Paolo Mengoli (cantante)
Molveno (Trento) 10.9.2022
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Papa Giovanni Paolo II l’ho conosciuto
nell’ambito di un incontro con la nazionale cantanti. Rimasi molto stupito da
quel suo modo di fare e dagli occhi fantastici, che bastava ti guardasse e ti
faceva venire i brividi giù per la schiena”
Io con Paolo Mengoli
Intervista
Che ruolo ha avuto nella tua vita la
musica?
La musica è nata in casa, perché mia madre
era un’ amante della lirica e io sono cresciuto dai 7 anni in poi ascoltando
queste opere meravigliose del Rigoletto, della Traviata, la Tosca, la Bohemè,
insomma tutto quello che è il meglio della nostra musica italiana. Addirittura
nel lungo corridoio che avevamo in casa
c’erano le foto di alcune scene, perché allora, alla fine degli anni ’50,
si usava fare anche dei film di queste opere, per cui c’era Beniamino Giglio,
c’era Franco Corelli tenori dell’epoca. Io cominciai a cantare in un cinema
perché mi portarono a vedere il Rigoletto e ad un certo momento, mentre usciva
il motivo: “La donna è mobile, qual piuma al vento”, io mi
alzai sulla sedia e cominciai a cantare: “La donna è mobile, qual
piuma al vento, muta l’accento” e la gente mi guardava e io sono andato
avanti per 30 secondi cantando e alla fine scattò l’applauso. Una signora che
era una fila dietro, si rivolse a mia madre e le disse: “Guardi che il bambino
è molto intonato. Lo mandi da questa maestra che è una mia amica”. E da lì
nacque la mia carriera di cantante.
La musica deve solo emozionare o anche
infiammare?
Tutto il genere musicale ti da sempre delle
grandi sensazioni, quindi il primo impatto che tu hai è l’emozione, in
particolar modo cantando in italiano, non è la stessa cosa con l’inglese. In
inglese puoi strafalciare tutto quello che vuoi, non dai colore a quello che
dici, mentre cantando in italiano devi interpretare e dare colore a quello che
tu dici. Una frase importante la devi rendere importante, poi se capita che fai
una canzone come “Vamos a la playa”, è molto bella e di grande successo e
non hai bisogno di colorare. Sono più le sonorità che contano. Canzone come
“Caruso” o come “Un amore così grande”, o “Io che non vivo” o come
“L’immensità”, devi cercare di evidenziare ciò che canti, conta quello
che dici.
Oltre a cantante sei anche autore di
canzoni. L’ambiente che ti circonda influenza il tuo estro artistico?
No, perché io ho studiato per sensazioni ed
emozioni. I testi in particolar modo che scrivo, sono nati dalle emozioni, come
una delle ultime che è stata “Ora parlami d’amore”, che è dedicata a
Giovanni Paolo II, che è diventato anche l’inno ufficiale del centenario
della nascita di papa Wojtyla. Oppure “Io voglio stare con te”, che canto in
tutti i miei spettacoli e che è contro la violenza sulle donne e nasce proprio
da un incontro avvenuto dopo un concerto, in provincia di Bologna. Una ragazza
mi raccontò la sua storia, della violenza che subì e dal suo racconto ho
estrapolato delle frasi e vi ho inserito anche una frase che era “Gli uomini
non sono tutti uguali”. Lei mi aveva detto che aveva ancora voglia di
innamorarsi se trovava la persona giusta e io le dissi
quella frase. Mi diede alcuni spunti per cui è nata quella canzone.
Cosa si aspetta il pubblico da te e cosa
ti aspetti tu dal pubblico?
Credo che devo essere io, in prima persona, a
cercare di dare subito al pubblico qualche cosa e l’importante è la
comunicazione. Quindi se io comunico per primo con la gente, credo che nel 99 %
dei casi, sarò ricambiato. Certo
che se arriva un’artista internazionale che snocciola 40 canzoni di successo,
il successo ci sarà ancora prima che salga sul palco perché lo sarà sentito
dai fans di quell’artista. Quindi potrebbe anche cantare il telegiornale che
va bene lo stesso. Ma per chi ha alcuni successi, come li ho io, che sono
canzoni conosciute, perché hanno vinto manifestazioni importanti, dopo devi
cercare di coinvolgere la gente nel tuo spettacolo cantando
altre canzoni di successo. Vedo che questo lo fanno in tanti,
molti artisti di successo reinterpretano canzoni di altri a modo loro. La
frase più bella la disse Gino Paoli in un’intervista, quando dopo aver
cantato una canzone che non era sua, un giornalista gli chiese: “Com’è che
hai cantato una canzone che non è tua?”. Paoli rispose: “La canzone non è
mia, ma dal momento che la canto diventa mia, la faccio mia perché le do la mia
interpretazione”. Geniale.
