Giulio Scarpati (attore) Roma 7.1.2004
Intervista di Gianfranco Gramola
Un
attore baciato in fronte dal successo
Giulio
Scarpati è nato a Roma il 20 febbraio del 1956. Il papà è avvocato e la mamma
una insegnante. Lavora in teatro dal 1977 al 1983 con la Cooperativa Teatro G.
interpretando opere di Carlo Goldoni, Wolfgang Goethe e Denis Diderot. Al cinema
si fa conoscere al grande pubblico con i film “La riffa” e “Chiedi la
luna”. Nel 192 è uno degli
interpreti di “Tutti gli uomini di Sara”, di “Gangster” e “Mario,Maria
e Mario”. Nel 1993 la sua attività cinematografica prosegue con “80 metri
quadri”. Diverse sono le sue interpretazioni nel 1995, a cominciare da
“L’estate di Bobby Charlton”, poi “Il cielo è sempre più blu” e
“Pasolini, un delitto italiano”. Nel 1996 interpreta “Italiani” e
“Cuori al verde”. Nel 1997 approda nella fiction televisiva
partecipando a “La casa bruciata”. Ma il grande successo
arriva nel 1998 quando partecipa
alla fiction Un medico in famiglia, dove interpreta il ruolo del dottor Lele
Martini. Nel 2000 partecipa alla seconda serie della fiction e 5 anni dopo
partecipa all'ultima puntata della quarta serie. Nel 2004 ha anche interpretato
il ruolo di commissario nella fiction targato Rai “ Una famiglia in giallo”.
Nella stagione televisiva 2006 torna su Canale 5 per interpretare il ruolo di
don Luigi Di Liegro. Ma la sua grande passione resta sempre il teatro.
Filmografia
1974: Sangue più fango
uguale logos passione - 1984: Ill ungo inverno - 1989: Roma, Paris, Barcelona
-1991: La riffa - 1991: Chiedi la luna -1993: Il giudice ragazzino - 1993:
Mario, Maria, Mario -1994: L’estate di Bobby Charlton -1995: Pasolini – Un
delitto italiano -1996: Cuori al verde -1997: Figurine -1998: Un medico in
famiglia -2001: Cuore -2001: Resurrezione -2003: A luci spente -2003: L’ultima
pallottola -2004: Le campane di Sant'Ottone -2004: Una famiglia in giallo -2007:
L’uomo della Carità – Don Luigi Di Liegro.
Teatro
Passo falso - Colpi bassi – Gocce d’acqua - L’idiota – Aggiungi un posto a tavola – La notte poco prima della
foresta.
Ha
detto:
- Esco
di casa al mattino e trovo ragazzine che mi invitano alle loro feste. Entro al
supermercato e non so quando uscirò. C’è persino chi, scambiandomi per il
Dr. Lele, mi chiede qualche consiglio per un dolorino…
- La
passione per il canto, me la porto dietro fin da piccolo. Ero l’urlatore di
via Brunetti. La tata, mi insegnava le canzoni di Modugno e insieme
gorgheggiavamo come matti.
- Io
ho un abitudine professionale: osservare come si comporta la gente nelle più
disparate situazioni, in auto, in coda all’autobus, al bar o al ristorante.
- Ho
una scuola di recitazione. Ma chi ha più voglia di imparare, se a fare la
velina si guadagnano soldi a palate?
- Al
mattino voglio alzare le persiane, stiracchiandomi e sbadigliare senza che mi
venga la sindrome d paparazzo. L’altro giorno mi è sembrato di scorgere un
cavalletto e vedo flash ovunque.
Curiosità
- Ha
aperto una scuola di recitazione, condotta personalmente da lui, con la
collaborazione didattica dell’attrice Silvia Luzzi e della regista Nora
Venturini ( sua moglie ) e ha sede al Teatro “Le
Maschere”, via A.
Saliceti n°1/3 00153 Roma.
Per
informazioni e contatti: 347.8437605 - 06.58330817
percorsidattore2@libero.it
Il
progetto è promosso con il sostegno dell’ I. M. A. I. E. (Istituto per la
Tutela dei Diritti degli Artisti Interpreti Esecutori).
- Nel 1988 è vincitore del Biglietto
d’Oro, per il film “Orfani”, nel 1989 riceve il Premio per il miglior
attore promettente, conferitogli da Giorgio Strehler e nel 1994 è vincitore
dell'Efebo d’Oro e del Davi di Donatello, quale miglior attore del film “Il
giudice ragazzino”.
