Giorgio Tirabassi (attore e musicista) Roma 18.2.2004
Intervista di Gianfranco Gramola
Una
star che parla in romanesco
Giorgio
Tirabassi è il Commissario Ardenzi in “Distretto di Polizia”, la
seguitissima fiction di Canale 5, ed è
diventato un mito. “Il successo di
questa serie lo tocco con mano ogni giorno
a Roma. – spiega Giorgio – C’è
gente che mi ferma al semaforo o per strada a chiedermi come va a finire una
scena o notizie sui miei colleghi”.
Tirabassi è nato a Roma il primo di febbraio del ‘60 (Acquario). Ha fatto
le scuole prima con le suore, poi con i salesiani e infine ha frequentato la
Ragioneria. Prima di diventare
famoso con il personaggio del Decimo Tuscolano, Giorgio aveva al suo attivo gia
molti lavori sia nel cinema, in teatro e in Tv. Ecco
un breve elenco delle sue fatiche.
Film: Il branco – L’ultimo capodanno – La cena – Paz –
Snack Bar Budapest – Il caso Sutter.
Tv: La Tv delle ragazze – Villa Arzilla – Ultimo – Ultimo, la sfida – Club
92 – Fantastico - Borsellino.
Teatro:
Coatto Unico (uno spettacolo esilarante, disincantato e spontaneo) –
Infernetto.
Ha detto:
-
I ragazzi non sanno chi era Borsellino. Mi piacerebbe capissero che in Tv, oltre
al Grande Fratello, c’è spazio per altro. Nelle scuole, all’anteprima del
film su Paolo Borsellino, non volava una mosca.
-
Fare teatro è un po’ come tornare in palestra. E’ un lavoro che ha aspetti
di durezza e di rischio, ma che ti consente di raccontare ciò che ti sta a
cuore.
-
Il momento che viviamo in Italia, emblematico per certi aspetti, è affollato di
persone che cercano di non pagare le tasse e di furbi allergici alle regole.
-
In teatro è sempre cos: scrivi centinaia di foglietti per mesi e mesi e poi
tutto si risolve nelle ultime tre settimane, quando l’adrenalina non ti lascia
neanche dormire.
Curiosità
-
E’ sposato con Francesca, ex ballerina, ora gallerista e hanno due figli: Filippo e
Nina.
-
Per calarsi nel ruolo del giudice Paolo Borsellino ha studiato le sue
fotografie, le sue interviste televisive, le immagini, il suo modo di camminare,
di parlare e di accendere una
sigaretta dietro l’altra.
- Da
ragazzo sognava di iscriversi all’Isef per diventare professore di educazione
fisica. Il ruolo come attore era impossibile dato che era balbuziente.
Intervista
Giorgio
che io ho chiamato al cellulare, mi invita a telefonargli al numero fisso, perché
dopo un po’ il telefonino gli dà la nausea.
Come va Giorgio lo spettacolo che stai
portando in scena al Brancaccio “Infernetto” ovvero “La irresistibile
discesa di Arcangeli Angelo detto Angioletto”?
Bene.
Cerca di barcamenarsi un po’ nel panorama romano, rispetto alla pubblicità
che ne viene fatta. Ma il pubblico mi sembra molto contento.
Io ho la tua videocassetta di “Coatto
Unico” che hai registrato a Rebibbia. Complimenti! Sai, io sono un grande
appassionato di Roma!
Appunto,
questo fatto mi diverte e mi incuriosisce molto, un trentino che collabora con Voce
Romana e scrive cose su Roma.
Veniamo all’intervista, Giorgio. In
quale zona di Roma hai passato l’infanzia e che ricordi hai?
