Andrea
Scanzi (giornalista e scrittore)
Arezzo 19.12.2017
Intervista di Gianfranco Gramola
“Scrivere? E’ un piacere ma anche una
terapia. Un domani vorrei essere ricordato come una persona libera, come un
battitore libero, che non ha avuto padroni, che aveva un po’ di talento e che
ha detto sempre quello che pensava”
Andrea Scanzi (giornalista, opinionista, grande comunicatore, autore
tv, scrittore e attore di teatro) è
nato ad Arezzo il 6 maggio 1074. Si laurea in lettere moderne
all'Università di Siena nel 2000 con una tesi sui cantautori. È giurato al
Club Tenco e Direttore Artistico del Premio Pigro Ivan Graziani.
Giornalista pubblicista, ha scritto per Il mucchio selvaggio, il
manifesto, Il Riformista, L'Espresso e Panorama, prima
di passare nel 2005 a La Stampa. Nell'estate del 2011 approda a Il
Fatto Quotidiano dove si occupa di diversi argomenti, principalmente
politica, musica e sport. A teatro è autore e interprete dello spettacolo Gaber
se fosse Gaber, patrocinato dalla Fondazione Gaber, che ha attraversato i
teatri d'Italia dal 2011 al 2013. Nel settembre 2012 ha esordito con Le
cattive strade dedicato a Fabrizio De André. Nel 2016 parte in tournée con
Il sogno di un'Italia, il suo terzo spettacolo, mentre nel 2017 è la
volta di Eroi, dedicato a dieci figure dello sport. Dal 2012 conduce su
La3 il programma di interviste Reputescion, in cui analizza la reputazione degli
ospiti sulla rete. Dal 2013 è frequente ospite nel programma Otto e mezzo,
condotto da Lilli Gruber su La7. Dal 2015 partecipa come ospite fisso al
programma Il processo del lunedì, condotto da Enrico Varriale su Rai 3.
Sempre su LA7 dal 12 luglio 2016 conduce Futbol, programma di approfondimento
calcistico, assieme ad Alessia Reato. Nella sua carriera ha ricevuto molti
premi.
Come
scrittore e giornalista ha firmato l’autobiografia di Roberto Baggio, la
biografia di Ivano Fossati, un saggio su Beppe Grillo, due bestsellers sul vino.
Premio Nazionale Paolo Borsellino e Premio Lunezia con ‘Gaber se fosse
Gaber’, spettacolo da lui scritto e interpretato, in tour dal 2011 al 2013. Ne
ha scritto un altro, ‘Le cattive strade’, con Giulio Casale: dedicato a
Fabrizio De André. A luglio 2012 è stata pubblicata la ristampa di Ve lo do
io Beppe Grillo (prefazione di Marco Travaglio), uscito una prima volta
nell’aprile 2008. A novembre 2013, per Rizzoli, è uscito Non è tempo per
noi (Bur Bestsellers Rizzoli, cinque edizioni). Ad aprile 2015, per
Rizzoli, è uscito il suo primo romanzo La vita è un ballo fuoritempo (sei
edizioni). Nel novembre 2016 è uscito il secondo
romanzo, I migliori di noi, Rizzoli (tre edizioni). Attualmente è nelle
librerie con “Renzusconi”, libro che sta avendo un enorme successo.
Ha
scritto:
- Barbara D’Urso non è criticabile. Se lo fai, si inalbera moltissimo e non
di rado ti querela. Diremo quindi, aprioristicamente e convintamente, che la
D’Urso è bella come il sole, che la sua tivù non ha nulla di trash e che le
sue interviste a Berlusconi e Renzi
ricordano Frost con Nixon. (4.4.2017)
- La cosa che più colpisce di Dario Nardella è il fatto che, quando lo guardi
o addirittura ascolti, non c’è nulla che di lui ti colpisca. Nulla: proprio
nulla. Sembra l’amico meno dotato e dichiaratamente anonimo che qualsiasi
ragazzotto ambizioso si sceglie per avere accanto e quindi emergere. (12.7.2016)
- Ogni mattina, a Milano, Giuseppe Cruciani si sveglia e sa che dovrà spararla
sempre più grossa o non finirà su Dagospia. (17.12.2017)
- Trovo Veltroni culturalmente stimolante. E’ un uomo curioso, preparato e
bulimico di conoscenza. E’ un appassionato vero di musica, cinema,
letteratura. Non è stato un bel candidato premier, ma sarebbe stato (credo) un
buon ministro dei Beni culturali. (20.12.2017)
Intervista
Parliamo del tuo ultimo libro “Renzusconi”.
