Domitilla Savignoni (giornalista)
Roma 4.5.2014
Intervista di Gianfranco Gramola
Per diventare una buona giornalista bisogna
iniziare facendo la famosa gavetta, quella che si fa in tutti i mestieri. Di
lavorare in qualsiasi realtà, anche la più piccola, la più modesta e fare
tanta esperienza. Roma? La difendo sempre, anche quando è indifendibile.
Il sito della giornalista romana è www.domitillasavignoni.com
(Un blog di idee e speranze, ottimismo e
futurismo. Vietato ogni pensiero negativo, banalità e nostalgia. Sì
all’indignazione costruttiva e alla rabbia positiva).
Chi è Domitilla Savignoni?
E’ nata a Roma il 9 febbraio 1966. Laureata
in Scienze politiche (indirizzo politico internazionale), ha collaborato per due
anni con il gen. Luigi Caligaris occupandosi di politica di sicurezza e di
difesa. Ha lavorato con quotidiani (L’Avanti, l’Indipendente, Il Giorno)
agenzie di stampa ( Adn Kronos, Ansa), settimanali ( Epoca)
e Raiuno (Donne al bivio).
E’ al TG5 (Canale 5) dal 1994 nella redazione esteri. Giornalista
professionista dal 1998, ha seguito come inviata molti eventi internazionali
soprattutto in Medio Oriente. Dal giugno del 2006 al maggio 2012 ha
condotto l’edizione delle 8 del mattino. Dal 23 maggio 2012 conduce quella
delle 13.
Ha
detto:
- Sono
appassionata di storia, ma anche di tutto quello che riguarda il futuro, come la
genetica e le nuove tecnologie.
- “C’è un’ Italia allo sbando, che
invecchia e cade a pezzi giorno dopo giorno” mi ha scritto una persona su
Twitter. “Sì - gli rispondo - ma c’è anche un’Italia giovane non
solo anagraficamente, attiva, creativa, produttiva, che non si abbatte e che
nessuno racconta”.
-
Sono stata campionessa italiana di ginnastica ritmica, sport che ho praticato
per dieci anni. Per altri dieci anni ho danzato. Ora corro: New York, Roma,
Firenze, la prossima sarà…..Istanbul 2014.
Curiosità
- Ama il mare, le persone che si appassionano
e lottano, ogni oggetto tecnologico nuovo, viaggiare verso est e il sud del
mondo con Emilio, Giulio e Luca. Non sopporta chi parla troppo, i convenevoli e
chi non sa ascoltare.
-
Ha pubblicato con la Berg Publisher : “The internal dissenter: Italy” in
“Domestic sources of foreign policy: West European reactions to the Falklands
conflict.(1996).
Intervista
Da
campionessa di ginnastica ritmica a giornalista. Com’è nata questa decisione?
La ritmica è stata una grande passione della
mia adolescenza, quando ho smesso di gareggiare ho provato a fare
l’allenatrice per un paio di anni, però mi piaceva molto scrivere.
Volevo fare la giornalista, avevo le idee abbastanza chiare. Il mio sogno era
entrare in un giornale, ho lavorato per il settimanale Epoca, per i quotidiani
L’Indipendente, per l’Avanti, per Il Giorno, per le agenzie di stampa
Adnkronos e Ansa e poi è capitata un’occasione con il Tg5, che era nato
da poco e cercava ancora giovani redattori. Ho iniziato come stagista nel
’94, poi una serie di contratti a termine fino all’assunzione nel 1997.
Quali
sono stati i tuoi maestri?
Sicuramente Enrico Mentana, che per la
televisione è stato un grandissimo maestro. Era e resta il migliore dal punto
di vista del giornalismo. Poi un maestro è stato Ugo Magri a Epoca che mi ha
insegnato i primi rudimenti del mestiere. E anche Pippo Marra, il direttore
dell’Adn Kronos, lì sono diventata pubblicista e l’Agenzia di stampa è
stata una grandissima scuola di giornalismo, molto faticoso però molto ma molto
utile.
Il mondo del giornalismo era come te lo
immaginavi o ti ha deluso?
E’
facile dire che il mondo del giornalismo delude. Ho sentito molti colleghi
dire questa cosa. In realtà è cambiato tantissimo il mondo del giornalismo, è
cambiato da quando ho iniziato, perché c’è la crisi, una crisi profonda, ci
sono pochi soldi. Ti faccio un esempio. Io seguo le notizie dall’estero. Per
me fare il vero giornalismo, il vero mestiere, vuol dire andare
all’estero, andare sul posto per raccontare un evento, una storia.
E questa è una cosa che si può fare sempre più raramente. Un po’
perché siamo viziati dalle immagini che arrivano da fuori e quindi è molto più
semplice confezionare oggi un servizio dalla redazione rispetto a 20 anni fa.
