Rajae Bezzaz (attrice e inviata di Striscia
la notizia)
Milano 17.9.2021
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Molti lettori hanno scoperto grazie al
libro tante cose curiose sulle mie origini culturali e religiose. Tante ragazze
hanno avuto il coraggio di affrontare il loro demone e di prenderne spunto.
Addirittura una signora durante la presentazione del libro, dopo aver ascoltato
la mia storia, mi ha detto che era quello che le serviva per prendere delle
decisioni e per credere di più in se stessa”
RAJAE BEZZAZ, è nata a Tripoli il 20 luglio
1989, da genitori nomadi, padre berbero di Khemisset e la madre di Khouribga,
trasferitisi in Italia in cerca di fortuna, come tanti, quando lei era ancora
bambina. Nel nostro Paese, Rajae si è formata in teatro e recitazione. Per
Striscia la notizia ragiona (e fa ragionare) su temi come integrazione,
immigrazione e ruolo (o, più correttamente, «ruoli») della donna. Questo
libro è un intimo diario di viaggio e cronaca della metamorfosi di una donna da
vittima ad artefice autonoma del proprio destino, a ogni latitudine e
longitudine: in Italia come in Etiopia (dove ha lavorato con un’associazione
umanitaria), senza mai dimenticare l’imprescindibile Marocco (dove, appena può,
torna a trovare l’amata nonna).
Curiosità
- E' una fan della medicina cinese.
- Ha partecipato al "Grande
Fratello 11 " (2011).
- Il nome Rajae significa speranza.
Intervista
Com’è nata l’idea di scrivere
“L’araba felice”, cosa ti ha spinto a raccontarti?
Sono una che da sempre ama le storie di vita
e penso che condividere le proprie esperienze aiuta in generale. Ho sempre detto
per scherzo che volevo scrivere un libro e scherzando scherzando Cairo mi ha
chiesto di scriverlo e non sono stata capace di tirarmi indietro.
Nel tuo libro qual è il messaggio che
vuoi lanciare?
Il mio libro è pieno di messaggi di
speranza. Racconta di un sacco di disgrazie, superate brillantemente, con un
tono leggero, perché è una cosa che, superato l’ostacolo, non può che farti
sorridere.
Che reazioni sta avendo fra i lettori?
I lettori innanzitutto mi ringraziano per la
facilità della lettura e mi dicono che lo leggono in pochissimo tempo. C’è
gente che l’ha letto in meno di 24 ore, non so come abbiano fatto. Molti mi
chiedono di scrivere un altro libro e li ringrazio tantissimo. Molti uomini e
donne hanno scoperto grazie al libro tante cose curiose sulle mie origini
culturali e religiose e cose che non sapevano minimamente e questa cosa mi fa
molto piacere. Tante ragazze hanno avuto il coraggio di affrontare il loro
demone e di prendere spunto. Addirittura una signora durante la presentazione
del libro, dopo aver ascoltato la mia storia, mi ha detto che era quello che le
serviva per prendere delle decisioni e per credere di più in se stessa. Per me
è stata una delle cose più emozionanti che mi sono arrivate grazie al libro.
Se uno può aiutare qualcuno raccontando la propria storia, fa molto piacere.
Hai vissuto a lungo con i tuoi nonni.
Quali sono i valori che ti hanno trasmesso?
I nonno sono meravigliosi. I
nonni in generale sono quelli che sono stati bambini per più tempo e
quindi hanno un sacco di esperienza
da un lato e anche un sacco di valori legati alla famiglia, del tempo passato,
che non riusciamo più a ritrovare oggi, la sincerità dei rapporti in generale,
la ricerca della tranquillità e dell’equilibrio e i miei nonni in questo sono
stati bravissimi, perché sono sempre stati leali e mi hanno insegnato ad essere
sempre corretta con il prossimo. Di solito la vita è karmica, quello che dai,
ricevi. Si spera sempre che sia così e io cerco sempre di fare bene. Anche
quando mi perdo un po’ nei meandri di questa esistenza, mi riguardo indietro,
guardo i valori che mi hanno trasmesso e l’educazione che mi hanno dato e
ritrovo la mia strada. E’ come se fosse una mappa del mondo che seguo e che mi
fa stare sempre presente a me stessa e a tutto ciò che mi circonda sia nel
lavoro che nella vita personale. Quello che sono oggi è merito loro.
