Antonello Trombadori
(politico,
poeta e scrittore) Roma
18.9.1991
Intervista di Gianfranco Gramola
Il
poeta dell'ironia
Antonello
Trombadori (Roma,
10.6.1917 – Roma,
18.1.1993)
Figlio del pittore Francesco, trascorre la giovinezza nella casa - studio di Villa
Strohl-fern, entrando in
contatto con molti artisti e letterati. Inizia molto presto a occuparsi di
critica d'arte, con articoli che sostengono le esperienze artistiche che
implicano una rottura con gli schemi del "Novecento italiano": tra i
suoi referenti privilegiati Cagli
e Guttuso
(dei quali è fraterno amico), Fazzini,
Mafai,
Levi,
Pirandello,
Manzù e molti altri. Tra le riviste alle quali collabora ricordiamo "La
Ruota", "Primato",
"Città", "Corrente". Impegnato politicamente, nel 1941
viene arrestato per cospirazione antifascista; partecipa alla Resistenza e
diviene capo dei Gruppi Armati Partigiani di Roma. Nel 1944 organizza a Roma la
mostra "L’Arte contro la barbarie". Nel 1945 presenta l’album di
disegni di Guttuso
“ Gott mit uns”. Esponente
del PCI, si impegna per un battaglia a favore del "realismo" con forti
implicazioni politiche, trovando nell’amico Guttuso
un punto di riferimento essenziale. Collabora a "L'Unità" e a
"Rinascita". Dal 1945 al 1964 dirige il settimanale "Il
Contemporaneo", curando la rubrica di critica d'arte.
Dal 1961 è per alcuni anni direttore artistico della Galleria La Nuova Pesa
(per conto dell’imprenditore comunista Alvaro Marchini); le mostre di Ziveri,
Pirandello, Mafai, Francalancia, Donghi, Edita Broglio costituiscono
un’importante premessa per il recupero di tutta la cultura figurativa del
periodo compreso tra le due guerre. La sua indipendenza di pensiero lo porta
negli ultimi anni a "esplorare" territori poco noti della storia
dell’arte: le opere figurative di Giacomo Balla,
l’Ottocento romano, la pittura russa. Tra i contributi critici recenti
spiccano i saggi introduttivi nei cataloghi delle retrospettive di Donghi
(Roma
1985) e Scipione
(Macerata 1985), del volume Roma
appena ieri (Roma 1987) ,
della monografia di M. Fagiolo sulla scuola romana (Roma 1986). Ha curato il
catalogo delle opere d’arte della Camera dei Deputati.
Ha
detto:
- Per
anni e anni non ho nemmeno osato sfiorare l’idea di poter scrivere versi
romaneschi, tale era ed è in me il rispetto del sacro “monumento di quello
che oggi è la plebe di Roma” lasciatoci da Giuseppe Gioachino Belli.
- Io
non sono pessimista, prendo atto della realtà.
-
Quando esco la mattina, mi vengono in mente tutte le Rome, quella di Goethe, di
Stendhal e di Gogol, di De Brosses e Gregorovius, di D’Annunzio e del Belli,
quella dei pittori, di Corot e ancora prima di Piranesi e poi quella di
Scipione, di Mafai e di mio padre, Francesco.
Intervista
In
quale zona di Roma è nato?