Ho letto che sta avendo un buon successo. Quali sono le più evidenti affinità
fra i due protagonisti del tuo libro?
Purtroppo sono tante. C’è una somiglianza innanzitutto nei modi. Entrambi sono goffi, sono un po’
caricaturali, sono malati di personalismo, sono fissati con la leadership, sono
fissati con la comunicazione, con gli slogan, con la semplificazione: “ Io sono il bene, voi siete il male - Chi mi critica è un nemico, è geloso di me – Chi mi critica è un
gufo, un professorone”. Altra somiglianza sono il fastidio nei confronti del
dissenso, il fastidio nei confronti della Rai libera, che secondo me è stata
lottizzata più da Renzi che non da Berlusconi e poi purtroppo fin qui ti
ho detto solo le somiglianze in qualche modo caratteriali. La cosa triste è che
sono simili spesso anche nei contenuti politici. Per esempio il Jobs Act sembra
scritto da Berlusconi, la buona scuola sembra scritta da Berlusconi, la legge
Bavaglio sembra scritta da Berlusconi, lo sblocca Italia sembra scritta da
Berlusconi e potrei continuare a lungo. Aggiungo anche, come ultima somiglianza,
che è una delle più tristi, la pochezza della classe dirigente. Quando
Berlusconi ha vinto, mi ricordo che noi giornalisti, ma più che altro gli
elettori, dicevano: “Accidenti, ma come fa a essere ministro Mara Carfagna,
come fa ad essere ministro la Gelmini. Sfido chiunque a dire che la classe
dirigente renziana sia superiore. Faccio fatica a credere che Nardella, Morani,
la Prestipino e Gozi siano superiori. E anche questo è triste.
Hai scritto parecchi libri. Per te
scrivere è una esigenza, uno sfogo o un dovere?
Un dovere, no. Mi rendo conto che parte del
mio pubblico vuole che io scriva soprattutto di politici, ma per me non è un
dovere. Per me è un piacere e anche uno sfogo. Ti dirò che è anche una
terapia per certi versi. Qualche giorno fa il mio festival culturale che curo ad
Arezzo, il Passioni Festival, di cui ho la direzione artistica, avevo come
ospite Marco Presta ( il Ruggito del Coniglio, su Radio2). Marco Presta ha detto
al pubblico: “Per me scrivere è una terapia, perché gli artisti sono sempre
un po’ pazzi e si devono comunque sfogare da qualche parte”. Poi mi ha
guardato, come per dire: “Attenzione che Scanzi è proprio identico a me”.
Aveva ragione. E’ un piacere ma anche una terapia.
Com’è nata la passione per il
giornalismo? Hai qualche giornalista in famiglia?
Non ho nessun giornalista in famiglia, non ho
un personaggio famoso in famiglia, nessuno mi ha aiutato sotto questo punto di
vista. E’ sempre stata una mia passione, non il giornalismo, ma la scrittura.
Quando facevo le scuole medie, le superiori, il liceo scientifico, avevo sempre
il sogno di guadagnarmi da vivere scrivendo. Il mio sogno era quello di
diventare scrittore, che poi lo sono diventato, però non è che pensavo: “
Voglio scrivere su Repubblica o sul Corriere della Sera”. Mi sarebbe piaciuto
trovare qualsiasi lavoro che mi permettesse appunto di guadagnare scrivendo, che
è quello che poi è successo, perché ovviamente faccio questo. Tra l’altro
con la fortuna di non essere solo giornalista, ma anche scrittore, autore
teatrale, personaggio televisivo. Ecco, sto facendo esattamente quello che
sognavo di fare.
Quali sono le doti di un buon
giornalista?
