Candida Morvillo (giornalista e scrittrice)
Milano 16.3.2014
Intervista di Gianfranco Gramola
Una giornalista seria e preparata, una scrittrice
dalla penna sopraffina, che invita i lettori a leggere il suo libro perché racconta una
storia che è l’epifenomeno di tante cose che accadono nel
nostro Paese.
Un
suo sogno professionale? Continuare a crescere, imparare sempre cose nuove,
misurarmi sempre con sfide diverse e più difficili.
Candida Morvillo è nata a Sorrento il 5
marzo del 1974. Editorialista del Gruppo Editoriale RCS, è stata direttrice del
settimanale di cronaca rosa Novella 2000, dal giugno 2008 al 7 settembre del
2011. Fino al 2008 è stata condirettore del settimanale Visto; ha scritto per
il settimanale A; ha lavorato cinque anni a Vanity Fair e, prima ancora a
Oggi e Il Mattino. Ha pubblicato per Rizzoli il saggio La Repubblica delle
veline, vita vezzi e vizi delle ragazze della tivù dagli anni cinquanta ai
giorni nostri. Ha vinto, nel luglio 2006, il premio Ischia Internazionale di
Giornalismo Angelo Rizzoli come miglior giornalista under 35 per la carta
stampata e le agenzie. Sono sue l'intervista di coming out di Alessandro Cecchi
Paone e gli scoop per Io Donna in cui ha ritrovato il figlio segreto di Maria
Girani Angiolillo, Udo Franck de Beurges, e un diamante rosa da 34,64 carati -
valore circa 40 milioni di euro - sparito dall'eredità del senatore Renato
Angiolillo. È stata nel cast del programma di Italia 1 Cronache Marziane,
condotto da Fabio Canino, come intervistatrice. Nel 2008 è opinionista nella
terza edizione del reality show La talpa, condotta da Paola Perego, su
Italia Uno. Nel 2011 ha condotto Telenovella su Canale Sky Lei Tv, ed è stata
giurata, su Rai 1, di Miss Italia 2012. Il 4 dicembre 2013 ha raccontato la
propria esperienza nei campi dei rifugiati politici in Mali all'interno del
programma Mission con l'attore Francesco Pannofino. Appare spesso in programmi
televisivi come commentatrice di temi di costume, società, spettacolo.
Ha detto
- Io non accuso né giustifico, sia chiaro,
però specie da certi quotidiani e da molte trasmissioni tivù Vallettopoli è
stata trattata con poca conoscenza dell’ambiente e dei meccanismi di questo
lavoro, scandalizzandosi per cose tutto sommato banali.
- Qualcuno pensa che l’editore vieti la
pubblicazione di qualche cosa, ma credo che questo non accada mai, o meglio, a
me non è mai successo.
- A 14
anni ho fatto il primo lavoretto estivo per guadagnare qualcosa. Vendevo esche
per pescare.
- Quando ero ragazzina ero più irritabile.
Poi ho imparato a lasciar correre, a restare calma. Se reagisci serenamente
anche l’ambiente attorno a te reagisce meglio
Intervista
Com’è nata l’idea (cosa ti ha
spinto) di scrivere il romanzo dal titolo curioso
“Le stelle non sono lontane”?
«Ho scritto “per colpa” di una curiosa
coincidenza. Qualche tempo fa, avevo ritrovato 25 pagine scritte anni addietro e
poi dimenticate. Rileggendole, mi è parso che contenessero in nuce una storia
che, alla luce degli scandali di politica e sesso che cominciavano a verificarsi
nel Paese, meritasse di essere raccontata. Poi, mi chiama Elisabetta Sgarbi di
Bompiani e mi chiede se me la sento di scrivere un romanzo. Aveva in mente una
storia ed era proprio quella storia. È stato così che ho deciso che mi sarei
messa alla prova».
Puoi raccontare brevemente di cosa
parla il tuo libro?