Ho visto nel tuo sito una foto dei Beatles
con gli autografi. Li hai incontrati?
No, non li ho incontrati. E’ un a cartolina
con gli autografi originali, che mi è stata regalata da un mio amico produttore
che è stato ad un loro concerto in Inghilterra. Ho anche un pallone firmato da
Maradona e una foto mentre palleggio con lui.
Ad una iniziativa per la pace hai
conosciuto Yasser Arafat e Shimon Perez. Un tuo ricordo?
Era l’anno 2000 se ricordo bene. Arafat
l’ho incontrato insieme a Giulio Rapetti, in arte Mogol, nella suite di un
albergo a Roma, dopo una partita per la pace che facemmo con la nazionale
cantanti e Shimon Perez era in
tribuna. Io, Mogol e Arafat fummo incaricati di andare da lui e portare il
nostro saluto e ringraziarlo per la sua partecipazione a Roma, durante
questa partita per la pace, dove per la prima volta giocavano nelle
squadre due giocatori israeliani e nella nostra squadra due giocatori
palestinesi. Fu molto bello vedere questi giocatori, nonostante fossero di
religione e nazione diverse, abbracciarsi dopo un gol.
Paolo Mengoli davanti a Papa Giovanni Paolo
II
So che sei molto attivo in fatto di
solidarietà e hai ricevuto parecchi premi e riconoscimenti. Grazie alla
tua generosità verso gli altri hai incontrato due presidenti della
Repubblica e due Papi.
Si, Papa Giovanni Paolo II l’ho conosciuto
nell’ambito di un incontro con la nazionale cantanti, in un’udienza privata
e rimasi molto stupito da questo suo modo di fare bellissimo, due occhi
fantastici, che bastava ti guardasse e ti faceva venire i brividi giù per la
schiena. Il presidente Ciampi l’ho incontrato in privato, in occasione di un
incontro fatto con delle aziende, gli
consegnai un mio CD e un DVD che raccontava la storia della nazionale
cantanti. Invece papa Francesco l’ho incontrato dopo che ho fatto questo inno
che, come ti dicevo prima, è diventato l’inno ufficiale del centenario della
nascita di papa Giovanni Paolo II. Sono stato insignito per la mia attività nel
sociale, nella solidarietà, nella musica e poi per le parole che avevo scritto
nel testo dell’inno, avendo estrapolato alcune sue frasi storiche che poi ho
messo in metrica, tipo “Aprite le porte a Cristo, non abbiate paura, i bimbi
sono un dono, sono la primavera. Mai guerre nel mondo, solo pace”. Ecco, da lì
le prime due righe della strofa della canzone, ho attinto poi dal vasto
repertorio di Giovanni Paolo II da tutti i suoi incontri e viaggi che ha fatto.
Poi nel 2021, ho avuto la fortuna di essere stato insignito del sigillo, come
testimone e ambasciatore di pace nel mondo, sempre per l’associazione Giovanni
Paolo II e per questo premio poi sono stato ricevuto da papa Francesco il 23
novembre del 2021.
Hai lavorato e conosciuto parecchi
artisti. Un tuo ricordo di Mino Reitano.
L’incontro con Mino Reitano fu
all’Ariston. Quando vinsi Castrocaro poi venni scritturato dall’etichetta
discografica Ariston e dovevo fare Sanremo. L’Ariston disse a Mino Reitano:
“Scrivi una canzone per Poalo Mengoli perché lo mandiamo a Sanremo”. Era il
1968 e io avevo appena vinto Castrocaro e chi vinceva Castrocaro, di riflesso
andava a Sanremo l’anno dopo, però quell’anno l’organizzatore di Sanremo
non era più Ravera, che faceva anche Castrocaro, ma era Radaelli, che faceva il
Cantagiro e chiaramente, forse giustamente, Radaelli non avrebbe mai dato spazio
ad un cantante uscito da una manifestazione di Gianni Ravera. Però la canzone
la preparammo ed era “Perché l’hai fatto”. Poi quando a dicembre venimmo
a sapere che io non avrei fatto Sanremo, sembrava che questa canzone non andasse
più bene per me. Invece Mino Reitano si impuntò e disse: “No, questa canzone
l’ho fatta per Mengoli e mi piace come la canta”. Il mio produttore per
quella mia canzone, quel 45 giri, era Franco Califano. Si impuntarono tutti e
due e dissero: “Lo mandiamo a “Il disco per l’estate” e in più se va
bene la canzone lo mandiamo anche al Cantagiro”. E fu così che andai a “Il
disco per l’estate”, la canzone andò molto bene, poi con “Perché l’hai
fatto” andai al Cantagiro e arrivò secondo, però feci tutte le 18 date in
testa alla classifica, le ultime due successe qualcosa di strano …
Cioè?
