Michele
Ceccarelli (poeta e operatore culturale)
Roma 11.10.1990
Intervista di Gianfranco Gramola
"Ho nostalgia della Rometta
di 500 mila abitanti, con trenta linee tranviarie, un centinaio di
carrozzelle, una decina di “caffè”, non bar e un gran numero di osterie
dove si beveva portandosi anche da mangiare"
Intervista
Michele
Ceccarelli è nato a Roma il 14 luglio del 1924 e ha il diploma di maestro
elementare.
Roma,
che sensazioni ti regala, Michele?
Mi regala le
medesime sensazioni che può dare un’amante che si ama e dalla quale si è
riamati. Sensazioni sempre intense e mai noiose.
Una zona
di Roma che ami molto?
Il centro
storico, perché, pur conoscendolo tutto metro per metro, mi pare ogni volta di
scoprire cose nuove, archetti, vicoli, edicole sacre, pietre alluvionali,
mignanelli di Trastevere, ecc …Anche villa Borghese e il Pincio dal quale si
gode il più bel panorama di Roma e forse (non vorrei sembrare campanilista) tra
i più bei panorami del mondo.
A chi non
piace il Pincio?
Il Pincio è
la terrazza per eccellenza, dalla cui loggia si ha l’effetto di accarezzare il
Cupolone che appare lì, a portata di mano e dominante per la sua imponenza e
sacrale maestosità. Inoltre, affacciandosi dal Pincio, si ammira tutto il
complesso del Valadier, dal viale Gabriele D’Annunzio che si snoda da sotto la
balaustra e, con vari tornanti, arriva giù a piazza del Popolo. Sulla sinistra
decine e decine di cupole, campanili, torri e chiese tra le quali le più
importanti san Marcello e sant’Ignazio, poi la Mole Adriana, il Pantheon, la
colonna di Montecitorio, il Vittoriano ed infine, a destra,
le colline del Vaticano e monte Mario. Ma la terrazza del Gianicolo non
è da meno essendo più alta rispetto a quella del Pincio ed il panorama che
abbraccia è più vasto in quanto da qui si può ammirare tutta la parte destra
della città che è nascosta alla vista del Pincio. Da qui si scorge il nastro
del Tevere con la parte della vecchia Roma. Incominciando dalle mura di
“Regina Coeli”, la Sinagoga, il Campidoglio, l’Aventino, il Palatino e
quasi tutti gli altri colli. Poi più lontano Santa Maria Maggiore e San
Giovanni in Laterano. Proprio sotto la terrazza c’è il cannone che ormai per
tradizione spara a mezzodì. Al centro della grande piazza del Gianicolo c’è
il monumento a Garibaldi che pare guardi minaccioso quella città che egli
avrebbe voluto deturpare quando, divenuto senatore del Regno d’Italia, fece la
proposta, per fortuna non approvata, di deviare il corso del Tevere fuori della
città o quanto meno di coprirlo e farlo scorrere come una marrana sotto la città.
Esistono
ancora delle tradizioni romane?
Direi che
ormai le antiche tradizioni sono scomparse con l’imbarbarimento della
popolazione, in più abbiamo da anni sindaci e giunte che non sentono per Roma
nessun trasporto, che fanno il loro mestiere (quando lo fanno) tanto per
prendere uno stipendio a fine mese.
I romani,
pregi e difetti?
I difetti?
Pigrizia, indifferenza e poca gentilezza verso i forestieri, ma c’è una
ragione. A Roma c’è di tutto, di bello e anche di brutto, quindi il romano ha
ragione di non meravigliarsi di niente. La città nel corso della sua storia ne
ha viste tante! Perché andare altrove se
sono gli altri a venire qui? E se ci restano vuol dire che ci stanno bene.
E i pregi?
E’ quella
di andare d’accordo con tutti. Roma ha sempre accettato ogni popolo, non ha
mai cacciato via nessuno, quindi il romano è ospitale, seppure alla prima
apparenza può sembrare un po’ scostante. Una filosofia tutta romana dice:
“Perché devo fare oggi quello che posso fare domani?”. Per lavorare poco
nessuno è mai morto. Comunque, al contrario di quanto si possa pensare che
la maggior parte dei romani si atteggi enfaticamente e bullescamente a
fanatismo e perenne sfida e arroganza, io mi sento orgoglioso di essere romano,
per la cultura, per la storia, per la civiltà
e la sacralità che emana ogni pietra, ogni angolo di questa città carica di
odio-amore, ma che io amo perché qui sono nato, battezzato in San Pietro e
cresciuto intorno al colonnato, in un’arena naturale, ma credo che ogni uomo
ami la propria terra d’origine ed a ragione che essa sia Roma o Milano o
Canicattì.
Cosa ti
piace della cucina romana?
