Carlo Verdone (attore)
Roma 28 maggio 2015
Intervista di Gianfranco Gramola
Un
attore romano che con la sua personalità, il suo spirito libero, la sua
intelligenza e il suo amore per Roma, entra nel cuore del pubblico non solo
capitolino ma di tutta la nazione. Un’intervista dove Verdone parla del suo
rapporto con Roma (una città che a volte ti onora sull’altare
dell’appartenenza ma poi ti complica la vita, si fa ostile, mai affidabile, un
po’ sporca, tenuta male, ma pur sempre un gioiello planetario unico e
inestimabile), del mestiere
dell’attore e dei ricordi di Sora Lella, di Alberto Sordi e di Sergio Leone
(biografia
tratta dal sito ufficiale)
Carlo
Verdone (all’anagrafe Carlo Gregorio Verdone) è nato a Roma il 17 novembre
del 1950. Gia' da bambino ha modo di avvicinarsi al mondo del cinema grazie a
suo padre , Mario Verdone, celebre storico del cinema, docente universitario,
studioso delle avanguardie storiche, a lungo dirigente del Centro Sperimentale
di Cinematografia e amico intimo di personalità tra le più affermate
dell’epoca, quali Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Alessandro Blasetti,
Franco Zeffirelli, Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica.
Insieme al fratello minore Luca si diverte il sabato sera a proiettare film
sperimentali per amici e parenti, proiezioni dedicate soprattutto ai capolavori
felliniani e del neorealismo. Nel 1971 realizza con una videocamera vendutagli
da Isabella Rossellini per 70.000 lire un cortometraggio intitolato ''Poesia
solare'' (della durata di 20 minuti ca.), influenzato dalla cultura
sessantottina e psichedelica del tempo, e dalla musica dei Pink Floyd e dei
Grateful Dead. Nel 1972 gira un altro cortometraggio dal titolo ''Allegoria di
primavera'', seguito nel '73 da ''Elegia notturna''; entrambe sperimentazioni
influenzate dalla visione di rassegne dell’underground americano presentate al
Filmstudio di Roma di quegli anni. Successivamente i tre cortometraggi , girati
in super-8, sono stati smarriti, probabilmente all’interno dei magazzini della
RAI. Nel 1972 Carlo si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia e, nel
1974, si diploma in regia cinematografica, sotto la presidenza di Roberto
Rossellini. Il saggio di diploma s’intitola ''Anjuta'', ispirato a una novella
di Cecov, con la partecipazione di Lino Capolicchio (all'epoca gia' attore
affermato), Christian De Sica, Giovannella Grifeo e Livia Azzariti. Nello stesso
periodo inizia un'esperienza di animatore- burattinaio presso l’Opera dei
Burattini di Maria Signorelli. Emergono tutte le sue doti vocali e il talento
per le imitazioni, fino ad allora note solo ai familiari e ai compagni di classe
del liceo Nazareno di Roma, che ascoltavano con piacere le imitazioni dei
professori. Durante gli studi
universitari alla Sapienza di Roma (in cui si laurea in Lettere moderne nel 1977
con una tesi dal titolo “L’influenza della letteratura italiana nel cinema
muto “) inizia la sua prima esperienza di attore con il ''Gruppo Teatro Arte''
diretto dal fratello Luca. Una sera si trova a dover sostituire alcuni attori
malati, interpretando così ruoli diversi e dando prova del suo virtuosismo come
attore-trasformista. La strada che lo porta ad affermarsi nel campo della regia
inizia, come per tutti, con incarichi di assistente volontario, per poi
approdare all’aiuto regia. Nel 1974, oltre a lavorare sul set del film come
secondo aiuto regista, compare in ''Quel movimento che mi piace tanto'' di
Franco Rossetti, classica commedia erotica italiana (molto in voga negli anni
'70) con l'immancabile Renzo Montagnani; inoltre, Carlo svolge qualche altro
lavoro nell’assistenza alla regia con Zeffirelli e cura la regia di alcuni
documentari didattici per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La svolta