Sono
nato in Prati, in via Cicerone 56, un palazzo umbertino ora distrutto. A questo
quartiere, che è Prati, mi sento molto legato per il suo carattere austero che
ha arricchito Roma di quella severità “borghese” che le mancava e che ha le
sue varianti ai primi Parioli, al Salario e con commistioni popolaresche,
all’Esquilino. Altro quartiere, questo, al quale mi sento legato per avervi
vissuto dalla seconda alla quarta elementare e per avervi ricevuto la Prima
Comunione, in un sito romano classico (ora non più attivo): le cappellette di
San Luigi Gonzaga, in via di Santa Maria Maggiore con un ritiro gesuitico di
sette giorni; per aver avuto come compagno di banco per tre anni, alla scuola
comunale Ruggero Bonghi, il futuro grande storico dell’arte Giuliano Briganti
del quale sono ancora amico. E per i giochi coi “regazzini” dell’allora
frequentabile giardino della grande piazza Vittorio. Ma la mia vita giovanile
non è stata vita di quartiere. Figlio del pittore Francesco Trombadori (1886
– 1961) ho vissuto fino oltre i 20 anni a Villa Strohl – fern, splendido
parco romano fra villa Borghese e valle Giulia, sede di studi d’artista. Ed è
questo il luogo di Roma che amo di più e che, con una
lotta durata oltre 30 anni (’60 – ’90) sono riuscito a salvare
dalla distruzione cui volevano sottoporlo le autorità francesi (la villa fu
ereditata dalla Francia nel 1926) per installarvi il Liceo Chateaubriand con la
complicità del Comune di Roma (ivi compreso il neocomunista sindaco G. C. Argan,
storico dell’arte). Oggi questo pericolo è finito e il favoloso parco
dove abito anche R.M. Rilke, nel 1904 è forse e definitivamente salvo.
Cos’è
per lei Roma?
Roma
è casa mia, ma ci sono troppo intrusi anche tra i nativi concittadini; stanno
per divenire la grande maggioranza. Comunque c’è sempre la “Chiamata di San
Matteo” nella Cappella Cantarelli in San Luigi de’ Francesi (Caravaggio):
un rifugio!
Un
luogo che lei ama?
Villa
Strohl – fern, come dicevo prima, perché è bellissima e si vede il Cupolone
come lo videro i garibaldini nel ’67 (vedi la poesia romanesca di Pascarella
in Villa Glori).
I
romani, gli abitanti di Roma hanno pregi e difetti?
Come
no! Un difetto è che a volte sapendo di essere in colpa, vantano il contrario.
Si dice con autocoscienza “essere impuniti”, ma nessuno lo attribuisce a se
stesso se non con qualche complimento. Virtù non ne conosco. Una virtù storica
di Roma, si ed è quella di aver dato i natali non solo anagrafici ma creativi a
un grandissimo poeta: G.G.Belli (1791 – 1863).
Altro
luogo a cui è legato?
Piazza
dei Cavalieri di Malta, all’Aventino, quella famosa piazza dal cui buco della
serratura di un grande portone di ferro si staglia sul fondo dell’arco di una
galleria di querce la Cupola di San Pietro. Perché è silenziosa, grigio -
argento, disegnata da Piranesi e mio padre l’ha dipinta con grande finezza (ineguagliata).
Un
rione che ama?
Quella
del rione periferico (o borgata?) di Pietralata, perché Pier Paolo Pasolini
ne ha fatto un monumento linguistico – biografico – panoramico
indimenticabile e perché quando ero sottotenente al 2° RGT Bersaglieri in
Trastevere (un altro sito prediletto piazza San Francesco a Ripa, nella cui
chiesa vi è il capolavoro di G.L.Bernini "Ludovica Albertoni") divenni
grande amico di un “selciarolo” romano di Pietralata, Armando Galeotti, che
fu mio compagno poi in quella sezione del PCI per tanti anni. E poi perché
qualche volta, nel 1940 – 41 trovavo la mia futura moglie allora
splendidamente diciannovenne, al portone e con lei andavamo giù per via Anicia.
Cosa
le piace della cucina romana?
La
minestra con la pasta spezzata, con broccoli e il brodo di arzilla.
Roma
è la città più bella al mondo?
Più
bella non lo so, forse destinata alla fine, come Pompei.
Roma
è ancora vivibile?
Vivibile
per forza di cose, Gianfranco. Per me è invivibile.
Perché
Roma è odiata dal resto d’Italia?
Roma
è amata e disamata per conto suo, caro Gianfranco.
I
mali di Roma che le danno fastidio?
Caos
e sporcizia sono sempre esistiti, oggi traboccano più che nel passato anche
dalla mente di chi amministra. Sono inseparabili. Anch’io per 12 anni sono
stato consigliere comunale (1956 – 1968), quindi in parte colpevole e in
parte inascoltato.
Roma
e il cinema?