Spaghetti ajo,
ojo e peperoncino, i rigatoni a la puttanesca, l’abbacchio co’ la misticanza
e li facioli co’ le sarsicce. Tutta roba leggera (risata).
Aldo
Fabrizi rappresenta il romano verace e frequentava l’ambiente culturale del
periodico Rugantino. L’hai conosciuto?
Non
personalmente, ma dalle sue mani ho avuto diversi premi e riconoscimenti. E’
stato un grande attore, soprattutto umano, ma negli ultimi tempi era diventato
intrattabile.
Cosa ne
pensi del periodico in dialetto romanesco Rugantino?
E’
l’unico giornale romano con dei valenti collaboratori. A tale proposito devo
farti i miei complimenti per i tuoi articoli Gianfranco, che sono veramente
originali e interessanti. Peccato che il giornale esca ogni 15 giorni e che
arrivi, per colpa del disservizio postale, dopo quasi un mese dalla spedizione.
Come hai
iniziato a collaborare con il Rugantino?
Molti anni fa
quando si trovava ancora in edicola ho cominciato a mandare qualche poesia che
venne pubblicata. Poi conobbi il buon Achille Marozzi, l’ottimo prof. Giorgio
Carpaneto e tutto lo staff dirigenziale. Ora siamo buoni amici.
Hai sempre
scritto poesie dialettali?
In lingua da
bambino, in vernacolo da circa 30 anni.
Chissà
quante soddisfazioni.
Non vorrei
passare per presuntuoso ma ho avuto tanti di quei riconoscimenti che ho perso il
conto. Ne ho avuti anche a livello nazionale e giusto per ricordare una poesia
che ha avuto cinque premi assoluti, è quella dal titolo “La fratta” a pag.
48 del mio libro “Versi in saccoccia”.
Cosa non
ti piace di Roma?
Ogni mamma è
bella agli occhi di un figlio e la propria mamma è sempre la più bella. Roma
per me è una mamma.
Se tu
avessi la possibilità, cosa cambieresti di Roma?
Cambierei
coloro i quali gestiscono la città, che hanno il potere nelle loro mani e se lo
tengono stretto. Non capiscono né lo spirito né la cultura di questa città
che per la sua conformazione topografica e per i suoi preziosi resti storici, va
governata in maniera difforme dalle altre città. Farei scomparire quella brutte
costruzioni in vetro nero che nel “boom” degli anni ’60 hanno deturpato
buona parte di quartieri come il Ludovisi, intorno a via Veneto.
Dopo un
viaggio, cosa provi tornando a Roma?
Lo stesso
sentimento che si può provare ritrovando ad aspettarti la vecchia madre, ma
trovandola ogni volta più vecchia e malandata.
Hai
conosciuto il poeta romanesco Trilussa?
Non di
persona, ma lo ricordo perfettamente quando nel tardo pomeriggio lo si
incontrava a spasso nei pressi di via del Corso. Ti racconto un aneddoto che poi
è verità. Nel 1944, quando Roma era piena di soldati alleati, c’erano le
famose “signorine” che si accompagnavano con i soldati americani per pochi
soldi o per una cioccolata. Una di queste, una sera, a braccetto di un sergente
americano, visto da lontano Trilussa in compagnia di amici, rivolgendosi
all’americano gli disse: “Ehi John, vedi quel signore vestito di bianco che
ci viene incontro? Quello è un grande poeta, amico mio”. E per avvalorare la
sua asserzione incrociando Trilussa lo salutò in maniera confidenziale con un:
“Ciao, a Tri”. Trilussa sentitosi interpellare in quel modo si volse
dicendo: “Te saluto, a Tro…”. (abbreviativo di troia, puttana).
C’è un
monumento che butteresti giù volentieri?
Monumenti
proprio no, ma butterei giù il palazzo della Fao davanti al circo Massimo e al
Palatino, alle spalle delle terme di Caracalla.
Secondo te
se il governo avesse sede in un’altra città, Roma sarebbe più amata?
Si. Roma è
odiata in quanto è sede di governo, come se fossero i romani a legiferare. Se
il governo venisse trasferito a Milano con gli stessi governanti, dopo qualche
tempo sarebbero i milanesi ad essere odiati.
Di quale
Roma hai nostalgia?
Ora che ho
una certa età e sono anziano, ho nostalgia della Rometta
di 500 mila abitanti, con trenta linee tranviarie, un centinaio di
carrozzelle, una decina di “caffè”, non bar e un gran numero di osterie
dove si beveva portandosi anche da mangiare (si chiamavano i fagottari), quando
si passavano le serate al fresco dei giardinetti di villa Borghese, fino a notte
inoltrata, senza pericolo di cattivi incontri. Dove il pomeriggio si sentiva
veramente il famoso ponentino e non si avvertiva il puzzo di benzina, ma
l’odore di baccalà fritto e di sugo per le fettuccine. La Roma di oggi non è
più vivibile.