Umberto
Pizzi (fotoreporter)
Zagarolo (Roma) 11.10.2022
Intervista di Gianfranco Gramola
“A
quei tempi via Veneto era la parte centrale di Roma, dove la gente andava a
vedere le luminarie, a prendersi il caffè e a mangiare al ristorante. Poi
c’erano le donnine e quindi una vita più allegra e ricordo che c’era
Fellini che faceva i disegni e le caricature ai turisti e poi li vendeva”
Umberto
Pizzi, nasce a Zagarolo (RM) nel 1937. Nel 1963 inizia l'attività di
fotoreporter per la FAO in Iran, Iraq, Turchia, Siria e Giordania. Negli anni
70/80 è attivo come fotocronista, è uno dei fotografi della dolcevita e della
vita mondana della capitale. Ha pubblicato su Time, People Magazine, Sunday
Express Magazine e sulle principali testate nazionali ed internazionali. Ha
iniziato sviluppando personalmente per poi passare alle diapositive e
successivamente al digitale. Negli anni 2000 ha collaborato con il sito Dagospia,
pubblicando 2 libri, Cafonal ed Ultracafonal. Ha sempre lavorato in libertà ed
autonomia, attualmente in attività.
Intervista
Com’è
nata la tua passione per la fotografia, Umberto?
Non
sapevo niente di fotografia, ma da ragazzo avevo dei sogni, ma erano sogni di un
ragazzo con poche disponibilità. Per cui mi piaceva la musica e sognavo di
diventare pianista, oppure sognavo di scrivere, di disegnare. Molti sogni
quindi, poi un giorno mi venne in mano una piccola macchinetta fotografica, di
quelle economiche e cominciai per curiosità a fotografare. Fotografavo un po’
la natura, gli uccelli, le radici degli alberi e vedendo i risultati mi
appassionai anche perché in quelle foto vedevo qualcosa che mi interessava. Poi
passai ai ritratti dei bambini, dei vecchi e così cominciai a leggere delle
pubblicazioni di grandi fotografi, ma non guardavo le foto, perché non mi
interessava guardare le foto degli altri, ma mi interessava sapere la funzione
della macchinetta fotografica, così mi accorsi che l’occhio funzionava come
un obiettivo che si allargava quando c’era poco sole, poca luce e si stringeva
quando ce n’era molta e poi la grana della pellicola è in natura
nell’occhio, è la grana dell’occhio che si restringe o si allarga a seconda
della luce. Un giorno venne un amico e mi disse: “Sei molto bravo a
fotografare. Vuoi andare in giro per il mondo a fotografare per la FAO?”.
Accettai e cominciai a farmi dare dei progetti che mi permettevano di girare un
po’ il mondo, vedere fuori dal mio nido. Cominciai a girare in Medio Oriente
appena diciottenne e lì cominciai ad avere interesse. Io essendo figlio del
proletariato, soldi non ne avevo, dovevo produrre e vendere le foto per poter
campare. A me piaceva fare queste cose però non avevo i risultati economici.
Nel frattempo la sera avevo cominciato a imparare le lingue e facevo dei lavori
saltuari. Erano i tempi della Dolce Vita, di Fellini, del suo film sulla Dolce
Vita, dove c’erano questi fotografi che lui battezzò paparazzi. Ci fu una
pitch editor della FAO, una signora americana che mi disse: “Guarda che tu sei
molto bravo, hai l’occhio, la velocità. Perché non osservi come lavorano i
paparazzi”. E io seguì il suo consiglio e mi misi dietro a questi ragazzi e
li osservai per un paio di mesi. Vedevo un po’ come si comportavano, li
osservavo e poi mi misi a fare il paparazzo. Cominciai subito ed ebbi successo
perché osservando gli altri, prendevo il buono e toglievo quello che non mi
piaceva. Riuscii subito ad immergermi in quel lavoro e a guadagnare dei soldi. E
così sono andato avanti, poi siccome io avevo il desiderio di fare un certo
tipo di lavoro, ossia girare il mondo a fotografare soprattutto la gente, i
problemi sociali, il lavoro, ogni tanto smettevo di fare il paparazzo e diciamo
che mi lavavo l’anima (risata), perché il paparazzo a quei tempi era
classificato come una specie di ladro di immagine e cominciai a lavorare con dei
giornali americani, uno di questi era il People Magazine che mi dava da fare dei
servizi fotografici. Mi diceva: “Vai in questa città e fotografa delle cose
che interessano” e cominciai a fare questi lavori. Però ritornando indietro,
al perché la fotografia mi dava queste soddisfazioni ti dico che la fotografia
riempiva un po’ i miei desideri che non riuscivo a realizzare per incapacità.