arriva nel 1977 con lo spettacolo ''Tali e quali'', in scena al teatro
Alberichino di Roma, in cui interpreta dodici personaggi, che appariranno più
tardi sia nella fortunata serie televisiva ''Non stop'' (in onda su RAI1 nei
primi mesi del 1978) che nei suoi primi film. Un incontro fondamentale per la
carriera di Carlo è quello con Sergio Leone, da cui nasce, oltre che al film
d’esordio ''Un Sacco Bello '' e il seguente “Bianco,Rosso & Verdone”
la collaborazione con gli sceneggiatori Leo Benvenuti e Piero De Bernardi. Nel
corso della sua carriera Carlo ha lavorato con diversi produttori, da Mario e
Vittorio Cecchi Gori, alla Warner Bros, alla Medusa, alla Titanus, prima di
firmare l’attuale contratto con Aurelio e Luigi De Laurentiis. Con la morte di
Leo Benvenuti e di Piero De Bernardi, Carlo inizia una collaborazione fissa con
lo sceneggiatore Pasquale Plastino, spesso con il supporto di Francesca
Marciano. Dal 1979 al 2014 sono venticinque le pellicole scritte, dirette e
interpretate da Carlo, compreso il grande omaggio ad Alberto Sordi, dal titolo
“Alberto il Grande”, con la co-regia del fratello Luca Verdone. Nelle vesti
di solo attore ha partecipato invece ad altri dieci film, da “In viaggio con
papà” di Alberto Sordi a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Tra le
caratteristiche conosciute di Carlo vi è quella di aver diretto un numero
considerevole di attrici italiane, esaltandone ai massimi livelli le potenzialità.
Quasi tutte hanno ottenuto nei suoi film premi prestigiosi, quali i David di
Donatello e i Nastri d’Argento. In campo teatrale Carlo ha curato due regie
liriche di grande importanza: “Il Barbiere di Siviglia”, nel 1991, e “La
Cenerentola” nel 2012 (in diretta televisiva mondovisione) di Gioacchino
Rossini. La lunga carriera di Carlo è stata celebrata nel 2013 dal documentario
“Carlo!”, diretto da Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, presentato al
Festival di Roma. Ha scritto i libri “Fatti coatti” e “La casa sopra i
portici” , autobiografia dei ricordi più importanti del regista.
Ha
detto
-
Sposando il rigore e la
disciplina ho perso sicuramente molte cose della vita normale, ma è anche vero
che mi si sono aperte tante opportunità per conoscere luoghi e persone
speciali.
-
Sai qual è la cosa che mi
rende più felice oggi che mi sento un uomo sereno? Fare i regali, vedere
sorridere la gente. Quando gli spettatori escono ridendo dal cinema, io sono
soddisfatto.
-
Mia madre Rossana è stata la
donna più importante. E’ stata lei a spingermi sul palco.
Alla prima esibizione in un piccolo teatro mi ha preso il panico. Lei mi
ha spinto fuori dalla porta di casa dicendomi: “Vai fregnone, un giorno mi
ringrazierai”.
-
L’importante è “vivere”
non “esistere”. E io ho vissuto tuttora le mie passioni con tanto slancio e
stupore.
-
Telefonini? Ne ho tre ma vi
assicuro che non è per divismo. Un portatile mi serve per telefonare
dall’estero. Poi c’è quello ufficiale e infine c’è quello per comunicare
con i parenti.
-
La malinconia ha sempre fatto
parte del mio carattere,un po’ il sentimento delle cose perdute. Ma non c’è
nostalgia, non sono di quelli che amano il passato, odiano il presente e hanno
paura del futuro. Io vado avanti, c’è sempre qualcosa per cui vale la pena
continuare.
Curiosità
-
Carlo si è sposato
nell’agosto del 1980 con Gianna Scarpelli, dalla quale ha avuto due figli:
Giulia, nata nel gennaio 1986, e Paolo, nell’ottobre 1987.
-
Ha
una grande passione per la musica, per il blues e il rock e per la batteria.
-
Carlo
Verdone ha suonato la batteria in alcuni dischi del suo amico Antonello
Venditti.
-
Nel corso della sua carriera
ha ricevuto nove David di Donatello (fra cui due David Speciali, uno nel 1980
come attore emergente e nel 2008 alla carriera): è stato premiato quattro volte
come attore, due come sceneggiatore e una come regista.