Sono
cresciuto tra l’Aurelio e il Trionfale, che è una zona appunto che si chiama
Valle Aurelia, chiamata anche Valle dell’Inferno, per via dei forni che
cuocevano i mattoni. Quella era una zona di fornaciari ed è diventato poi un
borghetto spontaneo, di abuso, cioè senza fognature, ecc... Col tempo si è
regolarizzato tutto, però allora era così. Io abitavo nei palazzoni nuovi
vicino Baldo degli Ubaldi, parlo del ’70. Io sono nato nel ’60 e vivevo a
piazza Irnerio (via Aurelia) e poi un po’ più giù. Quella era la zona mia. E
quella zona lì ha quella storia
che pochi sanno, cioè quelli che ci abitavano e ci abitano. Io sono stato in
quella zona lì per molto, tranne una parentesi al Flaminio, e adesso sto al
Balduina, che è un po’ sopra alla zona Trionfale ma è sempre nel quartiere
mio, sono rimasto in quella zona a cui sono molto legato.
Che
rapporto hai con Roma?
Io
ci vivo da quando sono nato, ci vivo anche volentieri. Quando posso scappo, ho
una casa in campagna, perché la vita in città è frenetica, e in campagna mi
rilasso. Quel giorno che c’è stato il blocco delle macchine, ho preso un taxi
per andare in teatro e ho fatto delle strade tipo via Merulana senza una
macchina, Via dei Fori Imperiali. Bellissimo. Posso immaginare come poteva
essere Roma fin nel ’40 al ’50, cioè quando c’erano poche macchine. Roma
era più tranquilla più vivibile. Pensa, prima della costruzione di via della
Conciliazione, come doveva essere Roma. C’era Borgo Pio, un borgo
popolarissimo, con tutti i vialetti e ovunque ti giravi vedevi il colonnato di
San Pietro, era una cosa meravigliosa. Il boom edilizio di Roma, veniva
esercitato proprio nelle zone di
Valle dell’Inferno, dove c’erano le fornaci di cui ti parlavo prima. Via
delle Fornaci era una zona dove c’erano 30 fornaci, che funzionavano tutte a
pieno ritmo, nel boom edilizio era una cosa mastodontica. Adesso ne è rimasta
soltanto una a testimonianza, che si può vedere a Baldo degli Ubaldi. Ma ce
n’erano a decine. Era praticamente una zona industriale di quei tempi. Quei
monti di creta era tutto un
possedimento di un conte che sembra abbia avuto un rapporto particolarmente
sensibile con tutti gli operai, nel senso che lui ha ospitato questo Borgo, che
era abusivo, e lui aveva questo
rapporto con tutti quelli della Fornace. Perché questa cosa di via Aurelia è
un esperimento, è un grande esempio di mondo operaio. Da qualche parte è
citato ma sono in pochi a saperlo. E’ una grandissima storia.
E
il tuo rapporto con la cucina romana?
E’
buono, la faccio una volta al mese, intendo la cucina romana, quella della
pajata, le code alla vaccinara. Io vado sempre a mangiarla da un mio amico che
ha una trattoria dove ci mangiamo tutta sta roba. Non ci vado tutte le sere
perché ogni volta che mangio lì, la notte bevo come un cammello. Però quelle
che sono le cose romane, i carciofi alla romana, i bucatini ecc... quelli li
mangio spesso. Poi, parlare con te che sei trentino, voi che avete una cucina
sana e genuina, sai che tre mesi in
Trentino li farei volentieri. La vostra cucina è diversa dalla nostra però è
questo il bello perché ogni posto che vai
deve essere così, è bello cambiare. Eppure in Italia si mangia
magnificamente bene dappertutto. Meno male. Hai visto in Gran Bretagna, in
America le porcherie che si mangiano?
Cosa
provi a ritornare a Roma dopo una lunga assenza?