Adesso trovi tutto a disposizione. Ora abbiamo addirittura i social network dove
tu puoi seguire in diretta quello che sta succedendo nella piazza principale del
Cairo. Questo se hai dei buoni contatti sui social network, fatto di persone di
cui ti fidi e che sai che raccontano cose vere. Però, come dicevo prima, come
giornalista si dovrebbe stare sul posto per raccontare i fatti, vedere con i
propri occhi, ma purtroppo questo si riesce a fare sempre con maggiore difficoltà,
per il problema di costi. Le trasferte costano tanto, le assicurazioni pure, i
cameraman che vengono con te hanno delle attrezzature molto costose, poi c’è
la crisi della pubblicità. Noi siamo una Tv privata –non abbiamo un canone-
viviamo con gli introiti della pubblicità. E se le aziende vanno male non
investono in pubblicità e noi andiamo a casa.
A
chi volesse avvicinarsi al giornalismo, che consigli daresti?
Di provare qualsiasi esperienza, anche la più
piccola. C’era Steve Jobs che diceva: “fai tante esperienze poi unisci tutti
i puntini”. Quindi non fossilizzarsi nel dire “voglio fare il giornalista
tv, o radio, o..”, ma iniziare facendo la famosa gavetta, quella che si fa in
tutti i mestieri. Lavorare in qualsiasi realtà, anche la più piccola, la più
modesta e fare tanta esperienza.
Ho
letto che hai curato inchieste su mafia e servizi segreti. Temi scottanti. Hai
mai ricevuto minacce?
Fortunatamente no. Quelle inchieste le ho
fatte quando ero proprio agli inizi della carriera per Epoca, perché mi
occupavo proprio di argomenti che riguardavano la criminalità
organizzata, le nostre forze armate e i servizi segreti. Collaboravo in quel
periodo anche con un generale che era un esperto di strategia e politica
di sicurezza il gen. Luigi Caligaris. Avevo anche fondato con altri appassionati
di questi temi un Think-tank, una sorta di circolo culturale (il Circolo Campo
Marzio) in cui ci riunivamo e facevamo delle cene in cui si discutevano questi
argomenti invitando personaggi importanti (il ministro della difesa,
l’opinionista, lo stratega..) e quindi ho iniziato a scrivere di queste cose.
Hai
fatto anche l’inviata in Medio Oriente. Cosa ti ha colpito di quel paese e hai
mai avuto esperienze poco piacevoli?
Si!
Esperienze poco piacevoli, si. Non gravi per fortuna. Sono stata in Israele la
prima volta quando c’era la seconda intifada (è stata la rivolta palestinese
esplosa a Gerusalemme il 28 settembre del 2000, in seguito estesa a tutta la
Palestina, ndr). Ero andata a fare delle interviste nei territori palestinesi, a
Ramallah, e avevo fatto tardi e ai check point non ci volevano far entrare a
Gerusalemme. C’era un clima di grande tensione, si sentivano spari, era buio,
non sapevamo dove passare la notte, poi ci hanno fatto passare. Quello è stato
un brutto momento. Io poi ero abbastanza inesperta perché era la prima volta
che andavo là. Un’altra volta, seguendo alcuni scontri, mi sono trovata in
momenti di tensione e mi sono presa una bastonata in testa da una donna, perché
non avevo la testa coperta dal velo. Anche durante la guerra in Libia nel 2011,
io ero a Bengasi per un periodo, e lì il pericolo era abbastanza quotidiano,
perché le persone sparavano in continuazione e quindi era facile farsi male.
C’erano anche ragazzini che maneggiavano delle armi.
Quali
sono le tue ambizioni?
Bella domanda (risata): Questo è un mestiere
che purtroppo ad un certo punto ti taglia le ambizioni. Uno dovrebbe sempre
averne, però in realtà io sono una conduttrice, ho fatto l’inviata e la mia
ambizione più grande è continuare a seguire gli eventi sul posto dove
avvengono. Questa resta la mia ambizione. Mi piacerebbe molto anche lavorare
dietro le quinte di un programma tv nuovo, magari come autrice.
Una
tua ossessione professionale?
Non ne ho! E’ grave? Ho altre
ossessioni, in altri campi, ma sul lavoro nessuna. Non mi chiedere quali sono
perché non te lo dico…
Raccomandazioni
e compromessi pur di lavorare. Sei d’accordo?
Non sono d’accordo, però credo che
facciano parte della vita e della normalità, in tutti i settori. La
raccomandazione bisogna vedere che tipo di raccomandazione è. Io posso
raccomandare una persona in cui credo perché penso che sia una persona giusta
per quel posto. L’ ho anche fatto. Io sono contraria all’imposizione perché
credo in una società meritocratica e in questo gli americani ci insegnano
tantissimo. Quindi vorrei che le persone nel lavoro andassero avanti per i loro
meriti non per raccomandazioni. Il fatto di fare compromessi, li facciamo tutti.
Li facciamo nella vita familiare, nell’amore e si fanno anche nel lavoro.
Certo, bisogna vedere quanto pesano, che tipo di compromessi sono. Bisogna
cercare di farli per piccole cose, non per cose importanti.