- Sposato con Nora Venturini (regista e
sceneggiatrice), hanno due figli, Edoardo e Lucia.
- Il papà Francesco, è avvocato. Giulio, ha
un fratello che ha una cooperativa di prodotti biologici e una sorella, laureata
in giurisprudenza, che scrive romanzi con lo pseudonimo di Emily Ashley.
- Ha adottato due piccoli indiani, grazie al
CIAI, centro italiano aiuti per l’infanzia, di cui è anche testimonial. È
molto attivo in iniziative di solidarietà.
Intervista
Vive
in un appartamento di 150 metri quadrati, a metà strada tra la città del
Vaticano e la Rai di viale Mazzini. “E’
un bel posto
– ammette l’attore - però spesso ho
la tentazione di trasferirmi in campagna, per far respirare aria pulita ai miei
figli”.
In
quale zona di Roma sei nato e come la ricordi?
Ho
passato l’infanzia in centro, via Brunetti, piazza del Popolo, Villa
Borghese. Quella Roma me la ricordo bene perché c’erano ancora tanti negozi
di artigiani e la domenica mattina ci vedevamo sotto il portone di casa mia, io,
mio fratello e altri bambini del quartiere e andavamo assieme a Villa Borghese a
giocare a pallone o a giocare al Pincio. Quando, la domenica mattina era
consacrata a questo rito. Trovare però tante persone per giocare a pallone non
era facile, anche perché a volte i genitori non cedevano i propri figli e
quindi c’era spesso il problema del numero. E poi, andando a scuola lì
vicino, avevo un rapporto con il quartiere, molto buono e conoscevo tutte le
botteghe, i falegnami, gli
artigiani. Il quartiere aveva più la struttura di un piccolo paese, un piccolo
borgo dove tutti si conoscevano e questo rappresentava anche un grosso elemento
di assicurazione per i miei genitori. Sapevano che all’interno del quartiere
ci conoscevamo e quindi erano tranquilli.
Attualmente
che rapporto hai con Roma?
Beh!
Mi piace molto. La sento fisicamente, ne sento molto la mancanza quando sono in
tournee. Quando ci ritorno è una gioia e mi faccio una passeggiata sui ponti di
Roma e mi emozione alla vista del Tevere e dei suoi platani e i colori giallo
ocra dei palazzi romani, i colori del tramonto, ecc… Roma è una città molto
flaccida, che tira più alle mollezze che al fare, cioè al contemplare che al
muoversi, per cui nel momento di riposo e di riflessione, questa vista bella è
un elemento che ti arricchisce. Ora, chiaramente, non sempre si può godere di
questa bellezza, sia per ragioni di tempo, sia per il tipo di vita sempre più
precipitosa, ogni tanto, se ci si potesse fermare un attimo, sui ponti, non
sarebbe male.
Il
tuo rapporto con la cucina romana?
Bello.
A me piace abbastanza la cucina romana. Devo dire però che non ho avuto
conoscenza diretta perché i miei genitori sono di Napoli, quindi quella romana
non è una cucina che ho frequentato. Io non ho generazioni di romani alle
spalle, quindi i piatti romani sono piatti visitati da altri, nel senso fatti da
un altro tipo di cultura. Ad esempio, nelle trattorie dove mio padre ci portava,
io ero ragazzino, c’era la cucina romana e quindi conoscevi questi gusti anche
forti, se vogliamo, a me piace molto l’abbacchio, ad esempio. Poi c’è la
cucina giudaico - romanesca, con i suoi carciofi, anche questi rappresentano una
variante alla cucina romana. Ma il tipo di trattorie che c’erano una volta
sono sparite e probabilmente anche l’idea di questo fast food
ha distrutto l’economia di queste piccole trattorie famigliari che in
qualche modo facendo due primi e due secondi e non di più, mantenevano una
certa genuinità del prodotto. Adesso è tutto più standardizzato, più veloce,
l’insalata sarà più verde però sa di poco. Io sono per lo slow food
assolutamente.
Esiste
una Roma da buttare?
Beh,
come in tutte le città, c’è la Roma del traffico impazzito, quella è da
buttare, ma è un problema difficilmente risolvibile. Un po’ perché le
metropoli hanno questo problema e un po’ anche perché nel carattere nostro
c’è una pigrizia eccessiva nell’uso del mezzo privato, quindi io chiuderei
il centro storico, intanto perché per chi
ci vive è meglio e poi perché è una zona che va visitata a piedi, passeggiare
e ammirare senza essere investiti da una marea di macchine.