L’onestà intellettuale che secondo me
scarseggia in questo paese. Spesso ho torto anch’io, perché può succedere
che anche io prenda delle cantonate, ma l’onestà intellettuale, il rispetto
nei confronti del pubblico devono essere sacri e io questo lo garantisco a tutti
quelli che mi leggono e mi conoscono. L’onestà intellettuale non
me la potete toccare perché di questo sono sicuro. Della bravura, no, ma
dell’onestà intellettuale si. La libertà ce l’ho e anche il talento, se
non hai un po’ di talento e un po’ di bravura
non vai da nessuna parte. Prima ti ho detto che non ho mai avuto aiuti ed
è vero. Se però negli ultimi 10 anni non avessi avuto quelle quattro persone
convinte che io avessi delle doti, che sono Edmondo Berselli, fondamentale,
Giulio Anselmi, fondamentale, Antonio Padellaro e Marco Travaglio, magari ora
avrei un blog, non sarei andato in televisione, non scriverei su Il Fatto
Quotidiano e non sarei in classifica con i libri.
Quali sono i temi che vorresti
approfondire maggiormente?
Io ho scritto anche di troppe cose, mi occupo
di tanti argomenti. Quindi in realtà quando voglio sviluppare, sviscerare una
cosa, lo faccio, anche se il tempo spesso mi manca e questo è anche un mio
difetto. Non riesco a scrivere se non conosco bene
l’argomento e di solito le cose che cerco di sviluppare di più e di
approfondire di più hanno a che fare con il mondo della cultura. Quindi mi
piace molto studiare la musica, mi piace il cinema, mi piace la letteratura, lo
sport, il vino, ecc … Tutte queste cose mi affascinano molto. La cosa che più
mi affatica di approfondire è la politica. Per esempio quando devo leggere
cos’è il Rosatellum, lo approfondisco ma non perché ho questa perversione di
sapere esattamente cos’è il Rosatellum, ma perché lo devo sapere. Lo devo
sapere da cittadino e devo cercare di raccontarlo come giornalista a chi legge.
Però lì la passione, il desiderio di approfondire nella politica scemano un
po’. In questo senso io e Marco Travaglio siamo diversi. Credo che Marco abbia
più passione politica rispetto a me, io sono uno che se potesse scriverebbe
sempre di musica, di letteratura, di cinema, di sport. Mi diverte di più
parlare dei Pink Floyd che non di Renzi.
A proposito dei Pink Floyd, so che sei
un grande appassionato di musica e che hai voluto fortemente intervistare Roger
Waters, il bassista e cantante dei Pink Floyd. Mi racconti questa tua
esperienza?
E’ stata una grande emozione, Gianfranco.
Un’emozione, mista a terrore e gioia immensa. Se riguardo le foto del nostro
incontro avvenuto il 25 aprile 2017, ho lo stesso sguardo che avevo da bambino
quando aprivo i pacchi di Natale. Ero molto preoccupato e terrorizzato perché
conoscevo il carattere non facile di Waters, e perché
era un incontro che sognavo da 30 anni e non é una esagerazione. Io ho tanti
personaggi che amo, ma il mio mito più mito è lui. Quando mi sono reso conto
di essere l’unico italiano che andava ad
intervistarlo, il viaggio che ho fatto da solo a New York, l’attesa, lui che
arriva, io che inizialmente non so cosa dire, ad un certo punto non funziona la
traduzione simultanea e quindi lui sembra innervosirsi. Alla prima domanda mi fa
capire che non gli è piaciuta. Dopo 3 minuti mi sono detto: “Oddio, mi sto
giocando la carta, l’occasione della mia vita e sto sbagliando tutto”. Per
fortuna dopo alcuni minuti ho indovinato le domande e lì è come se avessi
fatto breccia nel muro, parola molto giusta per Waters, ed è caduto il muro e a
quel punto c’è stato un ottimo feeling ad un punto tale che alla fine lui mi
ha stretto la mano e mi ha abbracciato, che è una cosa clamorosa. E’ stata
una grandissima emozione ed ogni volta che ci penso ti dirò che mi commuovo un
po’.
In Tv ci sono molte trasmissione che
parlano di cronaca nera e ottengono buoni ascolti. Secondo te perché gli
italiani seguono con interesse questo tipo di TV?