Io sono andato a scuola di pianoforte, però ero incapace e così con la pittura
e così con lo scrivere. Io invece guardando una fotografia ci vedevo quello che
avrei voluto fare, che so, una fotografia può essere una pittura e nella
fotografia se la leggi c’è anche la musica. Non so se tu Gianfranco hai visto
la foto di quella bambina vietnamita mezza bruciata che scappa. Io lì ci vedevo
il cielo, le nuvole nere e sembravano i 4 cavalieri dell’apocalisse. Oppure la
guardavo e tutto assieme mi sembrava il dramma di Wagner. Dalle fotografie se tu
le fai con la testa, ci tiri fuori delle emozioni, perché la fotografia non si
fa così, per caso, la foto si fa perché ti colpisce o c’è qualcosa che ti
stimola a farla. In effetti il fotografo è esattamente quello che era
nell’antichità, quando non
esisteva la macchina fotografica, il pittore. Sembrava di avere il pennello e il
colore ed intingevi il pennello nel colore per dare una tinta a quello che avevi
fatto. Ecco perché ho fatto le fotografie e tuttora faccio ancora le foto.
Prima osservo e cerco di capire cosa devo fotografare per dimostrare dove mi
trovo e osservo cosa succede lì, e questo lo faccio ancora ora, dopo 60 anni di
lavoro, perché questa è la mia passione. Poi mi ha fatto anche guadagnare bene
nella vita.
Tu
hai vissuto la Dolce Vita di via Veneto. Che ricordi hai di quel periodo e
com’era la Roma di allora?
Diciamo
che negli anni ‘59/60/61 non facevo il fotografo però vivevo in via Veneto,
perché assistevo un signore, proprietario di un grande albergo, che aveva avuto
l’amputazione di una gamba, un signore ricchissimo che girava in rolls royce e
lui aveva bisogno di una persona che lo assistesse, che lo accompagnasse con la
macchina e lui viveva proprio al centro di via Veneto. A quei tempi via Veneto
era la parte centrale di Roma, dove la gente andava a vedere le luminarie, a
prendersi il caffè e a mangiare al ristorante. Poi siccome c’erano dei grandi
alberghi, cominciarono ad arrivare i turisti e soprattutto i turisti ricchi che
andavano all’Excelsior o al Grand Hotel e c’era una vita più movimentata.
Poi c’erano le donnine e quindi una vita più allegra e ricordo che c’era
Fellini che era sceso dalla Romagna e cercava di esprimere le sue capacità in
un angolo di via Veneto con via Boncompagni. Lui faceva i disegni e le
caricature ai turisti e poi li vendeva. In quella via c’era un’eleganza
incredibile e poi arrivarono le star americane, perché Hollywood era molto cara
per fare i film e allora gli americani cominciarono a frequentare Cinecittà e
capirono che potevano fare dei grandi film a basso costo e allora arrivarono
grandi produzioni americane, queste star che si trovavano in un mondo nuovo,
perché Roma era ed è tuttora una città che affascina la gente. La gente viene
risucchiata da tutto quello che è Roma e in quel periodo Roma era il simbolo
del divertimento. Queste star americane si divertivano a fare casino in via
Veneto e diciamo che lì è nata la Dolce Vita. In quel periodo i fotografi si
arrangiavano a fare le foto ai turisti che arrivavano alla stazione Termini, gli
facevano le foto, si facevano dare qualche soldo e poi portavano loro le foto
sviluppate. L’editore Edilio Rusconi, che allora era giornalista per il
settimanale OGGI, veniva da Milano e
scendendo dal treno a Termini vedendo i fotografi, disse loro: “Signori, che
state facendo qui, andate a via Veneto che ci sono gli attori e le attrici
americane, fate una foto e guadagnate quanto un mese qui alla stazione
Termini”. E così nacquero i paparazzi, che Fellini raccontò nel film La
Dolce Vita, trattandoli anche un po’ male. Poi c’è da dire che il gossip è
nato a Roma, perché non esisteva questo tipo di lavoro. Quando io negli anni
’70 andavo a Londra, non esistevano i paparazzi. In Fleet Street, una via dove
c’erano i più famosi giornali inglesi e dove c’erano dei fotografi che
andavano lì ad orario, cioè dalle 9 e alle 16.00, poi staccavano e se ne
andavano a bere il tè. Io una volta, a Winchester, c’erano Richard Burton e
Sofia Loren che giravano un film e io andai lì a vedere perché seguivo la
Loren e c’era un gruppetto di fotografi di Fleet Street che stavano lì ad
aspettare, ma la Loren non usciva. Ad un certo punto è arrivato il momento di
staccare dal lavoro e sono andati in un pub per il tè e sono rimasto solo io.