- Ha
vinto il Nastro d'Argento come migliore attore esordiente (1980), come migliore
attore non protagonista (2006 e 2013), per il miglior soggetto originale (1993 e
2010); inoltre come ha vinto il Nastro d'argento speciale (2003), Nastro
dell'anno (2008) e per la migliore commedia (2012). Il 2 giugno 1993 è stato
nominato Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
-
A Montemarcello Ameglia, in
provincia di La Spezia, nel gennaio 1997 è nato un Carlo Verdone fans club,
dotato di sito internet. Il fans club è stato creato da Gabriele Cibei e
Daniele Ricciardone.
-
È
fratello del regista Luca Verdone e di Silvia, moglie di Christian De Sica. È
stato sposato dal 1980 al 1996 con Gianna Scarpelli, dalla quale ha avuto due
figli, Giulia (1986) e Paolo (1988).
Intervista
Che
ricordi hai della tua infanzia romana?
Ho
dei bellissimi ricordi. Roma era una città disciplinata, pulita, una città
dove le persone avevano molta dignità. Poi c’era sempre quel lato così
ludico, romano dato dalla battuta, da quel modo di fare un po’ sornione, un
po’ filosofico, un po’ sguaiato. Io sono nato nel ‘50 e quindi i miei
ricordi iniziamo verso il ‘57. Ricordo che tutto quello che facevo con mia
madre tipo le passeggiate e quando andavamo a campo de’ Fiori, aveva veramente
un grande sapore. Sentivi la grande città. Oggi senti solo la città grande,
capito? Quindi ho un ricordo in bianco e nero, però molto poetico. Quelli sono
stati gli anni più belli della mia vita.
Attualmente com’è il tuo rapporto con
Roma o meglio come vedi la Roma di oggi. Personalmente ho l’impressione che il
pessimismo sia in vantaggio sull’ottimismo.
Purtroppo
è vero caro Gianfranco. Io ho una casa che mi permette di vedere la città
dall’alto. Ho una delle terrazze più alte di Roma. Vederla dall’alto è
sempre meravigliosa e infatti le fotografie si sprecano specialmente nell’ora
del tramonto. A me piace molto fotografare, non proprio la città, però ogni
tanto mi capita che ci sono dei colori talmente particolari su Roma che esaltano
stupendamente i monumenti, le cupole e qualche scatto lo faccio. Però quando
uno dopo averla vista dall’alto, scende e va dentro Roma, si rende conto di
tante magagne e tanti difetti. Purtroppo è una città che vive nella sciatteria
non soltanto di chi la governa e non se ne occupa, ma anche della sciatteria
degli stessi cittadini. Perché se gli stessi cittadini avessero avuto un po’
di educazione civica le cose forse sarebbero andate un pochino meglio. Ti faccio
un esempio. Ieri c’era la pioggia
e non era il caso di prendere la macchina. Ho preso l’ombrello e andando a
piedi mi sono reso conto che le strade sono un percorso di guerra, piene di
buche, marciapiedi sbriciolati, cartacce, macchine parcheggiate dappertutto.
Dispiace questo, dispiace perché è una città che viene maltrattata quando
invece ha tanta storia alle spalle e anche tante immagini importanti, sacre,
profane, poetiche e non merita di essere trattata male.
Carlo Verdone con Gianfranco Gramola
Come
vedi i romani (pregi e difetti)?
Sono
cambiati. Prima alcuni quartieri come Trastevere, Garbatella, Testaccio che sono
sempre stati quartieri che hanno espresso meglio di tutti l’anima della
romanità, erano quartieri dove la gente si parlava con molta cordialità,
spesso anche da finestra a finestra ed era un
po’ un teatro popolare in qualche modo. Oggi purtroppo regna la diffidenza.