Mentre prima le votazioni con la paletta
erano da 1 a 2 e quella sera avevo 20 punti di vantaggio sul secondo, le ultime
due sere misero le votazioni da 1 a 5. Quindi alla fine delle due serate,
arrivai secondo per un distacco di 6 punti.
Paolo Mengoli dal Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi
Un tuo ricordo di Claudio Villa e
Gabriella Ferri?
Claudio e Gabriella li ho conosciuti al
Cantagiro. Gabriella era una persona molto strana, ma di una bravura unica, era
straordinaria. Tutte queste ragazze giovani scimmiottano un pochettino la
Nannini, Mina, cercando di imitare il loro modo di cantare, ma la Ferri, che era
romana verace, aveva una grinta e anche un carisma straordinario. Facemmo un
Cantagiro insieme nel 1969 e fu un’avventura molto bella, come è stata bella
con massimo Ranieri. Con Massimo siamo ancora amici, ci si sente ogni tanto,
sono andato anche a vedere i suoi spettacoli e siamo stati assieme anche dopo lo
spettacolo a parlare del più e del meno, ricordando anche certe cose, dal
Cantagiro alle partite di pallone che si facevano contro i giornalisti.
Anche a lui piace giocare a calcio. Claudio Villa, anche se non lo era,
si mostrava un po’ spaccone, perché voleva combattere la nuova ventata di
giovani che stava arrivando, da Gianni Morandi a Massimo Ranieri, Mino Reitano e
tutti questi giovani che arrivavano e cantavano i un modo diverso, non con il
gorgheggio, ma cantando anche con grinta. Mi vengono
in mente Tony Dallara e Mina. Claudio Villa aveva un
pubblico straordinario e ancora oggi, mi racconta una mia carissima
amica, Manuela Villa, la figlia di Claudio, quando fa i concerti, molta gente le
chiede i successi di suo padre.
Lucio Battisti?
Con Battisti facemmo quel Cantagiro nel ’69
ma non ho mai avuto una grande frequentazione, a parte la primissima partita con
la nazionale cantanti, a Milano, dove Mogol raggruppò
alcuni cantanti fra cui c’erano Baglioni, Battisti, Morandi, io, Don Backy,
Paki dei Nuovi Angeli e Fausto Leali. Io arrivai per ultimo perché due giorni
prima a Mogol venne a mancare il portiere, che era il suo commercialista. Mogol
chiamò Morandi e gli disse che mancava il portiere per la partita del due
settembre e Morandi gli fece il mio nome. “Come si chiama?”
chiese Mogol. “Paolo Mengoli, è famoso, ha vinto il Cantagiro e ha
fatto due festival di Sanremo” risposte Gianni Morandi. E Mogol, con quella
sua vocina nasale: “Uno più alto non lo potevi trovare?” ( risata). Da lì
sono entrato a far parte della nazionale cantanti e ho disputato ben 455
partite.
Un domani, come vorresti essere ricordato?
Come una persona che ha dato tutto quello che
ha potuto dare nel suo mestiere. Non mi sono mai tirato indietro in nulla, sia
che fosse uno spettacolo con 10 persone, sia
con 30 mila persone. Ho sempre dato la mia stessa intensità di impegno.
Io mi ricordo una volta che ero in Sardegna, in un paese arroccato su una
montagna e al momento del concerto venne giù il diluvio, tanta di
quell’acqua. Allora dissi al comitato che aveva organizzato lo spettacolo:
“Cosa facciamo?”. “Noi lo dobbiamo pagare ugualmente, lo sappiamo”. Ma
io decisi di cantare e infatti ho cantato per quasi 40 minuti solo davanti alle
20 persone che facevano parte del comitato. Eravamo al coperto, sotto il
tendone. Ecco, vorrei essere ricordato per l’onestà che ho sempre dimostrato
nel mio lavoro e per non aver mai accettato compromessi. Tutto quello che ho
fatto, l’ho fatto con molta fatica, ma con onestà.