Dieci minuti dopo escono Richard Burton e Sofia Loren e io faccio delle foto
stupende e poi con la pellicola sono andato a Fleet Street e le ho vendute a
tutti i giornali e lì successe un casino. I fotografi inglesi vennero quasi
malmenati dai loro editor perché non avevano portato neanche una foto, mentre
io da solo, che ero venuto dall’Italia, avevo carpito tutte quelle foto. Poi
mi chiesero se volevo lavorare da loro, mi avrebbero ingaggiato subito, ma Roma
è troppo bella per lasciarla. Non esiste Londra, non esiste Parigi, non esiste
New York. Roma è Roma.
Umberto Pizzi con lo scrittore Andrea
Camilleri
Un
tuo ricordo di Ursula Andress?
Ursula
Andress è una donna stupenda. Gli americani la chiamavano la regina del sesso e
lei con me è sempre stata molto gentile. Io vivo a Zagarolo, un paese vicino a
Roma e lei vive a 3 chilometri da casa mia e dopo 10 anni l'ho incontrata e non
l'avevo riconosciuta, ma lei si è ricordata di me e ci siamo messi a parlare,
abbracciandoci e lei è la stessa di tanti anni fa, è invecchiata come tutti
noi, però la mente è uguale, era come parlare con la Ursula di 40 anni fa.
Ursula è un'attrice che ho sempre adorato.
E'
vero che Elsa Martinelli e Gina Lollobrigida erano tirchie?
Con
me si sono comportate da tirchie. Pensa che circa 30 anni fa dovevo andare a
Punta Del Este dove un signore brasiliano che produceva bottiglie di plastica
per tutto il Brasile, dava una mega festa ogni anno nella sua villa stupenda. A
questa festa incredibile invitata star e personaggi famosi di tutto il mondo e
io fui invitato come fotografo. L'unica condizione era che io portassi il frac,
ma io il frac non l'ho mai portato e non lo porterò mai (risata) e non me lo
misi. Sono arrivato all'aeroporto di Fiumicino e ho trovato Gina Lollobrigida e
Elsa Martinelli. Ci fu un ritardo di alcune ore e io dissi loro: "Andiamo a
mangiare un boccone". Siamo andati a mangiare e dopo un'ora vedevo che non
chiedevano il conto, alla fine chiamai il cameriere e pagai io il conto per
tutti e tre. Loro che guadagnavano cifre incredibili si sono comportate da
tirchie, perché questo l'hanno fatto anche a Punta Del Este una sera che siamo
usciti.
Loredana
Bertè ha sempre avuto un debole per i tennisti, vero?
Loredana
Bertè è nata nel periodo di Renato Zero, erano gli anni '70. Mentre la sorella
Mia Martini, che aveva una voce stupenda, cantava con Charles Aznavour e Gino
Paoli, lei invece era di quelle urlatrici che cercava la sua strada artistica.
Ricordo che Loredana Bertè non la facevano entrare neanche nei night perché
lei fu una delle prime star a portare gli "hot pants", quei
pantaloncini corti che ideò e fece Mary Quant, un famosa stilista inglese.
Loredana bazzicava soprattutto i tennisti ed ebbe una storia con Adriano
Panatta, poi sposò Bjorn Borg, poi usciva con Ilie Nastase, con Gerulaitis e
adorava i tennisti insomma.
Ti
hanno maltrattato più gli uomini o le donne famose?