Questo perché? Perché non sai mai con chi hai a che fare. Ieri c’è stato un
episodio qui a Roma, in zona Boccea, dove improvvisamente su un gruppo di
persone è piombata una macchina a tutta velocità. Ne ha buttate a terra nove e
ne ha ammazzata una persona e la macchina è scappata. Ecco, può succedere
questo. Può succedere a New York, può succedere a Miami, può succedere
ovunque. Però non succede a Berlino, non succede a Londra, non succede a
Parigi. Questo è una città dove a volte la follia porta a situazione assurde,
criminali. Questo perché? Perché non abbiamo dato o forse non siamo nemmeno in
grado di dare dei luoghi per vivere per questi emigrati che ci siamo preso solo
noi e non l’Europa. Adesso abbiamo rom, africani, cinesi, ecc… io sono una
persona molto tollerante intendiamoci, però Roma è diventata un campo profughi
veramente. Molti romani non le vedono perché stanno in centro, ma ci sono delle
zone un pochino in periferia che sono terra di nessuno, dover si spaccia e si fa
qualsiasi cosa. Quindi ci vorrebbero delle regole un po’ più ferree, però ci
dovrebbe dare una mano anche lì Europa. Non è che è razzista il romano, però
ce lo porti ad esserlo perché poi alla fine non è in grado di gestire tutte
queste cose, perché alla fine siamo rimasti soli con tutte queste
situazioni di degrado. Io non vorrei
fare un’intervista pessimistica Gianfranco, però certamente se facciamo un
paragone tra la Roma degli anni ’60 e quella di oggi c’è molta differenza.
Le differenze ci sono e sono abissali. In questo momento abbiamo bisogno di una
città che fa manutenzione. Dicono che non ci sono i soldi, allora saremmo
costretti a vivere per molto tempo in queste condizioni. Sicuramente non ci
fanno fare una bella figura soprattutto con i turisti e anche con noi stessi che
l’amiamo.
Nei
momenti liberi in quale angolo di Roma ami rifugiarti?
In
nessuno. Prendo la macchina e me ne vado in campagna. Ecco, la mia campagna è
il luogo che io amo di più. Prendo la macchina e vado in Sabina, dove ho una
bella casa, tranquilla, dove è stata allestita la biblioteca di mio padre con
tutti i libri che abbiamo raccolto dal momento in cui abbiamo sgomberato la casa
vicino a ponte Sisto. E quindi quello per me è un buon ritiro. Quasi tutti i
fine settimana, quando posso, vado là, perché mi rigenero. Mi dispiace non
avere un luogo a Roma dove rilassarmi o fare una bella passeggiata tranquilla.
Poi si deve anche pensare che ho il problema della riconoscibilità da parte
della gente, quindi faccio cinque metri e c’è chi ti chiede il selfie, la
foto, ecc… Non godrei niente. In campagna invece la situazione è ben diversa.
Cosa
vuol dire per te “essere romano”?
Sono
orgoglioso di essere romano, perché Roma è stata e continua ad essere,
nonostante le sue magagne, una città
molto importante. E’ la capitale, è la città dove si incontrano le bellezze
di varie epoche. Mi pare che Sorrentino nel film “la grande bellezza” l’ha
descritta nei migliori dei modi, togliendole le macchine, togliendole la gente e
facendola diventare metafisica. Però Roma quando è messa a lucido è quella là,
quella che ci fa vedere Sorrentino. E allora quella è una carezza che mi fa
sentire orgoglioso di essere romano.
Cosa
ti manca di Roma quando sei via per lavoro?
Mi
manca il clima. Il clima di Roma è sempre gradevole. Quando vado fuori o è
troppo freddo o è troppo caldo. Il clima di Roma mi piace, il clima
primaverile è quello autunnale mi piace moltissimo. Mi manca quello che vedo
dalla mia finestra, perché è un panorama fantastico. E’ una cosa che ti
mette in pace per un attimo.
Un
consiglio al sindaco di Roma?
Di
scegliersi dei collaboratori più efficaci certe volte. Innanzitutto stare molto
attenti all’edilizia, perché una brutta edilizia anche in periferia rovina la
città. Non c’è cosa più brutta dell’ingresso dall’aeroporto di
Fiumicino a Roma, perché ci sono dei palazzi veramente brutti. Tutte le città
hanno delle periferie ma Londra non è così. Parigi è brutta ma non è così.