I
romani pregi e difetti?
Un
po’ la pigrizia. Devo dirti che io sono si, nato a Roma, ma ho il padre di
Fondi (Latina) e la madre napoletana e la maggior parte di parenti sono
napoletani, poi io ho un ramo svizzero che si è trasferito a Napoli insomma
c’ho un misto abbastanza forte. Ma la cosa che mi da più fastidio è un po’
l’imprecisione dei romani agli appuntamenti, io solitamente sono puntuale,
quindi mi da fastidio quando mi dicono: “Ci vediamo tra le 10 e le 11”.
Quest’idea un po’ vaga del tempo. Se ci fosse veramente l’apprezzamento di
questa cultura, di questa tradizione, ci sarebbe una difesa più forte anche del
territorio, del patrimonio artistico e culturale che Roma ha. Invece spesso è
difesa un po’ di facciata, molto e questa è una cosa che non mi piace
proprio, perché amo molto la mia città, vorrei che anche i romani l’amassero
di più nel profondo, non soltanto per celebrare la culla dell’impero romano e
dire:” Noi abbiamo inventato gli acquedotti, ecc…”. Noi dobbiamo trovare
altri motivi di orgoglio contemporanei, altrimenti diventa una celebrazione
degli antichi romani. Quindi tutte quelle iniziative che servono a valorizzare
la città e a renderla più vivibile e culturalmente più viva, chiaramente mi
trovano concorde.
Nei
momenti liberi, in quale zona di Roma ami rifugiarti?
Sai,
Gianfranco, ci sono dei luoghi a Roma che io chiamo di passeggio, che sono il
Fontanone, villa Pamphili, ecc… Ecco, villa Pamphili è un luogo molto bello,
dove a volte passo la domenica con i figli, a fare il picnic, due panini al
volo e due tiri al pallone. Questo diventa un modo di vivere la città, senza
considerarla soltanto un problema di parcheggio, di semafori e di lunghe attese.
A me piace molto passeggiare a piedi, un po’ dove capita, al centro
chiaramente.
Com’è
nata la passione per lo spettacolo, Giulio?
Perché
nel mio palazzo abitava una vecchia attrice argentina. Io avevo 12 anni e lei
cercava un bambino per il teatro e chiese a mia madre se ero disponibile e ci
fecero questo spettacolo. E da lì cominciò questa lunga avventura. A 16 anni
frequentai una scuola di recitazione e a 19 anni entrai in una cooperativa
teatrale e cominciai a fare spettacoli a Roma e non solo nella capitale. E’
partita così, con una partenza, diciamo, infantile, a 12 anni. A quell’età
non è che pensi da grande farò l’attore. No! Ti capita e poi uno si
appassiona piano, piano. Poi magari lo studio, il tempo all’Università, ti
fanno perdere un po’ i contatti, però dopo trovi un gruppo di ragazzi che
fanno teatro e cominci a lavorare con loro e poi riprendi tutto. In realtà è
una specie di droga che si insinua dentro di te e poi sei dipendente del teatro
e anche della passione per questo mestiere.
Ma
i tuoi genitori che futuro sognavano per te?
Mio
padre è avvocato e ho lavorato molto nel suo studio, all’epoca
dell’Università. Io facevo Legge. Oltre che a lavorare nel suo studio,
lavoravo anche in una rivista di “Diritto” e la sera facevo le prove di
teatro con questa cooperativa teatrale, però era inconciliabile il tempo che
dedicavo allo studio, ecc… Per cui ho abbandonato definitivamente la velleità
di fare l’avvocato. Penso comunque che i propri genitori sognino per i loro
figli un futuro felice, a prescindere della scelta che ognuno fa. Non c’è un
mestiere che ti garantisce la felicità, però sicuramente se ti piace farlo, ti
garantisce una grande soddisfazione, anche se i genitori sono sempre preoccupati
sulle scelte e poi sui “Ce riuscirà, sarà bravo”.
Tutte preoccupazioni che trovo condivisibili, siccome ho una scuola di
recitazione che si chiama “Percorsi” e chiaramente capisco anche quando i
ragazzi si presentano, la preoccupazione dei genitori che vogliono cercare di
capire se i propri figli hanno delle possibilità di fare questo mestiere.