Mi
fa molto piacere. Quando sto fuori per molto tempo e torno a Roma, mi sento
emozionato e non soltanto perché vedo persone care, ma anche perché sono molto
legato ai posti, alle zone della mia infanzia. Io c’ho dei bei ricordi. I miei
nonni tutti e quattro erano romani, mia madre è nata a via Monserrato vicino a
via Giulia, giocava a piazza Farnese. Un
mio parente che era romano, faceva il sellaio e c’aveva diverse botteghe. Una
è rimasta ancora e ce l’ha mia cugino a via Aurelia, ed è uno degli ultimi
artigiani storici. Poi io sono romano romano e una mia forte intenzione è
quella di raccontare Roma. Io ho sempre raccontato un pezzetto di Roma nei miei
spettacoli, pure quella sbagliata. Il questo spettacolo “Infernetto” c’è
tutta la Roma sbagliata, ossia la Roma negativa, i nemici della società. Poi io
gli do l’accento romanesco,
conosco questo, ma se viene un attore
trentino e lo fa con l’accento trentino non funziona. Anche qui bisogna stare
attenti con la comunicazione che hanno le lingue, soprattutto quelle che si
impongono un po’ di più, perché sposano una commedia storica, parliamo del
romanesco che ha fatto storia con i film di Monicelli, disegnando così un
Italia spietata. Ma era l’Italia che era spietata, non i romani. Sono in tanti
a confondere le cose, come quelli che dicono che i romani non fanno niente, i
siciliani sono mafiosi, i napoletani sono truffatori, i milanesi lavorano e
basta, i trentini mangiano polenta che è meglio, ecc… C’è tutta una serie
di gelosie della propria cultura, quando invece, secondo me, da 40 anni a sta
parte non c’è poi una cultura individuale, ma italiana. Da quando c’è la
televisione è tutt’uno. Si! D’accordo ci sono le regioni, i paeselli e la
loro storia. Io vedevo un documentario di Pier Paolo Pisolini che si chiamava
“Comizio d’amore”, dove lui va in giro per l’Italia a intervistare gli
italiani sui costumi sessuali ed altro. Parliamo
del 1956-57 e lì, al sud dicevano:” L’omo è omo, la donna deve fa’ la
donna”. Al nord:” Io credo che la donna possa fare il lavoro dell’uomo”.
Dal giorno alla notte la differenza di mentalità. Non è più così, ma non è
stato più così già da 20 anni. Il ’70 non è stato così. Pur mantenendo le
caratteristiche che incide in ogni persona di ogni regione, però rimane,
secondo me, un momento di aggregazione, di influenze reciproche. Hai visto,
Gianfranco, come parlano i torinesi che sono mezzi siciliani e che dicono:”
Mischia”, è ridicolo o come molti usano il romanesco per dire certe cose,
magari imparate dalla Tv. Oppure quando il romano c’ha la puzza sotto il naso
e vuole fare il milanese, tipo:” Faso tuto mi, ghe pensi mi!”. Questo è un
atteggiamento dovuto anche a degli esempi che ci stanno. Quindi adesso il
milanesismo uguale a berlusconismo. Poi bisogna esportare la propria cultura e
mi pare che sono in pochi a farlo. Non mi pare che in Lombardia si possa
esportare la propria cultura teatrale musicale, a parte dei Gaber e Iannacci,
per forza, ma io parlo di cose più antiche. Io porto in teatro dei pezzi del
‘900, con delle canzoni di fine ‘800. Ecco, i napoletani hanno una
dizione, in questo senso, anche maggiore. Noi la cultura la tiriamo fuori, i
siciliani la fanno. Mi sembra, senza offendere nessuno, che ci sia un problema
di amore verso la propria terra, la
propria cultura e dall’altra parte anche di difficoltà
a portare una lingua che è diversa, perché c’ha influenze francesi.
Però hai visto, Gianfranco, come questi registi pugliesi hanno fatto un film
completamente in dialetto barese:” La capra gira”, con sottotitoli in
italiano, con un grande senso dell’ironia. Un film buono e che ha portato la
Puglia persino nel tuo Trentino, caro Gianfranco. Per fortuna io sono nato in
una città dove ci sono tradizioni ben
piantate. Sarà che io sono romano romano non è che ci sono arrivato 20 anni fa
a Roma, ce sò da quando ce sò nato.
Di
Roma cosa ti da fastidio?