«Astrid, nome d’arte di Carmela, è una
venticinquenne originaria di un paesino calabrese “scappata” a Roma per non
sposare il figlio strabico del padrone del supermercato e per fare carriera in
Tv. Arrivata nella capitale, diventa la star di un programma del pomeriggio e
punta a farsi sposare da Giangi di Sanfilippo, rampollo di una famiglia di
conti, campione d’eleganza e scapolo d’oro, che però la sera si addormenta
sul divano senza neanche guardarla. Nella vita di Astrid, però, c’è anche il
potentissimo presidente, un politico sul quale lei conta per accaparrarsi lo
show del sabato sera. Non è l’unica. Altre soubrette ambiscono allo stesso
programma e ai favori dello stesso potente. In un’unica, decisiva settimana,
quella che precede la presentazione dei palinsesti, l’arrivo di una misteriosa
busta verde, un anomalo furto, la minaccia di un’inchiesta su droga e escort,
fanno sì che tutti i protagonisti del romanzo si ritrovino a rischio di perdere
tutto».
Dove è ambientato il racconto?
«Nella Roma della Grande Bellezza, tra i
salotti raccontati da Paolo Sorrentino nel suo film, e tra i palazzi della
politica e della televisione, che fanno della città la capitale
dell’ambizione e della perdizione”.
C'è qualcosa di autobiografico in
questo tuo libro?
«No, ma anche io come Astrid ho lasciato un
paesino del Sud alla ricerca della felicità. E quei salotti e quei palazzi
raccontati nel romanzo li ho frequentati e vissuti in presa diretta nei tanti
anni in cui, da giornalista, ho scritto di costume, società e personaggi. Così
come ho potuto conoscere i meccanismi del potere e del gossip da un osservatorio
privilegiato quando per tre anni ho diretto Novella 2000».
Nel libro affronti qualche tema in
particolare?
«Il tema della ricerca della felicità,
forse. Perché oggi tutti abbiamo un’idea stereotipata del successo e della
realizzazione personale, che misuriamo in termini di visibilità e di consenso.
Nel romanzo, i politici aspirano al consenso degli elettori, le soubrette
all’audience, le donne a suscitare desiderio negli uomini, gli uomini a
rimorchiarne una a sera. C’è anche chi vive sui social network, alla ricera
di un “Mi piace” o di un “retweet”. Eppure, tutti loro, anche quando
raggiungono i loro obiettivi, non sono felici».
Nel tuo racconto, vuoi lanciare qualche
messaggio?
«Ambire a lanciare un messaggio sarebbe
presuntuoso. Però qualcuno dei miei personaggi, alla fine, qualcosa impara. Per
esempio, che la realizzazione personale avviene solo quando sei in grado di
guardarti dentro e vedere che percorso ti corrisponde davvero, senza lasciarti
condizionare dai grandi luoghi comuni di questo tempo: il sesso, i soldi, il
successo. Senza lasciarsi condizionare da quello che gli altri pensano che sia
la felicità».
La copertina del libro di Candida Morvillo
Una storia vera, aiuta?
«Credo che in questa storia potranno
riconoscersi tante persone pure lontanissime dalla realtà dei palazzi del
potere e dell’alta società, perché tutti i miei personaggi vivono dilemmi e
drammi umanissimi. Credo, per esempio, che molte donne potranno riconoscersi in
Beatrice, una giovane principessa che vive una dipendenza d’amore dal
presidente, che l’ha lasciata per Astrid. Beatrice, come molte donne, si sente
realizzata solo quando è amata da un uomo e, quando lui la lascia, crede di
essere niente. Lei si sente viva e meritevole di esistere solo se può
riconoscersi nello sguardo di un uomo».
Cosa ti ha colpito di più nella storia
che hai raccontato nel tuo libro?
«Il fatto che ci siano meccanismi
psicologici trasversali, per cui anche persone che fanno cose spregevoli sono in
realtà vittime di insicurezze e complessi che appartengono a tanti, per cui
osservandoli, possiamo leggere comunque qualcosa di noi. E mi colpisce che molti
lettori stiano eleggendo come “personaggio preferito” Giangi, che è
bellissimo, è “un buon partito” eccetera, ma è superfciale e perso a se
stesso. Però, evidentemente, corrisponde un po’ al “principe azzurro” e
le donne ancora sognano il principe azzurro».
Un motivo per cui uno deve leggere il
tuo libro?