Non l’ho mai capito ed è una cosa da cui
sono totalmente immune. Non faccio nessun tipo di riflessione sulla bravura di
alcuni giornalisti. Per esempio Gianluigi Nuzzi lo conosco e secondo me è molto
bravo, ma è un tipo di argomento che a me non interessa e non riesco a capire
questa attenzione morbosa. Ci son stati dei fatti che mi hanno colpito molto, ma
non so perché hanno fatto breccia su di me. Per esempio l’omicidio di Vasto, è
un fatto che mi ha colpito molto, perché ho provato ad immedesimarmi nella
storia di quel ragazzo che vede morire la compagna ed ha questo desiderio folle,
ma se vuoi comprensibile, di vendetta. Ecco, questo fatto di cronaca mi ha
colpito molto e lo ammetto, perché è come se mi fossi trovato dentro la sua
vita, mi sono immaginato lì dentro. Di solito però trovo che ci sia soltanto
una gran voglia morbosa di occuparsi delle vite altrui, l’attenzione per il
macabro, il giornalismo che se ne frega del dolore dei
familiari. Questa è una cosa che trovo molto brutta, molto fastidiosa,
però ha successo ed evidentemente c’è un pubblico che quelle cose lì le
vuole. Io no.
Ad un giovane che vuole avvicinarsi al
giornalismo, che consigli daresti?
Me lo chiedono tante volte. Io non sono
nessuno per dare consigli, però penso che si deve provare innanzitutto a capire
se veramente si vuole intraprendere questa strada, perché è una strada
difficile e paradossalmente con la rete è diventata ancora più difficile,
perché tutti lo possono fare e quindi hai ancora più rivali, hai ancora più
difficoltà a farti notare. Una volta che hai capito se veramente vuoi fare
questo lavoro da grande , devi insistere, farti notare scrivendo, magari aprendo
un blog, spedendo qualche articolo, usando bene i social e darsi però un tempo
limite, che non sai quanto può essere, perché dipende dall’età che hai e a
quel punto però, se mi posso permettere, pensare e ipotizzare anche una seconda
strada, non puntare tutto soltanto sul giornalismo, perché chi lo fa da
ragazzo, deve avere una grande passione, un grande talento, ma anche una grande
propensione al sacrificio. I primi anni nessuno ti noterà, non ti pagheranno,
ti faranno fare gli articoli brutti, prenderai un sacco di
porte in faccia, prenderai un sacco di insulti. E’ successo anche a me.
Io ricordo nel 2004/2005, quindi non 50 anni fa, la sera poteva succedere che mi
mettevo a piangere o che ero molto triste perché non mi rispondeva quella
testata, perché il mio pezzo non usciva, perché non mi pagavano. Temo per i
ragazzi di oggi che ora sia ancora più difficile di 20 anni fa, quando ho
cominciato io.
Hai una ossessione professionale?
Bella domanda, Gianfranco. L’ossessione
professionale che ho io sono i numeri.
I numeri?
Mi spiego. Quando io scrivo o faccio teatro o
vado in televisione ho sempre il terrore di non avere pubblico. Quindi la mia
ossessione professionale è sperare di avere un pubblico che mi segue. Quando
esce un mio libro io devo avere dopo tre giorni i dati delle vendite, sperare di
essere alla seconda ristampa e se capita adesso con il mio ultimo libro, che
dopo due settimane sono alla quarta ristampa, sono contento come un bimbo. Se
sono in classifica, sono felicissimo. A teatro, chi mi conosce lo sa, ho
l’ossessione del teatro esaurito. Se io ho un teatro da 500 persone e ne vedo
occupate 430, che sono tantissime, io per metà spettacolo penso a quei 70 posti
vuoti e penso: “Porca miseria,
perché non siete venuti?”. Questa è una ossessione negativa, ma anche
positiva, perché ti spinge a dare il meglio, ti spinge a non accontentarti mai,
ti spinge ad essere il più bravo, il migliore. E’ negativa perché a volte
non mi fa godere appieno la straordinarietà della vita. Hai
la straordinarietà dell’esperienza, perché se hai
un teatro bellissimo ma non strapieno, va bene comunque perché alla fine ti
applaudono e va bene. Io sono un po’ così, magari a cena per 5 minuti tengo
un po’ il muso, perché penso che non c’era il “Tutto esaurito”, fino a
quando i miei compagni di cena mi dicono: “Andrea, non rompere le palle, è
stata una serata splendida”. Questa ossessione del numero del pubblico ce
l’ho. Lo ammetto.
