma il 26 marzo del
1949. Primogenito del regista e sceneggiatore Steno e di Maria Teresa Nati,
nonché fratello del regista e produttore Carlo Vanzina, vive sin dalla nascita
a stretto contatto con il mondo del cinema. Ottiene il Baccalaureat francese al
Lycée Chateaubriand di Roma nel 1966 e si laurea nel 1970 in Scienze politiche
all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Nei primi anni
settanta il padre lo vuole al suo fianco come aiuto regista per le riprese di
L'uccello migratore con Lando Buzzanca, La poliziotta con Mariangela Melato e
Piedone a Hong Kong con Bud Spencer. A partire dal 1976 ha iniziato a scrivere
sceneggiature, collaborando con i maggiori esponenti del cinema italiano,
realizzando più di 80 soggetti, molti dei quali assieme a registi famosi. Nel
corso di oltre trent'anni ha firmato, insieme al fratello Carlo, alcuni dei più
grandi successi al botteghino italiano e ha realizzato molte fiction televisive
di successo. In quarant'anni nel cinema, è stato autore di oltre cento
sceneggiature. La prima è quella di Luna di miele in tre del 1976, seguita
nello stesso anno da Febbre da cavallo, che molti considerano il suo capolavoro.
Ma è assieme al fratello regista Carlo che scrive sceneggiature di film come
Sapore di mare, Il pranzo della domenica, Eccezzziunale... veramente, Vacanze di
Natale, Yuppies - I giovani di successo, Le finte bionde, Sotto il vestito
niente, Via Montenapoleone, Il cielo in una stanza, Ex - Amici come prima!, Mai
Stati Uniti e Non si ruba a casa dei ladri. Ha inoltre prodotto molti programmi
televisivi, tra cui le serie I ragazzi della 3ª C (1987-1989), Amori (1989),
Anni '50 (1998), Anni '60 (1999) e Un ciclone in famiglia (2005-2008). Nel
biennio 1990-91 collabora con la Penta Film di Mario e Vittorio Cecchi Gori come
consulente generale e capo della produzione. Ha pubblicato 14 libri (Le finte
bionde, 1986 - Sotto il Colosseo niente, 1994 - Colazione da Bulgari, 1996 - La
vita è buffa, 2000 - Vacanze di Natale, 2003 - Il mio mondo, 2006 - Commedia
all'italiana: ritratto di un paese che non cambia, 2008 - Una famiglia italiana,
2010 - Il gigante sfregiato, 2013 - Il mistero del rubino birmano, 2015 - La
sera a Roma, 2017 - Mio fratello Carlo, 2019 - Una giornata di nebbia a Milano,
2021 - Diario diurno, 2022) e ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Dopo aver
collaborato per sette anni al Corriere della Sera, dal 1998 cura una rubrica
settimanale di costume per Il Messaggero.
Intervista
Fellini diceva: “Le interviste mi
tolgono il buonumore perché c’è sempre quell’atmosfera da esame”. A te
le interviste fanno piacere?
Insomma. Leo Longanesi diceva che ogni
intervista è un articolo rubato. E io che faccio il giornalista la penso come
lui.
Come sta andando il tuo ultimo libro
“Diario Diurno”? So che sei in giro per la nostra bella Italia a fare
promozione.
Il successo di un libro non si giudica solo
con il numero delle copie vendute (in questo caso sono abbastanza) ma dal
gradimento dei lettori. Quanto alla promozione serve a capire chi ti legge.
Com’è cambiato il cinema
e il modo di fare cinema dai tuoi inizi ad oggi?
Prima c’era la Sala. Oggi non c’è più.
Cosa aggiungere d’altro…
Un film deve più il successo agli attori,
al regista o alla trama?
Al soggetto. All’idea di base. E subito
dopo alla sceneggiatura.
Quale tuo film ha riscosso più applausi?
Non sono mai stato lì a calcolarli…
La recitazione, secondo te, è più
istinto, talento o scuola?
Le tre cose insieme.
Nei film è più facile strappare una
risata o far piangere?
Ma che domanda. Far ridere è difficilissimo.
Nel mondo del cinema esiste la
riconoscenza?