Chiaramente questo non sta solo alla scuola, ma sta al ragazzo di trovare delle
risposte, delle capacità e delle incapacità. E’ difficile dire ad un altro,
secondo me, non lo puoi fare, però dargli l’opportunità per vedere se ci
riesce, si. Vale la pena vivere male facendo male un mestiere o è meglio
scegliere un’altra cosa?
Hai
mai pensato di mollare tutto?
No!
Forse all’inizio,si. Poi quando vedi che i soldi e le cose cominciano a
girare, meno male, le crisi e i dubbi sono finiti. All’inizio magari entri un
po’ in crisi, perché fai una tournée e poi stai dei mesi a fare niente, i
soldi finiscono e allora pensi che forse hai sbagliato. Poi uno deve essere
perseverante e anche fortunato e accoppiare una serie di cose. Ricordo che tanti
miei amici colleghi che hanno iniziato con me e poi hanno cambiato lavoro.
Idoli
ne hai?
Si!
Quelli dello sport, del calcio, anche se io sono tifoso della Roma, da ragazzo
non avevo grandissimi motivi di soddisfazione. Sicuramente ne ho avute da più
grande, con lo scudetto. Ero studente. All’inizio invece la Roma non era mai
nei primi tre posti del campionato. E’ sempre a mezza classifica.
Quali
sono i tuoi hobby, quando non lavori?
Purtroppo
non ne ho, nel senso che il nostro lavoro è fatto di tante letture, tanti
copioni, sceneggiature e quindi c’è sempre, da quel punto di vista, quella
parte che dovrebbe essere più rilassante, invece è impegnato per via de
lavoro. Poi ho due figli e quindi quando ho del tempo libero, sto con loro,
giustamente.
Quali
sono le tue ambizioni, Giulio?
Continuare
a fare quello che faccio da sempre, con nuove scelte, che in realtà desidero.
Amo sperimentare cose diverse e cercare sempre nuovi stimoli professionali che
mi spingono alla ricerca di nuove esperienze.
Il
tuo punto debole?
Mettendomi sempre in discussione, forse il
fatto in cui sono facile a dei momenti di non convinzione, e questo non è
positivo per chi mi sta vicino. Magari in questo periodo faccio più fatica a
fare delle scelte. Sono quei momenti che forse hanno solo gli attori, cioè una
certa fragilità. Il punto d’Achille è la parte fragile di noi stessi. Il fatto che ti metti in discussione, ti metti davanti ad un
pubblico e quindi finisci inevitabilmente per metterti alla prova. Devi quindi
essere sempre carico, dare il massimo e il momento in cui non lo dai,
chiaramente sei più fragile, più vulnerabile e attaccabile anche perché tu
stesso ti attacchi.
Come
vivi la popolarità, il successo?
Ho
un buon rapporto di disponibilità con le persone che incontro per la strada e
che mi chiedono l’autografo. Per natura sono disponibile, l’umanità non mi
spaventa.
Qual
è la chiave del tuo successo?
Forse
una corrispondenza abbastanza forte verso il pubblico e verso la gente e quindi
una certa trasparenza che trasmetto. Poi il fatto che riesci a comunicare
emozione è importante e a far divertire la gente è una cosa bella. Sono
apprezzato non solo perché sono bravo, ma perché comunico una certa profondità
e questo è quello che auspico io stesso, poi sai, ci sono altri motivi. La
popolarità è una categoria a parte, nel senso che la popolarità è anche
fatta di conti, di personaggi fortunati, per cui il parametro per cui vieni
giudicato non è solo la popolarità della corrispondenza, ma anche di un
percorso che uno cerca di fare, proprio per dare alle persone il massimo di se
stesso, in quel momento, di non ripetersi, di non fare delle cose che non ha già
fatto, cercare di trovare sempre cose nuove da raccontare e che possano
sorprendere coloro che ti guardano.
Il
tuo rapporto con la Fede?
Mio
nonno era un po’ calvinista, quindi ti lascio immaginare, io ho subito un
po’ questa influenza, un po’ flagellante, c’è una sorta di misticismo, un
misto tra Fra’ Diavolo e mister Bean. A me piace una certa idea, una certa
concezione del mondo, un’idea veramente di qualcosa che va avanti e nella
quale tu sei parte del tutto bene e male. Poi sai, anche il nostro lavoro ha un
po’ del sacerdotale, dipende anche da quello che si fa, ovviamente, però,
insomma c’è qualcosa di mistico in tutta la retorica dell’attore del
teatro. In fondo noi rincorriamo l’impalpabile, le emozioni, le cose… non è
visibile, sono una gran Fede, ovviamente.