Noi siamo veramente straordinari nell’aver dato questo potere ai palazzinari
romani, verso la metà degli anni ’60, che l’hanno distrutta,
perché hanno costruito dove non dovevano costruire, senza un piano
regolatore. Quindi hanno rovinato
anche le periferie della città con dei colori, con degli stili che fanno a
cazzotti fra di loro e che sono anche molto cafoni. Quindi consiglio al sindaco
una cura particolare per il piano regolatore, una cura particolare per le
strade, per la loro manutenzione,
per i servizi pubblici. Questa città ha bisogno di tantissime cure, tantissime.
Però la prima è quella delle strade, perché tanti ragazzi che vanno con il
motorino, si fanno male a causa delle buche. Se vai all’ospedale nel reparto
ortopedia o traumatologia, il 95 per cento è gente che è cascata sulle buche
di Roma con le moto.
I
tuoi ricordi di Sora Lella?
Forse
è stata l’ultima grande caratterista del cinema italiano, è stata una
vecchia anima di Roma, un po’ brontolona, un po’ bonacciona però molto
saggia. Quelle vecchie matrone che
oggi non si trovano più. Quelle che hanno visto la guerra, che l’hanno
vissuta e che poi hanno cercato di rifarsi in qualche modo dopo la guerra,
lavorando a campo de’ Fiori in un banchetto di frutta e verdura per poi aprire
il ristorante sull’Isola Tiberina “Sora Lella”. E’ sempre stata una
donna che mi ha voluto molto bene, e io ho voluto molto bene a lei perché
rivedevo in lei il bene, il bello e il positivo della città.
I tuoi ricordi di Sergio
Leone?
Io devo molto a quell’uomo
perché se non ci fosse stato quel grande regista e anche produttore nel mio
caso forse la mia carriera avrebbe preso tutt’altra strada. E’ stato lui ad
individuare le mie capacità e mi ha spronato a dirigermi da solo nei primi
film, dandomi dei consigli preziosissimi, perché lui era un regista
assolutamente supremo e quindi io ho un ricordo di grande affetto e di grande
nostalgia perché anche lui rappresentava una Roma che non c’è più.
Parlando
di Roma è chiaro che bisogna menzionare Alberto Sordi! Come lo hai conosciuto?
Io
l’ho incontrato tante volte, il destino ci ha fatto uno scherzo abbastanza
incredibile, perché Sordi abitava, quando io ero bambino, di fronte alla
mia finestra della camera da letto che dava sulla via delle Zoccolette, e
in tale via c’era la stanza dove dormiva Alberto Sordi. Io ero molto piccolo
però sentivo molto nominare Alberto Sordi e
sapevo che era un attore. La televisione a quell’epoca non trasmetteva
film, per andare a vedere un film di Alberto Sordi bisognava andare al cinema,
ma io al cinema preferivo vedere i western, Maciste, Ercole. L’ho raccontato
molte volte nelle interviste che gli tiravo dei sassi sulla finestra, così, per
scherzo, come fanno i bambini un po’ dispettosi. Sapevo che là c’era una
persona importante. Un giorno si arrabbiò e mi disse che gli avevo rotto le
scatole. L’incontrai per la prima volta quando feci “Bianco, rosso e
verdone”. Sergio Leone fece una proiezione del film invitando Alberto Sordi,
Monica Vitti e Falcao. Non ho mai capito perché c’era Falcao, forse per il
figlio che era tifoso della Roma. Lì fece vedere “Bianco, rosso e Verdone”,
perché era incerto sul film. Sergio Leone non credeva tanto in “Bianco, rosso
e Verdone”, lo aveva prodotto ma aveva paura, soprattutto aveva paura che quel
marito logorroico risultasse molto antipatico al pubblico e non portasse
successo. Si è sbagliato perché poi il clou di “Bianco, rosso e Verdone”
era il marito logorroico di Magda. Alla fine della proiezione mi ricordo che
Sordi si alzò, mi aprì le braccia, mi abbracciò e mi disse: “Viè qua” e
mi disse: “Che cos’è quel marito, che cos’è quel marito, bravo, bravo,
bravo”. Allora Sergio Leone si tranquillizzò un attimo e poi Leone lavorò
con Sordi affinché si potesse mettere in piedi un film tra me e Sordi, cioè un
padre e un figlio. Quindi fu Sergio Leone l’artefice dell’incontro tra me ed
Alberto Sordi, e poi quando ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura è nata
un’amicizia molto forte. Chiaramente io già stimavo Alberto Sordi perché a
quell’epoca avevo visto tutta la sua filmografia e siamo andati molto
d’accordo e c’è stato un bel rapporto tra noi. Ho avuto alcuni privilegi a
livello privato che molti non hanno avuto. Visitare la casa, vedere la piscina,
vedere dei quadri molto importanti, vedere il teatro personale di Alberto Sordi.