Il titolo del libro è
“L’araba felice”. Cos’è per te la felicità?
La felicità è essere quello che in quel
momento si vuole scegliere di essere. Scegliere anche i propri problemi, sembra
una frase strana ma è la realtà. Poter scegliere quali problemi risolvere,
perché la vita è fatta anche di problemi. Quindi avere questo lusso, scegliere
la libertà, la felicità in generale, perché non riesco a vivere con delle
imposizioni e guardandomi sempre dentro. Sono una persona abbastanza filosofica
e quando cerco di darmi delle risposte sulla felicità, i momenti di felicità
sono quelli dove, nel bene e nel male, ho fatto le mie scelte.
Nel libro racconti che tua madre crede
nell’amore in maniera pazzesca ...
E’ vero mia madre crede nell’amore e non
ha mai smesso di crederci.
E tu, ci credi?
Io credo nell’amore, ma credo non
nell’amore forzatamente uomo – donna, ma amore in generale, compreso
l’amare tutto quello che si ha intorno. Se non c’è il fidanzato o il
marito, si possono avere tante altre soddisfazioni se si ama il proprio lavoro,
se si ama la propria quotidianità,
i propri amici. Invece l’amore che intende mia madre è quello di trovare il
compagno di vita, l’altra mezza mela. Io non so se esiste l’altra metà
della mela o forse alcuni sono nati interi (risata). Io comunque faccio fatica a
trovare l’altra mezza mela.
La copertina del libro di Rajae Bezzaz
Quindi sei single.
Al momento, si.
Nel libro racconti che per mantenerti hai
fatto tanti lavori, dalla barista alla commessa. In quanto araba c’è stato
qualcuno che ti ha offeso o trattata male?
Diciamo che parlando del mio lavoro, ci sono
momenti in cui, quando conviene, mi dicono: “Ma tu sei una di noi” e alla
prima occasione, quando dici una cosa che non piace a qualcuno, subito dopo
dicono: “Tu sei stata accolta, fai la brava che ti è anche andata bene, ti
abbiamo dato un lavoro e questa non è casa tua”. Anche se sono 24 anni che
vivo qua e mi sento ovviamente a casa. A volte c’è questo modo di usare male
le carte che abbiamo a disposizione e le persone pensano che essere straniere è
un qualcosa di denigrante e io invece mi sento ricchissima culturalmente
parlando e il mio essere straniera mi ha sempre e solo aiutata e arricchita.
Quindi quando mi dicono: “Sei ospite, sei straniera e non hai diritti”, mi
viene da ridere in realtà. Sono molto più ricca di altre persone che non hanno
avuto la possibilità di vivere, di viaggiare e di avere diverse culture. Io ho
già due bagagli culturali, senza fare niente (risata).
Quando vedi in tv gli sbarchi dei migranti
dalla Libia, i migliaia di civili in fuga dall’Afghanistan, cosa provi?
L’uomo cerca sempre di trovare delle
soluzioni. Nel momento in cui non c’è più futuro in un posto per se stessi e
per la propria famiglia, si cerca di emigrare. E’ proprio nel nostro DNA,
quello di sopravvivere e di cercare di migliorare la propria vita.
L’emigrazione è un fenomeno naturale e nel momento in cui delle realtà
diventano povere e prive di possibilità di vita, si cerca di andare altrove. Mi
dispiace che per molti questo fenomeno dell’immigrazione venga visto sotto
quel punto di vista del “chiudiamo le frontiere, fermiamoli lì perché siamo
troppi”. In realtà l’Italia si regge sull’immigrazione perché sono gli
immigrati che mandano avanti l’agricoltura, perché se non ci fossero,
probabilmente molte cose non sarebbero sulla nostra tavola. Penso che qualsiasi,
cosa, se non si sfrutta in maniera positiva, diventa negativa.
Come sei arrivata a “Striscia la
notizia”?
A “Striscia” cercavano dei nuovi inviati
e io non credevo che mi avrebbero presa e in vece eccomi qua. Bisogna sempre
provare, tentare e io ho provato, ho fatto il provino e in seguito Antonio
Ricci, che è sempre stato una persona dall’occhio più sveglio degli altri,
ha deciso di prendermi e mettermi alla prova come inviata e quindi darmi in
pasto ai telespettatori e parlare magari di argomenti all’epoca poco trattati,
perché non c’erano inviati stranieri. Ricci mi ha dato questa possibilità e
spero di continuare a portare avanti la bandiera di inviata di “Striscia”
facendo servizi sempre utili. Fra pochi giorni saremo di nuovo in onda.