Di
nuovo Roma ha fatto il “cinema italiano” che oltre ad essere quello del
neorealismo degli anni ’40 – ’50, annovera qualche originalità anche
prima (Camerini, Moggioli, Soldati). Pasolini sarebbe esploso senza
l’incontro con Roma?
In
quale periodo della storia di Roma le sarebbe piaciuto vivere?
In
quello del Belli, per la speranza di averlo potuto conoscere e frequentare, pur
essendo certo di essermi trovato, nel ’48 – ’49, dalla parte che egli
avversò: la Repubblica Romana.
Il
suo poeta dialettale vivente preferito?
Mario
Dell’Arco (ma c’è anche Elia Marcelli con la sua “Campagna di Russia”
in ottava rima).
Com’è
nata la sua passione verso il Belli?
Con
l’accostamento generale alla poesia e con il piacere di ripetere con il poeta
qualche memorabile espressione del popolo.
Le
piace il romanesco moderno?
No!
Ho diffidenza e talvolta vero fastidio per l’uso rimato del dialetto, che non
dia luogo ad invenzione linguistica autonoma e che non si collochi quindi
d’autorità nella lingua italiana.
Cosa
significa per lei essere romano?
Io
non sono un vero romano: sono frutto dell’unità d’Italia, perché mia madre
era piemontese e mio padre siciliano. Ma c’è un tratto di me autenticamente
romano: essere stato battezzato in San Pietro e avere avuto nelle orecchie
appena nato il suono di quelle campane.
Cosa
prova nel tornare a Roma dopo una lunga assenza?
Una
volta,tornando in treno, un gran batticuore. Oggi, se in macchina, l’orrore
dello smog e del traffico, se in treno, l’ansia di reperire un taxi e la
rabbia di non poter piantare sul muso degli abusivi (20.000 – 30.000) un
sonoro cazzotto.
Un
monumento che non le piace?
Si!
Il fastigio del monumento a Vittorio Emanuele II, in piazza Venezia, perché è
un periscopio. Ha ragione Giuliano Briganti a proporre che vi sia istallato un
grande caffè pensile. Fino agli anni ’30 ve ne era uno sulla terrazza della
Rinascente al Corso.
Altra
cosa che le da fastidio?
Il
piagnisteo sulla Roma sparita.
Una
fontana che lei ama?
La
fontana con laghetto al Pincio e con l’orologio ad acqua dove una volta erano
quattro cigni bianchi e neri, detta Idrocronometro. E’ opera del frate
domenicano Giambattista Embriaco (1829 – 1903) e risale al 1872.
Un bellissimo meccanismo idraulico con fontana e pesci rossi dello stesso
autore si trova nel cortile di via del Gesù 62, mentre non si sa che fine ha
fatto quella che egli aveva costruito per il cortile del Ministero delle
Finanze, in via XX Settembre. Il disamore e il dileggio dell’opera d’arte da
parte della burocrazia statale non è di oggi anche a Roma. Amo questa fontana
del Pincio per il suo quasi silenzio, ma adoro anche il fragore del Fontanone di
Sisto V, sulla falde del Gianicolo.
Un
consiglio al sindaco per migliorare Roma?
Gliel’ho
dato a Carraro e a qualche suo predecessore, ma sembrano tutti ciechi e sordi.
Una volta la continuità monumentale della spina verde che va da porta Pinciana
a viale delle Belle Arti (villa Borghese, villa Medici, il Pincio, il giardino
del lago, il parco dei Daini, villa Strohl – fern, villa Ruffo, il borghetto
Flaminio, villa Poniatowskij, valle Giulia), era alla periferia della città.
Oggi ne è al perfetto centro. Lo stato di questo insieme è nel suo complesso
deplorevole. Basti pensare a villa Borghese, strada di transito per autobus. Si
elabori e si attui non solo una strategia di salvezza ambientale – ecologica,
ma di destinazione unitaria di un grandioso parco come città della cultura e
dell’arte, oltre che di giochi sul modello dei “Tivoli scandinavi”. Non se
ne parla nemmeno. Solo periodiche concessioni di sfruttamento della Casina
Valadier o della Casica delle Rose per uno snak bar, per giunta destinati al
fallimento. E il borghetto Flaminio in mano agli sfasciacarrozze.