«Perché racconta una storia che è
l’epifenomeno di tante cose che accadono nel nostro Paese e perciò un po’
spiega come sia possibile che ci ritroviamo sui giornali storie di
quattordicenni che fanno le escort, di giovani in cura perché dipendenti da
Internet, e scandali sessuali di ogni tipo».
Ti piacerebbe dare un seguito a questo
libro?
«Ho voglia di scrivere altro. Non so ancora
che cosa».
Nello scrivere ti ispiri a qualche
modello di scrittore?
«Non ho ispirazioni. Leggo tanti autori
americani contemporanei. Michael
Cunningham, Paul Auster, John Irving».
Per uno che scrive, quando arriva
l’ispirazione? (l’orario più fertile per scrivere)
«Io ho solo bisogno di fare silenzio attorno
a me e dentro di me. Quindi, scrivo nei weekend o in vacanza. Dalla mattina fino
alle due di notte, con pochissime interruzioni e con i telefoni staccati».
È più difficile iniziare un racconto,
trovare l’incipit e l’ispirazione giusta, oppure finirlo?
«Trovare l’ispirazione e finirlo. Quando
ho scritto “Le Stelle non sono lontane”, ho creato i personaggi e poi loro
hanno fatto tutto da soli. Quando hai in mente dei protagonisti, sai esattamente
che cosa faranno se messi in una certa situazione. Il difficile è inventare una
trama, cioè una sequenza di situazioni che ti consenta di portarli tutti sulla
scena del finale che ti sei prefissata. Ma creata la scaletta di eventi, io poi
scrivo di getto, come sotto dettatura».
Cosa serve per catturare nuovi lettori?
«Servono storie che li tocchino nel profondo
e che parlino alla loro parte sana, nascosta dentro di sé».
Scrivere ha migliorato o peggiorato il
tuo percorso di vita?
«È stato bellissimo. Anche se la cosa più
difficile è stata quella di dovermi abituare al silenzio e all’inattività
apparente. Ma ha scoperto che nel silenzio si accendono visioni che altrimenti
– sommersi come siamo nella frenesia quotidiana – rischiano di sfuggirci per
sempre».
Quanto contano per te i libri? Che
genere di libri ami leggere?
«Ho sempre letto tanto, fin da bambina. Mia
madre è mancata quando avevo sette anni e io mi sono immersa nei libri. È
stata la mia fuga da una realtà che non mi piaceva più. Leggevo e scrivevo.
Sognavo che da grande avrei fatto la scrittrice. Sono andata avanti così,
ininterrottamente, fino a che sono diventata adulta e ho cominciato a lavorare.
Allora, ho continuato a leggere, ma ho smesso di scrivere racconti e accenni di
romanzi. O meglio, a volte scrivevo e rimuovevo, dimenticavo di aver scritto.
Salvo, come è successo adesso, ritrovare 25 pagine e finalmente decidermi a
provarci. Come ti dicevo, i miei autori sono gli americani contemporanei. Mi
piacciono i romanzi che parlano di famiglie, ma anche i grandi classici: Jane
Austen, Ernst Hemingway, Tom Wolfe».
Hai vinto qualche Premio? Se sì, a chi
l’hai dedicato?
«Da giornalista, ne ho vinti un po’. Il più
importante è il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, vinto a 32 anni,
sezione Under 35. Dedicato, in cuor mio, a mia madre, che - come dico nella
dedica anche di questo romanzo - “ha fatto in tempo a insegnarmi a leggere e a
scrivere”».
Scrivere per te corrisponde a
un’urgenza personale, ad una valvola di sfogo o
una sorta di dovere?
«Per me scrivere produce pensiero. Scrivo e
si chiarificano riflessioni che non si evidenzierebbero in quel modo se dovessi
ragionarci a voce».
Come concili la tua professione di
giornalista con il mestiere di scrittore?
«In un caso e nell’altro, sono un
osservatore della realtà. “Leggo” persone, fatti, situazioni. E i tanti
incontri che faccio grazie al mestiere di giornalista diventano spunti per la
narrativa».
Un tuo sogno professionale nel
cassetto?
«Continuare a crescere, imparare sempre cose
nuove, misurarmi sempre con sfide diverse e più difficili».