Io
non sono mai stato maltrattato e se mi hanno maltrattato era quando i Vip si
ubriacavano, anche perché io sono grande e grosso (risata). Io ho sempre avuto
uno stile nel fotografare e anche le mie foto hanno avuto uno stile quando
uscivano. Ho avuto dei diverbi con Gerard Depardieu e Roman Polanski che erano
due personaggi turbolenti. Una volta Frank Sinatra usciva dalla Taverna Flavia
di Mimmo Cavicchia ed era ubriaco. Si era bevuto una bottiglia intera di Jack
Daniel's, praticamente lo portavano fuori di peso, io l'ho fotografato e lui
urlava a tutto spiano (risata). Quindi direi che non mi hanno mai maltrattato,
forse li maltrattavo io qualche volta, nel senso fotografico, professionale.
Umberto Pizzi con Sandro Pertini
Che
ricordi hai di Marta Marzotto e Marina Ripa di Meana?
Marta
Marzotto è stata l'ideatrice dei salotti romani. Lei cominciò con il famoso
salotto di piazza di Spagna e cominciarono a frequentarlo soprattutto i
politici, poi pittori e artisti. Lei ha avuto una lunga storia con il pittore
siciliano Renato Guttuso ma nello stesso tempo stava con un altro. Era una
persona che si dava da fare, fino a diventare ospite fissa di salotti privati e
televisivi e il suo salotto di piazza di Spagna era sempre affollato. Pensa che
Guttuso gli affrescò la villa in Sardegna in maniera stupenda. Fece dei
capolavori addirittura nel bagno, sulle tende. Lei aveva anche una casa in
affitto sul Pincio e ci faceva delle feste fantastiche. Lei è stata la
capostipite dei salotti romani e amava molto Cortina e la Sardegna. Marina Ripa
di Meana è stata la donna più libera e corteggiata da tutti. Lei non spendeva
una lira. Lei non aveva tanti soldi, però tutti la idolatravano, perfino
qualche politico come Bettino Craxi. Lei fino alla fine è sempre stata così.
Eravamo molto amici, però quando c'era da fare delle foto, l'amicizia non
bloccava il mio lavoro. Ero amico anche del marito Carlo Ripa di Meana. Lei si
chiamava Marina Punturieri, poi divenne Marina Lante della Rovere e alla fine
Marina Ripa di Meana. Aveva una sfilza di amanti e spesso si presentavano tutti
alla stessa festa, ma lei era una donna libera per eccellenza. Quando morì io
andai a casa sua, c'era la figlia Lucrezia Lante della Rovere e Marina era
vestita come una bambola, con i suoi carlini di peluche attorno e la figlia mi
fece: "Umberto, non ti pare che mia madre ci stia prendendo per il culo?
Mo' si alza e va ad una festa". La vita di Marina è stata tutta una festa
continua.
Hai
dei rimpianti?
Non
ho rimpianti e se dovessi tornare indietro, rifarei tutto quello che ho fatto e
adesso che sto sistemando il mio archivio, mi sembra di tornare indietro nel
tempo. Sono tutti flash back, come tiro fuori un servizio fotografico, mi
vengono in mente quei momenti, dei ricordi, dei nomi, dei volti che mi
rammentano degli aneddoti. Quello era un altro mondo, la gente era diversa, era
più godereccia, più umana. Stasera sono invitato ad una festa di un signore
molto anziano, che sta aspettando solo la morte, è un vecchio play boy e questo
signore ha fatto delle feste incredibili. Io vado a vedere questa festa per
curiosità. Una volta non c'erano i figli della robotica, ognuno pensava con la
sua testa e andavano alle feste e si divertivano, specialmente negli anni '70.
In quegli anni c'erano le brigate rosse, ma alla gente non gliene fregava niente
e voleva divertirsi. Aveva passato il periodo duro della guerra e l'Italia stava
crescendo, i soldi giravano, giravano anche le truffe, ma la gente voleva
guardare avanti e godersi la vita. Roma era ed è ancora stupenda. Si, c'è la
sporcizia, ma bisogna pensare che ogni anno qui vengono milioni di turisti ed è
chiaro che oltre ai soldi portano pure la sporcizia. Qui parlano del degrado di
Roma, ma il degrado di Roma è il degrado della società, della gente che è
cambiata proprio. Roma e l'italiano hanno un solo difetto, cioè che non si sono
adeguati ai tempi. L'immigrazione ancora non la accettiamo, ma noi ci dobbiamo
farci i conti, perché in un futuro noi avremo bisogno delle loro braccia.
Voglio dire un'ultima cosa su Roma. Roma è sempre la stessa, lo è da quando è
nata. Roma è una bella signora che non invecchia mai, è sempre bello e
piacevole frequentarla.