Com’è nato il saluto che fai alla fine
di ogni servizio di “Striscia”?
L’urlo di “Striscia” è nato come idea
di chiusura dei miei servizi quando feci il provino. Si chiama “zaghrouta”
ed è un inno alla felicità che nel mondo arabo, ma anche in molte parti della
realtà africana, si fa per festeggiare. Quini quando ci sono degli avvenimenti
positivi, questo saluto va a
chiudere ogni servizio, perché la speranza è che le cose vadano a migliorare e
si abbia un risultato finale positivo. Quando lo feci la prima volta al provino,
non pensavo di saperlo fare, perché non lo avevo mai fatto e invece è uscito
in modo naturale come se fosse una cosa genetica. Ad Antonio Ricci è piaciuto e
l’abbiamo tenuto come chiusura dei miei servizi, appunto come speranza che
tutto vada a buon fine.
C’è stato un tuo servizio in cui hai
temuto per la tua incolumità? Hai ricevuto minacce?
Diciamo che per fare questo lavoro devi
esporti e quindi devi essere molto coraggioso. Nel momento in cui si trattano
argomenti delicati, argomenti tabù, ci sarà sempre qualcuno che vuole
zittirci. Grazie ad Allah e a madre natura, io sono molto coraggiosa e credo
fermamente nelle battaglie che voglio affrontare e quando arrivano minacce non
mi faccio abbattere. Però sono consapevole di fare qualcosa che può avere
anche delle conseguenze, a volte anche gravi. Sono anche un po’ incosciente,
ma ci vuole anche un briciolo di incoscienza nella vita quando fai delle scelte.
E io le ho fatte le mie scelte e le porto avanti e se un domani la paura ha il
sopravvento, vuol dire che non ho più la capacità di reggere questa pressione
che vivo giornalmente, perché ogni cosa che fai, ha delle conseguenze e di
questo ne sono consapevole.
Con i tuoi servizi affronti molte
battaglie in favore dei diritti delle donne, dalle minacce alle violenze. Ti sei
mai occupata di femminicidi?
Io penso che sia difficile che nel 2021
ancora bisogna spiegare agli uomini che le donne sono come loro e che la donna
non è un oggetto. Mi viene difficile doverlo ancora spiegare, ma purtroppo è
una realtà, è un dato di fatto, che la violenza sulle donne esiste, che il
femminicidio è una realtà e lo vediamo sui giornali e in tv tutti i giorni.
Nel mio lavoro cerco di sensibilizzare, ma tutto deve partire dalla scuola. E’
inutile dire alla donna di coprirsi, ma bisogna insegnare agli uomini di
controllare i loro istinti. A quel punto serve l’educazione e spero e
soprattutto confido nelle mamme di avere tempo ed educazione di insegnare alle
femmine e ai maschi la stessa cosa, il rispetto reciproco, altrimenti dobbiamo
sempre combattere con uomini che violentano fisicamente, ma anche
psicologicamente e molte violenze ci sono anche in ambienti lavorativi. Ci siamo
occupati tante volte anche sul discorso dei salari e ci sono donne che a pari
mansioni e a pari livello di studi, guadagnano meno dei loro colleghi maschi. E
anche questa è una violenza, come quella sulle donne che per avere dei figli
sono costrette a rinunciare alla loro carriera. Poi le violenze portano sempre
dalle piccole cose per poi arrivare al femminicidio e quindi bisogna combattere
questa piaga sensibilizzando, bisogna educare, denunciare, le donne vanno
ascoltate, perché tante denunce vengono sottovalutate e poi succede il
femminicidio.
A chi vorresti dire grazie?
Devo solo ringraziare tutti, la lista è
troppo lunga. Devo ringraziate anche le persone che non hanno creduto in me,
perché tutto ciò mi ha dato la forza di continuare, di crescere e di imparare.
Quindi ringrazio tutti perché oggi sono il frutto di quello che ho vissuto,
perché se non avessi vissuto anche le cose brutte come quelle belle, forse
sarei stata diversa.