Franca
Giansoldati (giornalista e scrittrice) Roma
27.5.2016
Intervista di Gianfranco Gramola
Una
professionista della carta stampata che ha iniziato a scrivere molto presto. Una
grande ammirazione per Oriana Fallaci, ha avuto il piacere di conoscere da vicino tre papi:
Woityla un grande Papa, Ratzinger un
grande predicatore dalla memoria formidabile, papa Francesco un uomo dal cuore
grande
Franca Giansoldati
è nata a Casina (Reggio
Emilia) il 16 agosto 1964. Dopo le superiori a Castelnovo ne' Monti, si laurea
in Storia contemporanea, all'Università di Bologna. Ancora studentessa diventa
collaboratrice esterna prima della Gazzetta di Reggio e poi del Resto del
Carlino. Nel 1991 vince una borsa di studio alla Adnkronos, a Roma dove rimane
fino al 2000 poi con altri 5 giornalisti e Lucia Annunziata fonda una propria
agenzia di stampa, l'APBiscom (poi diventata Apcom e ora TN News). Nel 2005
passa all'ANSA. L'anno dopo si sposta a Il Messaggero dove lavora tuttora come
vaticanista. Nel 2013 ha vinto il Premio Ischia internazionale di giornalismo
per il migliore reportage sull'elezione di papa Francesco. Nel 2014 è la prima
donna che ha intervistato il Papa. Nel 2016 ha vinto il Premio giornalistico
Hrant Dink.
Libri
Apocalisse: la profezia di Papa Wojtyla, con
Marco Tosatti, Piemme, 2003
Il demonio in Vaticano. I Legionari di Cristo e
il caso Maciel, Piemme, 2014
La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno, L'altrosguardo
Ha detto:
-
Le parole del papa non hanno solo un valore religioso, ma anche politico.
-
Mi ha sempre animato una grande
passione per la lettura e, ancora di più, per il racconto: scrivere è
cristallizzare un pezzo della realtà che hai davanti.
- In questa professione i rapporti umani sono
decisivi: grazie alle relazioni vieni a sapere tante cose, che non significa
automaticamente possibilità di scriverle; se poi non sono chiare, prove di
riscontri o se danneggiano, preferisco tenerle per me.
-
Forse l’elemento più importante della comunicazione è la capacità di
spiegarsi in maniera semplice e immediata.
Intervista
Quando hai capito che
il giornalismo sarebbe stata la tua professione?
Il
primo articolo l’ho scritto a 18 anni per la Gazzetta di Reggio Emilia e da
allora non ho più smesso.
Chi sono stati i tuoi
maestri, i tuoi punti di riferimento?
Ho
sempre ammirato Oriana Fallaci, e il suo coraggio di andare controcorrente,
ricordo quando leggevo la sua lettera ad un bambino mai nato quando il main
stream era a favore della legge sull’interruzione della gravidanza.
Le doti di un buon
giornalista?
Onestà,
ricerca della verità, rispetto per il prossimo. Penso sempre alla forza di
quella frase del vangelo: la verità rende liberi.
Il mondo della carta
stampata era come te lo immaginavi o ti ha un po’ deluso?
Naturalmente
succede a tutti di ricorrere al mito di Icaro, quando si avvicinò troppo
al sole. Le sue ali incollate con la cera iniziarono a sciogliersi. Osservare da
lontano un settore non è come quando uno inizia ad esplorarlo da vicino,
scoprendo tante zone d’ombra ma anche tante risorse. Il mondo della carta
stampata è, oggi, un mondo destinato a subire profondi interventi strutturali.
Penso che la qualità del prodotto editoriale sarà l’elemento che farà la
differenza e determinerà la sopravvivenza di quei giornali in grado di reggere
la concorrenza qualitativa. In futuro l’informazione sarà ancora più
preziosa.
Un collega che stimi
molto?
Tutti
i miei colleghi vaticanisti. Essere vaticanista è una specializzazione che
richiede costanza e dedizione ma quasi mai il lavoro enorme che sta dietro ad un
articolo riesce ad emergere. Penso che sia l’ultima specializzazione pura
ancora esistente.
Le tue origini
emiliane sono state importanti nel tuo lavoro?
Dalle
mie parti, sulla montagna emiliana, ancora si fanno affari con una stretta di
mano. Le mie origini mi hanno insegnato il valore della parola data.
Quando hai iniziato
ad occuparti di Vaticano e dintorni?