Un domani come vorresti essere
ricordato, Andrea?
Come una persona libera, come un battitore
libero, che non ha avuto padroni, che aveva un po’ di talento e che ha detto
sempre quello che pensava. A me piacciono e piaceranno sempre gli irrequieti, i
cani sciolti, quelli che magari non piacevano a tutti, ma a distanza di 20 –
30 anni staremo qui a dire: “Accidenti quant’era bravo, quanto ci manca”.
Per fare un esempio cito Pasolini, Giorgio Gaber, Giorgio Bocca, Carmelo Bene e
Montanelli. Ovviamente ho citato dei mostri sacri, però a me piacciono quelle
persone lì, quelle di talento, quelle libere, quelli anche con il coraggio alle
volte di rimanere antipatici, ma non perché vogliono essere antipatici, ma alle
volte l’intellettuale deve dire anche delle cose scomode. Ecco come mi
piacerebbe essere ricordato.
Parliamo un po’ di Roma. Com’è il
tuo rapporto con Roma?
E’ conflittuale. Roma è una città che mi
piace tantissimo, è bellissima, ma è così grande, così caotica, così
magmatica, così impegnativa e dopo un po’ devo distaccarmi. Non riesco a
viverci per un mese di fila, ci devo vivere al massimo 4-5 giorni, poi devo
tornare nella mia Arezzo o devo andare in province o in luoghi belli che mi
facciano caricare le batterie. Roma è più stressante di Milano. Ho avuto per
anni una compagna a Milano e tutto sommato a Milano ci potevo stare anche 2-3
mesi. Roma mi stanca di più, ma non è una critica verso la città, è che io
sono fatto così. Roma ha dei ritmi che si confanno di meno alla mia vita.
Perché la sindaca Raggi riesce a far
poco per questa città?
Per una serie di motivi. Perché Roma, da
sempre, è una città ingovernabile, perché le gestioni precedenti sono stare
disastrose e perché lei ha sbagliato tutto, soprattutto i primi sei mesi. Io ho
sempre detto e ci sono le prove, che per i 5 Stelle sarebbe stato più un auto
gol che una vittoria, perché tutti avrebbero poi criticato i 5 Stelle in quanto
incapaci di governare in una città non minore, ma nella città, cioè
Roma. La Raggi è sicuramente una brava persona, non la conosco e non
l’ho mai vista personalmente. E’ sicuramente una persona onesta però non
credo sia in grado di governare Roma. I primi sei mesi ha inanellato una quantità
industriale di errori, sicuramente in buona fede, ma ha sbagliato tutto. Finiti
i primi sei mesi iniziali, credo ci sia stato un leggero miglioramento, ma io a
oggi dopo tutto, se dovessi darle un voto in pagella le darei 5 e mezzo e
probabilmente sarei anche troppo benevolo. Quindi per tutti questi motivi credo
che lei sia destinata a fallire per
colpe sue, ma anche per colpe
congiunturali proprie della città di Roma, che effettivamente quasi mai è
stata governata, perché sono stati in pochi a farlo e non credo che ci sia la
Raggi fra i pochi che ci riusciranno.
Se tu fossi sindaco di Roma, cosa
faresti per Roma e per i suoi abitanti?
Non farei il sindaco di Roma. Non ce la farei
proprio, non mi candiderei nemmeno. Non è che non ti voglio rispondere
Gianfranco, ma per governare Roma devi conoscerla tantissimo, ci devi essere
nato, vi devi vivere. Già quando mi chiedono di candidarmi, e me l’hanno
chiesto tante volte, scappo perché non lo voglio fare, ma figurati a Roma. Per
me è una città impossibile da governare. Io la voglio vivere da cittadino, da
turista che si gode il meglio, perché a guidare Roma devi essere veramente un
fenomeno.