Mi
racconti la tua passione per la corsa? Com’è nata?
Quella è nata quando è esaurita la mia
passione per la ginnastica. Ero abituata ad allenarmi tutti i giorni e avevo
bisogno non della lezione in palestra, ma di qualcosa di forte. Quindi ho
iniziato prima a danzare, tutti i giorni, 3 ore, come i veri professionisti, per
dieci anni (io vado a decenni, evidentemente). Poi, dopo la prima gravidanza, a
correre per tornare in forma. Mi è piaciuto sempre di più, fare uno sport
all’aria aperta, che puoi praticare ovunque e in qualsiasi momento. Ho fatto
anche delle maratone. La prima maratona l’ho corsa 4 anni fa a New York,
poi a Roma e poi a Firenze. La maratona è l’unica cosa che mi fa ricordare la
fatica terrificante che facevo durante gli allenamenti per la ginnastica
ritmica. La preparazione alla maratona è molto pesante, la maratona in sé è
una assurdità, è una follia. Sono 42 km. E’ per malati di mente (risata).
Per uno che si vuole autodistruggere. A parte gli scherzi la maratona è uno
sforzo limite che mi fa star bene.
Hai
un nome abbastanza curioso. Da dove deriva?
Domitilla è un nome di origine romana (ci
sono anche le catacombe di S. Domitilla a Roma!). Deriva da domitus, docile
mansueto (io non lo sono per niente, dicono…) a Ponza mi venerano e sono stata
anche un’imperatrice romana.
Parliamo
un po’ della tua città. Com’è il tuo rapporto con Roma?
Con Roma ho un rapporto di amore puro. Sai
quando ami così tanto che non vedi neppure i difetti più evidenti? Quando
perdoni ogni mancanza? La difendo sempre, anche quando è indifendibile. Una
cosa che mi piace molto di Roma, anche perché amo fare sport all’aria aperta,
è che qui hai la possibilità di andare in posti meravigliosi. Abbiamo i parchi
più belli di qualsiasi altra città. Villa Borghese. Villa Ada, villa Pamphili,
villa Glori e abbiano la campagna intorno a Roma che è meravigliosa. Se uno
prende la pista ciclabile da ponte Milvio e va fuori Roma, nel giro di 5 minuti
sta in campagna. Hai visto il film “La grande bellezza?”. C’è tutta
quella parte del Tevere, andando verso il centro, che vista da sotto, dal
fiume, sembra un’altra città, non sembra neanche Roma. Ed è meravigliosa.
Peccato che noi romani siamo molto maleducati, disorganizzati e abbiamo un sacco
di difetti.
Come
tutti.
Diciamo che noi abbiamo più difetti che
pregi.
Però
avete una buona cucina.
Vabbè Gianfranco, ma in Italia quale regione
non ha una buona cucina? Siamo la patria della buona cucina. Io adoro la
carbonara, la matriciana, anche se non è proprio di Roma. I piatti tipici mi
piacciono tutti, tranne la pajata e la trippa.
In
quali zone hai abitato?
Sempre nella stessa, purtroppo. Io dico
spesso che non voglio nascere e morire a Roma nord, ma secondo me succederà così.
No, spero di no (risata). Sono nata a Roma nord e lì ci vivo, nella casa dove
stavano i miei genitori. Ora vivono da un’altra parte.
C’è
un angolo di Roma a cui sei particolarmente affezionata?
C’è una zona in cui amo
rifugiarmi ed è nella casa di campagna di mio padre e di mia madre, a Formello,
vicino a dove si allena la Lazio.
Parlavamo
prima del film “La grande bellezza”? Roma è cosi come viene descritta?
Dal punto di vista della fotografia il
regista fa vedere la parte più bella della città, le chicche di Roma. Roma non
è solo quella, ma è anche quella. Dal punto di vista di un certo tipo di
società e di persone che vengono descritte nel film, assolutamente si.
Sorrentino ha fatto una fotografia di un determinato tipo di romano che peraltro
mi è capitato di conoscere, di incontrare… li ha presi in pieno e rispecchia perfettamente
un certo tipo di essere romano, di romanità, dell’alta borghesia.
E
del nuovo papa, cosa ne pensi?
E’ fantastico. E’ un grande
rivoluzionario. A me piace da pazzi. Io sono agnostica. Tutto quello che
riguarda preti e chiesa non mi piace. Questo anche quando c’era papa Giovanni
Paolo II. Non mi piaceva tutto quello che rappresentava il Vaticano,
l’istituzione della chiesa. Invece questo Papa … non mi fa ridiventare
cattolica, però sono felice che ci sia.
Ha
carisma.
Si! Ha carisma, sa come comunicare, ha una
grande semplicità e spontaneità che arriva a tutti, credenti e non credenti e
questo mi piace molto. Il carisma è una delle doti che noto e apprezzo di più
nelle persone. Parlo del vero carisma, quello che alcune persone hanno di
natura, che nasce dalla spontaneità non dalla costruzione.