Mi
da fastidio il fatto che non si riesca a far convivere delle opere d’arte di
secoli e secoli fa, con la necessità del gusto dell’architettura moderna. A
Roma è un problema, perché dovrebbe essere tutta un museo. Guarda che fino a
qualche anno fa, prima dell’anno santo, ancora il traffico di Roma
passava vicino a Castel Sant’Angelo. Il problema è questo, ma
d’altra parte è un borgo molto abitato e tutti vogliono abitare lì e allora
non si può deviare il traffico. Bisogna fare qualcosa per Roma, a prescindere
dalle frasi dette. Bisogna fare qualcosa, perché Roma è veramente un
patrimonio. Negli ultimi 50 anni gli hanno fatto male, un male davvero. Roma
sopporta tutto, nei secoli. Ne ha viste di tutti i colori. Ci sono passati gli
antichi romani, poi i carri armati nel ’40 e poi dopo il 490 barrato (bus ).
Che vuoi fare? Bisognerebbe svuotarla, distruggerla e rifarla o
fregarsene dei monumenti che, alcuni, a mio avviso, sono pure brutti.
Tipo?
A
me, l’altare della patria, mica me piace. Centra co’ la storia de Roma, c’è
stata pure la dittatura fascista che fece anche delle zone molto belle, dei
palazzoni meravigliosi. Comunque per me è
brutto, però c’è, sta a piazza
Venezia. E’ che se levi quello, dentro c’hai il foro di Augusto, non è che
c’hai l’autostrada. Insomma è
complicata la faccenda. Bisognerebbe vivere con un po’ più di rispetto per la
città, ma questo non solo a Roma, ma dappertutto. Si deve prima di tutto
migliorare l’individuo che vive
dentro di sé e il resto poi viene da solo. Nelle città vengono le strutture,
viene l’educazione civica, viene tutto, insomma. E’ una ruota.
Qual
è stata la tua più grande soddisfazione artistica, Giorgio?
Ne
ho avute diverse. M’ha fatto molto piacere vincere il David di Donatello con
un cortometraggio che ho fatto da regista. Ho fatto la mia “Opera prima” e
ho ricevuto questo riconoscimento. Ho avuto anche delusioni, si, ma sono tutte
piccolezze. Faccio ‘sto lavoro da 24 anni, perciò ci sono state anche delle
delusioni, però servono a crescere, a maturare, credimi, Gianfranco. Così
nella stessa misura servono le soddisfazioni e le delusioni. Non bisogna dargli
un valore diverso, anche se mi rendo conto che non è facile capirlo, però è
così.
La
passione per lo spettacolo è nata perché c’è qualche artista in famiglia,
Giorgio?
No!
Assolutamente. E’ nata perché ce l’avevo dentro quando giocavo. Avevo una
facilità nell’immedesimarmi nei
giochi che facevo, nel raccontare le cose divertenti, le barzellette. Insomma è
una cosa che è cresciuta con me.
I
tuoi genitori che futuro sognavano per te?
Non
lo so, perché a 20 anni ho iniziato a fa’ l’attore, adesso ne ho 44 e i
miei genitori li ho perso gia da 20 anni, quindi mi hanno visto solo agli inizi,
quando cominciavo. Hanno fatto appena in tempo a vedere alcune cose belle che
facevo agli inizi. Ho lavorato per 9 anni con Gigi Proietti. Loro mi hanno visto
non come il ragazzo scapestrato che
faceva solo qualche esperienza di teatro d’avanguardia, dove loro non si
divertivano molto, ma come il bravo ragazzo che andava anche in televisione ed
erano tranquilli e soddisfatti, insomma. Forse loro sognavano tutto questo,
sognavano un futuro che piacesse a me.
Quando
non lavori, quali sono i tuoi hobby?