Tu
hai lavorato con tantissime attrici. Ti sei mai infatuato di una collega?
Per
esperienza, so che l’infatuazione non produce buoni effetti. L’ho constatato
con altri miei colleghi. Secondo me invece è giusto mantenere un rapporto di
simpatia, di massima collaborazione, di complicità, ma mantenere
l’innamoramento del personaggio, dentro la storia e non portarlo fuori. Allora
in quei momenti, l’uomo non soltanto finge, ma ne è coinvolto dal
personaggio. Non so come spiegartelo, è un po’ strano, fa
parte un po’ di quella
mistichezza di cui parlavamo prima, però tutto finisce lì. Una volta mi capitò
un felice fatto con attore che veniva dall’Actor Studios, feci i sorteggi, e
dovevo fare una scena con una ragazza, ci dovevamo lasciare e finita la scena
disse: "Vabbè, vi siete
lasciati, ma non siete mai stati insieme". E questa persona, questa ragazza
non mi piaceva per niente, quindi non c’era nessun tipo di prosa. Fui
stimolato da lui ed è venuta fuori una cosa talmente forte che quando è finita
la scena, noi due ci guardavamo in un modo diverso, però la cosa è finita lì,
nel senso che, pure con una persona che non ti piace per niente, se lavori su
certi sentimenti puoi trovare un’intimità talmente forte che vieni
personalmente coinvolto, però proprio perché partivo dal presupposto che
questa persona non mi piaceva per niente, è la dimostrazione che se lavoro in
un certo modo sui sentimenti, con una certa profondità, provi anche emozioni
nuove, perché comunichi in maniera profonda, delle ragioni di affinità, di
simpatia o anche di attrazione, però rimangono nell’ambito di quelle corde
che tu hai stimolato. Anche se ogni volta dovessi fare un’esperienza amorosa
con ogni partner, tra la Brilli, la Buy ecc... allora avrei un harem. Però so
che quando hai lavorato con delle persone che sono brave, ti sei trovato bene
sono simpatiche, ecc… resta un legame di simpatia, di complicità che per me
vale molto, nel senso che ti sei un po’ scoperto con la tua partner, in quel
momento, quindi ti conosce un po’ di più, sia pure rimanendo nell’ ambito
della storia che hai raccontato.
Hai
avuto delle avances?
Si!
Tutto normale, qualche numero di cellulare in tasca me lo sono trovato, fa parte
del mio mestiere, di un meccanismo che porta a questo. Però ci sono tante
persone che mi scrivono, in cui c’è un rapporto di riconoscenza, per le
emozioni che trasmetto, ma poi finisce tutto lì, anche perché il termine “fan”,
il fanatismo in generale non è una cosa che va bene, quando è esagerato. Mi
piace quindi, avendo comunicato il sentimento, sentire che ho toccato queste
corde e che chi mi scrive mi riconosce questo merito, anche di aver, certe
volte, operato terapeuticamente attraverso il personaggio. E’ una funzione
sociale. Comunque quel tipo di fanatismo lo
capisco, mentre in quella privata non centra niente.
Con
quale attore ti piacerebbe lavorare?
Io
ricordo l’incontro fortunato con Leopoldo Trieste, morto l’altro anno, ho
avuto un incontro professionale potente. Forse per noi attori il mito rimane
sempre quello oltre Alpi, quello oltre oceano, nel senso dei mostri sacri
americani tipo Sharon Stone, Jodie Foster, ecc… perché hanno una cultura
anche dell’attore molto profonda, lavorano molto bene e allora pensi che il
loro mestiere sia proprio un mestiere. Ci mettono una tale precisione, una tale
cura che è veramente il massimo e affrontarsi con questi, forse servirebbe
anche a noi, a togliere una certa approssimazione.
Hai
un sogno nel cassetto?
Beh!
Questo forse è anche un sogno nel cassetto. Personalmente forse è quello di
continuare a fare le cose che mi piacciono fare e questo, nel mio mestiere, è
già un sogno farlo a certi livelli e con soddisfazione. Cosa vuoi di più?