Dopo
avere lavorato come collaboratrice al Resto del Carlino di Reggio Emilia, ho
vinto una borsa di studio all’Adnkronos. Mi ero appena laureata. Era una
grande opportunità. Il primo servizio che mi affidarono per caso riguardava il
vaticano. Fu un successo e così la mia strada fu segnata incidentalmente.
Franca Giansoldati
con papa Francesco
Hai avuto il piacere
di conoscere da vicino tre papi. Che ricordo hai di papa Wojtyla?
Sono
troppi i ricordi che ho di lui. Non mi scorderò mai il periodo della malattia,
nel 2005. Era un uomo impotente che non riusciva più a comunicare con i fedeli.
Era una maschera di dolore. Soffriva tantissimo e trasmetteva tutto il suo
dolore. E’ stato un grande Papa.
E di Ratzinger?
Ho
amato enormemente il modo in cui ragionava, il modo in cui usava le
parole. E’ stato un grande predicatore dalla memoria formidabile. A tu per tu
era gentile e delicato. Peccato lo abbiano isolato così tanto dal mondo. Si è
scelto dei collaboratori inadeguati al ruolo, perché non hanno fatto il suo
bene.
Papa Francesco?
Ricordo
con allegria la lunga conversazione che abbiamo avuto per l’intervista che mi
ha concesso per il Messaggero. Un uomo dal cuore grande, generoso e con una
intelligenza al laser.
Quali dei tre ti dava
più soggezione?
Non
saprei, forse Wojtyla..
A quale sei più
affezionata?
Sicuramente
a papa Francesco, gli voglio davvero bene.
Come hai vissuto gli
scandali vaticani (pedofilia, corvi, Ior)?
Sono
stati uno choc per tutti. Gli scandali Sono praticamente scoppiati con
Ratzinger. Sotto Wojtyla le magagne venivano circoscritte e non era ancora
maturata la mentalità della trasparenza. Si tendeva a lavare i panni in casa
per non creare scandalo. Fu papa Ratzinger a volere trasparenza finanziaria e a
portare avanti una reale politica anti pedofilia. Trasparenza zero verso i preti
pedofili. Il lavoro che lui ha iniziato lo ha portato avanti papa Francesco.
Ratzinger è stato davvero coraggioso.
Hai scritto 3 libri (Apocalisse: la
profezia di Papa Wojtyla - Il demonio in Vaticano - La marcia senza ritorno).
Quale ti ha dato più soddisfazione?
Ogni libro è come
un figlio. L’ultimo, quello sul genocidio degli armeni, è un tassello per una
grande causa, quella del popolo armeno che a distanza di 101 anni non ha ancora
ottenuto riconoscimenti internazionali unanimi.
Hai in progetto un altro libro? Se si, di
cosa parla?
Tutto in alto mare,
per ora progetto e penso, poi si vedrà.
Parliamo un po’ di Roma. Quando ti sei
trasferita a Roma e come ricordi l’impatto?
Sono arrivata a Roma
perché ho vinto una borsa di studio all’Adnkronos. Non conoscevo niente di Roma
e nessuno in città e all’inizio le cose non sono state tanto facili. Tutto
era faticoso. Poi pian piano mi sono abituata alle grandi distanze, al caos, ai
servizi scarsi, ai ritardi, ai prezzi esorbitanti. L’impatto non è stato dei
più felici.
Quali sono state le tua abitazioni romane?
Ho cambiato quattro
case, e vorrei non fare più traslochi.
Com’è attualmente il tuo rapporto con
Roma?
È una città che
si fa perdonare, è talmente bella che a volte toglie il fiato.
C’è un angolo di Roma a cui sei
particolarmente affezionata?
Forse la fontana di
Trevi (ma la sera, quando non ci sono più persone e il bianco pallido del marmo
risalta nella notte).
Quali sono i mali di Roma che ti danno
molto fastidio?
Qui cominciano le
dolenti note, verrebbe da dire. Il male di Roma è il menefreghismo diffuso,
come se a nessuno importasse più di tanto della collettività.
Nei momenti liberi in quale zona di Roma
ami rifugiarti?
Momenti liberi
molto rari… quando li ho me ne vado in palestra..
Hai visto il film “La grande
bellezza”? Cosa ne pensi?
E’ un film
grottesco ma veritiero, ingigantisce la bruttezza nascosta di Roma, perché
spesso questa città piena d’arte e di meraviglie fa capire di avere perso
l’anima.
Un paio di consigli al nuovo sindaco di
Roma?
Se fossi la fatina
turchina gli regalerei la bacchetta magica. Spero solo che non si faccia
inghiottire dal potere paralizzante dell’ignavia.