Ce
ne ho pochi di passatempi, caro Gianfranco. Io, come te, ho due figli, uno di 14
anni e uno di 6 anni e quindi gli hobby non li posso curare bene, anzi non vedo
l’ora di lavorare così me ne vado (risata). A parte gli scherzi, quando ho
un po’ di tempo libero lo dedico ai miei figli, perché quando lavoro mi
mancano tanto e loro riescono a darmi tanta energia, tanta forza.
Un
tuo pregio e un tuo difetto?
Questo
lo dovrebbero dire gli altri, anche perché io non amo parlare di pregi e
difetti. Ognuno è fatto a modo suo. Diciamo che ho qualche punto debole come
tutti.
Il
complimento che hai ricevuto e da chi?
Poco
tempo fa, stavo a piazza Augusto Imperatore e c’era un pulmino, un furgoncino
che mi suona il clacson e vedo l’autista che mi saluta. Siccome grazie a
Distretto di Polizia e al commissario Ardenzi tutti mi conoscono, qui a Roma poi
sono molto calorosi, io l’ho salutato e questo è sceso dalla macchina e mi è
venuto incontro. Io non l’avevo riconosciuto anche perché non potevo
riconoscerlo. Lui era uno dei detenuti del carcere romano di Rebibbia, che aveva
assistito allo spettacolo:”Coatto unico” e mi ha ringraziato
dicendomi:” Guarda, m’hai fatto passa’ un’ora spensierata,
m’hai proprio dato ‘na mano. Quell’ora per me è stata come una settimana di ossigeno!”. M’ha detto delle cose meravigliose che
mi hanno riempito di orgoglio. Se con il lavoro nostro si può fare del bene,
allora penso che dovremo stare tutti in prima linea, in qualche modo, perché il
lavoro è fatto veramente così.
Che
rapporto hai con la Fede?
Ci
guardiamo a distanza, però ci guardiamo, si! Ho fatto la confessione, la
comunione come tutti. Alla comunione ero pronto a fare San Francesco, ero pieno
di amore, di fiducia, poi, come succede ed è successo ad altri che adesso sono
laici, lo scontro che c’è da sempre tra l’uomo e la Fede, con il momento
storico che offriva tantissimi stimoli per litigare per quello che faceva la
chiesa. E’ stato forse il vero problema del mio rapporto con la Fede, perché
con la Fede ho un rapporto molto intenso, ma un po’ diverso dalla Fede che
vedevo io quando facevo la prima comunione. Però io credo che dentro ogni uomo
ci debba essere il sacro, assolutamente si. Poi sta a noi dare un immagine, un
nome. Certo che essere cattolico dà tanti vantaggi, nel senso che una volta che
ti appoggi alla Fede c’hai santuari, c’hai la vita di tutti i santi, ecc…
Una volta che sei laico, sei solo. Io ho un buon rapporto con me stesso, parlo
come dialogo interiore e c’è anche la Fede e di conseguenza da quando ho
avuto la fortuna di diventare popolare con “Distretto di Polizia” ho cercato
di fare di tutto per aiutare associazioni e chi avesse bisogno. Anche per ché
con la popolarità è facile fare del bene, basta poco per far sorridere chi sta
peggio di noi. Ogni tanto viene a trovarmi qualche disabile. Tu Gianfranco non
hai idea la faccia di questi,
felici di vedermi, mi salterebbero
addosso (risata). Se quello serve a dare un momento di felicità a quelli che
stanno male o che sanno di essere
diversi dagli altri, facciamoli felici. Che ci costa? Ma come c…o si può
vivere così? Vabbè , non è colpa loro, ma se possiamo farli felici con
niente, facciamolo.
Con
il successo sono cambiate le tue amicizie?
No!
Per fortuna. Anche perché il successo mi è arrivato a 40 anni. Al successo ci
ero andato vicino parecchie volte e alla fine, quando è arrivato, ero già
tranquillo. Adesso riconosco che è tutto più comodo, ad esempio quando vado in Banca, al fatto che sei conosciuto, sei valutato in un altro
modo. Sei agevolato in tante cose.
Anche in questo tipo di operazioni tipo lo spettacolo teatrale.