Lui aveva una grande casa che non era frequentata perché quando morì la prima
sorella è entrato in una sorta di lutto perenne, non ha più fatto cene, una
cosa molto strana, però con me scherzava, mi apriva un po’ le casseforti di
questa bella villa e per me fare “In viaggio con papà” è stato il
coronamento di un sogno, perché alla fine stavo recitando accanto all’attore
che più avevo amato dal punto di vista della commedia italiana, il più
importante sicuramente. Oggi purtroppo quello che è successo mi è un po’
dispiaciuto, si è un po’ offuscata un’immagine di Sordi. Parlo
dell’eredità, insomma tutti ‘sti soldi, lasciati così senza indicazioni
precise. Però qualche indicazione le aveva date, e allora io oggi sono
presidente dell’Associazione Alberto Sordi per i giovani, che si deve occupare
di cultura, però di far lavorare alcuni giovani di talento ma con reddito
familiare basso, all’interno di intuizioni culturali, manifestazioni
culturali, e ne abbiamo molte, adesso già 6 ragazzi stanno già lavorando
stipendiati da noi, e noi facciamo questo lavoro gratis, cioè una cosa che
voleva Sordi, quindi io l’ho portata avanti, poi c’è un’altra fondazione
che è “Museo Sordi” dove sono sempre nel Consiglio d’Amministrazione, ma
non sono Presidente e quindi si tratta di gestire delle cifre molto importanti.
Siamo ovviamente controllati dal Tribunale, dalla Prefettura e quindi cerchiamo
di fare le cose nel migliore dei modi, in ricordo di Alberto Sordi.
Come ricordi i tuoi inizi ? Il mondo del
cinema era come te lo immaginavi o ti ha deluso?
No!
Non mi ha deluso per niente. Agli inizi quando ho cominciato a fare cinema mi
sembrava di essere in un sogno.
Entravo in un mondo che avevo sempre visto dall’esterno nel quale non pensavo
minimamente di entrare, perché avevo mille paure, mille timori
di non farcela. Però io avevo una laurea, avevo già fatto i miei studi
che erano diversi dal cinema. Erano studi universitari, però quando cominci a
fare l’attore a livello universitario, poi a livello un pochino più
professionale, poi è arrivata la televisione dove ho avuto successo, poi è
arrivato Sergio Leone che mi ha proposto il primo film m’è sembrato che mi si
concretizzasse come una sorta di miracolo. Però io ho lavorato con rigore, con
amore, con molta disciplina cercando di fare del mio meglio, cercando
soprattutto di essere sincero e di fare le cose che volevo fare. Se io sono 38
anni che lavoro e che è un tempo molto lungo e quasi impossibile per chiunque,
è perché non ho mai dato lo stesso film al pubblico e sicuramente il pubblico
ha sentito da parte mia molta onestà, molta disciplina, molto amore nei
confronti di loro. Io ho sacrificato molte cose private pur di lavorare come il
pubblico voleva. E’ una missione alla fine.
La
tua più gran soddisfazione artistica?
Quando
io feci “Borotalco”, che era un film estremamente delicato, perché veniva
da due film che erano virtuosi, il pubblico e la critica s’erano messi in
testa che i miei modi di fare cinema si potevano esaurire con facilità perché
avevo sparato tutti i miei proiettili nei primi due film. In poche parole
avevano dei dubbi su quando io avrei affrontato un film con la mia faccia, senza
le caratterizzazioni, le parrucche, le voci, ecc… Quindi con “Borotalco”
mi sono giocato molto della mia carriera, o meglio mi sono giocato tutto. Quando
vidi il risultato di “Borotalco” , dal punto di vista dell’affluenza del
pubblico, dall’incasso e dai 5 David di Donatello che ho preso, dentro di me
dissi: “Ce l’ho fatta”.