Nel mio caso sì. Senza Alberto Lattuada e
Goffredo Lombardo, che hanno creduto in me quando ero un giovane scrittore,
oggi non farei il cinema.
So che hai una passione sfrenata per Virna
Lisi. Un tuo ricordo?
Sapeva mettere insieme la bellezza del viso
con il calore del cuore.
E’ vero che Claudio Bisio si è
rifiutato di fare un vostro film? Per quale motivo?
Non me lo ricordo. Avrà avuto le sue buone
ragioni.
Per te scrivere è uno sfogo, un’urgenza
personale o semplicemente un lavoro?
E’ un destino.
Cos’è per te l’amicizia?
Perdonare. E farsi perdonare.
Hai dei rimpianti?
Uno solo. Ero il più grande di due fratelli.
Ma se ne è andato per primo quello più piccolo. Avrei voluto andarmene prima
io.
Hai mai prestato il tuo nome per
solidarietà, per beneficenza?
Non si dice. E quindi non lo dico.
Il tuo rapporto con la Fede?
Credo. Fortissimamente. Se non esiste la
Giustizia Divina il nostro viaggio sulla terra non avrebbe senso. Credo in un
Dio che giudica le nostre azioni.
So che hai incontrato papa Francesco. Come
hai vissuto quel momento?
E’ stato uno dei momenti più intensi della
mia vita. Carlo stava male. Gliel’ho detto e gli ho chiesto di pregare per
lui. Il Pontefice ha tenuto la mia
mano stretta nella sua, fissandomi. Senza parlare. Venti secondi che non
dimenticherò mai.
Come ti immagini l’aldilà?
Con tanti amici e con pochi rompiscatole.
Quali sono i valori che hai ereditato dai
tuoi genitori?
Uno su tutti? L’educazione.
Hai lavorato una vita insieme a tuo
fratello Carlo. Chi era il più pignolo sul lavoro?
Tutti e due. In maniera diversa. Io più alla
ricerca della storia, lui dei costi e di come realizzare il film.
Il più spiritoso?
Forse io anche se dicendolo passo per poco
spiritoso…
Oltre a tantissimi personaggi famosi, ho
letto che hai conosciuto Ennio Flaiano. Un tuo ricordo?
Un giorno gli chiesi: “A cosa serve
scrivere?”. E lui rispose:” A sconfiggere la Morte”. Aveva ragione.
Di quale consiglio nella vita hai fatto più
tesoro?
Me lo disse mia madre. La felicità si
ottiene accettando i propri limiti.
Com’eri Enrico da ragazzo, che Roma
frequentavi e soprattutto com’era la Roma della tua gioventù?
Ero un giovane degli anni 60, quindi felice,
in una città che regalava felicità.
Tre aggettivi per definirti?
Ne basta uno: sono molto Pop.
Il tuo rapporto con il denaro? Ami
spenderlo o accumularlo?
Amo ricordarmi come l’ho guadagnato. Penso
che dietro ai soldi c’è sempre il lavoro.
Alla vita più hai dato o dalla vita più
hai ricevuto?
Non faccio mai questo tipo di statistiche. Il
dare e avere nella vita conta poco. Contano i sentimenti. Che non si
quantificano.
Cosa ti irrita, ti fa arrabbiare?
I presuntuosi e i radical chic: Ma più che
farmi arrabbiare mi fanno pena.
Suoni molto bene il pianoforte. Con quali
miti musicali sei cresciuto e quale ancora oggi ti intriga, ti fa emozionare?
Mi piace tutta la musica: classica,
operistica, folk, pop, jazz. Non mi piace il Rap.
Com’è nata la passione per il
canottaggio e com’è oggi il tuo rapporto con il Tevere?
Il canottaggio è fatica e voglia di
condividere lo sforzo con altri. E’ uno sport di squadra. Il Tevere è un
fiume che non riesce a essere considerato tale. Da me, però, sì. Lo rispetto.
Come vedi la Roma di oggi? E’ una Roma
rassegnata?
E’ una Roma in attesa del rilancio.
La chiave del tuo successo?
Amare la gente. E la vita.
Un domani come vorresti essere ricordato?
Come uno che ha raccontato questo paese.