Questo è stato il primo sentore che avevo superato la fase del virtuosismo e
che potevo fare dei film con la
faccia mia, dirigendo gli attori in
maniera canonica, non da virtuoso.
Hai
mai fatto delle scelte di cui ti sei pentito?
No!
Non rinnego niente di quello che ho fatto. Va bene tutto quello che ho fatto,
anche i film minori, anche quelli che potevano venire meglio, perché il mio
percorso nasce anche da qualche film minore o che è venuto meno bene. Perché
uno poi trova il coraggio per poter fare meglio dopo. Uno poi se ne rende conto
di aver fatto un film minore. Allora quando arriva quello dopo, tu hai più
energia, più dinamica, più concentrazione per affrontare un film superiore.
Un
tuo sogno artistico?
Mi
piacerebbe prima o poi fare in film soltanto come regista, poter dirigere una
donna di 50 anni, due ragazzi di 20, senza me di mezzo. Il problema è vedere
poi il pubblico come lo prende, perché potrebbe interpretarlo come un addio
alle scene di Verdone che passa dietro la cinepresa. Ogni tanto quando mi fermo
nei bar a parlare con le signore, mi dicono: “ Non ti allontanare troppo dalla
commedia, tu ci devi essere”. Io sto cominciando a essere grandicello e prima
o poi questa cosa dell’addio alle scene dovrà avvenire per forza. Però è un
mio sogno quello, perché mi piacerebbe un giorno avventurarmi in un film dove
non ci sono io dentro, ma avrò la libertà di raccontare magari altre storie,
altri problemi, altri temi.
Perché
non fai teatro?
Perché
non ho la mentalità teatrale. Ho fatto due stagioni e ho recitato all’Eliseo
di Roma, a Firenze al teatro Niccolini. Non ho fatto molto teatro, perché per
me era una gran fatica, perché non mi risparmiavo. Quindi la sera nello
spettacolo che avevo scritto interpretavo ben 26 personaggi. Interpretare 26
personaggi ammazza anche un elefante. Dopo quella esperienza mi è rimasto il
trauma della gran fatica e allora ho deciso che il cinema faceva più per me,
con i suoi tempi lenti. Al teatro non ci penso più, probabilmente è una mia
pecca, però è una mia non sopportazione di fare tutte le sere la stessa cosa.
Non ho la mentalità di attore teatrale.
Adesso
a cosa stai lavorando?
Sto
lavorando al mio prossimo film e adesso il titolo lo dirà De Laurentiis quando
ci saranno le giornate promozionali a Riccione. Con me ci sarà Antonio Albanese
e sarà un film molto differente, un film molto dinamico, molto rocambolesco e
molto divertente. Il copione è molto buono. Secondo me io e Albanese abbiamo la
possibilità di fare veramente i fuochi d’artificio assieme.
Cosa
pensi di papa Francesco?
Mi
sembra che deve faticare moltissimo perché smuovere la curia in qualche modo è
molto complicato, però è un uomo che ha portato la semplicità, ha portato il
pontificato più a contatto con la
gente e questo è un bene perché è benvenuto dai fedeli
e anche dalla gente che non crede, perché lo sente come una persona
molto semplice, molto pragmatico, di buon senso e molto aperto per certe cose.
Quindi ha accorciato la distanza che c’era tra il pontefice e i fedeli. Sta
sempre in mezzo alla gente, non vuole guardie del corpo, non vuole niente, solo
la semplicità. Ha fatto una bella rivoluzione.
Il
tuo rapporto con la Fede?
Io
sono credente, sono anche cattolico. Però ogni tanto quando sento notizie di
persone che se ne stanno andando, e io ne ho perse tante ultimamente, ecco là
la fede, traballa un po’, perché in genere se ne vanno sempre i buoni, quelli
che hanno un anima bella. Purtroppo devo dire che negli ultimi anni è accaduta
non dico una carneficina, ma ci sono state delle cose che mi hanno turbato
molto. Queste sono cose che mi mettono molto in crisi certe volte con la fede,
perché non riesci a capire il senso della vita. Però devo dire che sono dei
momenti di confusione momentanei perché poi in qualche modo uno prega affinché
ritorni la fede.